Associazione di volontariato Idra
iscritta al Registro Regionale del
Volontariato della Toscana per la promozione e la tutela del patrimonio
ambientale e culturale
indirizzo postale:
Via Giano della Bella, 7 - 50124 FIRENZE; e-mail
idrafir@tin.it
Tel.
e fax 055.233.76.65; Tel.
055.48.03.22, 320.16.18.105
web http://associazioni.comune.fi.it/idra/inizio.html
sede:
Via Vittorio Emanuele II, 135
- 50134 FIRENZE
per il sostegno: conto corrente postale
n. 26619502, intestato
all'Associazione di volontariato Idra,
Via Vittorio Emanuele II 135, 50134 FIRENZE
Indice
Stralcio n. 1 - Di
chi è l’acqua?
Stralcio n. 2 -
“Tutti sapevano tutto”
Stralcio n. 3 - La
qualità dei progetti
Stralcio n. 4 - “Le
parti civili non sono patrioti, sono disfattisti”
Stralcio n. 5 -
“Stai attento quando torni a casa, potresti cadere in una buca”
Stralcio n. 6 - Il
subpappaltatore se ne va: il progetto non funziona
Stralcio n. 7 -
Nessuno ha il coraggio di togliere quei cartelli...
Stralcio n. 8 – Le associazioni hanno
fatto valere i loro diritti? Sono rimbalzate...
Stralcio n. 9 -
"Progresso, modernità? Solo ordinari esercizi di potere ed arroganza"
Stralcio
n. 11 – Non è un’autorizzazione, è un “vedremo”. «Vedendo, facendo», dicono in Calabria.
Stralcio n. 12 - Nel nostro Paese i beni pubblici alla fine sono di chi se li prende
Stralcio n. 14 – CAVET? Tempi e costi garantiti...
Stralcio
n. 15 – Si poteva e ci si doveva fermare
Stralcio
n. 16 – L’acqua, un bene sempre più scarso: una prova a difesa o un’aggravante?
Stralcio n. 17 – Geologia creativa: l’abbassamento di falda
sarà transitorio...
Stralcio
n. 18 - “Un giorno qualunque, in galleria si va a 20 all’ora e con i
tergicristalli”
Stralcio n. 19 – “Si
vorrebbe spiegare ad uno com’è fatta casa sua”
Stralcio
n. 20 - “Il solo senso civico in Italia non solo non paga, ma ti ci fa
rimettere”
Stralcio
n. 21 – “Un progetto che viola uno dei princìpi del Trattato della Comunità
Europea”
Stralcio
n. 22 - “Io sono sempre senz'acqua. E
il contatore gira anche con l'aria.”
Stralcio
n. 23 - “I cittadini danneggiati sono
stati messi di fronte al fatto compiuto”
Stralcio n. 24 – “Le associazioni ambientaliste?
Cassandre!”
Stralcio n. 25 – “I Comuni sono stati «un po’ truffati»”
Stralcio
n. 26 – Danno erariale ipotizzato a carico di Regione Toscana e Ministero
dell’Ambiente
GUAI TAV IN PILLOLE
Con Idra un appuntamento informativo speciale: la poderosa requisitoria che i Pubblici Ministeri Gianni Tei e Giulio Monferini hanno pronunciato al processo in corso presso il Tribunale di Firenze a carico dei costruttori della TAV fra Firenze e Bologna. Un processo di prima grandezza per quantità di imputati, tipologie di reati contestati, cifre relative ai danni ambientali documentati, proscenio e backstage di protagonisti, comprimari, spalle e comparse. Iniziato il 23 febbraio 2004, dopo anni di indagini e il provvedimento di sequestro di un cantiere, sette cave e otto depositi del 23 giugno 2001, il processo ha ricevuto una copertura mediatica che sarebbe eufemistico definire mediocre. Il volume degli affari e il pedigree degli interessi coinvolti nella “grande opera” spiega senza bisogno di dietrologie questa distrazione di fondo. Entro il 2008 è attesa la sentenza.
L’associazione Idra, iscritta al Registro regionale del volontariato della Toscana, che si è costituita parte civile dopo aver portato un proprio contributo documentale al procedimento attraverso esposti e segnalazioni, desidera accompagnare questa fase finale che precede la sentenza con la pubblicazione - a puntate - di stralci della requisitoria che ha evidenziato le precise responsabilità degli imputati di cui viene chiesta la condanna per i danni ambientali. E' importante infatti che l'opinione pubblica possa avere accesso almeno attraverso internet – se i grandi media rinunciano, come sembrano rinunciare, a garantire piena informazione – ad alcuni passaggi particolarmente pregnanti dell’analisi svolta dall’accusa. Sotto i riflettori del procedimento sono infatti non soltanto somme cospicue del bilancio pubblico nazionale, beni ambientali rari e risorse territoriali preziose, ma anche valori fondanti della nostra democrazia, della nostra stessa civiltà giuridica. Il PM ha saputo mettere il dito nelle piaghe del modello TAV con grande efficacia comunicativa, e Idra ha considerato che sarebbe davvero un perdita per tutti se i dati, le circostanze, le testimonianze e le argomentazioni che fanno parte della rete di riflessioni da cui il PM deduce le proprie richieste di condanna restassero appannaggio dei soli presenti nell’aula del Tribunale, e dei pochi cultori che volessero accedere a quegli atti.
Vengono
utilizzati, nel confezionamento degli stralci, i testi delle trascrizioni
fornite alle parti civili dalla Cancelleria del Tribunale, integrati e
sostituiti - ove appaia necessario o opportuno - dai corrispondenti passaggi
della memoria depositata dal PM. Là dove sia utile al lettore, i testi sono
accompagnati da integrazioni informative a cura della nostra Associazione in
forma di nota ndr. Anche dei titoli e dei grassetti è responsabile
l’Associazione. Ancorché non richiesto, ma per una doverosa forma di rispetto
nei loro confronti, Idra sostituisce
ciascun nome delle parti civili via via menzionate nel testo con una coppia di
maiuscole, priva di nesso con le iniziali della parte civile stessa.
Buona lettura. E che possa servire a tutti noi a
evitarci un futuro del genere!
Aggiornamento
2.1.’09
Questa carrellata di citazioni dalle requisitorie al processo l’abbiamo iniziata il 5 settembre scorso, prevedendo la sentenza entro il 2008.
Ma i tempi del procedimento si sono leggermente
allungati.
Del resto, le
esperienze riportate dai PM, gli
approfondimenti condotti, le analisi
svolte, le conclusioni tratte, ci
sembrano di tale rilievo per
l’intera nazione da meritare ogni
possibile supplemento di attenzione, tenuto conto anche della straordinaria latitanza della maggior parte
dei grandi mezzi di informazione al riguardo.
Abbiamo pensato quindi di continuare a proporvi nuovi
stralci almeno fino ad esaurire, nelle prossime settimane, i contenuti a nostro
avviso più significativi della prima requisitoria.
In attesa, giustappunto, della sentenza.
Buona lettura.
Aggiornamento
20.2.’09
È stata
annunciata per il prossimo 3 marzo 2009 la
sentenza del Tribunale di Firenze chiamato a pronunciarsi sulle pesanti e
circostanziate imputazioni di danno ambientale,
e reati connessi, che la Procura di Firenze ha formulato dopo il sequestro di un cantiere, sette cave e otto depositi a
servizio della costruzione della linea TAV Firenze-Bologna nel giugno 2001.
Il
mega-processo penale è iniziato a febbraio 2004 e si
conclude quando ancora la “grande opera” non è terminata. La cantierizzazione
della TAV fra Firenze e Bologna era stata avviata a luglio
1996. I “supertreni” avrebbero dovuto sfrecciare fra i due capoluoghi regionali
già nel 2003: adesso sono annunciati per dicembre 2009. Da 6,5 a 13 anni: un ritardo nei tempi di consegna di almeno
il 100%.
Se mai
partiranno, poi, quei convogli viaggeranno per 60 km sottoterra senza il conforto di un tunnel parallelo di sicurezza: in una galleria progettata per i 300 km/h i treni TAV
sono destinati a incrociarsi dentro lo stesso tubo di cemento senza vie di fuga
fra una “finestra” e l’altra. Ai documenti ufficiali dei Vigili del Fuoco si sono aggiunte
recentemente le dichiarazioni
degli stessi costruttori (a Exit,
La7, il 19 novembre 2008, minuto 29:00): in caso di incidente, deragliamento o
collisione, vigerà l'obbligo di esodo in auto-soccorso! In uno scenario che ci possiamo solo
immaginare, i contusi, feriti o moribondi dovrebbero raggiungere a piedi
da soli, dunque, una discenderia che potrà essere lontana anche due km e
mezzo...
I costi? Cresciuti almeno del 400%: da 2100 mld di vecchie lire (annunciati ma mai concretizzati come investimenti privati per una quota del 60%) sono passati a oltre 10.000 integralmente pubblici (ma il dato è molto vecchio, e il sito TAV che dava qualche informazione di massima è stato chiuso da un pezzo). L’Europa ha doverosamente costretto a far emergere nei bilanci pubblici del nostro Paese questo straordinario “buco TAV”, prima accortamente nascosto, accumulatosi all'ombra di un'architettura contrattuale quanto meno discutibile.
Un’opera,
la TAV sotto l’Appennino, così “storica” e invidiata dal mondo che per quasi due anni i costruttori hanno
dovuto lavorare in Mugello a minare e ricostruire circa duemila metri di galleria
appena realizzata... Mai visti i documenti che attestano chi paga anche questo e tutti gli altri
‘imprevisti’. Vista, invece, la Risoluzione
dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, che recita testualmente:
“I maggiori oneri economici dovuti a
carenze progettuali evidenziate da imprese terze e attestate da sentenza del
giudice ordinario, sono stati sostanzialmente riversati su TAV con la
contrattualizzazione di varianti e la definizione di riserve nell‘ambito degli
accordi bonari”.
A carico dell’ambiente (uno dei più incontaminati della Regione Toscana,
oggetto di tutela speciale per effetto della normativa europea) danni reiterati:
impattate 73 sorgenti, 45 pozzi, 5 acquedotti, 20 fiumi, torrenti e fossi.
Acque drenate dalle falde: “non meno di
150 milioni di metri cubi di
acqua nel territorio della Comunità Montana del Mugello”. Secondo l’accusa, “il
danno meramente economico provocato sulle risorse idriche è di oltre 110
milioni di euro” e “il danno ambientale
viene individuato nel suo valore più attendibile in misura pari a circa 741 milioni di euro”.
Prosegue intanto la
pubblicazione di stralci della requisitoria dei PM.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 1]
“DI CHI È, A CHI APPARTIENE L’ACQUA?
LA DOMANDA, NELLA SUA BANALITÀ, HA IMPLICAZIONI
ENORMI, PERCHÉ NON È INDIFFERENTE SE SI DICE CHE È DI TUTTI, È DI NESSUNO, È DI
CHI SE LA PRENDE”.
Purtroppo
non potrò essere breve, anche a volere: anzi, dopo tre anni di dibattimento e
tre anni d’indagine, siamo alla fine di questo impegnativo processo. Solo una
premessa: chi mi conosce sa che non sono retorico, non cerco piaggeria o
quant’altro. Però [...] proprio perché non è retorica, ed è
una cosa sentita,vorrei iniziare con il ringraziamento alle difese ed agli
imputati per la correttezza. Spero che siano stati contraccambiati. [...] Abbiamo un
dato oggettivo, lo può testimoniare il Giudice, i verbali. [...] È stato
possibile celebrare un processo regolarmente, in modo lineare, nel rispetto dei
ruoli, ognuno ha fatto il suo, che però di questi tempi mi pare un segno di
assoluta civiltà e di cui volevo dare atto. Ripeto, non è retorica.
Detto questo, visto che ci siamo detti che siamo
bravi, belli, buoni, cominciamo subito a litigare.
C’è un’affermazione
che mi ha dato noia, cioè proprio pregiudiziale, che in questo processo è
riecheggiata dalle difese: di un processo ideologico. Voglio
dire, non c’è nulla contro le ideologie, ma l’ideologia in un processo sì,
perché l’ideologia in un processo
richiama sempre a tesi preconcette, a teoremi. [...] Mi dà noia
l’ideologia perché chiaramente [...] è come se ci fosse un a priori, un
essere qualcosa contro qualcuno, e qualcosa a prescindere.
E qui chiaramente devo dire qualcosa. E parto da due cose
banali.
La prima, che non è vero, e sfido chiunque a trovare
negli atti di indagine il fatto che la Procura si sia lasciata andare a
congetture, idee e quant’altro. Qui si processano persone, fatti, condotte e
quant’altro.
È
all’opposto invece. Rigiro la questione. Non è affatto un processo
ideologico, ma un processo che io definisco necessario, proprio nell’accezione
letterale del termine. Quella per cui è un
processo dovuto, insopprimibile, capace di una forza tale da autoimporsi. Cioè
un processo che non si poteva non fare. E perché dico questo? Oltretutto perché una Procura ha una funzione
pubblica, è un soggetto [...] investito di una pubblica funzione. Non so
quanti chili di prosciutto si sarebbe dovuto mettere sugli occhi per non vedere
e non darsi carico di un evento come quello che si stava realizzando nel
Mugello. Zona di pregio ambientale, ma dove si stavano verificando tutta una
serie di fatti tali da alterare e stravolgere, se non talvolta proprio
distruggere, le condizioni di vita preesistenti, non solo di singoli, ma di
intere comunità e cittadine. E quindi era necessario, ed a questo punto anche
doveroso per la Procura, perché non si poteva esimere dal compito di verificare
la verità delle innumerevoli denunce che arrivavano. [...]
Necessario
e, sotto un certo punto di vista, assolutamente moderno –– nel
senso proprio della parola, ovvero di un processo dei nostri giorni - in quanto un processo coerente con la
realizzazione di uno Stato a sua volta moderno - questa volta nel senso di
ultimo approdo di un processo evolutivo positivo, ovvero di progresso - laddove
questo Stato moderno lo si voglia identificare - come crediamo lo si possa fare
in modo del tutto condiviso - in uno Stato al
tempo stesso efficiente e rispettoso dei diritti dei cittadini, nell’ambito del
quale ognuno è chiamato ad assumersi la responsabilità delle proprie competenze
e del proprio operato e risponderne di conseguenza, affinché sia esigibile da
ciascuno di noi di dare il meglio di sé per il conseguimento del bene comune.
Quindi è un processo moderno, perché la verifica di questo comportamento è
compito della Procura.
E diciamo che è un processo moderno perché destinato
a dare risposte che solo nell’anno 1999, quando abbiamo cominciato le indagini,
non avrebbero avuto forse l’importanza di oggi. Forse chi aveva più sensibilità
già le poteva prevedere, ma [...] oggi [...] sembrano, dopo nove anni, un pochino
più evidenti e più eclatanti.
La decisione che il Giudice prenderà su questo
processo in qualche modo risponderà indirettamente a queste domande. La prima
è: di chi è, a chi appartiene l’acqua?
La domanda, nella sua banalità, ha implicazioni
enormi, perché non è indifferente se si
dice che è di tutti, è di nessuno, è di chi se la prende.
Dove
finisce l’ambito di responsabilità della Pubblica Amministrazione e dove comincia quello del privato nella
gestione dei servizi pubblici e nella
realizzazione di opere pubbliche in tempi come questi di privatizzazioni, caduta dei monopoli, libera
concorrenza, mercati unici, ecc. ecc.? Quali sono le regole che si devono
correttamente applicare nei rapporti pubblico/privato per discriminare le
rispettive responsabilità ?
Domanda le cui risposte non
attengono alla sociologia ma allo stretto diritto, e più precisamente proprio a
quello che è, e sempre più sarà, il “diritto amministrativo moderno”.
Non è che noi ora poniamo queste domande per fare una
sociologia da strapazzo che non ci compete. No. Noi qui si fa un processo e
quindi parleremo solo e soltanto di diritto. Ed è carino perché, proprio a
vedere l’evoluzione dei tempi, queste cose di cui andremo a dire sono oggetto
di una materia, oggi, proprio all’Università, che ai miei tempi non c’era. [...]. Si chiama
“Economia aziendale”. È alla Facoltà di Giurisprudenza. Materia che definisce e
studia concetti come “esternalità negative”, la cd. teoria della “cattura”, il
concetto di “asimmetria informativa”. Concetti e nozioni indispensabili per
essere pienamente consapevoli di cosa ci siamo occupati in questo processo e
poter evitare che fatti analoghi si ripetano in futuro.
Concetti solo, ora, chiamati per nome, ma che richiameremo e spiegheremo
più in dettaglio al momento opportuno.
Questa premessa per dire che nessuno nell’Ufficio della Procura della Repubblica
di Firenze - e trattasi di affermazione da ritenersi scontata perché non può
darsi il contrario - ha ritenuto di potere e dovere sindacare il progetto
dell’Alta velocità oggi rinominata più modestamente Alta capacità.
Detto questo, e riconfermato dunque il rispetto del
principio della separazione dei poteri che preclude la sindacabilità delle
scelte operate dalle amministrazioni pubbliche preposte al funzionamento dello
Stato, si deve al contempo ribadire che è compito proprio e precipuo della magistratura
verificare il rispetto delle norme penali, specialmente laddove è esigibile il
massimo della correttezza quale può essere il contesto di una esecuzione di
un’opera di primaria importanza per il complessivo buon funzionamento del cd.
Sistema Italia. E quindi questo processo
è tutto fuori che un’astrazione, è tutto fuori che un a priori, non è per niente qualcosa di ideologico,
ma è un processo a persone ben identificate per precipue condotte che hanno
cagionato eventi specifici, che è il proprio, che è l’essenza del diritto penale: condotta, elemento soggettivo,
evento.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 2]
“«TUTTI
SAPEVANO TUTTO» [...].
L’UFFICIO DI PROCURA NON SI È MAI NASCOSTO IL
PROBLEMA SE GLI ODIERNI IMPUTATI SIANO STATI LORO E SOLTANTO LORO I
RESPONSABILI DI QUELLO CHE È AVVENUTO. [...] FU GIÀ DETTO NEL
CORSO DELL’UDIENZA PRELIMINARE COME DAL FATTO CHE GLI IMPUTATI FOSSERO
NUMERICAMENTE MOLTI NON SI POTESSE DESUMERE NECESSARIAMENTE CHE FOSSERO
“TUTTI”, E QUINDI CHE NON VI POTESSERO ESSERE STATI ANCHE ALTRI SOGGETTI CHE
AVESSERO CONCORSO NEI FATTI CONTESTATI. ED È CHIARO IL RIFERIMENTO AI SOGGETTI
PUBBLICI CHE HANNO GOVERNATO L’APPROVAZIONE DELL’OPERA ED I CONTROLLI IN FASE
DI ESECUZIONE”.
Cominciamo dagli imputati.
Poi ci torneremo, sugli imputati, ma
sempre per dare conto.
Perché credo che una Procura, un Pubblico Ministero, quando manda qualcuno a
giudizio, tra le varie cose che deve fare, gliene deve rendere conto. Deve
spiegare. Poi a sua volta sarebbe carino che l’imputato spiegasse. Però noi
rendiamo conto agli imputati perché oggi sono qua e perché sono quelli che
abbiamo individuato.
Allora, anticipo: gran parte dei soggetti fanno parte
del Consorzio CAVET. Gli imputati di
fatto sono stati individuati tra i soggetti incaricati della materiale esecuzione
dell’opera. Più precisamente sono i
soggetti individuati tra quelli che, pur facenti parte di coloro incaricati
delle mera esecuzione dell’opera, hanno a loro volta avuto un potere decisorio
in materia o una concreta e diretta capacità di incidere su quelle che sono
state poi le definitive determinazioni nel corso dell’esecuzione dell’opera
stessa o un potere di qualificata responsabilità tecnica nella esecuzione del
progetto.
Ricordiamo infatti i soggetti ed i ruoli da questi svolti nell’esecuzione
delle tratta Firenze Bologna.
Il soggetto pubblico concedente è Ferrovie dello Stato.
TAV è il soggetto concessionario non avendo le Ferrovie indetto alcuna
gara di aggiudicazione né europea ne’ di diritto interno, ma avendo utilizzato
il sistema delle concessioni allora vigente.
Ad ITALFERR viene attribuita una non mai bene chiarita “Alta
Sorveglianza”.
TAV individua come “General Contractor”, ovverosia come interlocutore
contrattuale concessionario dell’opera, FIAT, cui affida la Direzione lavori.
FIAT per l’esecuzione
materiale delle opere individua un Consorzio di imprese, denominato CAVET, a
sua volta costituito da grandi imprese quali Impregilo, la CMC, la Fiat
Engeneering, e gli affida l’esecuzione dell’opera.
Chiaramente
la domanda a cui si deve rispondere è: perché gli imputati sono stati
individuati prettamente, principalmente, anche numericamente, nei soggetti
appartenenti al consorzio CAVET incaricato dell’esecuzione dell’opera?
La risposta
è semplice. Chi altri? E in ogni caso, sicuramente loro che sono sicuramente gli esecutori
materiali dei danni e pertanto devono essere chiamati a rispondere del loro
operato.
E’ CAVET che ha redatto il progetto esecutivo.
E’ CAVET cui è stata affidata la realizzazione dell’opera.
CAVET era in prima linea
nei cantieri e disponeva di tutti i dati, le informazioni, le risorse tecniche
e umane per prevenire e non cagionare i danni procurati e, in estremo
subordine, il dovere di attivare gli iter procedurali per conseguire le debite
autorizzazioni per fare ciò che ha fatto. Ammesso e non concesso che le avrebbe
ottenute.
Altro
discorso se poi di imputati ce ne dovessero essere altri diversi ed ulteriori a
quelli qui chiamati in giudizio.
L’Ufficio
di Procura non si è mai nascosta il problema se gli odierni imputati siano
stati loro e soltanto loro i responsabili di quello che è avvenuto.
Fu già detto nel corso dell’udienza
preliminare come dal fatto che gli imputati fossero numericamente molti non si
potesse desumere necessariamente che fossero “tutti”, e quindi che non vi
potessero essere stati anche altri soggetti che avessero concorso nei fatti
contestati. Ed è chiaro il riferimento ai soggetti pubblici che hanno governato
l’approvazione dell’opera ed i controlli in fase di esecuzione. Non siamo ad una festa privata a numero
ristretto, ad inviti. Eravamo aperti a qualunque sbocco che avesse un supporto
probatorio.
E che la
Procura anche durante il corso del dibattimento abbia indagato - nel senso di
sondare facendo tutte le domande necessarie a chi si è seduto sul banco come
testimone o imputato - se vi fossero altri soggetti ulteriori rispetto agli
imputati. e che potessero essere a loro volta individuati come soggetti
penalmente responsabili dei fatti contestati, è cosa che è stata fatta
pubblicamente - come pubblico è il dibattimento - sotto gli occhi di tutti.
La cosa è rimasta così, l’invito non è
stato accolto. Ma deve restare fermo il punto che la Procura le domande le ha
fatte.
[...]
Il dottor Celico (1), di cui avremo ampia occasione di parlare
per la consulenza, fa un riferimento che è interessante, è nell’ultima postilla
della sua, e dice: “Tutti sapevano tutto”, intendendo pubblica amministrazione e quant’altro. E l’affermazione è
interessante: tutti sapevano tutto.
Allora
lo chiediamo a Silva, all’epoca direttore generale di CAVET, non lo chiediamo
all’ultimo arrivato. E gli chiediamo: “Scusi, ma questa
affermazione che fa il vostro consulente, bene, “tutti sapevano tutto”... ma
qualcuno le ha detto che facevate bene a fare quello che facevate? Qualcuno vi
ha coperto, vi ha garantito “tutto a posto”, “va bene così”? Ci sono state
riunioni in cui sono state determinate, adottate, decisioni di questo tipo?”. E la risposta: “Non ci sono state
riunioni di questo tipo”.
P.M. DR. TEI – Ascolti un’altra cosa. Adesso cambio argomento. Molto
velocemente. Il suo consulente, il vostro consulente, fa un’affermazione anche
condivisibile: “Tutti sapevano...”, parlo del
problema delle acque. “Tutti sapevano tutto”. Io le domando se quindi ci sono mai state riunioni [...] , se al suo livello o a altri livelli, le Autorità Pubbliche tipo Regione
o quanto altro [...], sono stati notiziati, e qualcuno con nome e cognome ha detto ‘Sì, va
bene così. Continuiamo, andate a diritto’. Questo per il periodo dal ’97 al
2001 [...].
IMPUTATO SILVA – Io ho un contratto... ho un contratto dove devo
ottemperare a certe prescrizioni. Il mio compito è di ottemperare a tutte le
prescrizioni. E questo il CAVET lo ha sempre fatto in tutte le circostanze. L’assistenza
tecnica all’osservatorio ambientale per tutte le richieste che ci sono state
fatte, noi le abbiamo soddisfatte. Tutti i ritorni di istruzioni, prescrizioni,
sono state dal Cavet puntualmente messe in atto. E questo è il ruolo di CAVET….
Che tutti sapevano tutto, cioè non è ri... basta leggersi l’indice della
conferenza dei servizi. Se Lei va a vedere solamente l’elenco degli elaborati e
vede chi partecipava a questa conferenza dei servizi vede che gli elaborati li
recepiscono [...].
P.M. DR. TEI – Sì, siamo d’accordo che qui siamo ante operam.
IMPUTATO SILVA – Esattamente. Qui siamo a livello di conferenza dei
servizi. Non dimentichi che noi siamo degli esecutori. Quindi sulla base di
questa documentazione, di questa prescrizione che mi viene data, eh?, io
determino... io determino i tempi di esecuzione e il prezzo contrattuale.
P.M. DR. TEI
- ...Le domandavo se, per un caso, passando dalla filosofia (che sono la
conferenza dei servizi e il contratto) alla storia (che poi sono l’esecuzione
dell’opera sul terreno con eventi materiali che si consolidano), se ci sono
stati un certo punto di riflessione e riunioni [...]
e qualcuno ha detto ‘Sì, va bene, tutto a posto. A diritto.’?
IMPUTATO
SILVA – Non ci sono state riunioni di questo tipo.
Quindi, visto che il principio cardine per
instaurare un processo è quello della disponibilità delle prove e non la
astratta elaborazione di mere ipotesi che possono essere anche logiche e
plausibili, ad oggi resta il fatto che, in assenza dei necessari supporti
probatori e riscontri, le mere congetture sono destinate restare nel nulla di
fatto.
E
proprio perché abbiamo evitato qualsiasi tipo di congettura i capi di
imputazione e gli imputati di questo processo che abbiamo sottoposto al vaglio
di questo giudice, sono il più solido approdo finale cui siamo giunti.
D’altra parte nessuno, neppure tra gli odierni
imputati, fosse anche solo per discolparsi, ha chiamato in causa altri non
presenti in questo processo [...],
e ciò né nel corso delle indagini né nel corso del dibattimento.
Gli odierni imputati, poi vedremo come all’esito del
dibattimento neppure tutti di loro, sono i soli raggiunti da sicure prove di
colpevolezza per i fatti contestati.
Certo
ci può essere un po’ la sensazione di aver individuato solo gli autori
materiali di un reato, ma, come detto, nel processo penale non è dato fare
dietrologie.
Se risultasse poi che qualcuno – ma non sapremmo chi
- alla fine potrà ritenere di essere stato “graziato” e dovrà e vorrà
ringraziare qualcuno, questo qualcuno non sarà certo la Procura, che ha provato
a sondare tutto il sondabile. La Procura in dibattimento ha verificato ogni
comportamento. Dico questo perché questo dobbiamo dire ai nostri
imputati. Di questo dobbiamo rendere conto ai nostri imputati. Ed è per
sintesi, perché poi glielo spiegheremo per altre duecento pagine di
requisitoria, per cui spero alla fine si saprà perlomeno come mai sono qua.
Se
poi qualcun altro ravvisasse altre responsabilità diverse da quelle penali,
quali quella politica, amministrativa o altro per il comportamento delle
amministrazioni pubbliche vi è da dire che non spetta certo a questa Autorità
Giudiziaria di valutare tali tipi di responsabilità.
Spetta invece sempre a questa Procura rilevare come
vi siano state evidenti differenze tra l’operato delle varie amministrazioni
pubbliche, in particolare tra alcune amministrazioni quali la Comunità Montana
del Mugello ed alcune amministrazioni Comunali da un lato e quello della
Provincia, della Regione Toscana e del Ministero dell’Ambiente dall’altra.
Diversità su cui ritorneremo al momento in cui si motiveremo la richiesta di
trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per danni erariali.
(1) Dagli atti risulta
che il prof. Pietro Bruno Celico è ordinario di Geologia presso l’Università
Federico II di Napoli ed è consulente tecnico della difesa.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 3]
“[...] QUESTO PER
DIRE DA SUBITO QUALE POSSA ESSERE IL VALORE CHE SI PUÒ DARE AD AFFERMAZIONI LETTE
NEI DOCUMENTI E RISUONATE IN QUESTA AULA, ANCHE DA PUBBLICI AMMINISTRATORI,
QUALI “OPERA GRANDIOSA REALIZZATA DAI MIGLIORI SPECIALISTI E TECNICI”,
“TECNICHE INNOVATIVE A LIVELLO MONDALE”, “UN’OPERA DI PRIMARIA
IMPORTANZA”, “ABBIAMO LE MIGLIORI PROFESSIONALITÀ”. CHIUNQUE VORRÀ USARE QUESTI ARGOMENTI DOVREBBE PRIMA SPIEGARE PERCHÉ IN
QUESTA OPERA PUBBLICA (PURTROPPO CERTO NON L’UNICA) L’INDICAZIONE E FISSAZIONE
DEI TEMPI E DEI COSTI DI REALIZZAZIONE ABBIANO AVUTO UNA AFFIDABILITÀ PARI A
QUELLA DELLA LETTURA DI UN MAZZO DI TAROCCHI DA PARTE DI UNA CARTOMANTE”.
L’opera pubblica relativa al quadruplicamento
ferroviario veloce della tratta Bologna-Firenze è stata approvata in conferenza
dei servizi in data 28.7.’95.
Però si parte nel ’92.
Nel ’92 cominciano a girare questi fogli, perché sono
poco più che fogli, ed approdano ad uno Studio di Impatto Ambientale. [...] Già nel
1992 si rilevano i prodromi di quella che sarà la caratteristica degli studi e
degli elaborati di quest’opera o, meglio degli studi che alla fine saranno destinati ad avere la meglio su altri. Vinceranno
sempre e comunque i peggiori, quelli più tirati via, quelli tendenti a
minimizzare i danni, gli impatti, a nascondere quella che risulterà invece la
vera realtà dei fatti.
E non si pensi che sia una
valutazione: è un fatto circostanziato.
Questa storia infatti, come
detto, comincia nel 1992 con il SIA, Studio di impatto ambientale [...]. Siamo nel 2008. Dopo sedici anni deve essere finita,
figuriamoci! Però ha una caratteristica: nasce
subito da una logica vecchia, nel ’92 (e poi vedremo come la cosa purtroppo
non è migliorata): si limita ad una
valutazione del paesaggio come “paesaggio cartolina”. Esteriore aspetto
dell’ambiente. [...] Ecco perché sembrava una grande idea fare quasi tutto il tracciato in
galleria.
Con questo non si vuol dire che ora si vuol
disconoscere la rilevanza di salvaguardare l’esteriore aspetto del territorio
perché ci interessa l’acqua. Diciamo ovviamente una cosa diversa. Diciamo che
il rispetto del paesaggio come immagine, come tutela del panorama, lo vorremmo
ormai poter dare come concetto pacifico ed acquisito, anche se acquisito non è,
visto quante e tante volte viene leso.
Riteniamo però che dovrebbe essere solo una prima approssimazione al
risultato finale, se l’obiettivo è quello di conseguire il risultato migliore
possibile. In altre parole: va benissimo
che una ferrovia passi in galleria per salvaguardare il paesaggio, ma subito
dopo ci saremmo aspettati che chi è preposto a decidere si ponga poi la domanda
di cosa succede, e di quali possano essere i problemi che possono sorgere, nel
fare un buco lungo 70 chilometri nella montagna.
Così non fu. O lo fu solo
in parte. E comunque non è stato mai esplicitato nella sua pienezza.
Il progetto che venne presentato
agli uffici regionali diretti dalla dr.ssa Sargentini per il parere necessario
al SIA (Studio di Impatto Ambientale) era caratterizzato soprattutto da genericità.
Lo dice la teste dr.ssa
Sargentini della Regione Toscana.
Sargentini: “Cosa intendo con questo? La genericità era data dal fatto che venivano
riportate per alcuni aspetti valutazioni assolutamente... come dire, di
principio, che non erano poi contestualizzate, rispetto al territorio. Dove
venivano riportati i dati - e questo è riferibile in particolare alla questione
pozzi, sorgenti, eccetera - c'era una sorta d'inventario, ma, come dire, erano
i dati più o meno conosciuti per qualche motivo, rimessi insieme. E non c'era,
a nostro avviso, uno sforzo di
omogeneizzazione di questi dati e quindi poi di interpretazione e valutazione complessiva. [...]
Noi si riteneva che non fosse assolutamente da sottovalutare la possibile interferenza con acquiferi anche profondi e
che nessuno di noi ovviamente poteva dare una certezza di questo, ma che comunque
dovevano essere approfondite le indagini, dovevano essere previste
analisi specifiche per rendere, per contestualizzare
una serie di affermazioni che prese da sole...”.
Quindi non solo necessità
sin da subito di approfondimenti, ma subito con la tendenza - che rimarrà una
ostante - alla minimizzazione degli impatti e dei danni.
Prosegue infatti la Sargentini: “Io ho un ricordo, ora non saprei se preciso su
tutto, ma che in generale si tendeva a dire che gli eventuali impatti, laddove
ci fossero stati, sarebbero stati reversibili”
Pubblico Ministero: "Quindi, mi
corregga... Allora, reversibili?”.
Teste Sargentini Maria: “Reversibili. Cioè, è
chiaro che se io faccio un intervento in un territorio e c'ho comunque un impatto
momentaneo, è possibile che a seguito della realizzazione di un manufatto o di
un'opera, come dire, passato un certo tempo, si ripristini la condizione pre...
ante operam”.
Pubblico Ministero: “Quindi, praticamente
collegato all'esecuzione di lavoro: ho un rubinetto, lo chiudo perché devo
passare, come sono passato lo posso riaprire?”.
Teste Sargentini Maria: “Sì. Ecco, un po' era questa la sensazione che veniva, che tutto è reversibile. L'altro aspetto che
secondo noi era rilevante (questo me lo ricordo molto bene, perché è stato uno
dei primi progetti complessi che si sono analizzati) è che tutte le valutazioni
che c'erano nel SIA tendevano a dare risposte nella fase a regime, cioè a
cantieri finiti. Ora qui si era di fronte ad un'opera in cui la
cantierizzazione sarebbe stata lunga e imponente in termini di territorio.
Perché non era una cantierizzazione del tipo “faccio passare un piccolo mezzo”.
Ci sono campi base, ci sono le viabilità d'accesso, ci sono tutta una serie di
questioni tecniche connesse alla complessità dell'opera principale. Ma la stessa opera [...] ha i cunicoli d'accesso, per esempio. Per cui
una cosa che si evidenziava è che per la fase di cantiere non si diceva niente.
Mentre, a detta mia e del mio ufficio, la fase di cantiere [...] poteva presentare e avrebbe presentato
sicuramente una serie di impatti anche sul versante della risorsa idrica,
assolutamente da non sottovalutare”. [...]
Un’altra cosa si ricorda la
Sargentini, il difetto di individuazione di opere di mitigazione.
Teste Sargentini Maria: “Uno ragiona sulla base dei
dati che ha. Quindi, reversibile o non reversibile, il dato di fatto era:
l'impatto ci può essere e ci può essere anche in fase di cantiere. E l'altro
aspetto è: se impatto ci può essere, è necessario prevedere gli interventi di
mitigazione anche... cioè, sotto vari profili. Ma in particolare, per esempio,
si sta ragionando di risorsa idrica: se viene impattata una risorsa che è anche
fonte di alimentazione per un acquedotto, che questo avvenga a regime, o che
avvenga in fase di cantiere, è assolutamente indifferente rispetto all'esigenza
di garantire comunque fornitura idrica”. [...]
In conclusione, progetti ed elaborati [...] generici,
superficiali.
Pubblico Ministero: “Ho capito. Però, mi
corregga se sbaglio. Se ho capito bene lei dice: una parte generale quasi
sovrammettibile a una parte specifica”.
Teste Sargentini Maria: “Sì. Non c'era differenza, sostanzialmente.... Il
fatto che fossero dati conosciuti, di per sé, qualitativamente non dà risposte...
Il problema è che non c'era una contestualizzazione. Cioè, io posso prendere i
dati che conosco, poi rielaborarli e motivare perché quel dato, rispetto a quel
territorio, lo interpreto in un certo modo. Quindi, secondo noi, mancava la
fase di interpretazione. E ovviamente anche di implementazione di questi dati”.
[...]
Ricordiamocelo. Elaborati generici rispetto alla
realtà del territorio, mancata esecuzione di un adeguato monitoraggio ante
operam, mancata previsione di opere di mitigazione.
Purtroppo eravamo nel ’92 e
lì siamo di fatto rimasti anche dopo.
Il parere della Regione
viene trasfuso nel Parere Commissione VIA con prescrizioni n. 72 del 27/11/92. [...]
Arriviamo
all’approvazione del progetto nel ’95.
Quindi,
prima della Conferenza dei Servizi si riparte. Abbiamo questo parere SIA
generico, e [...] ora passiamo ad un progetto esecutivo.
E quindi viene ricostituito il gruppo in Regione, che ha fra le altre
competenze quella di verificare se le prescrizioni date nel ’92 fossero state
rispettate o meno. Quindi la Sargentini ricostituisce il gruppo. E vengono
interpellati per un parere analogo,
oltre a valutare il tracciato al netto del Nodo di Firenze e con il nuovo
tratto Vaglia-Paterno.
Teste
Sargentini Maria: “Per quello che
ricordo sulla parte idrogeologica qualcosa in più veniva detto, ma rimanevano
ancora molte perplessità e restavano perplessità per le quali si chiedeva che
ci fossero integrazioni, che ci fossero... cioè, come dire, si dà un parere,
no? Quindi si dice: è necessario che venga integrato tutto questo profilo,
questo, quest'altro. Perplessità forti rimanevano rispetto alla considerazione
della fase di cantiere, e quindi alla necessità di messa in opera... Ecco,
ricordo questo: che, rispetto a possibili impatti, ancora una volta si
rimandava, cioè, il tutto veniva rimandato... veniva detto che tutto poteva
essere mitigato in maniera sufficiente con interventi che sarebbero stati
previsti in base al monitoraggio. E quindi tutto veniva rimandato a un
possibile piano di monitoraggio. [...]
Si rimandava nel senso che veniva detto: dov'è possibile un impatto - e ancora
si rileva, se non mi ricordo male, nel mio parere il fatto che comunque c'è
bisogno di ulteriori informazioni - dov'è possibile un impatto, interverremo
con idonee misure di mitigazione. Le idonee misure le definiremo sulla base del
monitoraggio. Questo era il concetto... [...]
Nel nostro caso c'era una indicazione generica di possibili impatti”.
Pubblico
Ministero: ”Generica vuol dire senza
nomi? vuol dire su tutta la tratta?”.
Teste Sargentini Maria: “Allora, in generale il ragionamento era che gli
impatti sulle risorse idriche venivano espressi in termini di possibili impatti
sulle forniture acquedottistiche. questo era l'elemento... cioè, sulle
forniture di approvvigionamento. Non c'è un ragionamento di impatto sulla
risorsa in termini fisici, e comunque gli impatti vengono in generale trattati
come impatti reversibili. C'era un altro elemento che era anche nella relazione
che si rese all'epoca, che era quello: cioè, di fronte alla possibilità di
impatti in un sistema acquifero che aveva in gran parte la caratteristica di un
sistema per permeabilità secondaria, cioè per fratturazione, anche l'area di
monitoraggio che doveva essere... che doveva essere prevista a garanzia di
questo, non ci sembrava sufficiente quella che era stata prevista nei documenti
presentati. Perché l'area di monitoraggio va estesa in funzione dei punti
fisici che, come dire, che possono essere in relazione per quei processi. E non
tanto geometricamente”.
Insomma per la Sargentini
nel ’94-’95, nonostante le prescrizioni, “c'è una continuità con il '92”.
Si rimanda ad un monitoraggio che si farà. Per le
opere di mitigazione si dice che si farà quel che risulterà che ci sarà da fare.
Per la fascia a rischio di impatto, indicazioni generiche, astratte. Basate su
modelli e simmetrie avulse da ogni contesto. La
Sargentini dice: “Sì, c’era un
maggior dettaglio nell’opera, ma dal punto di vista delle valutazioni di
carattere idrogeologico, le differenze non erano così enormi e rimangono - dice
lei – ancora una serie di perplessità”.
Eppure questa volta siamo in presenza di un progetto
esecutivo. Con quello si va a costruire. Eppure...
In termini sempre critici
si era già espresso Micheli (1).
Micheli ce l’ho un po’ a cuore perché chi avrà voglia di leggersi il parere di
Micheli del 23 gennaio ’95, delle due l’una: o lo fanno Premio Nobel e quegli
altri li mandano a fare altri lavori, o se no non si capisce. Viene sentito
Micheli. Micheli il 23 gennaio prende la
sua pennina, scrive e ritrova tutto quello di cui dopo tredici anni stiamo
parlando noi.
Pubblico Ministero: “Faccio riferimento al documento da lei redatto in data 23 gennaio '95.
In particolare è quello che ha riferimento alla relazione istruttoria sull'Alta
Velocità relativa alla variante Mugello-Carza-Terzolle. Ecco, se vuole
raccontare al Giudice qual è il tratto interessato, quali erano i documenti a
lei rappresentati, le valutazioni che ha espresso in relazione a quanto le era
stato sottoposto”.
Teste Micheli Luigi: “[...] È risaputo
che [...] il modo migliore per prelevare l'acqua da sotto
terra è quella di fare una galleria, in Toscana ne abbiamo molti esempi. Ecco,
questo aspetto non veniva affrontato in modo adeguato. Ripeto, c'era dal punto
di vista della carta, ad esempio, idrogeologica, c'era solo una fascia di due
chilometri in superficie, rispetto al tracciato. E venivano fatte delle
considerazioni... in alcuni elaborati descrittivi c'erano, venivano ipotizzate
delle possibilità di intercettazioni delle falde acquifere; ma non venivano
poi, in sede di conclusione, considerati gli impatti dell'opera sulle falde, il
possibile abbassamento... Praticamente veniva trascurato questo aspetto”.
Quindi, per quello che ci interessa ora: superficialità. Ma c’è un elemento in più.
Questa volta nel ’95 alla superficialità si accompagna un elemento nuovo, che è
quello della fretta. C’è una scadenza: 27 luglio 1995. Bisogna approvare questo
progetto. Senza dilungarci in commenti
o valutazioni, e rimanendo solo su una base rigorosamente oggettiva, ciò che
si può rilevare è come nella primavera-estate del 1995 siano maturate le
condizioni politico-economiche per cui si è ritenuto di dover chiudere in tempi
rapidissimi la conferenza dei servizi per l’approvazione dell’opera.
Lo testimoniano tutti i
tecnici che sono stati chiamati ad esprimere i pareri per le loro
Amministrazioni. Basta andare a rileggersi le testimonianze di Micheli e della
Sargentini che affermano come, a ridosso della conferenza dei servizi già
fissata, la documentazione arrivasse a getto continuo e come i tempi loro
assegnati per l’esame della stessa fossero ristrettissimi.
La
Sargentini esprime il suo parere in data 13 luglio ‘95 e dice: “Mah, insomma, i documenti arrivavano, addirittura il
13 luglio non erano ancora arrivati tutti, perché fra l’altro c’era scritto
nella lettera di trasmissione...”.
Per cui lei
si cautela e fa una postilla, dice:
“Io faccio il parere il 13 luglio, ma mi hanno detto che mi devono portare
ancora dei fogli, ma siccome bisogna chiudere...”.
Pubblico Ministero: ”Ma c’era un po’ di pressione?”
Sargentini: “C’era una Conferenza convocata e quindi c’era da
mandare un parere”..
Pubblico Ministero: “Bene, chi c'è c'è, bisogna per il 28...”.
Teste Sargentini Maria: “Sì, per quello che c'era, si rimetteva un parere”.
Gli uffici regionali sono stati messi
in queste condizioni di lavorare. [...] C’è la Conferenza il 28, bastava che ci fosse un parere,
pare a questo punto più o meno qualunque. Cosa dicessero questi pareri, si
guarderà, bisognava chiudere.
Conferma di ciò la dà anche chi ha partecipato personalmente e
fisicamente alla conferenza dei servizi.
È
sufficiente riandare a ciò che ha detto il sindaco Mascherini di Firenzuola
davanti alla VI Commissione Regionale nel 2000. Concetti che, di fatto, ha
ribadito in quest’aula: "In
conferenza dei servizi nel luglio del 1995 a me è sembrato che il comportamento
della Regione fosse più teso a sbloccare e a iniziare i lavori più che a
verificare e a chiedere che cosa la realizzazione di quest’opera avrebbe
comportato in riferimento all'impatto ambientale e sociale che questa opera
avrebbe portato nel territorio rispetto alla qualità del progetto che lì
andavamo ad approvare, rispetto alla qualità degli studi di impatto ambientale
che in quella sede furono portati ed approvati”.
E questo qui è un dato che poi abbiamo riscontrato
nel processo. Da una lettura degli atti, dire ‘impressione’ è minimizzante,
perché, direi, è un fatto. Quello che si
comprende è che viene approvata la volontà di realizzare questo opera e non il
dettaglio. Si approva una tratta di 78 chilometri di cui 70 in galleria, ma
il dettaglio di essa si rimanda. Perché dico questo? Lo dicono quegli stessi
che lo approvano. Già da una mera delibazione degli atti era possibile
rilevare eclatanti insufficienze nel procedimento di valutazione degli impatti
ambientali, in particolare di quello idrogeologico. Abbiamo un progetto esecutivo che però di fatto è poco esecutivo. I
tecnici della Regione ci dicono che nel ’95 siamo ancora a livello del ’92. Praticamente nel ’95 eravamo ancora al
livello del 1992 e di fatto nulla era stato fatto per ottemperare alla
prescrizioni imposte dal SIA di quell’anno. Che il progetto esecutivo
portato in Conferenza dei Servizi fosse di fatto “poco esecutivo” è evidente
sol che si pensi che erano esclusi alcuni “piccoli dettagli” quali i nodi di
Bologna e di Firenze ed il tracciato finale della linea verso Firenze non
essendo stato ancora deciso se passare per la valle del Terzolle o da Castello.
Le circostanze che hanno accompagnato, nei mesi
successivi alla chiusura della Conferenza dei servizi, l'avanzamento dell'opera
ivi approvata suffragano ampiamente le valutazioni negative di quelli che già
ritenevano inidonei gli elaborati a suo tempo esaminati.
L'attraversamento del nodo
ferroviario fiorentino è stato approvato solo successivamente e parzialmente,
ed è ancora oggi oggetto di trattative sia per le modalità esecutive che per
l’individuazione dei finanziamenti, e ciò nonostante il patto siglato tra
Regione Toscana, Provincia di Firenze, Ferrovie dello Stato e TAV S.p.A. il
27.7.'95 prevedesse l'impegno da parte dell'Amministrazione Comunale di Firenze
"a
comunicare, congiuntamente all'Ente Regione, entro l'inizio di ottobre" (del 1995: ndr) "la propria scelta
di massima" e nonostante che al
punto 9) del citato "Accordo preliminare" i soggetti che lo siglarono
concordassero (in data 27.7.'95) "su una precisa, sollecita e
garantita definizione di tutti i tempi del complesso degli interventi sul nodo
fiorentino, modulata sull'urgenza della razionalizzazione di tutte le
infrastrutture cittadine in vista del Giubileo del 2000".
Siamo nel 2008. Il Giubileo è stato otto anni fa.
Quindi abbiamo una fretta, vogliamo
dire col senno di poi (ma col senno di poi sono tutti bravi), degna di miglior
causa? Non c’era tempo? Forse questa fretta ha portato risultati? No. Quindi,
patto clamorosamente sconfessato dagli stessi soggetti che l’hanno
sottoscritto.
E per capire quanto sia vero tutto questo oggi sfido
a trovare chi ci possa dire con certezza come e quando questa opera sarà
completata e funzionante.
Se solo si pensa che ancora
oggi non è cominciato né il sottoattraversamento di Firenze, né la nuova
stazione ... Stiamo ancora discutendo di dove il tracciato passerà, di quali
immobili corrono rischi di stabilità e quali no. [...] E i
soldi? Ci sono? Sì, no, forse…
E qui abbiamo sentito l’ingegner Polazzo, TAV. Al quale
abbiamo fatto alcune domandine. [...] Gli abbiamo chiesto se si sa quanto
costerà questa opera, e quando l’opera
sarà davvero e, ripetiamo, davvero funzionante. E soprattutto se qualcuno crede alle date indicate. Prima si è detto 2003, poi 2006, poi 2009,
ora siamo al 2010 al netto del sottoattraversamento di Firenze. In concreto chissà quando. Costi? Originariamente 5.800 miliardi di lire senza
il nodo di Firenze, ed ora siamo già a 4,8 miliardi di euro con le riserve da definire,
di cui una cosiddetta “cautelativa” di uno o due miliardi di euro, secondo come
va questo processo.
Allora, perché dico questi fatti? Non sono numeri e
dati fine a se stessi. Questo per dire da subito quale possa essere il
valore che si può dare ad affermazioni lette nei documenti e risuonate in
questa aula, anche da pubblici amministratori, quali “opera grandiosa
realizzata dai migliori specialisti e tecnici”, “tecniche innovative a livello
mondale”, “un’opera di primaria importanza”, “abbiamo le migliori
professionalità”. Anche da pubblici amministratori. Chiunque vorrà usare questi argomenti dovrebbe prima spiegare perché in
questa opera pubblica (purtroppo certo non l’unica) l’indicazione e fissazione
dei tempi e dei costi di realizzazione abbiano avuto una affidabilità pari a
quella della lettura di un mazzo di tarocchi da parte di una cartomante.
Mi sbaglierò, ma se qualcuno mi dice che quest’opera
è stata fatta al più alto livello possibile delle capacità tecniche e
professionali disponibili in Italia, mi
aspetto che si cominci a rispettare l’ABC di ogni opera, l’ABC di quanto ogni
committente avveduto chiede al suo artigiano, fosse anche per ristrutturare il
bagno di casa. All’idraulico si
chiede quanto costa e quanto tempo ci mette.
E se l’idraulico non rispetta né l’uno, né l’altro, sono litigi e
discussioni a non finire e, soprattutto, non lo si paga subito e per l’intero
come se nulla fosse successo o, addirittura, gli si anticipano al suo posto i
pagamenti per i danni commessi a terzi. Non si fanno “addendum” in favore degli
altri condomini per i danni prodotti dal nostro idraulico.
Nel nostro caso è successo
anche di questo. Con l’addendum TAV [...] e Ministero
dell’Ambiente senza batter ciglio tirano fuori 52 milioni di euro per riparare
ai danni dell’opera. Sentito il dr. Ingravalle,
responsabile TAV, sul perché TAV, che è il committente, si sia assunta tale
onere invece che scaricare le responsabilità e caricare le spese o sul
progettista, se il progetto era stato fatto male, o sull’esecutore, se era
sbagliata l’esecuzione, dice: “Per un impegno morale”. Si diventa signori. Con i soldi
pubblici si diventa signori. Vorremmo
vedere quale privato, quale società, quale multinazionale, sentisse di avere
impegni morali con eventuali terzi danneggiati da opere progettate da asseriti
illustri professionisti ed eseguite da imprese di assoluto rilievo nazionale.
Solo quando i soldi sono pubblici, si diventa signorili e ci si assumono
spontaneamente onerosi “impegni morali”.
Ma torniamo a noi.
Quindi, nel
luglio 1995, in conferenza dei servizi si approva perché si doveva approvare.
Ma cosa si approva? Tutto e nulla, a seconda
da che parte la si voglia guardare. Tutto, se si pensa alla volontà di
realizzare a qualsiasi costo la tratta Firenze-Bologna. Poco o nulla, se si va
al particolare.
Ripetiamo: qui non si intende assolutamente sindacare
la decisione di realizzare l’opera (...). Il
problema non è “cosa si è deciso di fare”, ma “come è stato fatto ciò che si è
deciso di fare” e, soprattutto, se poteva essere fatto così.
(1)
Il dr. Luigi Micheli è geologo alla Regione Toscana.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 4]
“QUESTA OPERA
È STATA APPROVATA CON UNA LOGICA VECCHIA: SI FA QUELLO CHE SI DEVE FARE E POI I
COSTI CADRANNO SU CHI, SU CHISSÀ QUANDO, CHISSÀ PER QUANTO, NON CI INTERESSANO:
ANDIAMO AVANTI ED A DIRITTO COMUNQUE. [...] LE PERSONE OFFESE, LE PARTI CIVILI OGGI, INSOMMA,
NON SONO PATRIOTI, SONO DISFATTISTI. SONO QUA PERCHÉ SONO DISFATTISTI. PERCHÉ
SE SI SACRIFICASSERO PER IL PAESE, STAVANO A CASA LORO TENENDOSI CIÒ CHE ERA
SUCCESSO”.
A noi qui interessa solo e soltanto vedere come è
stato realizzato ciò che è stato realizzato e se così si poteva fare. E la
nostra verifica è puntuale, doverosa.
[...] Già
nel ’98 [...], 16 settembre ’98 ore 15.00, quindi
dieci anni fa, si impattano le sorgenti
di Castelvecchio, che servono un acquedotto con un ristorante, famiglie, e
quant’altro. È stato approvato un
progetto nel quale, per espressa testimonianza del presidente dell’Osservatorio
Ambientale Nazionale (OAN), Trezzini, nella riunione del 16.9.98 ore 15.00
presso il Comune di Firenzuola [...] per l’impatto di Castelvecchio, alla
presenza di Castellani, Belloni, Calcerano e Bertoldi per CAVET, Vallino per
Fiat Engineering ed arch. Biagi (1) per la Regione, risultava che:
-
andava
previsto l’accaduto e la previsione è risultata errata;
-
andava fatto il monitoraggio che invece non era stato
fatto (ed uno si
potrebbe già ricordare Micheli che l’aveva detto tre anni prima).
Inoltre Cavet, sempre per Trezzini e l’OAN:
-
non avrebbe dovuto fare il rivestimento della
galleria come se non fossero accadute le interferenze accertate;
-
doveva far prima i rimedi alternativi;
-
doveva prendere atto del fallimento del modello matematico;
-
doveva fornire in tempo reale i dati del monitoraggio
e non dopo mesi.
Io direi un bel macigno, questo. 1998.
Quindi già
dal 1998 per lo stesso Osservatorio Ambientale Nazionale (ma già dal 1995 per altri, come ad esempio per Micheli) erano sul
tavolo chiare e precise tutte le questioni in gioco.
Pertanto tutti i danni successivi a quella data sono
semplicemente certi, accettati e, quindi, voluti.
[...] È interessante la progressione dei fatti, perché ci dà conto della consapevolezza, ci dà conto della pervicacia, ci
dà conto di tanti elementi per cui la storia ha il suo peso [...]. E quindi
partiamo dal ’98.
LA
CRONOLOGIA DELLA REALIZZAZIONE DELL’OPERA
Riportiamo per sintesi, in ordine cronologico, la successione degli
eventi più significativi che si sono verificati fino ad oggi nel corso dei
lavori per la realizzazione della Ferrovia AV.
I lavori per la realizzazione dell’opera iniziarono
nel 1996 con l’impianto dei cantieri.
GALLERIA RATICOSA
-
Maggio 1998 (ante): viene realizzata la finestra
Castelvecchio
-
Maggio 1998: inizia lo scavo della galleria nel
tratto dalla finestra Castelvecchio verso nord
-
Giugno 1998: inizia lo scavo della galleria nel
tratto dalla finestra Castelvecchio verso sud
-
Estate 1998: si verifica il grave impatto sulla
sorgente Castelvecchio, che alimentava l’acquedotto della frazione
-
Ottobre 2002: inizia lo scavo della galleria da alveo
Diaterna verso Bologna, e si conclude nel luglio 2004 con il ricongiungimento
con il tratto scavato dalla finestra Castelvecchio.
GALLERIA SCHEGGIANICO
-
Maggio 1998: inizio dello
scavo da finestra Brentana
-
Marzo 1999: inizio dello
scavo da finestra Brenzone
-
Maggio 1999: termine dello
scavo.
GALLERIA FIRENZUOLA
-
Gennaio 1997: inizia lo scavo
della finestra S. Giorgio
-
Febbraio 1997: inizia lo
scavo della finestra Rovigo
-
Primavera 1997: primo
impatto a carico della sorgente Ca’ di Sotto, in prossimità dell’imbocco della
finestra Rovigo
-
Ottobre 1997: la quota
della galleria di linea viene raggiunta da finestra S. Giorgio; lo scavo
procede verso Bologna e Firenze
-
Dicembre 1997: la quota della galleria di linea viene
raggiunta da finestra Rovigo; lo scavo procede verso Firenze e Bologna
-
Maggio 1998: inizia lo scavo da finestra Rovigo verso
Firenze
-
Giugno 1998: inizia lo scavo da finestra Rovigo verso
Bologna
-
Primavera 1998: si verifica un fenomeno di subsidenza
in località “Il Grillo” presso S. Giorgio (Comune di Borgo San Lorenzo); si
rende necessaria l’esecuzione di un campo pozzi per abbassare il livello della
falda e consentire l’avanzamento; qualche giorno dopo si verifica uno
sprofondamento localizzato a circa 70 m a est dell’asse della galleria
-
Marzo 1998: inizia lo scavo della finestra Marzano
-
Maggio 1998: inizia lo
scavo della finestra Osteto
-
Luglio 1998: inizia lo
scavo dall’ imbocco nord (Camerone di S. Pellegrino)
-
25 Aprile ’99: la sorgente
Marzano è la prima ad essere impattata nella zona (primo semestre 1999); il
tratto verso nord provoca il primo forte e significativo impatto a carico della
galleria Firenzuola. Il giorno 25/4/99 nel corso del realizzazione della
finestra S. Giorgio, durante una sosta delle operazioni di scavo del fronte, a
circa 2 m dalla base del fronte di scavo, in prossimità del piedritto destro,
si manifestava una concentrata e consistente venuta di acqua torbida e sabbia,
con una portata stimata intorno ai 50 l/sec
-
Luglio 1999: lo scavo della
finestra Osteto viene interrotto per l’intercettazione di una cospicua venuta
d’acqua; i lavori vengono sospesi
-
Ottobre 1999: terminata la
difficoltosa realizzazione della finestra Marzano, iniziano gli scavi dei
tratti di galleria da Marzano verso sud e da Marzano verso nord
-
Ottobre 1999 - Marzo 2000:
si verificano ulteriori impatti significativi tra i quali Casa d’Erci (alla
progressiva 54+112) che approvvigionava l’acquedotto Luco-Grezzano; fenomeni di
subsidenza e apertura di crateri in loc. “S. Giorgio” per il rilascio di 120
m/c di materiale alla progressiva 56+960
-
Agosto 2000: viene
impattata anche l’importante sorgente “La Rocca”, captata da tempo per
l’acquedotto di Scarperia
-
Agosto 2000: il torrente
Veccione inizia a presentare i primi segnali di diminuzione di portata
-
Estate 2000: grave impatto
progressivo sulla sorgente Frassineta
-
Maggio-Giugno 2001:
esaurimento completo della sorgente Frassineta con venute di 200 l/s in
galleria alla progressiva 53+826
-
Tarda primavera 2001: il
torrente Rampolli fa registrare una significativa perdita di portata a valle
delle sorgenti Capannone
-
Luglio 2001: impatto sulla sorgente Badia di Moscheta
2
-
Estate 2001: esaurimento
delle sorgenti “I Guazzini” e “Alicelle-Largignana”
-
Novembre 2001: riprende la
realizzazione della finestra Osteto secondo un nuovo tracciato che evita
l’intercettazione della venuta d’acqua
-
Dicembre 2001: impatto
sulla sorgente Badia di Moscheta
-
Giugno 2002: una ulteriore
grave intercettazione si verifica con l’approssimarsi della progressiva 53+275:
la portata in galleria passa da 130 litri/secondo del maggio 2002 ai 207
litri/secondo di giugno, ai 345 di luglio per poi toccare il massimo assoluto
in agosto, quando arriva a toccare i 390 litri/secondo
-
Maggio 2003: la sorgente
sulfurea in località “Madonna dei Tre Fiumi” risulta esaurita
-
Maggio 2005: aggravamento
impatto fosso Fiorentino (Luco)
GALLERIA VAGLIA
-
Primavera 1997: inizio
dello scavo della finestra Carlone
-
Giugno 1997: primi impatti
sui pozzi Carlone 1 e Carlone 2
-
Marzo 1998: termine della
finestra Carlone e inizio dello scavo della galleria da imbocco nord (Casaccia
– S. Piero a Sieve) verso Firenze; inizio dello scavo della galleria da
finestra Carlone verso Firenze
-
Maggio 1998: inizio dello
scavo della galleria da finestra Carlone verso Bologna
-
Primavera-estate 1999:
impatti a carico delle sorgenti Pozza, Case Frilli e Mozzete nella zona di
Tagliaferro (Comune di San Piero a Sieve); risultano perdite totali di deflusso
a carico del torrente Cardetole
-
Agosto 2000: inizio dello scavo del cunicolo di
servizio da Sesto Fiorentino
-
Dicembre 2000: impatto sulla sorgente Ginori a Sesto
Fiorentino
-
Febbraio 2001: impatto
sulla sorgente Fontemezzina a Sesto Fiorentino
-
Febbraio 2001: alla
presenza del Presidente Ciampi viene abbattuto il diaframma che separava le due
direzioni di scavo; è così realizzato il primo tratto della galleria Vaglia,
dall’imbocco nord al Carlone
21 Ottobre 2005: è
stato abbattuto l’ultimo diaframma di roccia nella galleria di Vaglia e
pertanto lo scavo delle gallerie dell’intera tratta Firenze-Bologna è stato
ultimato.
I PRIMI DANNI
Vediamo [...] in dettaglio i primi casi di danno.
Particolare rilievo
assumono le essiccazioni delle sorgenti di Bisignano e Castelvecchio, risalenti
addirittura al maggio-giugno ’98. Sono significative perché da esse
l'Osservatorio Ambientale nazionale istituito presso il Ministero dell'Ambiente
ribadisce il dato già acquisito dal Trezzini nel 1998. Infatti nel documento
“Interferenze idrogeologiche causate dallo scavo delle gallerie: valutazioni e
prescrizioni dell'Osservatorio Ambientale”, del 2.8.'00, si riporta che “... il modello
matematico utilizzato da CAVET (2) fino all'aprile 2000 per la
previsione degli impatti, si è dimostrato non affidabile alla verifica sul
campo (il primo caso è stato quello della sorgente di Castelvecchio,
impattata nonostante fosse ben al di fuori della fascia d'influenza ipotizzata)”.
Vediamo dunque come gli imputati hanno reagito al
fallimento delle loro “non-previsioni”.
Hanno risposto nel peggiore dei modi,
ovvero con la fuga dalle loro responsabilità. Cioè con la negazione dell’evento, come fa
l’ing. Silva (3) nella nota del 27.1.’99 relativamente all’acquedotto di Castelvecchio
e Visignano [...]. Dicendo che non era vero che avevano
seccato le sorgenti. Che i monitoraggi (poi vedremo quali), a dispetto dei
residenti che dicevano di essere senz’acqua, dicevano che l’acqua c’era ancora
(e pare essere ancora una delle tesi difensive). Che le sorgenti ancora
buttavano. Comunque se c’era una diminuzione della portata era colpa della
siccità (tema anche questo ricorrente questo, da cui si dovrebbe desumere che il Mugello, dal 1998 ad oggi, è stato
interessato da una unica perdurante siccità iniziata contestualmente con i
lavori Cavet e pare destinata a non interrompersi mai più).
Quindi si nega l’evento, si negano le responsabilità,
e passa una logica - vogliamo dire
ideologica? - di andare avanti comunque: nel non fornire informazioni, nel non
procedere ad una sospensione lavori, nel non fermarsi per un ripensamento
generale.
Solo, di riserva, si
gioca la carta della transitorietà dell’impatto, come fanno l’ing.
Calcerano e Belloni nella riunione presso il Comune di Firenzuola il 16.9.98,
laddove affermano senza pudore che tra cinque anni (chissà poi perché cinque, e
non tre o sei) la sorgente avrebbe ripreso a buttare. Dal che il sindaco
Mascherini, relativamente preveggente, ma soprattutto ironico, risponde secco “Mettiamolo a verbale” [...]. Se lo ricorda anche Micheli.
Teste Micheli Luigi: Salvo in quella occasione prima, appunto, in quella occasione di Castelvecchio,
dell'essiccamento delle sorgenti, dove mi chiamò Biagi per...
Pubblico Ministero: Senta una cosa, e visto che lei era presente, non si ricorda mica se
era presente qualcuno di Tav, di Cavet, oppure...
Teste Micheli Luigi: Sì, sì, c'erano due tecnici, sicuramente. Ora non ricordo assolutamente
il nome. Mi sembra fosse un ingegnere e un geologo, qualcosa... che riproposero
un modello, così, di nuovo il modello matematico in quella sede di discussione.
Credo, credo, ma non sono sicuro purtroppo, che sarebbe stato un impatto
temporaneo. Poi non le ho più viste queste persone.
Si è visto come è andata a
finire.
Quindi CAVET
si nega anche a provvedere alle opere di mitigazione. Neppure se richiesti ed obbligati dagli eventi. Sempre nella nota citata dell’ing. Silva, da
parte di Cavet si respinge ogni accollo per il nuovo acquedotto di
Castelvecchio.
Si va dunque avanti con l’arroganza e nel farsi forti
di mettere tutti di fronte ad un fatto compiuto e poi si vedrà.
L’EVENTO
I DANNI MATERIALI
E con questa logica, con questo modo di
fare, di danni se ne fanno. Si continuano a fare.
I danni agli equilibri
idrogeologici, alle risorse ambientali e alle attività economiche dei territori
interessati dalla cantierizzazione TAV per il cosiddetto "quadruplicamento
veloce" della tratta ferroviaria Bologna-Firenze nel Mugello e nell'Alto
Mugello risultano ampiamente documentati nell'ambito delle attività di
sopralluogo, monitoraggio e controllo svolte dall'Agenzia Regionale per la
Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT), dall'Azienda Sanitaria Locale,
dall'Osservatorio Ambientale nazionale istituito presso il Ministero
dell'Ambiente sulla cantierizzazione della tratta TAV Bologna-Firenze,
dall’OAL, dalle persone offese escusse, dalle associazioni ambientaliste, dai
comitati spontanei, dalle Polizie Municipali locali, dalle consulenze tecniche
in atti e, fatto di particolare pregnanza, anche da quelle redatte dai ct
nominati dalla difesa e redatte per conto di Cavet.
Tutti danni concreti e materiali. Questi sì, però. dovuti ad una
“ideologia”.
L’ideologia
che al “progresso” si debba pagare “dazio”. Peccato sia un “dazio” che deve
essere pagato dal singolo cittadino e dalla collettività solo per la
superficialità di chi dovrebbe invece tutelare cittadini ed ambiente.
Che sia un’ideologia lo si apprezza dai colloqui tra
l’imputato dr. Guagnozzi ed il dr. Bechelli (4), responsabile TAV. Il dr.
Guagnozzi ed il dr. Bechelli nel corso delle telefonate intercettate bollavano
l’attività dei pubblici ministeri, ed in particolare la “questione delle
gallerie”, come “ideologica” [...]. Allora siccome Bechelli abbiamo avuto
la fortuna, per modo di dire, di averlo qua, io gli domando: “L’ideologia ce la spiega?”. Glissa. Il dottor Bechelli però, laureato in filosofia, di ideologie
se ne intende, tant’è vero che non si esime dall’andare all’Università a fare lezioni, raccapriccianti. Abbiamo agli
atti la trascrizione della lezione tenuta agli studenti del corso di Politica
Economica del Turismo. Uno se la sente e dice: ma in che mondo siamo!
Dichiarazioni che fanno accapponare la pelle. Affermazioni che si
caratterizzano per il basso livello di consapevolezza, di rispetto
istituzionale, di responsabilità di quello che si è, del ruolo di rilievo che
si ricopre. Il dr. Bechelli lamenta infatti che i problemi che hanno incontrato nella
realizzazione della Firenze-Bologna sono dovuti al fatto che “nessuno oggi si sacrifica per il paese”.
Affermazione quantomeno improvvida. Cioè, secoli di evoluzione degli istituti giuridici e delle forme di governo per
creare uno stato di diritto, diritti, doveri, ed il Bechelli svilisce il tutto sostenendo che nessuno è più disposto a
dire “Mi sacrifico per il paese”. Non si capisce di cosa parli. E il principio di legalità? Ovvero il principio per il quale la pubblica
amministrazione può avvalersi, sì, di poteri di supremazia, ma solo nell’ambito
del rispetto della legge, che fine ha fatto? Cioè, domani arriva la terza corsia d’autostrada e mi sfracella
il giardino, e non mi sacrifico per il Paese? Forse si ritiene ancora che nei rapporti con lo Stato il cittadino assuma
la qualifica di suddito? [...] Il signor Bechelli, ora manager TAV [...], è stato
prima consigliere amministrazione dell’ATAF (5), sindaco di un Comune. Sindaco
di un Comune. Però forse era al passo coi tempi lui, ed ha un’ideologia
moderna. E non so se lo sa, ma glielo spieghiamo, glielo raccontiamo, perché
lui applica un principio dell’economia moderna, oggetto degli studi di diritti
amministrativo. Lui applica le
cosiddette “esternalità negative”. Ce le ricordiamo, le abbiamo accennate.
Non sono idee mie: ci mancherebbe che portassi un’idea mia che fosse una in
questo processo. È un concetto giuridico-economico. Su questo sono costretto a
fare una miserrima lezioncina, ma ha cominciato Bechelli ad andare dagli
studenti. Le esternalità negative in
generale si verificano quando l’azione di un soggetto causa delle conseguenze
positive o negative nella sfera di altri soggetti, senza che a questo
corrisponda una compensazione in termini monetari, ovvero venga pagato un
prezzo definito attraverso una libera contrattazione di mercato. L’esternalità
è quindi l’effetto di una transazione fra due parti, questo ci interessa, che
ricade verso una terza persona (soggetto esterno), che però non ha avuto alcun
ruolo decisionale nella trattazione stessa, cioè la subisce. Esempio classico
di esternalità negativa, proprio di scuola, sono le condotte di chi inquina.
Ed infatti gli
economisti ed i giuristi hanno da tempo individuato come per una corretta ed
equa allocazione delle risorse economiche sia fondamentale per lo Stato
l’esigenza di correggere gli effetti esterni, non solo per considerazioni di
“equità” (del tipo “non è giusto che chi inquina non sopporti un costo per
i danni provocati”, il che richiede solo un’etica, una morale che lo Stato deve
perseguire, ma che a noi non interessa), ma
anche e proprio per salvaguardare l’efficienza economica. In altre parole,
l’esigenza, il fondamento giustificativo di un intervento pubblico correttivo
nei vari settori del mercato, a correzione di eventuali distorsioni nel mercato
stesso, deriva da considerazioni di efficienza economica. Questa è la
definizione del concetto di esternalità negative. [...] Chi vuole
l’efficienza economica, chi vuole stare nel mercato, deve annientare le
esternalità negative, non può aspettarsi che altri portino il sacrificio,
supportino i costi per un’attività di cui lui è responsabile.
Quindi, non si sa di che cosa si parla. E questo, non
perché il Pubblico Ministero si sveglia ed è nervoso, ma perché c’è un
intervento pubblico correttivo nei vari settori del mercato a correzione di
eventuali distorsioni per considerazioni di efficienza economica.
Ed allora ci ricorderemo che abbiamo detto di uno
Stato moderno. Se uno Stato moderno deve
essere efficiente, efficace, ma rispettoso anche dei diritti dei cittadini,
quindi democratico e trasparente, è compito dello Stato e di ognuno di noi
eliminare queste esternalità per conseguire una migliore allocazione.
Quindi, andiamo un pochino sul brutale. Quindi, il
vetero-ambientalismo non c’entra niente.
Questo per dire che stiamo
parlando di teorie economiche e di diritto attuali.
Ed è successo questo nel nostro caso? No. È successo proprio l’opposto.
E’ una logica vecchia. Questa opera è stata approvata con una logica vecchia: si fa quello che
si deve fare e poi i costi cadranno su chi, su chissà quando, chissà per
quanto, non ci interessano: andiamo avanti ed a diritto comunque. Ed
infatti il dottor Bechelli cerca di
creare un alibi ideologico al perché sia giusto scaricare sui cittadini gli
effetti negativi delle scelte fatte da altri predeterminati soggetti, tipo
Cavet, Tav, Regione, Ministero, senza che questi debbano assumersene la
responsabilità e subirne le dovute e necessarie conseguenze. E’ quello
del “sacrificarsi per il Paese”. Alibi scarso, in verità. E comunque la dice
lunga sul rispetto che si è riservato e si è inteso riconoscere ai diritti dei
cittadini, visto che li si accusa di non volersi “sacrificare per il paese”.
Insomma, per il Bechelli io direi che le
persone offese, le parti civili oggi, insomma, non sono patrioti, sono
disfattisti. Sono qua perché sono disfattisti. Perché se si sacrificassero per
il Paese, stavano a casa loro tenendosi ciò che era successo.
(1) L’arch. Gianni Biagi è stato, dal
1994 al 1999, dirigente presso il Dipartimento Trasporti della Regione Toscana,
e ha firmato in qualità di responsabile del Servizio Infrastrutture della Regione
Toscana la deliberazione di approvazione del progetto esecutivo TAV
Firenze-Bologna (Deliberazione N. 03884 del 24/07/1995). Fino al 2000 è stato
anche rappresentante della Regione Toscana nell’Osservatorio Ambientale
Nazionale sulla tratta TAV Bologna-Firenze. Dal 1 luglio del ’99 è assessore
all’Urbanistica (DS) del Comune di Firenze.
(2) CAVET è
acronimo di “Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana”, e raggruppa Impregilo
S.p.A., CMC-Cooperativa Muratori e Cementisti, FIAT Engineering S.p.A.,
CRPL-Consorzio Ravennate di Produzione e Lavoro.
(3) L’ing. Carlo
Silva è stato Direttore Generale del Consorzio CAVET dal ’98 fino al 28/9/2001,
e successivamente consigliere delegato
del Consorzio CAVET.
(4) Il dr. Gianni
Bechelli, dirigente d’azienda, responsabile della TAV SpA di Firenze, è stato
sindaco PCI-PDS del Comune di Scandicci (FI) dal 1990 al 1995.
(5) ATAF è oggi
acronimo di “Azienda Trasporti dell'Area Fiorentina”,
società per azioni dall'inizio del 2001, che gestisce il trasporto pubblico
locale a Firenze ed in parte della sua provincia.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 5]
“RICORDO BENE CHE ERA UN GIORNO FESTIVO PERCHÉ NON
VADO MAI MA ERO ANDATO A MANGIARE UNA PIZZA INSIEME AI PARENTI, MI TELEFONA MIO
FRATELLO ALLE DIECI DI SERA, UN GIORNO FESTIVO, DICENDOMI DI STARE ATTENTO A
TORNARE A CASA PERCHÉ SI ERANO VERIFICATE DELLE PERDITE D’ACQUA DOVE SI
COSTRUIVA LA GALLERIA E ESSENDO LA SERA TARDI, NON SAPENDO ESATTAMENTE DOVE
FOSSE RIPORTATO SOPRA IL FRONTE DI SCAVO, CI AVEVANO AVVISATO DI FARE
ATTENZIONE PERCHÉ POTEVA MANIFESTARSI QUALCOSA IN SUPERFICIE”...
Siamo partiti da che cosa è stato approvato. La
verità è che una volta decisa la compatibilità economica-politica della tratta
Firenze-Bologna, il livello di attenzione ai diritti propri di ciascun privato
ed a quelli della intera collettività sotto il profilo ambientale è stato men
che basso, diremmo quasi inesistente. Si è fatta una riga su una mappa e si
è andati a diritto, con poco rispetto per chi e per quel che c’era prima.
Ovviamente noi qui ci occupiamo solo di ciò che è reato e nel nostro caso
quindi dei danni al tessuto idrogeologico.
La risorsa
acqua è stata poco o niente considerata. Nei
documenti di approvazione in sede di conferenza dei servizi del 1995 si è
esplicitamente richiamata solo necessità di salvaguardare gli
approvvigionamenti idrici degli acquedotti pubblici. Si è considerata quindi la
risorsa acqua solo come “bene economico”. Vedremo poi che non si è riusciti a
salvaguardare neppure questo, ma così è. Di tutto il resto, pare questa la
filosofia di fondo, in astratto si poteva fare “tabula rasa”.
Dopo oltre tre anni indagini e tre anni di
dibattimento non si è ancora capito se CAVET ritenga di essere stata
autorizzata in conferenza dei servizi a desertificare il Mugello per
un’ampiezza di quattro chilometri a cavallo del tracciato della linea
ferroviaria, ovvero due chilometri per
parte, e quindi se nel Mugello devono considerarsi fortunati se è successo solo
quello che è successo, perché poteva andare anche peggio.
Perché nel momento in cui non elenchi,
non indichi, non dici nulla, fai una fascia di possibile impatto e te, con quel
foglio, pensi di essere stato autorizzato, noi potevamo prendere una riga di 73
chilometri e moltiplicarla per 4 e ci potevi mettere le palme: eravamo a posto.
[...] Quale fosse il generale livello di attenzione, di sensibilità, di
responsabilità degli esecutori dell’opera, lo si ravvisa nel ridicolo depliant
tratto dal sito internet della TAV ancora in rete sino al 2004. È quello che
indica, tra i miglioramenti ambientali da realizzarsi a corredo delle opere di
Alta Velocità, 5 casi specifici tra cui Moscheta, Camaggiore e Moraduccio. A
Moscheta, dove hanno seccato la sorgente, gli interventi previsti sono due
parcheggi, un sentiero ed un ponticello, servizi igienici ed altri ammennicoli.
Per Moraduccio e Camaggiore è prevista in entrambi i casi l’attivazione di un
“punto ristoro”.
Facciamo vedere questo documento a Bechelli, per cui
gli domandiamo, visto che nessuno si sacrifica per il Paese: che è questa roba?
Dice: “No, è un documento quanto meno datato”. Ineffabile!
Ed eccoci allora all’elenco dei danni.
Partiamo da questi perché,
sennò, non ci sarebbe stato il processo.
Abbiamo detto: diritto penale. Soggetti, condotte,
evento, elemento soggettivo. In verità
il danno è uno, a formazione
progressiva ed ancora in atto. Ora abbiamo l’imputazione che è fino al
2006, ma è in atto: perché è uno solo, perché è il danno alla circolazione idrica superficiale e profonda del Mugello. Tutti quei numeri, tutti quei punti, quelle singole sorgenti,
quei singoli fiumi, quei singoli pozzi, quei singoli punti acqua, ogni singolo evento indicato nei capi di
imputazione, di fatto non sono altro che un dato sintomatologico. Ma il
danno è uno, è comprensivo, è il dissesto complessivamente unitario, dove ogni punto poi ha una sua storia, ma è un
sintomo di ciò che sta accadendo. Di
fatto l’evento-danno è unico, non ancora giunto ad un nuovo grado di equilibrio
e quindi ancora in atto e purtroppo destinato ad aggravarsi. [...] Avremmo potuto parcellizzare,
atomizzare questo processo, ma non avrebbe avuto senso. Basti ricordare che il Carza si è definitivamente seccato – ed è in atto
- nell’agosto 2007.
Tutt’al più, se vogliamo,
possiamo a sua volta suddividere il danno in quattro parti facendo riferimento
ai quattro bacini idrografici interessati ovvero:
1)
il bacino
del Santerno (sul versante adriatico) di cui fanno parte:
a)
Torrente Diaterna con i suoi affluenti (Diaterna di
Castelvecchio, Diaterna di Caburaccia e Diaterna di Valica);
b)
Torrente Rovigo (con il Veccione ed affluenti
minori);
c)
Fiume Santerno (con i suoi affluenti Violla e Rio
Frena);
2) il bacino
della sinistra della Sieve (sul versante
tirrenico) di cui fanno parte:
a) Torrente Levisone di Molinuccio;
b) Torrente Bagnone con i suoi affluenti (Fosso del Mandrio, Bagnoncino, e
Fiorentino);
c) Torrente Bosso (con il Fosso Cannaticce, Fosso Rampolli e Fosso
Risolaia);
d) Torrente Le Cale;
e)
Torrente Ensa (con il
Farfereta);
3)
il bacino della destra della Sieve (sul versante tirrenico) di cui
fanno parte:
a)
Torrente Carza con i suoi
affluenti (Torrente Carlone, Torrente Carzola e Fosso Cerretana);
b) Fosso di Cardetole ;
4)
il bacino dell’Arno (sul versante tirrenico) di cui
fanno parte:
a)
Torrente Zambra;
b)
Torrente Rimaggio;
c) Torrente Terzolle.
Scelga il Giudice.
Però, dico, poco cambia. In questo caso ogni danno sarà
il danno alla circolazione idrica superficiale e profonda limitata a quel
bacino; ma, anche in questo caso, ogni singolo evento indicato nei capi di
imputazione sarà solo una parte di un dissesto più ampio e che va al di là del
singolo fatto. Dico questo intanto
perché è vero, e poi per la sua valenza in termini di prescrizione. Sarebbe
errato giuridicamente, e non corrispondente a quanto emerso nel dibattimento
circa la causazione dell’evento di cui stiamo parlando, se volessimo valutare
ogni singolo fatto come una monade a sé stante.
Dimostreremo poi, via via,
come in effetti i danni e le condotte che li causano siano di fatto ancora in
atto e mai cessate dall’inizio della realizzazione di quest’opera.
Parleremo più in dettaglio solo dei principali impatti,
anche se ogni punto acqua meriterebbe un
capitolo perché racconta sempre una sua storia propria ed umana, e ciò proprio
perché l’acqua è un bene prezioso e, soprattutto vitale nel senso termine più
proprio della parola. Vitale perché permette, alimenta e sviluppa la vita
intorno a sé. Per cui ogni punto veramente meriterebbe una storia, perché abbiamo sentito ogni testimone che aveva
una storia personale, familiare. Ma qui dobbiamo andare un po’ per sintesi.
Ed il dato di sintesi, comunque, è
impressionante.
Secondo i consulenti del Pubblico
Ministero sono stati impattati direttamente dai lavori significative aste
fluviali con assenza di afflusso nel periodo arido per uno sviluppo di 57,65
chilometri. Tradotto, 57 chilometri di fiumi che d’estate non ci
sono. E, voglio dire, che non siano chiacchiere basta vedere quelle fotografie
dove c’è l’erba al posto dell’acqua. Sono in atti. Altri 24,35 chilometri di corsi d’acqua presentano un minor afflusso di
acque come conseguenza di un impatto indiretto. A questi si devono
aggiungere sorgenti impattate in numero non inferiore a 67, a cui si
aggiungono 37 pozzi e 5 acquedotti
privati.
Questi sono i danni. E verifichiamo i più
significativi, sempre con quell’ottica che dicevamo prima della cronologia, che
segue l’andamento dei lavori, perché ha una doppia valenza: da una parte perché
prova l’evento, dall’altra perché ci dà prova della consapevolezza che si è
acquisita di volta in volta in relazione ai singoli fatti.
1) ACQUEDOTTO PRIVATO DI CASTELVECCHIO E VISIGNANO;
FOSSO CASTELVECCHIO (LUGLIO 1998) (GALLERIA RATICOSA); SORGENTI CASTELVECCHIO,
ESTATE 1998, LE SPUGNE LOC. FOSSA CATERINA.
Abbiamo già detto della significatività
dell’essiccazione dell’acquedotto di Castelvecchio. L’area è interessata dalle
opere del Cantiere T17 relativamente alla galleria Raticosa. Su tali fatti
testimoniano il Sindaco Mascherini (1), il geom. Micheli, il dr. Trezzini, A. B. e
C. D., E. F., G. I., L. M., N. O., P. Q., R. S. e T. U.. Nello stesso periodo in cui si è seccata la
sorgente si sono seccati anche il fosso di Castelvecchio, la sorgente “Le
Spugne” in località Fosso Catilina, la sorgente denominata "Fonte del
Rullo" posta sul versante opposto al Fosso Catilina sul monte denominato
"Monte la Fine", e la sorgente denominata "Valtrosa", ed
altra denominata “Valparpano”.
Allo stato, grazie a CAVET, al posto dell’acquedotto
privato e delle sorgenti, c’è un acquedotto gestito all'AMI (2) di Imola, con buona pace di chi - da tempo immemore - aveva acqua
buona e quasi gratis.
Abbiamo già detto
dell’importanza di questo impatto. In verità c’era già stato un impatto serio a
Ca’ di Sotto, ma sicuramente quello di Castelvecchio è il primo serio e vero
campanello d’allarme. E l’impatto che, anche a voler tutto concedere
alla buona fede degli esecutori, dimostrava sin da subito l’inaffidabilità dei
progetti, degli studi e delle previsioni.
Teste Micheli Luigi - Cioè, nel senso se, appunto, se quello che stava
avvenendo, con i lavori in corso, metteva in evidenza come lo studio d'impatto
ambientale all'epoca non aveva previsto questi impatti che poi si sono
avverati.
È l’impatto che in ogni caso dimostra come da quel
momento non ci potesse più essere la buona fede, visto che non era mai stato esplicitato come possibile e, una volta che
comunque si era manifestato, CAVET, a seconda delle evenienze, lo ha negato,
minimizzato, quando poi non ha addirittura deciso di contrattaccare con
arroganza. In ogni caso sempre si è fuggiti dalla
proprie responsabilità.
[...] Questo
impatto [...] coinvolge
proprio una delle specifiche caratteristiche, quella indicazione della
Conferenza dei Servizi: acque di interesse acquedottistico, acque potabili. Quindi
qui non c’è discorsi, spetta nella competenza di CAVET. Era una cosa da
evitare, non era il pozzo di uno messo in cima [...]. E’ un acquedotto. Quindi siamo
proprio nella previsione. Per questo si muovono tutti: Biagi, Trezzini... Ed il
teste Micheli, poveraccio, si trova di fronte ad una cosa che (...) metteva in
evidenza come lo studio, l’impatto ambientale all’epoca non aveva previsto
questi impatti che poi si sono avverati. E quindi il primo impatto da cui proprio il fallimento delle previsioni era
conclamato.
L’impatto a Castelvecchio
lo documenta ARPAT (3). Sulla base delle ispezioni
condotte dall'ARPAT nel primo semestre del '98, è risultato come i maggiori
impatti ambientali sulle acque sotterranee del Mugello connessi all’AV "si
sono avuti nel Comune di Firenzuola in prossimità della finestra Rovigo con
abbassamento di falda di 13 metri rispetto all'ante-operam e scomparsa di
alcune piccole sorgenti”. Sempre nel Comune di Firenzuola, presso la finestra
di Castelvecchio, sono state registrate dall'ARPAT venute d'acqua con portate
fino a 25 litri al secondo "correlabili al marcato abbassamento della
falda (50 metri rispetto all'ante operam - piezometro di controllo) e ad
una significativa diminuzione della portata di una sorgente di controllo".
Già nel ‘98 ARPAT e Comune
di Firenzuola attestano dunque l’emergenza ambientale nell'area di
Castelvecchio, con l’essiccazione di una sorgente privata che alimentava gli
abbeveraggi del bestiame al pascolo e, soprattutto, il totale prosciugamento
anche della sorgente (da lt. 44/minuto) che alimentava l'acquedotto comunale di
Visignano e l'acquedotto privato di Castelvecchio, località che da quel momento si è dovuta
rifornire con autobotti non senza difficoltà.
L'ARPAT infine costatava
che in alcuni casi la portata delle acque di aggottamento risulta superiore a
quanto ipotizzato nello Studio di Impatto Ambientale. E ravvisava la necessità
che venisse effettuato un aggiornamento dello studio specifico relativo alle
interferenze delle gallerie sulla risorsa idrica sotterranea.
E’ stato fatto qualcosa? No. E siamo nel ’98.
2) S. GIORGIO
Continuiamo, cambiamo zona. Passiamo dunque a S. Giorgio.
La gente comincia a preoccuparsi. Si attivano
il Comune di Scarperia, Rodolfi (4), l’OAL. Comincia tutto uno scambio di
corrispondenza. Ci sono segnalazioni. Insomma, mandano alla fine Rodolfi (4)a controllare [...]. Dalla "Relazione geologico-ambientale
sul movimento franoso verificatosi in data 27.04.'98 in località Pianacci -
San Giorgio nel Comune di Scarperia", a firma del prof. Giuliano
Rodolfi, si desume che con una lettera del 28.4.’98, il Sindaco del Comune di
Scarperia aveva segnalato all’OAL la “presenza di una frana in atto di notevoli
proporzioni nel territorio di questo Comune in corrispondenza della finestra
denominata S. Giorgio che presuntivamente può essere stata causata dalla
perforazione della finestra stessa”.
Facendo seguito a tale segnalazione, il prof. Rodolfi effettuava in data
29.4.'98 un sopralluogo preliminare nella località denominata Pianacci -San
Giorgio al fine di "verificare le cause dello smottamento che potrebbe
anche interessare l'alveo del Torrente Bagnone". Il giorno stesso, il prof. Rodolfi "denunciava al Sindaco lo
stato di pericolosità del fenomeno e richiedeva nel contempo che gli fosse
messa a disposizione tutta la documentazione progettuale della
"finestra". Un secondo sopralluogo, finalizzato ad un rilevamento di
dettaglio della situazione, fu effettuato in data 2.05.98. La documentazione
richiesta, completa di planimetrie, sezioni e dati stratigrafici e geotecnici,
si rese disponibile" soltanto "ai
primi di Giugno e fu oggetto di un esame collegiale del Comitato
Tecnico-Scientifico (CTS) dell'OAL nella seduta del 9.6.98. Nel frattempo era
pervenuta all'OAL la relazione sulla stessa frana (prot. 10526 II HA1) redatta
dal Dott. Geol. Stefano Mirri dell'Ufficio del Genio Civile di Firenze. Il CTS
ne prese atto e sospese ogni iniziativa in merito, nell'attesa di essere
autorizzato dal Sindaco di Scarperia a superare il parere espresso da tale
Ufficio, istituzionalmente competente in materia".
Una
ulteriore richiesta del Sindaco all'OAL (lettera raccomandata del 23.07.98,
prot. 9361) autorizzava definitivamente il dott. Rodolfi nella sua qualità di
geologo e di Presidente del CTS a formulare le considerazioni che seguono e che
si basavano sulla documentazione messa a disposizione da CAVET e al rilevamento
topografico appositamente eseguito dalla struttura tecnica di supporto
dell'OAL. Secondo il prof. Rodolfi, “il
movimento franoso ha interessato un breve tratto dell’orlo della scarpata,
allungata in direzione Nord-Sud, che sovrasta il corso del Torrente Bagnone
all’altezza dell’abitato di San Giorgio (…) Nel corso del sopralluogo è stato
intervistato il pensionato che curava più o meno giornalmente l’orticello sul
ripiano sul quale si è depositato il corpo di frana. A suo dire, da tempo si
avvertivano vibrazioni del suolo (…) Si ritiene che la principale causa che ha
innescato l’evento franoso risieda nelle sollecitazioni trasmesse a terreni in
già precario stato di stabilità, in un primo momento dalle operazioni di scavo
della galleria e, poi, dal continuo transito in essa di macchine operatrici o
di automezzi pesanti”.
Perché tutta questa
attività su S. Giorgio?
Perché il Sindaco e l'OAL
si erano attivati sulla base dell'apprensione manifestata da alcuni di
agricoltori della zona, dopo le perforazioni eseguite dal CAVET. Si temeva
che lo scavo della galleria potesse causare dissesti suscettibili di
danneggiare gli immobili, e che con i drenaggi dell'acqua nel sottosuolo i
terreni potessero perdere la fertilità dovuta alla presenza dell'acqua anche
durante l'estate. Timore confermato dopo un sopralluogo svolto il 28.9.'98
in Località Campagna, all’esito del quale si evidenziava che l’escavazione per
il tracciato AV potesse drenare “l’acqua da una grossa sacca dove si trova mista a
sabbia, sacca trovata durante le perforazioni effettuate per conto della CAVET”, e che essa potesse “causare dissesti
geologici che danneggino gli immobili”.
A S. Giorgio eravamo – perché non lo siamo più - in presenza di terreni dotati di una
particolare fertilità, “dovuta
alla presenza del livello della falda d’acqua a poca profondità, condizione che
aggiunta alla presenza di un terreno con un’importante percentuale di sabbia
nella sua struttura permette di coltivare il mais durante il periodo estivo
senza ricorrere a nessun tipo d’irrigazione di soccorso”. Qui, nonostante lo stato di calamità e siccità riconosciuta dalla
Regione Toscana per la carenza di pioggia durante il 1998, il mais era
rigoglioso e non manifestava di aver subito nessuna crisi idrica. Ci si
riferisce, tanto per chiarirsi, al mais del sig. A. C..
Credo che tutti si
ricordino la testimonianza del sig. A. C., particolarmente toccante. Nella
nostra ignoranza ed insensibilità dovuta al fatto di fare un lavoro diverso da
quello dell’agricoltore, noi pubblici ministeri mai avremmo potuto immaginare
un amore tale per la terra, per ogni singola zolla.
Teste A. C. - All’inizio del ’99, in
particolare intorno ad aprile ’99, noi siamo stati avvisati… ricordo bene che
era un giorno festivo perché non vado mai ma ero andato a mangiare una pizza
insieme ai parenti, mi telefona mio fratello alle dieci di sera, un giorno
festivo, dicendomi di stare attento a tornare a casa perché si erano verificate
delle perdite d’acqua dove si costruiva la galleria e essendo la sera tardi,
non sapendo esattamente dove fosse riportato sopra il fronte di scavo, ci
avevano avvisato di fare attenzione perché poteva manifestarsi qualcosa in
superficie.
Cioè, vorrei
che ognuno facesse - sennò diventa una litania, diventa veramente una noia -
vorrei che ognuno facesse un esercizio di stile, provasse a pensare se fosse
successo a lui. Quello sta lì, non so da quanti anni, poi vedremo. A. C. è quello
che si va riprendere i primi dieci centimetri della terra, del suo terreno,
perché gli voleva tanto bene. Quello sta lì, ti telefonano: “Forse succede
qualcosa. Stai a mangiare una pizza? Stai attento quando torni a casa, potresti
cadere in una buca”. Non si sa dove, potrebbe succedere qualcosa. È tutto più o
meno così. Abbiamo sentito cento testimoni: il livello di informazioni, il
livello di attenzione è questo, non è che è un caso eccezionale. Anzi. Ed ormai
la gente è abituata a tutto, sostanzialmente quasi sempre se la tiene, è
rassegnata. Dice: “Stai attento”.
Teste A. C. - La mattina dopo
prontamente subito arrivarono dei tecnici, individuarono dov’era il fronte di
scavo, ma successivamente, circa sette giorni dopo, si verificò anche il crollo
del terreno, però molto più avanti della strada da dove magari pensavano di
essere.
Pubblico Ministero - E’ vostro il terreno?
Teste A. C. - Sì.
Pubblico Ministero - Il vostro terreno è quello
coltivato a mais?
Teste A. C. - Quello coltivato a mais.
Pubblico Ministero - Ecco, mi dice che cosa è
successo a questo terreno coltivato a mais?
Teste A. C. - Io non sono sufficientemente edotto a dire che cosa
è successo sotto il terreno…
Pubblico Ministero - No, cosa ha visto.
Giudice -
Sopra, ci dica sopra, che si vedeva.
Teste A. C. - Sopra il terreno praticamente si è
verificato, la prima volta mi pare agli inizi di maggio del ’99, un piccolo
buco, cedimento di un terreno, che man mano si è allargato e poi immediatamente
c’è stato l’intervento da parte della Cavet che ha provveduto a mettere in
sicurezza; poi è passato un po’ di tempo perché hanno dovuto… non so che cosa
sia successo però è stato recintato tutta un’area che più o meno aveva una
superficie inizialmente di circa tre ettari e su questa area hanno costruito
dei pozzi artesiani per prosciugare il terreno perché dicevano che altrimenti
non potevano costruire la galleria.
Pubblico Ministero - Ecco, ma questo terreno è
calato?
Teste A. C. - Sì, è calato, cioè si è
sgonfiato praticamente, ha cambiato la conformazione, le pendenze che c’erano
inizialmente.
Pubblico Ministero - Ce lo spieghi. Prima che cos’era, era pari?
Teste A. C. - No, una zona che comunque era sull’asse galleria si
è creato come una buca.
Pubblico Ministero - Profonda quanto?
Teste A. C. - Allora, anche qui bisogna
differenziare fra quelli che sono stati degli assestamenti e quindi degli
avvallamenti che potevano essere di circa da un metro a due metri in quella
zona dove s’era verificata la prima rottura del terreno…
Pubblico Ministero - Il buco.
Teste A. C. - … il primo buco e subito
chiuso; mentre nel secondo caso, quando è venuto il buco che io ho visto era un
buco più profondo che è stato richiuso immediatamente e quello sarà stato circa
una decina di metri profondo; e così anche nel terzo caso.
Pubblico Ministero - Voi lo usate questo
terreno ora?
Teste A. C. - Attualmente sì,
c’abbiamo già rilavorato su questi terreni, sono stati rimessi a posto.
Pubblico Ministero - ‘Rimessi a posto’ in che senso?
Teste A. C. - È stato chiuso i pozzi, ne sono stati lasciati
solo due perché uno ancora alimenta la sorgente se no altrimenti attualmente
non è stata fatta una soluzione diversa, è stato ripristinato i campi in piano
e poi dopo è stato rimesso il terreno e poi abbiamo rilavorato.
Pubblico Ministero - Questi lavori tutti chi
li ha fatti?
Teste A. C. - La Cavet ha fatto sempre
il ripristino di tutte le cose che erano di loro competenza, io ho rimesso solo
l’ultima parte della terra perché avevo piacere di togliere quella che era la
mia su cui avevo sempre lavorato quindi me la sono voluta togliere da solo e
rimettere a posto da solo, l’ultima parte superficiale, perché mi premeva in
quanto era terra buona e non volevo che venisse mescolata a un’altra.
Pubblico Ministero - Senta, di queste cose lei
è stato avvisato nell’immediatezza di quando sono avvenuti i fatti, non è che
quando si parlava dei lavori dell’Alta Velocità lei ha avuto qualche ordinanza,
qualche provvedimento dell’amministrazione, qualcuno che le ha detto ‘guardi,
succederà questo’.
Teste A. C. - Allora, io su questo
devo dire che l’anno precedente siccome mi sono informato su quali erano le
strutture a cui ci dovevamo rivolgere mi sono rivolto all’Osservatorio
Ambientale Locale un anno prima insieme alla signora D. preoccupati visto il
passaggio di questo progetto abbastanza grosso della costruzione dell’Alta
Velocità… preoccupati per le strutture, gli immobili, credendo che potevano
subire dei danni. Quindi siamo andati all’Osservatorio Ambientale Locale, abbiamo
chiesto un sopralluogo, è venuto il tecnico dell’Osservatorio Ambientale e ha
ritenuto necessario fare dei testimoniali di stato e c’ha fatto la richiesta
per avere i testimoniali di stato che sono stati immediatamente fatti… questo
era luglio, credo che nel settembre ‘99 furono fatti i testimoniali di stato.
Nei testimoniali di stato fra le osservazioni avevo indicato la preoccupazione
per la fertilità dei terreni, perché se per le strutture immobili si potevano
fare i testimoniali di stato, Cavet non prevedeva niente per quella che era la
fertilità dei terreni; io comunque nei testimoniali di stato feci verbalizzare
questa mia richiesta di un geologo che verificasse anche queste cose qua.
Successivamente feci anche, sempre all’Osservatorio Ambientale, una richiesta
preoccupato per la fertilità dei terreni in quanto era emerso da un sondaggio
che sembrava che ci fosse qualche problema… parlavano che ci sarebbero state
delle difficoltà perché c’era una sacca di acqua… questo avevo sentito dire.
Pubblico Ministero - Sotto il suo terreno.
Teste A. C. - Più a monte però, vicino
al bosco, questo fu individuato vicino al bosco, però ovviamente non distante
né dalle strutture né tanto meno dai terreni che erano lavorabili, e comunque
sia nella zona della sorgente; per esperienza io sapevo che comunque questi
terreni son freschi perché questa era un’esperienza indotta in quanto sono anni
che io lavoravo su questi terreni quindi avevo fatto un sacco di drenaggi dove
c’era molta acqua ma soprattutto, a volte, anche facendo arature con poco si
trovava l’acqua.
Pubblico Ministero - Ecco, questa cosa era
buona per il mais?
Teste A. C. - Certamente, infatti io
quello che ho sempre detto è che la mia azienda riusciva in questi terreni a
fare dei raccolti come irrigui, tant’è che io anche nel ‘99 feci fare anche una
perizia da un tecnico sulla mia produzione rispetto alla produzione di un’altra
zona.
Pubblico Ministero - E’ esatto dire che lei
non c’aveva bisogno neanche di annaffiare?
Teste A. C. - Esatto, esatto, non solo la mia azienda ma anche
quelle degli altri agricoltori che erano lì in quella valletta.
Pubblico Ministero - Per questo lei dice ‘io ci tenevo a questa terra’…
Teste A. C. - Esatto, esatto.
Pubblico Ministero - … cioè tutto il discorso sulla qualità e quant’altro perché il mais
che assorbe molta acqua in quel caso a lei praticamente gli veniva quasi
naturale perché c’era già l’acqua.
Teste A. C. - Certo, certo, io non avevo bisogno di fare
l’irrigazione, anche se là da noi la portata del fiume più vicino - che era il
Bagnone - non era sufficiente per fare l’irrigazione, comunque sia non avevo
necessità di fare irrigazione.
Pubblico Ministero - Quindi addirittura un allacciamento col fiume Bagnone non sarebbe
bastato per ottenere gli stessi risultati.
Teste A. C. - No, non si poteva ottenere lo stesso risultato.
Pubblico Ministero - E ad oggi?
Teste A. C. - Dunque, ad oggi la mia azienda irriga, cioè ha
avuto una licenza di attingimento temporaneo d’irrigazione in quanto la Cavet
ha immesso acqua nel Bagnone e quindi c’era sufficiente acqua per chiedere un
permesso di irrigazione; essendo stata impattata in modo abbastanza importante
quindi io ho dovuto effettuare l’irrigazione, quindi oggi se voglio ottenere lo
stesso prodotto devo fare l’irrigazione.
Pubblico Ministero - Paga per quest’acqua?
Teste A. C. - Il canone annuo.
Pubblico Ministero - Quindi lo paga.
Teste A. C. - Sì sì.
Pubblico Ministero - Quindi lei per ottenere lo stesso risultato paga un canone che è questo
dell’allaccio al Bagnone e poi deve annaffiare.
Teste A. C. - Devo annaffiare altrimenti non ottengo lo stesso
risultato.
Pubblico Ministero - Mentre prima questa cosa andava di suo. E in più c’ha questo
avvallamento, se ho capito bene, il terreno è più basso di prima?
Teste A. C. - Fuori anche dalle zone interessate, perché anche
dove ha attraversato tutta la galleria si notano un po’ di assestamento io
direi, non eccessivamente però…
Pubblico Ministero - Ma non capita più di ritrovare quest’acqua affiorante?
Teste A. C. - No, situazione come prima… ora non lo so, è poco
tempo che rilavoro, può darsi che ancora sia passato poco tempo dalla
costruzione della galleria e quindi fra qualche anno… io non lo so se fra
qualche anno ritornerà a no lo stesso.
(...)
Pubblico Ministero - Lei ha sempre
detto che comunque è stato avvisato da Cavet, Cavet è venuta, Cavet ha fatto…
quindi è stato lei ha interpellarli o sono anche venuti di suo? O lei si è
limitato ai rapporti con l’OAL?
Teste A. C. - No, il Cavet è stato costretto a intervenire
d’urgenza sui nostri terreni quindi è venuto Cavet a cercarci chiedendoci il
consenso di entrare sui terreni per rimettere in sicurezza la galleria perché
c’era un problema di sicurezza della galleria.
Pubblico Ministero - Quindi dal problema di galleria è arrivato che è venuto lui da voi
insomma, è venuto Cavet da voi.
Teste A. C. - No, dipende in che situazioni, per esempio c’è
stata una situazione prima ancora che si verificassero questi fatti che siccome
noi sentivamo delle vibrazioni in certi momenti, soprattutto la notte e poi
anche in altri momenti, capitò che una volta di domenica mattina… che se non
ricordo male doveva essere il 18 aprile ‘99… capitò che queste vibrazioni erano
talmente forti lì vicino alla stalla, e s’erano verificate anche delle crepe
alla stalla nei giorni precedenti, si sentiva talmente forte vibrare che a quel
punto io chiamai anche la signora D., c’era la mamma, venne e sentì anche lei,
e insieme decidemmo di chiamare l’Osservatorio Ambientale per far sentire anche
a qualcun altro… cioè non era noi che ci si sognava, perché a volte l’avevo
anche detto in altre occasioni ma sembrava fossi io perché gli altri non le
sentivano… quindi si chiamò l’Osservatorio Ambientale il quale si accertò di
queste vibrazioni e ci invitò a contattare immediatamente il cantiere CAVET che
di domenica venne il responsabile che era di turno e anche lui verificò queste
vibrazioni e quindi ci volle portare a vedere che cos’era che causa questa
vibrazioni, perché loro stavano lavorando in galleria e quindi ci fece vedere…
Dunque A. C. è
quell’agricoltore cui sprofonda il terreno. Quel terreno che il vicino dice
sembrava essere diventato una piscina vuota.
E cosa fa A. C. dopo che
gli si sprofonda il terreno? Si mette lì e raschia il primo strato di terra per
riportarla su un altro terreno perché “era terra tanto buona”.
Teste A. C. - La CAVET ha fatto sempre il ripristino di tutte le cose che erano di
loro competenza, io ho rimesso solo l’ultima parte della terra perché avevo
piacere di togliere quella che era la mia su cui avevo sempre lavorato quindi
me la sono voluta togliere da solo e rimettere a posto da solo, l’ultima parte
superficiale, perché mi premeva in quanto era terra buona e non volevo che venisse
mescolata a un’altra.
Ecco cosa temevano gli agricoltori. Conoscendo le
loro ottime terre temevano di perderle. E purtroppo non sbagliavano.
Torniamo un passo indietro.
Il 6.10.'98 l'Osservatorio Ambientale Locale (O.A.L.) del Mugello
segnalava al sindaco di Borgo San Lorenzo "la presenza di una grossa sacca composta
da sabbia e acqua" sulla traiettoria
della galleria A.V., aggiungendo che "tutta l'area ai piedi della
collina è storicamente ricchissima di acqua". Il tecnico dell'OAL terminava la propria segnalazione al sindaco di
Borgo San Lorenzo con questa frase: "Ritengo che la situazione, per
le implicazioni che potrebbero manifestarsi in caso di una eventuale modifica
della "sacca di acqua e sabbia", debba essere valutata urgentemente,
responsabilmente e seriamente, dal punto di vista geologico".
Il 20.10.'98 il sindaco di Borgo San Lorenzo, Antonio Margheri,
rispondeva chiedendo al presidente dell'OAL, prof. Giuliano Rodolfi, un
approfondimento della problematica evidenziata. All'OAL il sindaco chiedeva
inoltre "di
coinvolgere anche l'ARPAT e il CONSIAG, qualora si ritenga, come sembra, che il
fenomeno abbia implicazioni anche sulla risorsa idrica".
Il 6.11.'98 il prof.
Rodolfi, dopo il sopralluogo, rispondeva al sindaco Margheri, e per conoscenza
al presidente della Comunità Montana del Mugello Giuseppe Notaro: “In mancanza di dati sulla
distribuzione in superficie e in profondità della granulometria dei depositi
suddetti, non risulta possibile ricostruire, nemmeno approssimativamente, né la
struttura della falda né le sue relazioni con il corso del Torrente Bagnone.
Altrettanto arduo è stabilire se il tracciato della galleria interesserà, nel
suo tratto che corrisponde in superficie all’attraversamento della piana del
Bagnone, i sedimenti lacustri o i depositi alluvionali che li sovrastano e,
quindi, se questo si troverà a interferire o meno con gli acquiferi presenti. Risultano
pertanto fondati i timori dei residenti, che potrebbero rimanere privi di
una risorsa alla quale la loro attività è strettamente vincolata. Pertanto, lo
scrivente ritiene indispensabile e di estrema urgenza, prima che il progredire
dei lavori di scavo possa creare situazioni irreversibili, l’organizzazione di
una campagna geognostica, ad integrazione di quella che risulta già svolta da
CAVET, volta ad accertare le relazioni sopra illustrate. Tale campagna,
consistente in un raffittimento dei sondaggi già eseguiti, dovrebbe servire
anche per porre in opera una rete di monitoraggio continuo, mediante
piezometri, del comportamento della falda durante la progressione dei lavori in
galleria”.
Quanto ai soggetti da
coinvolgere, il prof. Rodolfi aggiungeva: "Lo scrivente concorda pienamente nel
porre il problema all'attenzione degli Enti preposti al controllo dell'ambiente
(ARPAT) e delle acqua (CONSIAG); si domanda, però, se tale iniziativa non
spetti, piuttosto che all'OAL, ad una delle Amministrazioni competenti per
territorio".
Cosa hanno
deciso di fare al riguardo CAVET, le Amministrazioni Locali, l'Osservatorio
Ambientale nazionale?
E’ stato fatto qualcosa di queste indicazioni?
La risposta
è nei fatti. No.
Qualcuno ha avvisato A. C. che non
fosse il giorno in cui è avvenuto il fatto?
No.
Qualcuno ha tutelato A. C.?
No.
E’ uno Stato di diritto?
Non credo. Uno Stato di diritto queste
cose non le permette. E se non le permette, come credo che nessuno le abbia
potute permettere, vanno sanzionate. Perché sennò vorrebbe dire che hanno fatto
bene a fare quello che hanno fatto. E per questo c’è il processo. Dobbiamo
spiegare agli imputati perché sono in questo processo, questo è un caso per cui
si giustifica questo processo.
Quindi non è stato fatto nulla, tant’è vero che sei mesi dopo A. C. torna a casa e deve
stare attento perché se no cade in una buca.
Risulta che
sei mesi dopo il primo allarme tecnico, il danno ambientale preannunciato si è
verificato.
Si verifica quello che A. C. ha testimoniato aver
visto. Si verifica quello che risulta dal rapporto dell'ARPAT sui lavori per
l'Alta Velocità e datato 20.5.'99 e che attesta la nuova emergenza ambientale
di una galleria invasa dall'acqua e precipitosamente evacuata; una perdita di
almeno 300.000 ettolitri di risorsa idrica; con danno non solo per l'economia
agricola del Mugello, ma anche per l'approvvigionamento idrico del paese di
Luco e degli insediamenti prossimi alla galleria.
Il tutto attribuibile a
quella che l'ARPAT definisce una "fase di progettazione esecutiva" che "non ha probabilmente
raggiunto il dettaglio necessario".
Sempre prudente ARPAT. Dopo lo sfacelo dubita ancora che la progettazione
esecutiva “non ha probabilmente raggiunto il dettaglio necessario”.
Vediamo i
dettagli del rapporto del 20.5.'99 dell'ARPAT, a firma Dr. S. Rossi, Dr. P.
Biancalani, e Direttore Generale Dr. A. Lippi. "Il
giorno 25/4/99, durante una sosta delle operazioni di scavo del fronte, in
maniera del tutto inaspettata, a circa 2 m dalla base del fronte di scavo, in
prossimità del piedritto destro, si manifestava una concentrata e consistente
venuta di acqua torbida e sabbia, con una portata stimata intorno ai 50 l/sec..
La presenza di una considerevole quantità di sabbia ha messo fuori uso il
sistema di decantazione depurazione, intasando le pompe, causando il fluire
dell'acqua in galleria che, data la pendenza lato Firenze, ha iniziato ad
allagare la zona del fronte di scavo opposto impregnando i limi e mettendo in
crisi il sistema di centine utilizzate per il sostegno ed il contenimento
provvisorio nelle zone della calotta e dei profili estradosso".
Tre giorni dopo, è ancora
l'ARPAT a farlo sapere, "la venuta di acqua torbida, pur con una portata inferiore (25/30
l/sec.) ed un minore carico solido, era sempre attiva".
Dieci giorni dopo, cominciano a essere apprezzati
anche gli effetti in superficie: "a circa 100 m a NNE del fronte di scavo si era creato un
avvallamento del terreno con un diametro approssimato di quasi 20 m ed una
profondità massima di 40 cm, certamente legato al dislocamento del materiale
solido in galleria". Da notare che
la galleria corre a ben 40 m al di sotto del piano campagna! "L'area della
depressione, informa l'ARPAT, è stata sottoposta a monitoraggio per verificare
l'evolversi dell'avvallamento". E "allo
stato attuale (14 maggio) la venuta di acqua non é cessata, anche se si è
ulteriormente ridotta passando a circa 10 l/sec.".
Una stima molto cauta, ricavata moltiplicando i dati
forniti dall'ARPAT per il tempo trascorso, permette di stabilire che la fuoriuscita di acqua e sabbia dalla
galleria di S. Giorgio è stata, nei primi 19 giorni registrati nel rapporto
ARPAT, di oltre 300.000 ettolitri. Un'enorme risorsa gettata via. Diventata
anzi un grave fattore di inquinamento. È ancora l'ARPAT a scrivere che "l'immissione di notevoli quantità di acqua con
un elevato contenuto di materiali solidi nel torrente Bagnone ha determinato il
deposito di una notevole quantità fango nell'alveo con un indubbio danno
biologico". Che si tratti di una vera e propria emergenza lo attesta l'ammissione che
"allo stato attuale è
impossibile, per motivi di sicurezza, interrompere l'emungimento delle acque
della galleria".
Nel paragrafo dedicato alle
"considerazioni", l'ARPAT scrive di ritenere, come abbiamo sopra
evidenziato, "che, alla ripresa della escavazione, l'avanzamento dei fronti debba
procedere di pari passo con una ricostruzione dettagliata della stratigrafia e
dei rapporti geometrici fra le varie formazioni geologiche che, in fase di
progettazione esecutiva, non ha probabilmente raggiunto il dettaglio
necessario".
Nei mesi successivi le intercettazioni della falda,
in quella stessa località (Luco di Mugello), ha provocato cedimenti di terreno
profondi fino a 7 metri a distanze anche di 70 metri dal fronte di scavo del
tunnel.
1)
Renzo Mascherini, allora sindaco del Comune di
Firenzuola (FI).
2) AMI, acronimo di “Azienda Multiservizi Intercomunale” di Imola, dal 1 gennaio del 1996 si è trasformata in Consorzio Pubblico di cui sono soci 23 Comuni serviti e TE.AM. di Lugo. I comparti di attività dell’azienda sono: energia, acqua, igiene ambientale, farmacie comunali (dal sito web http://www.ami-consorzio.it/cea.htm).
3) ARPAT è acronimo di “Agenzia Regionale per la
Protezione Ambientale della Toscana”.
4) Il prof. Giuliano Rodolfi, ordinario di Geografia
fisica presso l'Università di Firenze, è presidente del Comitato
Tecnico-Scientifico (d’ora in poi anche “CTS”) dell'Osservatorio Ambientale
Locale (d’ora in poi anche “OAL”) sui lavori per l'Alta Velocità ferroviaria,
istituito dalla Comunità Montana del Mugello.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott.
Gianni Tei
[Stralcio n. 6]
“E IL FATTO CHE IL SUBAPPALTATORE SE NE VADA
SIGNIFICA MOLTE COSE. VUOL DIRE CHE È EVIDENTE CHE IL PROGETTO NON FUNZIONAVA.
VUOL DIRE CHE È EVIDENTE CHE NON CI SI RIENTRAVA NEI COSTI PREFISSATI. VUOL
DIRE CHE È EVIDENTE CHE NON CI STAVA NEI TEMPI PREVISTI. VUOL DIRE CHE SI STAVA
REALIZZANDO QUALCOSA DI DIVERSO DI QUELLO CHE SI ERA DETTO SI SAREBBE FATTO E –
ANCHE A VOLER TUTTO CONCEDERE – CERTAMENTE QUALCOSA DI DIVERSO DA QUELLO CUI SI ERA STATI AUTORIZZATI”.
Quindi, abbiamo
detto, Castelvecchio e San Giorgio. E siamo già a due eventi che dir
significativi pare riduttivo.
Ma si è saputo fare di meglio con una nuova emergenza
idrogeologica.
Questa volta è interessato il cantiere di Osteto
(Comune di Firenzuola), dove si era verificata a partire dal 9 giugno '99 una
rilevante intercettazione della falda acquifera. [...] Ci dirà il teste di Italstrade (1): questa venuta fa una cosa molto semplice,
riempie la galleria. Ma non riempie tipo acqua alta a Venezia, due metri. Hanno
fatto una galleria, si riempie il cavo della galleria fino in cima, [...] è un tubo d’acqua grosso come una galleria. [...] Tant’è vero che sbaraccano tutto e vengono
via. Non ci rimettono più piede.
Nella relazione dell'ARPAT si legge che la fuoriuscita
d'acqua a Osteto è stata valutata dell'ordine dei 250/300 metri cubi l'ora (il
che vorrebbe dire oltre 6 milioni e
mezzo di litri al giorno!). "In
un successivo sopralluogo del giorno 11 giugno - si legge nella relazione - è stato constatato che la parte
terminale della galleria era allagata fino in calotta in quanto il giorno
precedente l'allontanamento delle acque era stato interrotto e quindi non è
stato possibile verificare le caratteristiche (portata, posizione) della
venuta. Alla data odierna (15 giugno) il pompaggio risulta essere in corso ed è
presumibile che l'acqua venga completamente allontanata dalla galleria nei
prossimi giorni, permettendo una verifica della situazione". L'ARPAT
riconosce "la necessità che i lavori siano riattivati solo quando saranno
stati effettuati approfondimenti idrogeologici con una più precisa
identificazione delle discontinuità".
[...] Nella nota si legge ancora che "dall'esame della documentazione in nostro possesso
la galleria (scavata per circa 900 m) sta drenando una quantità di acqua
decisamente superiore a quanto ipotizzato in sede di studio di impatto
ambientale". L'ARPAT aggiunge che "sono
state verificate delle semplificazioni nello studio idrogeologico della
galleria". Si arriva da parte dell'ARPAT a rivalutare persino le tecniche di scavo
adottate sotto l'Appennino. Col Presidente dell'Osservatorio Ambientale
l'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana ha concordato la
necessità che gli approfondimenti idrogeologici ritenuti necessari e
propedeutici alla riattivazione dei lavori siano accompagnati dalla definizione
di un nuovo codice di scavo che elimini il drenaggio "incontrollato".
Lo stesso Osservatorio
Ambientale nazionale istituito presso il Ministero dell'Ambiente adotta il 17
giugno '99 un provvedimento nel quale sostiene di ritenere che "i lavori di
scavo, che attualmente risultano sospesi, possano riprendere solo sulla base di
attendibili approfondimenti tecnici in merito alle previsioni relative ad
eventuali ulteriori interferenze con le risorse idriche e solo in presenza di
adeguate misure preventive relative alle modalità di avanzamento e di
impermeabilizzazione, al fine di limitare al massimo i danni al sistema idrogeologico
e al sistema ecologico nel suo complesso" (Ministero dell'Ambiente, Provvedimento del 17 giugno '99, con oggetto
"Emergenze idrogeologiche causate dallo scavo delle gallerie nella tratta
Bologna-Firenze").
A questo punto ci sarebbe sembrato normale che
qualcuno di CAVET potesse aver anche pensato che stavano diventando ormai
troppo evidenti i danni ambientali che si andavano procurando visto peraltro che ARPAT considerava che "la galleria
Firenzuola Nord insiste in prossimità (e per alcuni tratti all'interno) di un
sito di interesse comunitario, e quindi l'eccessivo drenaggio potrebbe
comportare eventuali danni ai corsi d'acqua superficiali con ripercussioni
negative sull'ecosistema".
E invece si va avanti come se finora non fosse
successo nulla.
E siamo a tre eventi eclatanti: Castelvecchio, San Giorgio, Osteto.
Marzano. Ce lo
ricordiamo Marzano. Marzano, altro punto d’acqua. Quindi non è il pozzo del
tizietto che ci sta dal 1800, di cui non ci importa, considerato meno che
nulla. No, quello che [...] la
Conferenza dei Servizi ha detto: perlomeno all’acqua potabile stiamo attenti!
Insomma, si cominciano tutti a preoccupare [...].
Nel dibattimento scopriamo una cosa carina: non è che non si sapesse, ma si pensava che
ci volesse un anno e mezzo. [...] Ci avrebbe messo tanto tempo: cioè il
tempo di chiudere i lavori ed andare via. Hanno avuto sfortuna. Perché in due
ore si è seccato tutto. E’ stato un problema anche per loro, perché gli ha
invaso la galleria e quindi i lavori si sono fermati. Quindi non è che non si
sapesse. E CONSIAG (2) diceva: non solo succederà, ma poi sarà un
problema anche andare a trovare l’acqua intorno, perché con quella se la
portano via tutta.
Sempre nel
1999, ARPAT prevede la possibilità di intercettazione di falde idriche
significative connesse con le sorgenti Casa d’Erci. In questo periodo ARPAT
ipotizza anche altri possibili impatti sull’area circostante (fosso Cannaticce,
approvvigionamenti idrici di Scarperia ecc.). Con nota del 15.2.2000 Italferr
dà conto di aver rilevato la fascia fratturata ma sbaglia la previsione sui
tempi dell’impatto. Con nota del 15.03.2000 ARPAT comunica all’Osservatorio
Ambientale che sul lato nord della galleria di Marzano, alla progressiva km
54+120 e 54+116, nelle giornate di sabato 11 e di domenica 12 marzo 2000 è
stata intercettata una venuta d'acqua stimata in 5 Litri/secondo; le venute
d'acqua sono risultate attive anche sui fronti di scavo del 14 e 15 marzo
(rispettivamente km 54+112 e 54+108): la portata complessiva è di 11
Litri/secondo. In particolare in data
11.03.2000, durante i lavori di scavo della galleria Firenzuola da Marzano,
cantiere T 11, si verificò quanto paventato e previsto da ARPAT già dal
novembre 1999, ossia che a cominciare dalla progressiva 54+100 lo scavo avrebbe
attraversato una zona molto fratturata e, quindi, intercettato una importante
falda acquifera, con probabili influenze negative sull'acquifero alimentante le
sorgenti Case d'Erci (in altre parole si è verificata la temuta interferenza
fra lo scavo della galleria e le sorgenti di Case d'Erci ).
Il 15.03.2000 l’Osservatorio Ambientale raccomanda a TAV la sospensione
dei lavori di scavo della galleria di Firenzuola alla progressiva 54+100.
Con nota n. 3724 del 22.03.2000 il CONSIAG comunica al Ministero
Ambiente, all’Osservatorio Ambientale, all'ARPAT, al Sindaco di Borgo San
Lorenzo, a TAV ed altri che le sorgenti di Case d'Erci, che alimentano gli
acquedotti di Luco di Mugello, Grezzano e frazioni limitrofe, mostrano una
diminuzione della portata sin dallo scorso 16 marzo e che tale portata ha
raggiunto livelli preoccupanti negli ultimi 3 giorni. La sorgente di Frassineta
non mostrava il medesimo fenomeno. A parere del CONSIAG il fenomeno non poteva
che derivare direttamente dall'interferenza idrogeologica dello scavo della
galleria di Firenzuola: "il fenomeno ha evidenziato una rapidità di interferenza tra il
drenaggio della galleria e il regime delle sorgenti di alcuni ordini di
grandezza superiore a quella ipotizzata da CAVET e dai suoi consulenti in ogni
sede”.
Dalle "Relazioni di
sopralluogo" eseguiti da tecnici ARPAT fra il 23 e il 30.03.2000 al
cantiere della galleria ed alle sorgenti Case d'Erci, risulta che sono stati
eseguiti i due sondaggi orizzontali richiesti con nota ARPAT del 09/03/2000,
che le portate delle sorgenti Case d'Erci (1 e 2) continuavano a diminuire,
nonostante le piogge copiose, che la quantità d'acqua intercettata in galleria
alla progressiva 54+102 continuava ad essere sensibile: la portata di acqua
media trattata dall'impianto di depurazione era di circa 50 litri/secondo.
Alla fine le sorgenti di Case d’Erci si seccano
definitivamente.
E’ la cronaca di una morte annunciata. L’ennesima.
E nel 2000,
insomma. Ricordiamoci che tutte queste cose le diciamo perché qualcuno avrà
cominciato a pensare che forse andando avanti a quel modo si facevano danni, o
no? Tant’è vero che addirittura si muove la Regione, insomma, con
quell’inerzia, nel 2000.
Castelvecchio, S. Giorgio, Osteto, Case
d’Erci. Ognuno di questi singoli eventi
poteva e doveva bastare per una riflessione su cosa si stava facendo. Per
riconsiderare il tutto. Ed invece non
sono bastati quattro rilevanti impatti con gravi conseguenze ambientali per
fermarsi. Ed eppure ormai l’allarme era
scoppiato e l’impatto emergenza evidente.
Se si muove addirittura la
VI Commissione della Regione Toscana per ricevere tutti i Sindaci interessati
vuol dire che era non solo evidente, ma addirittura conclamato, che si fosse
oltrepassato il limite giungendo ad un punto di non ritorno.
Riassuntivo l’intervento di Margheri, Sindaco di Borgo S. Lorenzo davanti
alla VI Commissione.
ANTONIO MARGHERI - Sindaco
di Borgo San Lorenzo.
"(…)
circa un anno fa quando dopo un bilancio e dopo anche il verificarsi di eventi
che si erano manifestati, soprattutto riguardanti le risorse idriche in maniera
o inaspettata o comunque in maniera più pesante di quella che era stata
prevista, avvertimmo tutti la necessità di richiedere approfondimenti, studi
più seri e meglio impostati rispetto a quelli che avevano accompagnato il
progetto esecutivo dell'opera. (…)
ormai è dato per acquisito che il modello idrogeologico che era stato redatto e
che accompagnava il progetto esecutivo dell'opera si è dimostrato, soprattutto
per alcuni tratti, in maniera particolare i tratti di galleria che attraversano
l'Appennino, inadeguato. (…) Nella fattispecie noi abbiamo parlato anche di
comportamento irresponsabile da parte di CAVET in quanto dopo la realizzazione
di un tratto di galleria che non aveva avuto intercettazione di acquiferi, i
lavori sono continuati per due o tre giorni prima che ci fosse la sospensione
nonostante che l'intercettazione sia avvenuta 13-14 metri prima del punto
stabilito come inizio del rischio.
Il passaggio della tratta
nell'Appennino è cosa molto complicata e molto delicata in quanto si incontrano
strati di roccia fratturati e attraverso le fratture della roccia la galleria
drena le risorse idriche. Questa situazione era stata parzialmente prevista ma
si sta manifestando in modi e in quantità che non erano stati previsti in
quanto il modello idrogeologico adottato faceva riferimento ad uno strato molto
più compatto dell'ammasso roccioso, cosa che non c'è. (…) Potrei leggere questi
passaggi degli accordi procedimentali testualmente però ne faccio a meno, ci
sono passaggi che consentono di rivedere anche il progetto qualora ce ne sia la
necessità, però ancora questi approfondimenti tecnici e queste proposte non
hanno raggiunto un livello tale da poter ancora oggi essere valutato
attentamente. (…) Noi vogliamo
uscire da questa situazione, non siamo interessati a tenerci a vita questa
servitù di cantieri che ci sono nel nostro territori però la ripresa dei lavori
deve avvenire all'interno di un quadro di certezze e di valutazioni attente, di
assoluta non sottovalutazione dei problemi da tutti i punti di vista della
salvaguardia delle acque superficiali perché i fossi e i torrenti devono
rimanere, da un punto di vista igienico sanitario perché per esempio a Luco e a
Grezzano ci sono 2.000 abitanti che non hanno al momento un servizio di
depurazione e, quindi, se l'acqua nei fossi manca ci sono poi anche emergenze
di carattere igienico sanitario".
E qui è
bellino un po’ alleggerire, perché questo processo ha avuto anche effetti
stupendi, esilaranti. Qui arriviamo al
paradossale. Sapete qual è la risposta di CAVET al Sindaco Margheri che
denuncia l’emergenza di carattere igienico-sanitario per i duemila abitanti di
Luco?
Non è quella che si uno si
potrebbe aspettare, ovvero un risposta nello stesso anno 2000 per cui CAVET
avrebbe dovuto prender atto del fallimento nel progetto e attivarsi di conseguenza.
No, la risposta di CAVET è
datata 2007 ed è quella che dà tramite il CT Celico a pg. 445 della sua
consulenza nel commentare il teste Piera Ballabio.
La Ballabio conferma ciò
che aveva già detto Margheri. Ha testimoniato in aula che “noi abbiamo avuto, per
interi periodi, cittadini di Luco che andavano a vedere ……se erano aperte le
pompe” di CAVET che consentivano di “far
defluire meglio i reflui del Bosso”; e
ciò perché “le case di Luco buttavano tutti i reflui nel Bosso; quindi, non
essendo più l’acqua presente ... diventava una cloaca a cielo aperto”; infatti, “per mesi, qualcuno passava
tutti i giorni …, qualcuno del nostro comitato, … per vedere se le pompe
funzionavano”, e, “quando non
funzionavano, o si chiamava ARPAT o si chiamava il Comune” (cfr. pag. 2945 del verbale dell’udienza del 12 maggio 2006).
Ci pare una dichiarazione
lineare di denuncia di un fatto, grave, subito dalla popolazione di Luco,
guarda caso un danno provocato proprio da CAVET.
E’ invece ecco cosa ne deduce, inopinatamente, il CT Celico.
Testuale:
“In altri termini, il Presidente del Circolo del
Mugello di Lega Ambiente, nonché Responsabile dell’Ufficio Turismo della
Comunità Montana del Mugello, nonché Consigliere di maggioranza del Comune di
Borgo S. Lorenzo, ha detto che, pur essendo a conoscenza dell’esistenza di un
importante inquinamento nel Bosso (“cloaca a cielo aperto”) e pur conoscendone
la provenienza (“le case di Luco”), non ha sporto denuncia. Si è invece
preoccupato che le acque inquinate fossero costantemente diluite (operazione,
questa, vietata dalla legislazione vigente) dallo scarico della galleria TAV e,
per raggiungere questo scopo, ha fatto controllare, “tutti i giorni”, “per
mesi”, attraverso persone di propria fiducia (“qualcuno del nostro comitato”) e
attingendo notizie dagli stessi inquinatori (i “cittadini di Luco”), che CAVET
scaricasse le acque della galleria nel Bosso. E, per conseguire fino in fondo
il suo disegno, non ha esitato a denunciare l’inconscio “diluitore” (CAVET) ad
ARPAT (“si chiamava ARPAT”) ed al Comune (“si chiamava il Comune”). Se ora si
considera che la stessa notizia di reato è stata data, sia dai CTP del PM
Gisotti, Sanna e Riva (cfr. par. 5.1.1.3) sia dall’altro CTP del PM Rodolfi
(cfr. par. 5.2.2.26) sia dal teste Dario Collini (3) (cfr. par. 5.5.10), è
evidente che debba trattarsi di un fatto noto a cittadini ed Autorità. Quindi,
è quanto meno strano che nessuno sia intervenuto sugli inquinatori di monte e
si sia ritenuto che la colpa di un presunto inquinamento fosse di chi, magari
per un guasto alla pompa, non avrebbe consentito, per qualche giorno, la
diluizione (peraltro vietata dalla legislazione vigente) dell’inquinamento a
valle”.
Forse non capiamo o leggiamo male.
Per il CT di CAVET, prof. Celico, la Procura avrebbe
dovuto indagare i cittadini di Luco? Ci mancava anche questa.
Comunque questa è la risposta di CAVET al Sindaco
Margheri per i disagi di Luco. Si
secca Case d’Erci, metto in ginocchio una frazione, non faccio nulla. Nel 2007
dico che i cittadini di Luco sono inquinatori. La Procura non ha mandato a
giudizio i cittadini di Luco. Non so se siamo in tempo, duemila persone, li
manderemo a un processetto, vediamo che fine fa. Questa è la risposta di CAVET
al Margheri, che diceva: abbiamo problemi anche igienico-sanitari.
Sorgente La
Rocca. Quinto evento significativo.
Che dire?
Gli argomenti sono gli
stessi. Notare: sono
tutte sorgenti che hanno rilevanza per gli impianti acquedottistici, unica
indicazione specifica [...] nella Conferenza dei Servizi. Quindi, tutti fatti da
evitare. La Rocca non è una sorgentella: alimenta l’acquedotto di Scarperia.
Sul punto [...] rimandiamo alle dichiarazioni dei testi e
persone offese [...].
Ormai il grado di attenzione cala, mi annoio anch’io,
figuriamoci.
Però qui, mi dispiace, mi accorgo che
tra i danneggiati c’è anche Bechelli. Bechelli infatti ci rimane tanto male per
l’essicamento de La Rocca, ci rimane malissimo. A lui i tecnici CAVET avevano detto “tutto a posto” per La Rocca e così
lui aveva a sua volta rassicurato il Sindaco di Scarperia di star tranquillo. E
invece La Rocca si secca e CAVET gli ha fatto fare una figuraccia e lui c’è
rimasto male, ed a noi ci dispiace.
Moscheta.
Anche Moscheta è stata impattata. Era stata dichiarata Sito di Interesse
Comunitario. Bazzecole. Erano stati investiti denari della Regione, Consiglio
Comunale, 6 mila ettari. Mascherini era andato nel 2000 a dire... Insomma, non
ce ne importa: tanto si facevano i parcheggi! TAV ha detto che gli faceva i
parcheggi, il sentierino. E quindi si è seccata. Se ci vogliamo divertire, ci
ricordiamo che la gente andava ancora a prendere l’acqua pensando fosse l’acqua
della sorgente, invece era arrivato l’acquedotto dell’AMI. Per cui uno andava a
Moscheta, e prendeva le taniche... dell’acquedotto dell’AMI.
Per Moscheta rimandiamo a
Mascherini, il Sindaco di Firenzuola. “...Per quanto riguarda il Comune di Firenzuola da
indagini che loro hanno affinato in questi 5 anni, viene fuori non solo che si
è seccata la sorgente di Castelvecchio, quindi è andata a secco e hanno
costruito l'acquedotto alternativo, ma che tra due anni si impatteranno le
sorgenti di tutta la vallata di Moscheta. Ora il Mugello, il Consiglio
Comunale di Firenzuola, ha fatto una battaglia aspra per evitare di toccare
quella valle dove ci sono 6.000 ettari di demanio accorpato della Regione dove
la Regione ci ha investito tanti soldi, è di fatto un parco naturale
dove c'è una azienda agrituristica della Regione gestita da una cooperativa, è una zona di grande pregio
ambientale, un patrimonio pubblico. Avevamo cercato di evitare di costruire li una finestra, ci è stato detto
che non era possibile rispetto ai tempi, è stata iniziata la costruzione
di una finestra, questa finestra era lunga un chilometro e 200 metri, a 900
metri hanno imbattuto in una puntuale venuta d'acqua di 70 litri al secondo, si
è allagata la galleria e hanno abbandonato la finestra. Quindi probabilmente quella finestra non si finirà
più, si dovrà costruirla partendo dalla galleria sotto, quindi la galleria
principale ricostruire la finestra perché dovrà servire sempre come entrata di
emergenza per la sicurezza in galleria ma sarà realizzata solo alla fine,
quindi non diminuirà minimamente i tempi dì costruzione della galleria, si è
voluta fare lo stesso ma è stato annunciato da studi più precisi che le
sorgenti di quella valle saranno seccate e quindi si sta verificando la
possibilità di portare in quella valle risorse idriche da Firenzuola, quindi
dovremmo costruire diversi chilometri di acquedotto per portare l'acqua
eccetera. Per realizzare questa opera ci vorrà più di un anno e quindi il
Consiglio Comunale di Firenzuola ha detto: non riprendete i lavori di quella
finestra, costruiamo altri acquedotti, portiamo l'acqua da fuori e poi seguitiamo a costruire questa galleria
in maniera che quando si arriva sotto la valle di Moscheta già la valle sia già
approvvigionata da acqua portata da fuori”.
Ed allora
cominciamo un po’ a stringere, un po’ a concludere, a mettere le cose insieme.
Pigliamo
questa prima parte: Castelvecchio, Osteto, Marzano, La Rocca, Moscheta, sono
fatti – direi - gravissimi.
Solo colpa? No.
Non era il caso fermarsi già nel ’98
come detto da Trezzini, e riconsiderare tutto?
C’erano dubbi su ciò a cui si sarebbe andati incontro? Non si è preso atto di
ciò che era successo? Era tutto a posto? Era tutto regolare? No, non lo era.
E questa non è la
valutazione malevola inquisitrice di un PM qualunque. È la valutazione propria
anche di alcuni di quelli che stavano costruendo l’opera. E’ la valutazione di Italstrade, che aveva vinto uno dei subappalti
concessi da CAVET.
Basta leggersi la
testimonianza Lodico.
Teste
– Beh, Italstrade ha vinto delle gare
di appalto dove praticamente fungeva da appaltatore, il CAVET aveva fatto i
progetti e interloquiva con i vari enti, diciamo, preposti, sia la Regione, sia
l'Osservatorio Ambientale e sia tutti gli altri enti, per cui il mero ruolo
della Italstrade era quello di
eseguire le opere che erano state progettate ed approvate nelle varie sedi
competenti dal CAVET e dagli altri organi.
Avv. De Napoli – Quindi Italstrade non
partecipava o non aveva partecipato ad alcuna progettazione, mi pare di aver
capito – o no? – degli... del cantiere?
Teste
– No, aveva solamente fatto un'offerta prezzi per quanto riguarda un progetto
già redatto dal CAVET. …
Teste
– Sì. Noi avevamo vinto appunto due appalti: uno che era quello denominato
Osteto e che consisteva praticamente in una discenderia di circa millecinquecento
metri, con poi un tratto di galleria da dover realizzare verso nord e verso
sud; un altro appalto, che era quello di Marzano, che era anche qui una
discenderia di circa mille e cento metri, con una pendenza un po' minore di
quella di Osteto, e anche qui c'era da realizzare poi un tratto di galleria sia
a nord che a sud. Per quanto riguarda quello di Osteto però non è stato
eseguito, se non parzialmente, solo per circa otto-novecento metri e dopodiché
ci siamo fermati, in quanto è stato fermato l'avanzamento, è stata allagata del
tutto la finestra perché c'era stata un'enorme venuta d'acqua e praticamente i
lavori lì sono stati interrotti.
La ditta sub-appaltatrice
dell’opera per conto di CAVET, prende atto dell’insufficienza del progetto, fa
due conti, si rende conto del fallimento dell’intervento, prende baracca e
burattini, chiude e se ne va.
Pubblico Ministero -
Buongiorno. Senta, quindi T11 e T12?
Teste – Sì.
Pubblico Ministero - E T12.
Periodo? Ha detto galleria Osteto sino al '98?
Teste – Galleria... scusi... '98, sì,
credo...
Pubblico Ministero - '98.
Marzano? 2001?
Teste – Sì, esatto.
Pubblico Ministero – 2001.
Teste – A marzo 2001 siamo andati
definitivamente via.
Pubblico Ministero -
Perfetto. Benissimo. Corretto. Quindi, per quanto riguarda l'attività di scavo
dentro la galleria, solo e soltanto personale Italstrade.
Teste – Sì.
Pubblico Ministero -
Responsabilità Italstrade.
Teste – Sì.
Pubblico Ministero - L'unica
cosa che diceva è che voi, ovviamente, avendo avuto un appalto, il progetto non
era vostro, quindi dovevate eseguire quel progetto.
Teste – Sì, esatto.
Pubblico Ministero - Senta,
tutti e due i contratti sono stati rescissi?
Teste – Sì.
Pubblico Ministero - Quindi
non sono arrivati a scadenza naturale, se in qualche modo...
Teste – No.
Pubblico Ministero - E'
esatto quello che dico?
Teste – E' esatto.
Pubblico Ministero - Ha
seguito lei? Ci sa dire come mai?
Teste – Perché praticamente c'erano
state queste sorprese geologiche dovute a delle venute di acqua abbastanza
considerevoli, sia su Osteto sia per quanto riguarda poi Marzano, e per cui,
diciamo, non eravamo in condizioni noi di eseguirle direttamente, se è fatto
carico CAVET e c'è stata una rescissione consensuale dei contratti.
Pubblico Ministero - Quindi,
le faccio una domanda sciocca: non erano contrattualizzate le venute d'acqua?
Teste – Erano previste, ma molto più
avanti come, diciamo, previsione, non in quella misura certamente.
Pubblico Ministero - Ecco,
quindi – lei mi corregga sempre se sbaglio, perché chiaramente è il suo
pensiero che deve emergere – quindi lei mi dice due dati differenziali: uno
temporale, previsto più avanti nel tempo, e uno quantitativo, non in quella
misura. E' esatto ciò che... che ho capito? Per il verbale, se dice...
Teste – Sì.
Pubblico Ministero - Ragione
per cui, di fronte a queste emergenze, evenienze non previste nella loro
quantità, voi avete fatto una valutazione che non c'entravate, che non eravate
più nei costi o nelle capacità tecniche – non lo so, lo dica lei – tanto da
arrivare alla rescissione del contratto.
Teste – Esatto.
Pubblico Ministero - Esatto.
Perché voi vi siete fatti tutti e due gli allagamenti?
Teste –
No. Uno...
Pubblico Ministero - E mi
spiego: uno a Osteto, ha detto avete allagato la galleria.
Teste – Sì.
Pubblico Ministero - È
esatto?
Teste –
Sì.
Pubblico Ministero - Le
venute di Marzano?
Teste – Le
venute di Marzano le abbiamo incontrate all'inizio e poi lì c'è stata
praticamente la rescissione, quando abbiamo incontrato... ora non mi ricordo se
era a fine anno 2000 e poi agli inizi del 2001 siamo andati via; mi pare
settembre-ottobre, vado a memoria, eh?
Pubblico Ministero - Eh.
Perché mi diceva di no? Non l'avete avuto l'allagamento a Marzano?
Teste –
No, no... dipende cosa intende lei per allagamento. Io allagamento intendo che
per quanto riguarda Osteto abbiamo riempito tutta la galleria per novecento
metri, quant'era scavata, di acqua.
Pubblico Ministero - Ecco...
Teste – A Marzano non è successo questo.
Pubblico Ministero - Ho
capito.
Teste –
Ecco.
Pubblico Ministero - Quindi
per lei allagamento è totale, cioè proprio un tubo d'acqua... dappertutto.
Teste – Esatto, sì.
Pubblico Ministero - Mentre a
Marzano che è successo?
Teste – Ci sono state delle venute
d'acqua considerevoli, ma non c'è stato un allagamento vero e proprio.
Pubblico Ministero - Bene. In
quel senso lì, va bene. Però c'è stata la sospensione dei lavori.
Teste – Ci sono state delle sospensioni
dei lavori da parte dell'Osservatorio Ambientale e via dicendo.
Pubblico Ministero - Anche in
Marzano?
Teste – Certo.
Pubblico
Ministero – È arrivata un'ordinanza del Sindaco?
Teste – Certo.
Pubblico Ministero - Quindi
lei è preciso, nel senso di dire che ‘per me non è allagamento’, nel senso che
non si è riempito tutto il cavo...
Teste – Esatto.
Pubblico Ministero - ...ma
c'è stata una venuta d'acqua in relazione alla quale il Sindaco ha imposto uno
stop.
Teste – Io, guardi, col Sindaco non...
non le so essere preciso perché i rapporti li aveva... li teneva – giustamente,
contrattualmente era così – il CAVET.
Pubblico Ministero - Ah.
Teste – Per cui io non le so dire il Sindaco o meno.
Pubblico Ministero - Però lo stop lo possiamo dire.
Teste – Lo stop c'è stato,
certamente sì.
Pubblico Ministero - Nella
sua... per la sua... per come le è arrivato a lei, le lo collega
all'Osservatorio Ambientale – non le domando i documenti, tanto li abbiamo noi
– però c'è stato uno stop che vi ha...
Teste – Sì.
Pubblico Ministero -
...imposto... diciamo, non è stato una scelta...
Teste – Un fermo cantiere.
Pubblico Ministero - Ecco.
Teste – Sì.
Pubblico Ministero - Non è
stato una scelta vostra.
Teste – No, no, imprenditoriale nostra
no.
Pubblico Ministero - Ecco.
Allora, lei ha parlato di "sorprese". Ci può specificare? Perché, che
cos'era... voi avete fatto il subappalto, quindi avrete fatto un capitolato,
Avrete fatto anche un prezzo, in relazione a delle previsioni di lavori. In che
rapporto stavano questi scavi con l'acqua, nella vostra previsione, nel vostro
contratto?
Teste – Beh, erano previste appunto di
incontrarle quando avevamo già fatto parecchi metri di galleria. A Osteto anche
in fondo alla discenderia, se ricordo bene, in fondo ai millecinquecento metri
era previsto che si trovasse un qualche arrivo d'acqua. Ora, sui metri cubi...
se lei mi dice... non penso che questi sia possibile stimarli o era scritto ben
chiaro in qualche documento quant'era, ma sicuramente non in quell'entità che
trovammo poi a Osteto. Tanto per dirle, a Osteto avevamo scavato ottantamila
metri cubi e abbiamo trovato ottocentomila metri cubi d'acqua, per cui,
insomma...
Pubblico Ministero - C'è una
bella sproporzione.
Teste – Eh, sì.
Pubblico Ministero - Ma io
infatti non le chiedevo la precisione sui numeri, perché non credo neanche sia
possibile. Le chiedevo una cosa un po' diversa: che tipo di presidi, come
andavano gestite le acque? Cioè, nel senso: si prevede una venuta, in relazione
a quella voi vi fate carico di instaurare una sede di presidi.
Teste – Noi avevamo degli impianti di
sollevamento che nella particolarità poi erano degli impianti di sollevamento
antideflagranti, in quanto avevamo... era prevista la presenza di grisù
nell'ambito dello scavo, per cui erano equipaggiati in un certo modo e avevamo
questi, diciamo, impianti di sollevamento con più rilanci lungo tutta la
discenderia, sia di Marzano sia di Osteto, che erano dimensionati con un certo
volume di acqua.
Pubblico Ministero - Ecco.
Questo lo può dire?
Teste – Eh, non me lo ricordo
esattamente.
Pubblico Ministero - Ah, OK.
Teste – Le direi una bugia.
Pubblico Ministero - Allora
possiamo dire così: voi, in relazione alle vostre informazioni, vi eravate...
Teste – Dimensionati i nostri impianti
di sollevamento.
Pubblico Ministero - Esatto.
Dopodiché sono risultati in entrambi i casi inefficienti.
Teste – Non...
Pubblico Ministero -
Inefficienti entrambi.
Teste – Non sufficienti.
Pubblico Ministero - Non
sufficienti.
Teste – Ecco, la parola esatta è non
sufficienti.
Pubblico Ministero - Sì, sì,
non sufficienti. Senta, ma siete stati anche destinatari, incolpevolmente,
cioè, o comunque, insomma... per il solo fatto di essere lì, che qualcuno vi è
venuto a cercare dicendo "Oh, ma a me mi s'è seccato un pozzo, mi si è
seccato un fiume, mi si è seccato"...
Teste – Per quanto ci riguarda noi
direttamente no. Il CAVET, che sappia io, sì. Ma non noi direttamente come
ente... diciamo come impresa esecutrice.
Pubblico Ministero - Sì. Ma
io le domandavo come vita vissuta, cioè nel senso...
Teste – Come vita vissuta sì.
Pubblico Ministero - Ecco.
Teste – Sì, certo.
Pubblico Ministero - Poi,
dico, al di là delle... dice "no, a noi non ci interessa, andate dal
CAVET".
Teste – No, anche perché le opere
compensative che dovevano essere realizzate erano da realizzarsi a cura del
CAVET, non a cura nostra. Non facevano parte dello scopo dell'appalto.
Pubblico Ministero -
Benissimo. Ma io infatti non le sto chiedendo aspetti giuridici e cose... Le
domandavo di vita vissuta. In cantiere arriva uno, dice...
Teste – Certo. Si era seccata la sorgente
Tal dei Tali o...
Pubblico Ministero - Ecco...
Teste – ...o mancava l'acqua
all'acquedotto Tal dei Tali.
Pubblico Ministero -
Quindi...
Teste – Si leggeva sul giornale, si
sapeva in cantiere, ma non è che avevamo una conoscenza diretta in quanto
destinatari di una richiesta del genere, ecco.
Pubblico Ministero - Ecco.
Quindi richieste formali no. Ma io dicevo se arrivava l'ometto, dice:
"Scusate, ma"...
Teste – Ma, l'ometto no. A noi in
cantiere no.
Pubblico Ministero - Bene.
Teste – Non arrivava mai nessun ometto.
Pubblico Ministero - Però
leggevate sul giornale...
Teste – Leggevamo sul giornale, certo.
Pubblico Ministero - A posto.
Grazie mille.
Teste – Prego.
E il fatto
che il subappaltatore se ne vada significa molte cose.
Vuol dire che
è evidente che il progetto non funzionava.
Vuol dire
che è evidente che non ci si rientrava nei costi prefissati.
Vuol dire
che è evidente che non ci stava nei tempi previsti.
Vuol dire
che si stava realizzando qualcosa di
diverso di quello che si era detto si sarebbe fatto e – anche a voler tutto
concedere – certamente qualcosa di diverso
da quello cui si era stati autorizzati.
(1) Italstrade: società vincitrice di uno dei subappalti concessi da CAVET.
(2) CONSIAG:
acronimo di “Consorzio toscano per i servizi di acqua e gas”.
(3) Dario
Collini: consulente dell'Osservatorio Ambientale Locale sui lavori per l'Alta
Velocità ferroviaria, istituito dalla Comunità Montana del Mugello.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 7]
“UNO DEI COLTELLI CHE SI GIRANO NELLO STOMACO È
VEDERE I CARTELLI CON SCRITTO ‘ACQUE CLASSIFICATE A SALMONIDI’. E UNO SI
DOMANDA QUALI ACQUE”.
Ed allora,
fossero finiti qua, i danni, non mi sembrerebbe poco. Ma non sono questi e
basta. Proseguono. Ed ognuno di questi
danni, come detto, investe storie di comunità locali intere e storie
strettamente personali. Abbiamo già visto la storia del sig. A.C. a cui
stravolgono la vita, e che si porta via la terra del suo campo, terra alla
quale è tanto affezionato, per rimetterla in un altro terreno.
Prendiamo ora ad esempio la
zona di Paterno.
Si seccano il Fiume Carza,
il torrente Carzola, il Fosso Cerretana, la sorgente Sala, le sorgenti di Case
Carzola di sopra, due pozzi in località Casaccia, il pozzo Cerreto Maggio 1 e
altri ubicati in zona Paterno-Le Panche, l’acquedotto privato di
Ceppeto-Starniano che copriva i bisogni di 135 famiglie, regolarmente
autorizzato.
L’area è interessata dal
Cantiere T5 e dalla realizzazione della Galleria Vaglia, dal Carlone, verso
sud.
Nelle sempre più che
prudenti informative ARPAT, si legge: “Nella zona vi è, inoltre, la problematica delle portate dei corsi
d'acqua. Il Torrente Cerretana è risultato privo di acqua a monte di Paterno
dal giugno 2001 al febbraio 2002. Nel periodo autunnale sino al febbraio 2002
non si è manifestata alcuna riattivazione della portata in alveo di tale
torrente a conferma di un probabile impatto in atto”.
Di un “probabile”? Si è seccato! Un
probabile...
Poi c’è il Carzola. [...] Fa tutta una disamina dove dice cosa
si è seccato e cosa no. E ne dice tanti. Però nel finale addolcisce: “Alcune
sorgenti hanno mostrato un calo di portata, ma non è certa la connessione con
il drenaggio operato dallo scavo della galleria Vaglia”. Fa la bipartizan. Peccato non
ci dica con cos’altro sono connessi questi danni. [...]
La prudenza di ARPAT si scontra però con lo studio
prodotto proprio per TAV in data 30.6.’95 dal Dipartimento di Scienze
geologiche. Ritorniamo,
scaviamo: sembra di fare i minatori. Nel ’95 il Dipartimento di Scienze
Geologiche dell’Università di Bologna,
in riferimento all’area che qui interessa, esplicita: “Gli indizi di carsismo
non mancano né in superficie (v. p.e. le forme di dissoluzione superficiale
della zona di Case Starniano, la profonda incisione dell'alta valle del
T.Carzola, ....), né in profondità (v. stratigrafie del sondaggio E66 bis e
altri, l'abbondanza di deposizioni travertinose, ... ). A questi indizi di
carsismo sono da aggiungere l'abbondanza di pozzi che risultano perforati nella
zona a Nord di Firenze (Serpiolle, Cercina, Castiglione) e la portata
relativamente elevata di pozzi e sorgenti nell'arca del T. Carlone e del T.
Carzola anche in periodo estivo”.
Si scontra
anche con l’escussione in aula dei testi B. D., Rubellini, C. E., E. G., D. F.,
Piera Ballabio, F. I., e G. L.. E tutti dicono: c’erano i lavori e siamo
rimasti senza acqua. Anche qui, qual è
la prima risposta di CAVET a questi impatti? La siccità! [...] Comunque ci sono alcuni interventi di sostituzione,
portano delle autobotti, si farà un acquedotto, chi pagherà, perché, chi ha
deciso, qualcuno ha detto qualcosa? Niente. Altro esempio di esternalità
negative: io arrivo, faccio, secco poi tutto vedremo e faremo. Ed intanto
quelli senza acqua stanno là. Tant’è vero, solo nei documenti più recenti
CAVET si indicano come possibili interventi di mitigazione per i corsi d’acqua
Carzola e Cerretana, con la reimmissione in alveo di alcune parti delle acque
emunte dai pozzi scavati presso la cava di Paterno e Cerreto Maggio. Fatto sta
che Cerretana e Carzola si sono essiccati. E meno male - perché a rileggere
questi fogli veramente ci sarebbe da fare un libro – che si doveva stare
attenti alla zona del Carzola e del Cerretana. E non lo dico io. Perché nell’integrazione
del 28 luglio 1998 all’accordo procedimentale del 28 luglio 1995, al punto a. 19 dell’allegato 2, descrizione
degli interventi di tutela ambientale, si legge espressamente: “Per il
valore paesaggistico ambientale della zona, dovrà essere previsto una
rinaturazione del sito interessato dal cantiere industriale T4 Cardini,
compatibile con la destinazione d'uso finale. In ogni caso si dovrà realizzare
una barriera arborea tra il sito e il torrente Carzola”. Per
farsene che, di questa barriera arborea? Il Carzola non c’è più.
[...] Ora qui c’è
un problema da affrontare. Molti impatti risultano condivisi sia dai Ct (1) del
PM che dai Ct della difesa. Ricordiamo che per le sorgenti anche in via di
approssimazione il Ct di CAVET concorda impatti alle sorgenti pari all’80% del
volume delle acque ritenute drenate dall’accusa. Altri impatti risultano concordemente esclusi sia dai Ct del PM che dai
Ct della difesa. Pertanto ai fini della valutazione della responsabilità degli
imputati per la Procura non cambia molto se alla fine di questo processo si
valuterà come impattato un punto d’acqua in più o in meno. Fa differenza però
per chi utilizzava quel punto d’acqua. Nel suo caso la differenza è del 100%
Gli impatti contestati non
condivisi dei punti d’acqua di maggior rilievo sono circa 25. Un dato
particolare è che mentre quasi nulle sono le contestazioni da parte di CAVET
circa i corsi d’acqua, maggiori sono per sorgenti e pozzi, specialmente se
utilizzati da soggetti che si sono costituititi parti civili. [...]
DANNI FUTURI
E questo per i danni ad oggi accertati.
Il che, però, non vuol purtroppo dire che non ne
siano in atto altri allo stato non perfettamente conosciuti. Le
attuali venute di acqua a Marzano infatti evidenziano chiaramente che sono ancora
in atto drenaggi di falde non compiutamente identificate.
Abbiamo già visto come vi siano già indizi concreti
di interferenze che giungono financo alla Madonna Tre Fiumi e sul fiume Ensa,
ma non sappiamo se anche altri corsi d’acqua o falde stiano subendo la stessa
sorte. Gli
emungimenti sono in atto.
DANNI PERMANENTI
E purtroppo non si può neanche dire che i danni sopra
indicati abbiano natura temporanea.
Abbiamo già visto come
questa della temporaneità fosse una carta giocata da CAVET, ma qui in
dibattimento abbiamo visto come tale tesi fosse solo di una tesi di parte e di
comodo smentita dai fatti, e dalla quale lo stesso Bollettinari (2) ha preso
nettamente le distanze nel corso dell’esposizione della sua consulenza tecnica.
In modo empirico, ma non
per questo meno oggettivo, lo hanno testimoniato tutte le persone offese
danneggiate che hanno precisato come la situazione, una volta verificatasi,
abbia assunto - a distanza ormai di anni - una chiara connotazione di
irreversibilità, in quanto da fiumi, fossi, sorgenti, pozzi tutti perenni si
è passati a punti d’acqua che sussistono solo in ragione ed in conseguenza
delle nevicate o delle piogge, ovvero che si alimentano solo da acque
meteoriche e non più da acqua di falda. Lo stesso Celico dà atto che un
nuovo equilibrio della falda si avrà sicuramente ma ad una quota più bassa che
è cosa ben diversa da “l’acqua tornerà”. Ed allora qualcuno dovrà spiegare
perché l’ing. Calcerano in rappresentanza di CAVET è andato in giro a dire alla
gente in riunioni pubbliche che l’acqua sarebbe tornata in cinque anni.
Perché la stessa cosa sia
stata detta in Conferenza dei Servizi, e comunque la ricordino i Sindaci
Margheri e Mascherini, ed anche Notaro della Comunità Montana. In modo più scientifico i tecnici ARPAT [...] hanno spiegato come di fatto operino i
drenaggi di galleria. E’ come se si togliesse un tappo in fondo ad una vasca,
che pertanto si svuota e, una volta svuotata, anche se rimetti il tappo resta
vuota lo stesso.
Perché CAVET allora non ha mai smentito questa
leggenda creata dai suoi tecnici?
ALTRI DANNI
Ovviamente ci sono anche
altri danni connessi all’essiccamento dei corsi d’acqua. Tra questi i danni
alla flora ed alla fauna.
FLORA
Nell'estate 2000 i tecnici
della Comunità montana del Mugello hanno lanciato un allarme circa il pericolo
che i danni idrogeologici accertati in Mugello potessero produrre conseguenze
anche sulla flora dell'Appennino. Sono state seguite perizie con moderne
tecnologie all'infrarosso che sono state trasfuse anche nel progetto TRIMM (3)
prodotto in atti. Pertanto rimando agli esiti di quel lavoro e, soprattutto,
all’esito della Ct Aprile che indica puntualmente il danno alle piante
igrofile.
È però da evidenziarsi la
notevole sensibilità di CAVET per tale tipo di danno.
Al teste L. N., che certo non si era costituito parte
civile per i danni agli alberi del bosco, ma che, abitando lì, segnalava tra
l’altro come in seguito ai lavori dell’alta velocità si rendessero visibili
anche danni alle piante ed al bosco, la difesa CAVET dà una bella rispostina.
Avvocato Difesa - ... Senta, non ho capito questa
storia delle piante e della montagna. Cioè, lei vede delle piante seccarsi?
Teste L. N. - Sì.
Avvocato
Difesa - É sua la montagna?
Teste L. N. - No, non è
mia.
Avvocato
Difesa - Ecco.
Come a dire “Ed allora? Che ti importa? Di che ti
impicci?”.
E il teste, poverino,
infatti ci rimane male e si sente quasi in obbligo di scusarsi e giustificarsi,
pur essendosi limitato solo a raccontare ciò che era successo, ciò che vedeva,
come stavano cambiando i luoghi dove abitava, dove viveva sin da prima che
arrivasse CAVET a fare quel che ha fatto.
Teste L. N. - Io parlo, ho parlato... Siccome confino con il fiume, il fosso,
chiamato il Fosso a Granchi, o Cerretana, e vedo che io... in termine di
due-tre anni, ho due-tre piante di frutti secchi. E poi si vede che la montagna
ha cambiato aspetto. Non è più rigogliosa com'era prima. Ci sono dei ciuffi di
piante che si stanno seccando.
Ma la difesa taglia corto:
Avvocato Difesa - Ho capito. La ringrazio.
A questo gli rispondono così, ad altri su cose più
serie risponderanno di peggio. C’è chi è stato ripreso perché si è costituito
parte civile. Vedremo.
FAUNA
Dopo la flora c’è la fauna. Ma ora, al di là della
battuta, ci interessa sotto due aspetti, perché è il dato che fa uscire un po’
dalle carte. Perché le carte, a saperle
leggere, interpretare, a volerle sentire, in qualche modo esprimono una
sensibilità, danno delle emozioni, danno delle prove, che però poi si tramutano
in vita.
Ovvie le considerazioni sulla fauna ittica o quella
fauna che comunque viveva grazie all’esistenza dei corsi di acqua. È chiaro che pesci, crostacei etc., nei
fiumi “intermittenti”, ovvero che ci sono solo quando piove, non ci possono
vivere.
PESCI
Riportiamo alcune
testimonianze non solo per documentare la perdita della fauna, ma per
descrivere l’impatto sui fiumi e cosa ciò ha significato in termini di degrado
ambientale e scadimento della qualità della vita per chi aveva la fortuna di
poter frequentare quei posti, prima dei lavori dell’Alta Velocità.
BAGNONE
Teste I. M. - Eh, noi siamo proprio sul Bagnone.
Pubblico Ministero - Senta, poi lei... Non so se... lei pesca? Non lo so che...
Teste I. M. - I miei figli pescavano. Ma sa, il Bagnone era una... era un torrente
pulitissimo, perché a monte della mia proprietà non c'erano case. Ce n'era una
sola, ma insomma, in alto, sul torrente non c'era nessuno. Quindi era un'acqua
molto viva, diciamo. C'erano parecchi pesci... insomma, girini e tutto il
resto, insomma. Era molto vivo. Io l'ho anche bevuta l'acqua di Bagnone.
Pubblico Ministero - E ora?
Teste I. M. - Eh, dopo da quando hanno cominciato a pompare l'acqua dentro, era
acqua tutta diversa, ecco. Era acqua... faccia conto, biancastra, lattiginosa.
E ha portato un deposito di fanghi grigi che non c'erano prima. Cioè, sono
spariti tutti... quello che riguarda girini, pesci...
Teste C. E. - No, abbiamo constatato. Per
esempio, sul torrente Bagnone e su altri torrenti che là sono... non sono
prosciugati, ma sono biologicamente estinti.
Pubblico Ministero - Ecco, cosa vorrebbe dire biologicamente estinti?
Teste C. E. - Vorrebbe dire che non ci sono più forme di vita.
FOSSO FIORENTINO O CAMPORA
Avvocato
parte civile - Un'unica domanda: nel
fosso Fiorentino, prima si pescava?
Teste S. U. - Sì.
Avvocato parte civile - Ora?
Teste S. U. - No.
BOSSO
Teste M. O.
- Volendo limitarmi alle specie più importanti, anche come indicatori
biologici, quindi trote gamberi e granchi d’acqua dolce, era presente questa
numerosa fauna ittica almeno fino ai primi mesi del 2000 quando c’era acqua nel
torrente Bosso e quando l’acqua aveva una certa qualità, perché, ovviamente, venendo a mancare acqua…
Pubblico Ministero - Senta una cosa, ci si
pescava anche nel Bosso?
Teste N. P. - Assolutamente sì. A maggior ragione, lì non solo trote, ma c'erano lasche,
barbi, anguille qualche volta, anche...
Teste O. Q. - Io ero tecnico
ospedaliero.
Pubblico Ministero - Quindi non aveva nessuna
attività economica lì, ha preso, è andato in pensione e ha scelto… ha comprato
casa là.
Teste O. Q. - Ha detto la parola
giusta, ho ‘scelto’ di vivere in quel posto.
Pubblico Ministero - Ecco, ci può dire… visto
che uno che sceglie si va a vedere i posti, se li guarda, se gli piacciono…
com’era? cioè, cos’è che l’ha convinta ad andare lì.
Teste O. Q. - Allora, al di là delle
caratteristiche della casa in cui abito, una delle scelte determinanti per quel
posto riguardava proprio l’ambiente che circondava la casa; deve sapere che
casa mia dista cinquanta metri dal torrente Bosso e io essendo un appassionato
della pesca sportiva questa presenza del torrente è stata non dico determinante
ma insomma ha avuto una grossa importante nella scelta del luogo dove finire i
miei giorni.
Pubblico Ministero - Eh, dico, ha trovato il
momento giusto per arrivare là!
Teste O. Q. - Davvero.
Pubblico Ministero - Era in quel senso il
‘preciso’. Dico, a gennaio ’98 quindi lei dice ‘io sono pescatore sportivo’,
c’era il Bosso … ci può dire visto che lei è un pescatore … cos’erano, acque
pregiate?
Teste O. Q. - Ci sono tuttora i cartelli
- anche se adesso possono essere l’espressione della massima ironia perché
determinano quel torrente come ‘acqua per salmonidi’.
Pubblico Ministero - ‘Salmonidi’ le trote.
Teste O. Q. - Trote. Quindi i torrenti
vengono classificati con questa dicitura soltanto quando hanno determinate
caratteristiche sufficienti alla sopravvivenza di queste specie ittiche.
Pubblico Ministero - Per la sua esperienza ci
sa dare dei punti da dove si può desumere se l’acqua è di qualità o no?
Teste O. Q. - Uno degli elementi
biologici che determinano la qualità dell’acqua è la presenza dei gamberi di
fiume.
Pubblico Ministero - E c’erano?
Teste O. Q. - C’erano, era pieno, c’era la presenza di gamberi di
fiume, trote… io stesso per due anni, nel ’98 e nel ’99 … e ci sono i verbali della polizia provinciale...
ho fatto il ripopolamento di quel tratto di torrente lì.
Pubblico Ministero - Ah, quindi lei lo viveva
proprio il fiume … al di là del fatto di andare a pescare era proprio vissuto,
nel senso che c’era una sorta di attività … non commerciale, non economica … ma
lei lo viveva perché l’ha ripopolato.
Teste O. Q. - A livello di hobby io
andavo tutti gli anni quindici giorni prima dell’apertura alle trote, e quindi
all’inizio di febbraio, a Borgo San Lorenzo, la polizia provinciale ci forniva
per tutti i torrenti presenti nel Mugello un quantitativo determinato di trote
fario, e queste venivano immesse nel torrente in attesa poi dell’apertura; e io
per due anni sono andato in volontariato a prendere queste trote e ripopolare
il torrente sotto casa mia per una semplice passione.
Pubblico Ministero - Quindi era un ambiente
idoneo e qualificato per mantenere le trote, aveva tutte le caratteristiche…
Teste O. Q. - Certamente, le dico che
tuttora ci sono i cartelli.
Pubblico Ministero - Oh, cosa è successo? E’
ancora quella situazione che lei ha trovato nel gennaio ’98 o no?
Teste O. Q. - Magari! Se io avessi
saputo nel ’98 che sarebbe andata a finire così probabilmente avrei scelto un
altro posto dove andare ad abitare.
Pubblico Ministero - Quindi, ad oggi l’acqua
dove andava lei a pescare, dove ci ributtava i pesci…
Teste O. Q. - C’è soltanto in presenza
di pioggia o neve come quest’anno.
Pubblico Ministero - Qualunque sia la ragione
però ora c’è solo in questi periodi qui.
Teste O. Q. - Esatto.
Pubblico Ministero - Bene. Pesci?
Teste O. Q. - Zero.
Pubblico Ministero - Gamberi?
Teste O. Q. - Zero.
FOSSO DI CARDETOLE E FOSSO
DELLE TRE GINE
Avvocato parte civile - Lei ha parlato di pesci prima,
mi può dire se in questi fossi vi era fauna ittica?
Teste P. R. - Guardi, mi ricordo bene
perché avevo il figlio mio che c’aveva dieci anni e si divertiva a pescare
questi pesciolini, le anguille… nel fosso di Cardetole non c’erano le trote,
per intendersi, però c’erano tanti pesciolini… ma a centinaia io direi… c’erano
le anguille che storicamente i contadini andavano a cercare nel fosso, mentre
invece le trote erano nel fosso delle Tre Gine, molto più a est dei tre fossi
dell’azienda nostra è quello più a est, quello che ha mantenuto un discreto
approvvigionamento idrico ma che però ha perso … e questo non so per quale
motivo … ogni forma di vita ittica.
Avvocato parte civile - Quindi, ad oggi non vi sono più pesci.
Teste P. R.
- Secondo me non ci sono più pesci, sì.
Avvocato parte civile - Secondo lei o …
Teste P. R. Senta, ho passato una vita a vedere i
pescatori lungo questi tre fossi, ora non si vedano più, quindi …
CAPANNACCIA
Pubblico Ministero - Senta, ma lì nella sua zona c’è anche
un fosso detto di Capannaccia?
Teste Q.
S. - Sì, sì, è proprio quello che il pozzo era vicino, e quello ha cominciato ad asciugarsi.
Pubblico Ministero - Questo quando?
Teste Q. S. - Come ripeto, intorno al ’99 si è
cominciato a vedere le prime avvisaglie,
poi sempre meno, sempre meno, attualmente porta acqua solo quando piove e
nemmeno … perché io m’ero un po’ informato… lì a memoria d’uomo c’è sempre
stato l’acqua in questo fosso … questo ruscello, chiamiamolo come …
Pubblico Ministero - Aspetti … ‘a memoria
d’uomo’ … anche sua dal ’71.
Teste Q. S.
- Anche mia dal ’71, sì, questo sicuramente, però io ho cercato…
Pubblico Ministero - Le è stato detto ‘ancora prima’.
Teste Q. S.
- Sì, e tutti m’hanno detto ‘qui c’è sempre stato acqua’.
Pubblico Ministero - C’è sempre stata acqua.
Teste Q. S.
- Sì, d’estate e inverno.
Pubblico Ministero - E ora c’è?... lei ha detto che c’è solo quando piove.
Teste Q. S. -
Sì, praticamente sì … che c’entra, se piove parecchio la ci può stare anche
dieci giorni e poi si risecca.
Pubblico Ministero - Senta, sa se era un fosso dove ci si andava a pescare?
Teste Q. S.
- Sì, sì, sì sì sì, lì c’andavano a pescare le trote addirittura, prima, nell’estate.
Pubblico Ministero - Le trote se lo ricorda.
Teste Q. S.
- Le trote sì, c’andava il mio cognato a pescarle, questo sono sicuro.
CANNATICCE O FOSSO D’ERCI
Pubblico Ministero - Senta una cosa, lei conosce il fosso denominato Cannaticce?
Teste N. P.
- Lo conosco molto bene.
Pubblico Ministero - Perché?
Teste N. P.
- Eh, io sono un fruitore del bosco, un fruitore della natura. Sono nato lì,
vivo lì. E sono sempre in giro per quelle montagne a fare passeggiate e...
Quindi lo conosco praticamente da quando sono ragazzino. Il fosso di Cannaticce
è quello che poi chiamiamo fosso d'Erci, diciamo così.
Pubblico
Ministero - Senta una cosa, era un
fosso con acqua, con portate d'acqua?
Teste N. P. - Quello era
un fosso che non ha mai conosciuto secca, neanche nelle estati più siccitose. É
sempre stato un fosso che fra l'altro era classificato a salmonidi. Ci sono
ancora i cartelli paradossalmente rimasti affissi sulle piante. Acqua
classificata a salmonidi.
Pubblico Ministero - Perché ci dice
"paradossalmente"? perché c'è il fosso?
Teste N. P. -
Paradossalmente, perché il fosso praticamente, escluso che nei periodi di
piovosità, quindi autunno-inverno, durante i quali c'è un minimo di corso
d'acqua, appena smette di piovere, appena smette di nevicare, 10-15 giorni dopo
dell'evento meteorico, diciamo, il fosso rimane completamente secco.
Pubblico Ministero - Senta, salmonidi, quindi trote?
Teste N. P. - Sì.
RAMPOLLI O
FRASSINETA
Pubblico
Ministero - Senta, anche nel fosso
Rampolli si pescava?
Teste N. P. - Sicuramente.
Pubblico
Ministero - No, lì ha fatto un riferimento
ai salmonidi, cartelli...
Teste N. P. - Sì, sì, sì. No, c'erano anche i gamberi, di questo
sono sicuro, perché da ragazzi,
insomma, ci si andava su questi fossi,
ecco. Anche i gamberi.
Pubblico Ministero - Era stagionale il fosso Rampolli?
Teste N. P. - No, era perenne come... come il Cannaticce. Fra l'altro c'è un fenomeno... cioè, lì c'è un
fenomeno tuttora in atto. Cioè, lì c'erano due livelli di sorgenti. La sorgente
più bassa denominata Rampolli che forniva acqua all'acquedotto; e più in alto
ci sono ancora delle sorgenti chiamate proprio Frassineta, Faggione uno,
Faggione due, eccetera, che sono ancora attive. Perché quelle fanno parte
evidentemente di un livello superiore. Il decorso del fiume, fino ad un certo
punto esiste, diciamo; poi, ad un certo punto c'è una frattura beante. I
geologi la chiamano così....
Pubblico Ministero - Ecco...
Teste N. P. - Quest'acqua si infila in questa frattura e
infila in galleria. Sono state fatte anche delle prove con dei coloranti,
quindi... Saranno agli atti, penso, queste cose. Da lì in giù il fosso è
completamente secco.
VECCIONE
Pubblico
Ministero - Lei vicino alla sua proprietà c’ha il torrente Veccione?
Teste R. T. - Veccione, preciso.
Pubblico Ministero - Ci può fare un po’ la
storia, per quello che si ricorda, dal ’98 ad oggi del corso d’acqua? Visto che
lei va per funghi in zona.
Teste R. T.
- È due anni che si è seccato.
Pubblico Ministero - Eh, quindi da due anni non c’è più, c’è solo il letto.
Teste R. T.
- Nell’estate. Anno di là proprio completamente, che anzi c’era trote morte,
quest’anno è rimasto qualche pozzettina nei posti un po’ più fondi ...
FOSSO CATERINA
Teste A. B. - Fosso Caterina.
Pubblico Ministero - Perenne?
Teste A. B.
- Sempre, sempre esistita.
Pubblico Ministero - Estate e inverno?
Teste A. B.
- Certo.
Pubblico Ministero - Dava acqua a tutto il paese?
Teste A. B.
- Dava all’orto … si faceva tutto.
Pubblico Ministero - Tutto quello che c’era bisogno, e il fosso Caterina …
Teste A. B.
- C’era i gamberi, c’era i pesci … son morti tutti, via.
Pubblico Ministero - Com’è oggi la situazione? C’è ancora questo fosso?
Teste A. B.
- Il fosso c’è ma l’acqua … però l’inverno un po’ ritorna, quando arriva a
maggio, giugno, specialmente quando c’è gli inverni secchi smette.
Pubblico Ministero - E’ diventata stagionale insomma?
Teste A. B.
- Eh, sì.
Pubblico Ministero - Ma siccome penso ci sia una differenza tra uno stagionale e uno
perenne, lei ha fatto riferimento ... non so se lei pescasse ... a gamberi e pesci?
Teste A. B.
- Sì.
Pubblico Ministero - Ci sono ancora?
Teste A. B.
- No, sono spariti.
Pubblico Ministero - Eh, andando via l’acqua …
Teste A. B. -
Andando via l’acqua sono morti.
FOSSO CASTELVECCHIO
Pubblico Ministero - Senta, ci sa spiegare se
esiste anche un fosso Castelvecchio o è lo stesso che è il fosso Caterina?
Teste C. D. - No, esiste un fosso,
esisteva anche un torrente dove addirittura c’erano i pesci… guardi, è morto
mio marito nel ’98, aveva portato nel ’97 trote, gamberi… perché lui era
appassionato di pesca… e s’è seccato il fosso, sono morti tutti i pesci,
insomma c’è proprio una mancanza di acqua anche nei fiumi, nei torrenti.
CERRETANA E RAMACCIA
Teste B. D. - Totale estinzione. Noi
avevamo anche due torrenti, uno al confine della proprietà e uno anche
all’interno della proprietà, tutti e due classificati al genio civile,
scomparsi.
Pubblico Ministero - I nomi.
Teste B. D. - Cerretana e Ramaccia.
Pubblico Ministero - ‘Classificati’ che cosa
vuol dire?
Teste B. D. - Quando un torrente è
classificato al Genio Civile significa che è considerato un corso d’acqua
perenne.
Pubblico Ministero - Quindi, allora,
classificato sotto il punto di vista del Genio Civile, perché poi ci sono le
classificazioni per i pesci, per le acque, per la qualità…
Teste B. D. - Anche sotto l’aspetto dei pesci, tant’è vero che uno dei coltelli
che si girano nello stomaco è vedere i cartelli con scritto ‘Acque classificate
a salmonidi’. E uno si domanda quali acque.
ERCI
Teste C. E. - Ma voglio dire, piccolo
aneddoto, visto che era presente anche l'assessore provinciale, perché la
provincia mi risulta che abbia delle competenze specifiche in materia di tutela
biologica delle acque, gli feci osservare che sul torrente Erci prosciugato completamente,
c'erano ancora i cartelli della provincia che dicevano: 'acque per la pesca dei
salmonidi', ecco.
Pubblico Ministero - E non c'era più il
fiume.
Teste C. E. - Non c'era più il fiume.
Ma i cartelli erano rimasti.
Pubblico Ministero - Eh, e che risposte ha avuto?
Teste C. E. - Non ebbi risposta.
ENSA
Teste C. E. - Sì. Ora non tutte. Io ci vivo sul territorio e vivo tra l'altro
direttamente su uno dei torrenti che sono stati
impattati.
Pubblico Ministero -Che sarebbe quale, scusi?
Teste
C. E. - Che sarebbe il torrente Ensa che è l'unico che, sia
pure con metà delle acque che aveva prima, ancora sopravvive. [...] La mia diretta conoscenza è la scomparsa del
torrente Erci, la scomparsa del torrente Farfereta e l'impoverimento grave con
gli effetti sulla fauna. Per esempio, nell'Ensa era ricchissima di gamberi di
fiume. Il gambero di fiume ora con l'attuale portata non sopravvive più.
(1) Consulente tecnico.
(2) Guido Bollettinari, consulente tecnico di CAVET.
(3) Acronimo del progetto “Tutela delle Risorse Idriche nella Montagna
Mugellana” (Istituto Nazionale per la Ricerca sulla Montagna, Comunità Montana
del Mugello, Università degli Studi di Firenze, Istituto di Agrometeorologia e
Telerilevamento applicati all’Agricoltura).
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 8]
“SI È POSTA LA QUESTIONE DEL DIRITTO DELLE
ASSOCIAZIONI A COSTITUIRSI COME PARTI CIVILI. [...] LORO, CHE NELLE SEDI
COMPETENTI HANNO FATTO VALERE I LORO DIRITTI, SONO RIMBALZATI. [...] IL MANCATO RICONOSCIMENTO DI UN LORO PROPRIO DANNO
MORALE VORREBBE DIRE AVALLARE LE PREVARICAZIONI”.
I DANNI PER I TERZI
La conseguenza di tutto
quanto detto finora non può che essere la produzione di ingentissimi danni
economici e morali per i terzi.
Sui danni economici non ci dilunghiamo lasciando alle parti civili di
esplicitarli e quantificarli.
Qualcosa crediamo però vada
detta sui danni morali in quanto conseguenza del reato.
E i danni morali credo che, per tutte le motivazioni
dette in premessa, debbano interessare la Procura, perché i processi si fanno
anche perché ce n’è una necessità per chiamare ognuno alle proprie
responsabilità.
E allora i
danni morali sono importanti. Ci sono due categorie di danni morali: quelli
subìti dalle associazioni ambientaliste e quelli dei privati, e penso si debba
distinguere.
I danni morali per le associazioni ambientaliste.
Già nel corso dell’udienza
preliminare, e poi quando abbiamo trattato delle eccezioni preliminari
dibattimentali, si è posta la questione del diritto delle associazioni a
costituirsi come parti civili. Già in quelle sedi abbiamo rappresentato
perché si ritenga che queste potessero e dovessero essere ammesse come tali,
ovvero per un diritto proprio e non come semplici intervenienti.
All’esito del dibattimento
non possiamo che confermare quanto detto avendo dato prova di ciò.
È bene infatti ricordare che siamo in presenza di
un’opera pubblica. Non è che
c’è un pazzo, un piromane, brucia un bosco e va via. Quindi, di fronte ad un
interesse pubblico, sappiamo qual è l’iter per l’approvazione di un’opera
pubblica. Non vi è dubbio che quando ci sia un interesse
pubblico che lo esiga, si dà anche il caso che si possano cagionare danni a
terzi e che questi danni siano, appunto, danni da attività lecita e quindi al
di fuori di ogni ipotesi di reato, e quindi solamente passibili di indennizzo.
Anche perché, a fronte di questo, però, c’è un iter procedurale rafforzato. Nessuno può mettere in dubbio che in tale
iter procedurale amministrativo - o meglio nel corretto iter procedimentale che
si sarebbe dovuto seguire - avrebbero dovuto trovare cittadinanza anche i
così detti interessi diffusi e collettivi e che gli stessi ben potessero esser
tutelati da associazioni come quelle che qui oggi si sono costituite parti
civili.
Che vuol dire questo?
Se il procedimento dell'iter
amministrativo è corretto, da cui si desume esattamente cosa si farà, con quali
modalità, ed emergono tutti i fatti di rilevanza, io che ho accesso agli atti
potrò fare le mie considerazioni.
Cosa è successo invece nel nostro caso?
E’ successo un qualcosa di diverso.
Associazioni il cui compito, non solo
per statuto, ma anche ormai per il ruolo loro riconosciuto dal sistema
giuridico attraverso la consolidatissima giurisprudenza dei TAR e Consiglio di
Stato, è quello di partecipare alla emersione degli interessi in gioco onde
pervenire alla sintesi degli stessi per mezzo della corretta e giusta decisione
dell’organo pubblico demandato a decidere: sfidiamo a sostenere che tali
associazioni non abbiano o avessero legittimazione ad agire in sede
amministrativa per la tutela degli interessi cui sono preposte, come pure hanno provato a fare nel caso
dell’Alta Velocità.
È in atti il ricorso al TAR
di Idra il cui esito è stato però nullo.
E non poteva essere
diversamente.
Nel caso di specie infatti
le armi della associazioni ambientaliste erano del tutto spuntate. Avendo
scelto gli esecutori dell’opera la scorciatoia di non rappresentare i danni che
si sarebbero realizzati, avendo omesso di produrre le relazioni geologiche di
dettaglio, di indicare con precisione le possibili interferenze sul tessuto
idrogeologico, ecco che le associazioni hanno avuto lo sgradevole ruolo di
cassandre, ovvero di visionari che per preconcetta ideologia erano contrari
all’opera, ma con nessun appiglio giuridico o in fatto cui aggrapparsi, il
che, in un processo di legittimità e non di merito qual è il processo
amministrativo, li votava al fallimento, all’inesorabile fallimento com’è
stato.
In numerose occasioni il Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni
contro i progetti di Alta Velocità di Firenze, Terzolle, Mugnone e Mugello prima, e Idra poi, hanno segnalato circostanziatamente alle autorità amministrative
e politiche attraverso lettere, memorie e audizioni le apparenti carenze,
inadempienze, omissioni e sintomatologie di danno ambientale in atto o
prevedibile per effetto dei progetti approvati nelle Conferenze di servizi per la tratta Bologna-Firenze, per la Variante
di Firenze Castello e per il Nodo di Firenze. Solo i documenti prodotti da Idra alla
Procura, rappresentano un faldone degli atti di questo processo.
Ora non è
che quantità fa qualità. Voglio dire: ce ne potevano essere due, dieci, venti,
non importa. Questo serve per dire che però sono stati il Coordinamento dei comitati, le associazioni contro il progetto dell’Alta Velocità, tutti, istanze, richieste a Ministero, Regione,
quant’altro, tutto lettera morta. Ed allora, se è lettera morta, oggi che è accaduto ciò che dicevano, ciò
che prevedevano che sarebbe accaduto, come si fa a dire oggi che le
associazioni non potessero e non dovessero intervenire proprio in questo
processo? Perché mi interessa? Io non è che mi sto sostituendo agli
avvocati. Non mi importa nulla. Però è
un dato fondamentale, questo. [...] Mi interessa sull’iter, perché quando
arriveremo alle autorizzazioni, a ciò che è stato autorizzato, ciò che è stato
rilasciato, ciò che era legittimato a fare CAVET, qui ne abbiamo una prova. Se fossero
stati autorizzati a tutto, avrebbero forse avuto un esito diverso gli
interventi delle associazioni ambientaliste. Ma se si dice che non succedeva
nulla, non accadeva nulla, tutti i ricorsi sono bocciati, e poi succede quello
che succede, qualcosa non torna. Ed ecco allora perché mi interessa, ai miei
fini, anche il ruolo delle associazioni.
Perché loro, che nelle sedi competenti
hanno fatto valere i loro diritti, sono rimbalzati.
E allora come si fa a
negare che le associazioni non potessero - e dal loro punto di vista anche non
dovessero - intervenire in proprio in questo processo e non solo come mere
intervenienti?
Riteniamo
infatti che proprio in questo processo - ripetiamo, a maggior ragione
trattandosi di opera pubblica - le associazioni avessero ed abbiano diritto ad
un intervento in proprio quantomeno per il danno morale connesso alla
“estromissione di fatto” dall’iter procedimentale amministrativo delle loro
ragioni e dalla conseguente lesione del diritto all’immagine dovuta al fatto
che si sono proprio verificati dei danni all’ambiente che esse avrebbero dovuto
tutelare prevenendo fatti proprio come quelli accaduti e provati.
Ripetiamo. Come si fa a dire che le associazioni non hanno
avuto un danno proprio? Non sono state arbitrariamente spossessate dei loro
diritti e facoltà? Non devono rendere forse conto ai loro associati dei
negativi risultati del loro operato con rischio di perdita di credibilità?
Diremmo di sì. È riportato negli atti di Idra la protesta di una cittadina
al consiglio comunale aperto di Luco che ad un certo punto sbotta e urla il
rimprovero: “Ma dove sono le associazioni ambientaliste?”. Il mancato
riconoscimento di un loro proprio danno morale vorrebbe dire avallare le
prevaricazioni. Lascio ai difensori
delle associazioni il dettaglio del loro vano tentativo di prevenire e
scongiurare i danni che poi si sono verificati. Lascio a loro di evidenziare
come - nonostante i loro numerosi appelli, inviti, sollecitazioni ad
approfondimenti - si sia andati invece avanti a diritto senza nulla voler
sentire, trattando le associazioni ed i loro appartenenti come catastrofisti
menagrami a cui concedere, al massimo, il contentino dell’Osservatorio
Ambientale Nazionale. Organismo, vedremo, con poteri pari autoritativi pari a
zero.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 9]
“IO CREDO CHE SUBIRE LA DEGRADAZIONE DI UN DIRITTO IN UN FAVORE, PER ME CHE HO LAVORATO ANCHE NEL MERIDIONE, E QUANT’ALTRO, HO UNA INENARRABILE
SERIE DI ESEMPI, È UN GRAVE DANNO MORALE. È UN QUALCOSA CHE GIUSTIFICA IL
PRESENTE PROCESSO”.
I DANNI MORALI AI PRIVATI
ED ALLA COLLETTIVITÀ
Ho provato a leggere proprio le testimonianze sui pesci, e così via,
proprio per far capire che si parla di vita vissuta. Ribadisco, se si riesce ad avere un minimo di
sensibilità e di immedesimazione, ci si rende conto come si parli [...] della vita proprio di tantissime persone. Oltre ai danni economici vogliamo negare i
danni ai privati ed alla collettività per tutto quello che riguarda l’interesse
a vivere in un ambiente incontaminato?
Senza essere patetici, e per stare sul basso e
pratico, basta che ognuno provi a pensare di tornare oggi a casa e sentirsi
dire che non c’è l’acqua corrente.
È tutta gente che ha perso l’acqua, l’acqua corrente in casa. Abbiamo
storie a non finire. Se uno pensa oggi, ora, piglia, va a casa, e non trova
l’acqua. Ma nessuno glielo ha detto prima. E non subito, ma piano, piano,
sempre senza acqua. Comincia. Aspetta. Forse torna. Telefona. Si informa. Sa
che ci sono i lavori dell’Alta Velocità, prova ad andare al cantiere. Nessuno che ti venga a cercare per spiegarti cosa è successo. E poi
scopri, piano, piano, piano, ma sempre senza acqua, che l’acqua non tornerà. Non tornerà, ma non per un’ora, non per un
giorno. Non tornerà mai più. Testimonianze a gogò. E poi a
protestare. Urlare. Minacciare. Se sei bravo, ed hai fortuna, ti portano le
autobotti. Ma all’inizio, perché poi tutte le cose che durano annoiano.
Fornitura che dovrai sollecitare, chiamare, organizzare te. Perché una volta
salta il turno, una volta il cantiere è in ferie, una volta è Natale, etc. etc.
Trattiamo di queste circostanze nell’ambito dei danni morali perché le testimonianze delle persone offese, oltre
a dare innegabile prova di un importantissimo danno concreto, economico e di
ordine pratico per loro, a noi hanno provocato uno sgradevole senso di disagio
e di umiliazione nell’immaginarsi e nell’immedesimarsi di dover essere noi a
chiedere, ad attivarsi, se necessario pietire, per riavere un surrogato di un
qualcosa che avevamo e chi ci è stato portato via con la forza.
E lasciamo perdere se poi dopo, e chissà quanto dopo, e se mai, arriverà
l‘acqua dell’acquedotto e con che costi. Questo è un danno economico che avrà
le sue sedi di più esatta valutazione.
Qui si parla
del disagio e delle umiliazioni che sono lo stesso disagio e la stessa
umiliazione che proviamo ogni qualvolta vediamo qualcuno costretto a chiedere
come favore qualcosa che gli spetta invece di diritto.
Io credo che subire la degradazione di un diritto in un favore, per me che
ho lavorato anche nel Meridione, e quant’altro, ho una inenarrabile serie di
esempi, è un grave danno morale. È
un qualcosa che giustifica il presente processo.
E siccome riteniamo che un pubblico ministero
debba sempre render conto, e per primo proprio ai suoi imputati, dei fatti e
delle ragioni per cui sono stati tratti a giudizio, ecco che diciamo che lo
svilire i diritti degli altri in graziose concessioni è proprio una di quelle
ragioni necessarie e sufficienti per imporre che si instauri un processo quale
quello che stiamo qui celebrando: è proprio perché ciò non può essere tollerato
e per contribuire ad evitare che casi analoghi riaccadano ancora.
Che non riaccada ancora quel che è accaduto al
sig. T. V. dopo l’impatto di Casa d’Erci che ha messo in ginocchio Luco e
Grezzano. Che non riaccada che l’ing. Cece (1) gli abbia potuto rispondere, con
l’arroganza di chi sa di avere le spalle coperte, dicendogli “e chi ha detto che si
debba portare noi l’acqua?”.
O che la sig.ra U. Z. sia dovuta diventare
Cavet–dipendente.
Pubblico
Ministero -Ne avete usufruito di
queste autobotti?
Teste U. Z. - Sì, ne abbiamo usufruito.
Pubblico
Ministero - Tuttora?
Teste U. Z. - Tuttora. Chiaramente non l'inverno, perché quando
piove un pochina d'acqua arriva. Il momento che non piove
più, l'acqua non arriva.
Pubblico Ministero - Sempre a richiesta
vostra?
Teste U. Z. - Sempre a
richiesta nostra. Noi dobbiamo controllare che le cisterne siano vuote, si
telefona. E, bontà loro, ci portano l'acqua.
O al sig. V. A., che si prende una partaccia
da A. E. (2) perché si è costituito parte civile.
Avvocato Parte Civile - Ecco,
no, ma lei quindi ha avuto più colloqui con queste persone.
Teste
V. A. - Guardi, io
è quattro anni che faccio il viottolo e ora mi cominciano a sbattere le porte
in faccia. L'ultimo è per esempio
l'ingegner A. E. che... l'ultima volta in maniera veramente scortese mi ha
detto, dice: 'mi dovrebbe ringraziare perché le ho portato l'acqua per quattro
anni'. Va be'. Mi ha fatto notare che io aderivo a questo processo come parte
civile. E secondo lui non dovevo aderire. Ma insomma, ora mi sembra
francamente... siamo un pochino al linciaggio. Nel senso, ma... dopo quattro
anni uno da chi può avere delle certezze? insomma...
Giudice – Bene.
Teste
V. A. - Io ho
sempre detto all'ingegner A. E. che se mi fa l'impianto e mi garantisce un po'
di spese, io... voglio dire, non ce
l'ho mica con lui personalmente. Io... è una situazione che non avendo altre
fonti di approvvigionamento, o si fa così, o la casa... Io è quattro anni, se
la dovevo vendere questa casa, ma chi me la compra? Cioè, non so... Questo...
credo siete tutte persone ragionevoli, quindi...
Oppure come
al sig. Z. B. Il sig. Z. B. si era trasferito in campagna, poi gli seccano il
pozzo e cominciano a portargli l’acqua con un’autobotte. Addirittura per non
perdere tempo – siamo all’efficienza massima, per dire, insomma, non siamo
neanche all’improvvisazione - per non perdere tempo gli lasciano un camion lì.
Un camion: tu hai l’acquedotto, vai lì, camion parcheggiato davanti. Quando non
c’era più, telefonava a Miola (3). È chiaro che non poteva durare. Ed infatti
CAVET ad un certo punto dice: ma quanta acqua consumi? Cioè gli manda a fare i
conti in casa. Ovvie quindi anche le discussioni. E come è finita? Prevedibile.
Z. B., che da Firenze era andato al Mugello, dal Mugello torna a Firenze. Torna
dove era prima.
Quindi il diritto
soccombe e si degrada in favore. Favore secondo i tempi e i modi di CAVET. E allora
cosa accade per le feste? A Natale per esempio? A Natale è ovvio gli operai
vanno quasi tutti a casa ed al cantiere si ferma tutto, si fa il minimo.
E infatti L. N. a Cerreto Maggio resta senz’acqua per Natale ed è
costretto ad attaccarsi al telefono. Sembra una sciocchezza, detta così in un
processo. Chiediamo che tutti facciano mente locale al loro ultimo Natale ed
immaginarlo senz’acqua. Crediamo che un Natale senz’acqua uno se lo ricordi per
tutta la vita.
Continuando, ci domandiamo.
Non sono danni quelli di chi, per
scelta di vita, si è trasferito in campagna sulla riva di un fiume o di un
mulino con il piacere di sentire scorrere l’acqua e si ritrova un fosso in
secca?
Non è un danno subito quello di chi poteva scegliere
di fare un bagno in una polla d’acqua fresca in una domenica d’estate vicino
casa o comunque nel meno trafficato Mugello, invece di essere obbligato, ad
esempio, a mettersi in macchina sulla Firenze-Mare e ritrovarsi in coda in uno
dei mille “esodi” annuali, documentati da tanti telegiornali?
C’è gente che aveva la piscina di acqua
minerale. Una cosa incredibile nel 2000. Bruciata.
Non sono danni il non poter più pescare, fare una
passeggiata e bere a una sorgente, un bagno nel Bosso che aveva polle di acqua
purissima profonda anche quattro di metri e dove ci si poteva tuffare di testa?
Non è un danno, per chi lo faceva, non
poter più fare una gita a Moscheta usando il gradevole pretesto di prendere
l’acqua di montagna che ora invece, è banalmente quella dell’acquedotto di
Imola? Un danno – e qui poi arriveremo alla sentenza della Corte Costituzionale
- di perdita di identità, di storia, di civiltà non poter più bere ad una fonte
che esisteva dal 1.200. O una gora come quella del sig. T. V. con origini
risalenti al 1000 perché già usata dai frati Camaldolesi di Luco. In questo
processo abbiamo prove, testimonianze, documenti, pietre, lapidi. [...] Lapidi a gogò del 1.800. A memoria d’uomo tutti
posti d’acqua. Niente. Tutti, non ci sono più.
L’elenco potrebbe continuare, ma ci fermiamo
qui.
Poi – voglio dire - secondo la sensibilità di ognuno,
se ad uno gli piace stare in coda, in centro, dentro un Suv, è un discorso. Ma
ci sono anche i danni di chi per scelta di vita si è trasferito in campagna,
sulla riva di un fiume, di un mulino, perché gli piace sentire scorrere
l’acqua, non stare nello smog, chi voleva fare un bagno in una polla d’acqua
fresca una domenica d’estate.
Ed allora, l’alternativa... Ripeto, si potevano fare
questi danni: segui l’iter! Ma non se dovuti all’ignavia di chi non ha avuto il
coraggio di dichiarare che questi danni si sarebbero verificati, evitando di
assumersi le responsabilità e realizzandoli.
E poco importa [...] ricorrere
allo schermo dei soliti vuoti luoghi comuni usando a vanvera parole come
‘progresso’ e ‘modernità’, dietro le quali si nascondono invece solo ordinari
esercizi di potere ed arroganza, come
testimoniato nel colloquio Cece – T. V., dove di modernità e di progresso
c’è ben poco, mentre c’è solo la prova di un’ordinaria manifestazione
dell’utilizzo delle prerogative di una posizione di potere usata dal forte
contro il debole:
Teste T. V. - Sì, con Cece ho avuto modo di parlarci
anche in seguito. No, loro sostenevano che... Insomma, nessuno mai... dove era
scritto che si doveva riportare l'acqua nei fossi, nelle sorgenti, tutti i
lavori... i discorsi che comunemente venivano fatti erano questi. Comunque,
dice: 'ovunque noi si va, questo succede. Dove è scritto che noi si deve
restituire l'acqua ai pozzi, portare...eccetera?'. Questa era un po' la
strafottenza anche, scusatemi il termine, che veniva fuori in queste riunioni
quando venivano pressati un po' dagli agricoltori e dalla popolazione. Per cui,
l'impressione che si aveva è che questi andavano a diritto, diciamo, senza...
così, proprio con un'altra mentalità. Come dire: 'ma voi vi preoccupate
dell'Appennino, delle castagne, dei laghetti, delle cose, ma noi si deve fare
quest'opera. Chi ve l'ha detto che...?'. Questa era la sensazione a pelle,
nettissima, che si aveva parlando anche con l'ingegnere Longo (4), per esempio,
mi viene in mente un altro nome però successivo, che è subentrato, credo, al
Cece.
Lo ripeto, tecnicamente non sono né progresso né modernità. Ma, per gli economisti e i giuristi,
solo casi di “esternalità negative” non ammissibili in uno Stato di diritto ed
efficiente.
(1) Ing. Massimo Cece, imputato CAVET
(2) A. E., responsabile di
cantiere CAVET
(3) Dr. Antonio Miola, imputato CAVET
(4) Ing. Michele Longo, imputato CAVET
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 10]
“IL DANNO
MERAMENTE ECONOMICO PROVOCATO SULLE RISORSE IDRICHE È DI OLTRE 110 MILIONI DI
EURO. 220 MILIARDI DI VECCHIE LIRE. IL DANNO AMBIENTALE VIENE INDIVIDUATO NEL
SUO VALORE PIÙ ATTENDIBILE IN MISURA PARI A CIRCA 741 MILIONI DI EURO. CIRCA
1.500 MILIARDI DI VECCHIE LIRE”.
LA VALUTAZIONE DEI DANNI
Ed allora valutiamoli questi danni: la Procura li ha
fatti calcolare. Lasciamo perdere un attimo quelli economici ed arriviamo
proprio all’impatto. La Procura li ha
calcolati facendo la lista degli effetti delle interferenze sugli acquiferi,
dello scarico dei rifiuti, la perdita di produttività delle aziende agricole, i
danni alla flora igrofila.
E già di per sé non sono certo somme irrisorie, e non lo potrebbero certo
essere sol che si pensi che lo stesso dr. Celico con un certo
aplomb ammette che tra i danni vi è
l’abbassamento della quota di disponibilità della risorsa idrica. Dal che, per
ripristinare lo status quo ante, si dovrebbe ripristinare lo stesso potenziale,
il che significherebbe fare tanti di quegli impianti di sollevamento ed usare
tanta di quell’energia che pare ridicolo solo immaginarlo. Tradotto:
l’acqua era in cima. Si è stappato. Si trova giù. Il danno sarebbe di riportare
con un ponte, non so con che cosa, alla stessa quota. Ridicolo solo pensarlo
che ci voglia tanta di quell’energia e tanti di quegli impianti che è assurdo.
Quindi un danno che non è che ce lo siamo inventati: c’è.
Ma si è fatto calcolare anche il danno ambientale tout court.
E come si è fatto?
Si è fatto
come si può fare in un processo. Si è fatta un consulenza, si è cercato di capire
quali fossero i professori che si occupano della materia, vedere i loro
curriculum, cosa hanno fatto, che tipo di attività, vedere se proprio sono
pazzi. Si sono individuati professori
universitari della materia che hanno usato la procedura già utilizzata in sede
internazionale per valutare il danno di altre catastrofi ambientali quali
quella del naufragio della Exxon Valdes, e si è conferita una Ct collegiale.
Non crediamo che il codice di procedura preveda, contempli, richieda o
permetta qualcosa di meglio.
Insomma tutto questo per cercare di fare una cosa fatta nel modo migliore
possibile.
I risultati sono quelli a suo tempo discussi.
Il danno
meramente economico provocato sulle risorse idriche è di oltre 110 milioni di
euro. 220 miliardi di vecchie lire.
Il danno
ambientale viene individuato nel suo valore più attendibile in misura pari a
circa 741 milioni di euro. Circa 1.500 miliardi di vecchie lire.
Sembra un dato esagerato?
Ricordiamocelo questo dato. 1.500 miliardi di vecchie lire.
E le prove a controprova della difesa?
La Ct (1) del prof. Segale (2)
Il Ct Segale in udienza si
presenta per confutare la Ct Romano (3). [...] Chiaramente cosa ti aspetti? Che ci
dica che Romano ha preso lucciole per lanterne. Quindi siamo moderatamente tranquilli.
Vediamo come ce lo dice.
E Segale parte male, malissimo, si brucia subito al
terzo minuto. Saluta, si presenta come
docente all’Università degli Studi di Milano e attualmente titolare della
cattedra di Fondamenti di valutazione di impatto ambientale; espone il suo curriculum e poi si ferma, perché, parole sue, “se
no diventa poi esagerato”. Fa quindi una
premessa sull’estimo precisando che esiste un estimo ambientale, che è la sua
materia, ma “anche un estimo legale dove l’estimatore deve far riferimento
non a criteri e dogmi estimativi, ma a ciò che dice la legge”.
Ed ecco il passaggio
rilevante della Ct Segale espresso subito sin dall’inizio.
Ct Segale: “Quindi, da questa
definizione si evince, almeno a mio avviso, chiaramente, che TAV ha provveduto
attraverso la (incompr.), la
Conferenza dei servizi e il monitoraggio –
e sottolineo il monitoraggio – e
successivamente l’azienda, un Master Plan (4), ha messo in essere una
serie di misure mitigatorie compensative
– poi dirò meglio cosa intendiamo noi per mitigazione e compensazione,
perché sono due cose diverse – che ad
oggi non sono state completate. E quindi io credo di poter dire che nessun
esperto può in questo momento affermare se ai fini di tali interventi di
bonifica e di ripristino residuerà una parte irreversibile e permanente alle
risorse ambientali”.
Quindi il dr. Segale inizia
e conclude subito dicendo in pratica che al momento in cui siamo, non si può
sapere nulla sul danno ambientale.
Detto ciò, se secondo il
dr. Segale nulla si può dire oggi sui danni, pareva lecito aspettarsi che il
dr. Segale chiudesse lì la sua Ct e se andasse, o per lo meno se ne andasse
subito dopo aver fatto, come ha in effetti fatto, la sua viva raccomandazione
di prendere la Ct Romano, Stefani (3), Rocchi (5) e buttarla via. Il che poteva
anche andar bene visto che come Ct della difesa il prof. Segale era venuto
apposta e aveva questo compito da svolgere ...
Il problema è che il dr. Segale, invece di chiudere lì, ha proseguito
nell’esposizione.
Se la prende a più riprese
anche con il Ct Rodolfi, un geologo che è andato a vedere se c’era l’acqua o
meno nei fiumi, al quale nessuno ha
chiesto una stima dei danni essendo un geologo. Ma poi si capisce perché:
perché secondo lui una stima la può fare più o meno chiunque, e non ha torto se
in concreto si tratta di fare ciò che ha fatto lui.
Ct difesa Segale: “Sì. … e sono arrivato a
definire, facendo un attento esame dell’Addendum, del Master plan… - andando a
telefonare, a capire i vari passaggi, eccetera eccetera -, che attualmente TAV
ha concordato attraverso un metodo che è semplicemente… non so se riesco a
farmi capire… ma comunque viene chiamato… è una stima, diciamo è semplicemente
un computo metrico estimativo, computo metrico estimativo delle cose fatte, in
corso d’opera e da farsi”.
Al che c’è da rimanere un
po’ perplessi visto che si era appena venuti a conoscenza dell’istituzione di
una importante cattedra di Fondamenti di valutazione di impatto ambientale che, a questo punto, non si capisce più
cosa insegni. Ed infatti l’accusa prova ad obiettare timidamente:
PM - Pensavo
fosse una cosa da geometri, ma comunque mi insegni lei in materia cosa c’entra
il computo metrico estimativo.
E il dr. Segale risponde:
Ct difesa Segale - A parte che i geometri sanno l’estimo molto meglio di altri
professionisti, non c’è differenza se lo faccia un geometra o se lo faccia un dottore...
Ed ha ragione il dr. Segale. Non c’è differenza.
Almeno per lui. Quindi la cattedra si può buttare via, basta andare a geometri.
Infatti la stima del dr. Segale non è
altro che la sommatoria delle opere compensative conseguenti la Conferenza dei
Servizi, le somme dell’Addendum e quelle del redigendo Master Plan,
riconosciute da TAV come somme da pagare. Gli effetti dell’opera dell’alta velocità sono solo e soltanto questi, e
quindi questo è il danno ambientale.
Quando ha detto questa cosa mi ha fatto sorridere, mi sembrava l’allenatore Bo?kov: “Rigore è
quando arbitro fischia”. Qui “danno è
quando TAV paga”. Non ho capito. Cioè,
che cosa è questa cosa? Non c’è nulla di più. Fa la somma di ciò che è stato
pagato o si pagherà. La somma. Non c’è una valutazione: è una somma.
Allora voglio dire, siccome il Giudice è perito dei
periti, il Pubblico Ministero no, cerca di capire. Siccome bisogna capire la
razionalità. Quegli altri si sono sbattuti, hanno fatto interviste. Si butterà
via tutto, ma Romano non mi interessa, è agli atti. Ognuno gli dà quello che
vuole: ma hanno fatto un lavoro, spiegato. Questo fa una somma.
Allora vediamo
questa somma su che basi logiche si basa. [...] Non è che ci si può acquietare su
questa conclusione venuta buona per l’occasione. Corre l’obbligo di verificare
seriamente e criticamente come il dr. Segale sia pervenuto alle sue
conclusioni. Si deve verificare la congruità dei passaggi dell’iter logico
tramite il quale il prof. Segale è giunto a tali determinazioni finali.
E ce la leggiamo, perché ci tocca leggerla questa
roba a noi, non è che poi... Ce la leggiamo e vediamo la congruità.
E il risultato, alla
verifica, non regge.
All’esito del controesame
del PM restano infatti apodittiche, assiomatiche, oscure, indimostrate le
seguenti affermazioni del prof. Segale:
Pg. 4: “Obiettivo della stima è
dimostrare, tramite l’analisi puntuale di tutta la documentazione disponibile,
tra cui sono ricompresi sia i documenti prodotti dai Ct dei PM, sia i documenti
prodotti dai Ct di CAVET, che non esiste alcun impatto ambientale diverso da
quello presumibile dall’esecuzione dell’opera”.
Domanda del PM - Qual è questo impatto
presumibile visto che è dal ’99 che lo andiamo chiedendo a tutti?
Risposta - Quello che risulta dai
documenti.
Domanda - Va bene, ma quali
documenti, ce li indichi che noi li cerchiamo da sei anni?
Risposta - Dai documenti.
Punto.
E allora andiamo avanti.
Pg. 6: “… Lo scavo di una galleria
drenante, realizzato da TAV, appartiene a quelle opere programmate e
pianificate a livello europeo e nazionale, che per essere realizzate devono
seguire un preciso iter autorizzatorio, che nel caso in esame è stato
puntualmente seguito in fase di progettazione (VIA), di realizzazione, di
monitoraggio, e che ha provocato danni previsti e prevedibili, temporanei,
reversibili e ripristinabili…”.
Affermazione
importante, risolutoria ed esaustiva. E non poteva venire a darcela prima il
prof. Segale questa notizia? Perché ha fatto perdere a tutti noi, o almeno lo
ha fatto perdere all’Ufficio di Procura, così tanto tempo se aveva la risposta
decisiva in tasca? Il processo poteva
finire lì e potevamo andarcene tutti a casa, bastava non avere la
maleducazione di chiedere quali fossero nel dettaglio i danni previsti, dando
un nome e cognome a quelli prevedibili, a quelli temporanei, a quelli
reversibili e a quelli ripristinabili, tanto per farsene una ragione.
La risposta del prof.
Segale è ancora da venire.
Pg. 16: “In particolare l’acqua, essendo una risorsa
rinnovabile, non può essere definita un bene raro.”
Così, categorica, senza
precisazioni o un pur lieve distinguo. L‘acqua non è un bene raro. Dalle
Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, dalla Groenlandia al Sahara.
Affermazione perentoria senza il beneficio di alcun dubbio. E poco importa
se l’altro consulente di CAVET, il dr. Zerbi seduto a suo fianco, aveva appena
detto cinque minuti prima, con tanto di slide, l’unica cosa interessante della
sua Ct, ovvero che dal 1950 al 2000 la portata del fiume Arno è diminuita del
50%.
Invece il prof. Segale, oltre Romano e C., snobba anche il suo collega di
consulenza e tira diritto.
E siccome il
Pubblico Ministero va avanti:
“Scusi, ma l’acqua non è un bene raro da tutte le parti?”, unica concessione alle
contestazioni del PM è che se l’acqua non c’è proprio in un posto preciso,
come per esempio in un deserto, poco male, si trasporta.
Dobbiamo concludere quindi che non c’è nessun problema?
Non crediamo.
Un dato utile però lo possiamo trarre dalla Ct di Segale.
Nelle sue conclusioni egli
mischia dati non omogenei mettendo insieme le opere compensative approvate in conseguenza
della conferenza dei servizi (opere tra le quali ci piace sempre ricordare gli
interventi di qualificazione ambientale quali i muretti a secco di Moscheta ed
i punti ristoro di Moraduccio e Camaggiore), le opere dell’Addendum e del
mitico Master Plan.
Apriamo un parentesi sul
Master Plan. Diciamo “mitico MP” perché il bello è che al momento della Ct del
prof. Segale [...] il MP non esiste, non è carta
bollata, ma un’idea, una bozza di ipotesi.
La cosa è particolare
perché ricordiamoci come il prof. Segale nella sua deposizione abbia dato prova
di rifiutare qualsiasi fuga in avanti nel futuro, avendo detto che nessuno,
oggi, può sapere quali saranno i danni irreversibili. E lui che, fa? Pone a
base di una sua valutazione un accordo ancora di là da venire.
Ma non importa, in ogni
caso per il prof. Segale il MP è la panacea di tutti mali perché a pg. 95 della
Ct, addirittura in neretto, afferma: “Essendo ormai ampiamente dimostrato che il danno
alla risorsa idrica è reversibile e ripristinabile, il MP ne rappresenta di
fatto la quantificazione e il risarcimento”.
Quindi il Master Plan
farà il miracolo di far tornare l’acqua e chi ha diritto a essere risarcito lo
sarà [...].
Chiudo la parentesi e torno ai numeri utili del prof.
Segale. Il dr. Segale dà i seguenti numeri:
·
Conferenza
servizi opere per un valore di euro 749.836.729,73;
·
Addendum
per un valore di euro 53.155.000,00;
·
MP per un valore di euro
92.778.728,00.
Lucro cessante per le aziende: euro
1.935.634,00.
La
cosa è interessante perché da ciò si desume - che pur sempre mischiando dati
non omogenei, ma ha cominciato il prof. Segale - gli effetti dell’alta velocità per lo stesso Ct di CAVET sono comunque
nell’ordine di circa 900 milioni di euro, 1.800 miliardi di vecchie lire.
Al netto del danno morale che ovviamente non ci
aspettavamo fosse conteggiato dai Ct della difesa.
Ed allora concludiamo sul
punto.
Ricordiamoci che il danno ambientale calcolato dai Ct
del pubblico ministero è di circa 1.500 miliardi di lire, quindi meno degli
effetti indicati dal dr. Segale.
Da ciò si desume che i dati del prof. Segale e quelli
dei CC.tt. del PM sono dello stesso ordine di grandezza.
900 milioni di euro per il prof. Segale, 741 milioni
per il dr. Romano e gli altri. 1.800 miliardi di lire per il prof. Segale,
circa 1.500 miliardi di lire per il dr. Romano ed altri.
Quindi pare elemento acquisito in questo processo che
un‘opera quale quella di cui si sta trattando produce effetti calcolabili
nell’ordine di centinaia di milioni di euro e delle migliaia di miliardi di
vecchie lire.
Perciò è dato acquisito al
processo che la somma di 751 milioni di euro non è una somma fantascientifica,
ma aderente alla realtà dei fatti per cui si sta procedendo.
Ed allora, vista la qualità del lavoro del prof.
Segale, visto che alla fine egli deve comunque ammettere l’ordine di grandezza
degli effetti della Firenze-Bologna, visto che a questi vanno aggiunti il danno
morale ed il danno ambientale vero e proprio, torniamo a valutare la qualità
della Ct di Romano e Stefani. Siamo sicuri che la Ct Romano sia da buttare via
come ha detto Segale? Noi crediamo sia piuttosto un ottimo lavoro ed un buon
punto di riferimento per ancorare una seria valutazione dei danni. Sicuramente
una Ct più attendibile di quella del prof. Segale.
(1) Qui, e a seguire, si intende per “Ct”, a
seconda dei casi, “Consulenza tecnica” o “Consulente tecnico”. Per “CC.tt.” si
intende “Consulenze tecniche”.
(2) Prof. Alessandro Segale, Consulente della
difesa.
(3) Donato Romano e Gianluca Stefani, autori
della Consulenza tecnica per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Firenze “Valutazione economica del danno ambientale per la società”, Firenze,
aprile 2006.
(4) Ci si riferisce qui al cosiddetto “Master Plan
degli Interventi di Mitigazione e Valorizzazione Ambientale delle aree
attraversate dalla linea ferroviaria AV/AC Bologna-Firenze di cui all’Addendum
2002” (testo all’indirizzo http://servizi.rete.toscana.it/tav/directory.php?idCartella=11923&mostra=all&cartelle=Y).
(5) B. Rocchi, autore della Consulenza tecnica
per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze “Valutazione
economica del danno alle risorse idriche”, Firenze, marzo 2006.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 11]
“SI PUÒ LEDERE ANCHE LA PROPRIETÀ PRIVATA, MA SI
DEVONO SEGUIRE LE PROCEDURE DOVUTE. CIÒ CHE NON È AMMESSO, NEPPURE IN CASO DI
OPERA PUBBLICA, È DI METTERE I TERZI DI FRONTE AL “FATTO COMPIUTO”. QUESTO
ASSUNTO NON È UN TEOREMA, UNA IDEOLOGIA, MA È PURO DIRITTO”.
LA CONDOTTA
Visti i danni passiamo alla
condotta. La condotta attribuita agli imputati è quella di aver provocato
ingenti danni all’ambiente ed alle proprietà di persone fisiche nel corso di
un’attività non legittimata ed autorizzata fino a tal punto. È questo
l’aspetto che interessa. È un po’ il
nocciolo del processo.
Perché parliamo di attività
non autorizzata? Perché solo nel caso di un’attività debitamente e puntualmente
autorizzata sarebbero scriminati i danni realizzati.
Dall’inizio delle indagini
è proseguita nei tre anni di dibattimento la ricerca da parte della Procura di
un eventuale provvedimento autorizzatorio di tutto quanto è successo.
Già durante le indagini,
nei primi interrogatori della Sargentini e del Trezzini - nella loro veste di
rappresentanti dell’Osservatorio Ambientale – fu chiesta l’esibizione degli
atti da cui si potesse desumere la lista dei danni che CAVET era stata
autorizzata a cagionare in relazione all’esecuzione della tratta FI-BO. E
ricordiamo la sorpresa di apprendere il fatto che non esistesse niente in tal
senso, e di come i lavori di scavo andassero avanti così, ad occhio, con una
modalità che, se la vogliamo definire con benevolo termine eufemistico,
potremmo definire di “work in progress”. Peccato che l’ordinamento italiano non
ammetta però il calpestare i diritti dei privati, lo sconquasso del territorio,
anche se cagionato da un “work in progress”. La pubblica amministrazione deve
sottostare al rispetto delle leggi e può esercitare la supremazia
concessale e cagionare danni (o farli cagionare a chi opera per suo conto) solo
se adotta provvedimenti conformi alle leggi. Maggiormente laddove per
raggiungere i suoi scopi, ha necessità di sacrificare il paesaggio da una parte
ed i diritti soggettivi o interessi legittimi di privati dall’altra, dovendo
adottare provvedimenti ablatori nei loro confronti.
Ricordiamo solo di
passaggio gli artt. 9, II comma e 42, II comma, della Costituzione. Il primo
afferma la tutela del paesaggio della nazione, il secondo la proprietà privata
anche nei casi in cui debba soccombere a motivi di interesse generale.
Solo nel rispetto del principio di legalità non si
producono danni penalmente rilevanti, ma danni conseguenti da attività lecita e
quindi meramente indennizzabili.
Per esemplificare, tutti
sanno cosa si deve fare per espropriare un metro quadrato di terra ad un
privato per realizzare una strada pubblica, una scuola, della case popolari. Lo sa
CAVET che, come ricorda Longo, ha un apposito ufficio espropri.
IMPUTATO LONGO – Sì, ne sono a conoscenza
anche se, anche qui, diciamo, la struttura era organizzata, la struttura Cavet,
era organizzata con un ufficio competente a monte del cantiere...
PM DR. TEI – Quale è?
IMPUTATO
LONGO – ...che era un ufficio espropri che curava tutte le procedure necessarie
per avere, arrivare alla disponibilità dell’area, e in quel momento lì il
cantiere entrava nella disponibilità dell’area e realizzava l’opera.
PM DR. TEI – Perfetto. Quindi le davano
il via?
IMPUTATO LONGO – Sì.
PM DR. TEI – Quindi, allora, possiamo
concordare su questo. Che un progetto esecutivo che va avanti per fasi, però
secondo le esigenze di volta in volta vuoi su un esproprio, vuoi su una cosa [inc.] voi acquisivate, i vostri uffici più competenti
acquisivano le varie autorizzazioni, le varie nulla osta [inc.], e voi, avuto il via, procedevate esecutivamente?
IMPUTATO LONGO – Sì.
PM DR. TEI – Questo è esatto. Se c’era
qualcosa che esulava, voi dovevate scrivere e segnalare la vostra esigenza?
IMPUTATO LONGO – Sì, certo. Evidentemente nel
momento in cui potevano nascere problemi. Però normalmente il costruttivo nel
momento in cui veniva redatto c’era anche una relazione sulla conformità
rispetto all’esecutivo, e veniva verificato anche a livello di occupazione
delle aree. Per cui si verificava se l’occupazione delle aree era quella
prevista in esecutivo...
PM DR. TEI – Ecco. Con tutti gli aggiustamenti
sul campo.
IMPUTATO LONGO - ...e poi l’ufficio espropri
si tarava su quella situazione per procedere.
PM
DR. TEI – Perfetto.
Un work in progress secondo. C’era una visione di massima, e poi in concreto si
andava a verificare?
IMPUTATO
LONGO – Bene.
Niente
di tutto questo esiste per i danni alla risorsa acqua di cui si occupa questo
processo.
Lasciamo ai difensori
l’improbo compito di dimostrare come i danni contestati rientrino nell’alveo
dei danni autorizzati e quindi dimostrare come siano danni da attività lecita
autorizzata.
Diciamo questo collegandoci
anche al secondo aspetto richiamato ovvero quello di OPERA PUBBLICA. Non vi è
dubbio che qualora l’interesse pubblico lo esiga si possano cagionare danni a
terzi, e che questi danni siano appunto danni da attività lecita e quindi al di
fuori di ogni ipotesi di reato e solamente passibili di indennizzo. In
altre parole le opere pubbliche possono comportare anche danni, ma nel caso
devono essere seguite tutte le opportune procedure. Si può ledere anche la
proprietà privata, ma si devono seguire le procedure dovute. Ciò che non è
ammesso, neppure in caso di opera pubblica, è di mettere i terzi di fronte al
“fatto compiuto”.
Questo assunto non è un teorema, una ideologia, ma è
puro diritto.
Se io privato subisco una
occupazione d’urgenza per pubblica utilità potrò infatti ricorrere al TAR. Se
viene redatta una variante al piano regolatore e di fronte a casa mia, al posto
del parco che c’è, è previsto l’insediamento di una zona industriale, potrò
presentare osservazioni. Se il progetto di un’opera di interesse generale viene
pubblicato ed io vengo così a conoscenza, ad esempio, che è previsto che mi
seccheranno la fonte, la sorgente che utilizzo abitualmente o che sarò
costretto ad allacciarmi ad un acquedotto pubblico pur avendo avuto fino a quel
momento un pozzo privato, o che l’acquedotto fino a quel momento in funzione
verrà meno e sarò servito da autobotti – si badi bene, sono tutte fattispecie
che si sono verificate nel caso di cui ci occupiamo - potrò presentare
osservazioni, fare opposizione, chiedere tutela alle amministrazioni e
giurisdizioni competenti.
Ma se tutto questo non
viene esplicitato, io non sono tenuto a tenermi i danni che subisco.
D. F. [...] prova a
fare osservazioni anche al Ministero, in Comune, ma rimbalza. Visto che ha un acquedotto che serve 135 famiglie, informandosi ha visto
che il tracciato della linea ferroviaria intersecava il Carzola. Chiede di
avere chiarimenti e rassicurazioni. Nessuna risposta. Anzi no, gli mandano uno
del consorzio Saturno a misurare la compatibilità elettromagnetica.
Pubblico
Ministero - Oh, era questo. Quindi
voi praticamente da dei fogli avevate visto che il percorso dell’alta velocità avrebbe
intersecato (perché siamo su una pianta) il Carzola, quindi dice, cosa succede?
c’è qualcuno che ci sa dire cosa succederà? Una cosa di questo tipo?
Teste D. F.
- Esatto; temiamo che questo possa
provocarci qualche danno, chiediamo… questo era il senso della nostra
osservazione… che venga meglio specificata la questione e che noi veniamo presi
in considerazione.
Pubblico
Ministero - Ecco, siete stati presi
in considerazione?
Teste D. F.
- Ufficialmente, direttamente dal
Ministero no, l’unica cosa che è successa è quella che citavo prima di questo
Consorzio Saturno che tre anni dopo mi chiamò per fare lo studio di
compatibilità elettromagnetica.
Pubblico
Ministero - Che però è un cosa…
Teste D. F. - È tutta un’altra cosa.
Pubblico Ministero - Quindi lasciamo perdere un
attimo Saturno.
Teste D. F. - È stato l’unico evento.
Pubblico
Ministero - Bene, però dico, voi
fate un’osservazione specifica, puntuale su un rilevamento di un fatto di una
intersecazione del tracciato con un fiume, dico, su questo fatto qua…
Teste D. F. - Non c’è stato contatto.
[...]
Teste D. F.
- Sì; cioè, nel senso, vedendo che
non c’era nessun ritorno di nessuno tipo e parlando… gli unici nostri contatti,
gli unici nostri interlocutori sul luogo erano i Comuni, gli uffici ambiente
dei Comuni, anche da loro non ottenevamo niente, dico andiamo all’origine del
problema e chiediamo che siano loro stessi, gli operatori che vanno sul
territorio a fare il lavoro, a prendere conoscenza della nostra esistenza.
Ora se è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare,
pare però giusto anche l’opposto, ovvero togliere a Cesare quel che non è di
Cesare.
Non si può usare la scorciatoia di dire che l’opera
pubblica non provocherà danni per evitare tali possibili “intralci” e
giustificare dopo i danni stessi, dicendo che comunque sono stati realizzati
nel corso dell’esecuzione di opera pubblica.
In quest’ultimo caso siamo fuori dal caso di danni
leciti. I danni sono illeciti e nel nostro caso costituiscono anche reato.
Diciamolo con le semplici, ma efficaci parole dei cittadini danneggiati
come il sig. L. M..
Al sig, L. M. seccano la
sorgente I
Sorcelli. È un coltivatore diretto, ma
pare conoscere i suoi diritti ed i suoi doveri meglio di tanti soggetti
pseudoqualificati transitati in quest’aula. L. M. sa benissimo la differenza
tra cosa è giusto e cosa è ingiusto, cosa si deve tenere e cosa no.
Nei terreni del sig. L. M.
ci hanno fatto due depositi e lui se li è tenuti perché sa che se li deve
tenere e non perché ne fosse contento. Infatti L. M. finisce con l’affittare a
Cavet il terreno per allocarvi i depositi. Controvoglia, ma lo affitta.
Teste L. M. - Sì, sì, ma lo stoccaggio
che ho fatto io, se sapevo così non lo facevo, però lo sa come mi dicono? ‘Non
lo vuoi dare, caro? Ti facciamo l’esproprio e poi prendi meno che
dell’affitto’. Ecco. E allora a questo punto io cosa faccio io? Cosa faccio?
Eh?
Avvocato - Mi scusi signor L. M., l’esproprio glielo fa l’ente pubblico eh, mica
glielo fanno…
Teste L. M. - Però ti vengono a dire queste ragioni qui e allora… allora cosa facciamo?
Il mio terreno, pago le tasse, non sono più padrone io perché ti vengono a dire
‘O così, o cosà, il terreno te lo prendiamo’.
Quindi il sig. L. M. sa che
la pubblica amministrazione può provocargli dei danni, ma in questo caso
leciti, e infatti se li tiene e di questi non si lamenta e non si costituisce
parte civile per questi danni. E per cosa si costituisce parte civile? Per
l’acqua. E perché? Perché sa di aver ragione. Sa di aver subito un torto.
Pubblico Ministero, sulla essiccazione della sorgente
del sig. L. M. - Quindi è stata una cosa all’improvviso?
Teste L. M. -
All’improvviso, io non
pensavo mai di trovarmi in quelle condizioni lì, se no altrimenti penso che come
me si facesse altri passi, se era possibile farli, per vedere se non avevamo
questi danni.
Ecco lo stato di diritto nella sintesi popolare.
L’esproprio sì, il fatto compiuto no. La logica del “fatto compiuto” ha privato
i cittadini “di fare i loro passi, se era possibile farli”, di tutelarsi, prima
del danno. Ed il principio di legalità prevede che ci si possa tutelare prima
del danno, non dopo. Se la tua tutela la puoi esercitare prima del danno, siamo
nell’ambito delle attività lecite indennizzabili. Se dopo, siamo nel campo
dell’illecito civile e, nel nostro caso, anche dell’illecito penale.
Non è difficile. Ce lo ha
spiegato benissimo una persona semplice. Basta volerlo capire.
Verifichiamo se diciamo il vero e dunque se ci siano o no queste autorizzazioni.
Tra le migliaia di pagine
di cui si forma questo fascicolo l’unico passaggio degno di nota in materia, si
ritrova nell’Accordo procedimentale siglato nell'anno 1995, il giorno 28 del
mese di luglio in Roma tra il Ministro dell'Ambiente protempore ing. Paolo
Baratta, il Ministro dei Trasporti pro-tempore prof. Giovanni Caravale, le
Ferrovie dello Stato, rappresentate dal prof. Lorenzo Necci, la Treno Alta
Velocità rappresentata dall'ing. Ercole Incalza, dalla Regione Emilia Romagna,
nella persona del presidente pro-tempore dott. Pierluigi Bersani e la Regione
Toscana, nella persona del presidente pro-tempore dott. Vannino Chiti.
Al punto c), denominato “interferenze idrogeologiche” si legge:
“II progetto esecutivo è
stato predisposto secondo le indicazioni del Ministero dell’Ambiente e delle
Regioni Emilia Romagna e Toscana, avendo riguardo specifico alle numerose
emergenze idriche, a libero deflusso o captate, nonché dei numerosi pozzi per
1'approvvigionamento idrico presenti, nelle aree interessate dai lavori.
c.1.
In rapporto alle risorse idriche elencate, di importanza ed utilizzazione
diversa (alimentazioni acquedotti pubblici o privati) dovrà essere assicurato
il monitoraggio sia di quelle superficiali che di quelle sotterranee.
I
punti di osservazione riportati nelle cartografie "Monitoraggio
idrogeologico" del Progetto Esecutivo (cifra appendice 2) saranno
incrementati per evitare che la loro discontinuità non permetta una esauriente
valutazione delle possibili interferenze con gli acquiferi.
Ulteriori
punti di osservazione, anche in relazione all'andamento del lavori, potranno
essere individuate dall'Osservatorio Ambientale che valuterà anche la
adeguatezza delle informazioni rese disponibili.
II monitoraggio dovrà
essere realizzato secondo quanto indicato al punto 4.5.2 dell'allegato 3.
Per
quanta riguarda il monitoraggio delle acque superficiali il monitoraggio dovrà
essere realizzato secondo quanta indicato al punto 4.5.1 dell'allegato 3. In
relazione all'andamento dei lavori l’Osservatorio ambientale potrà individuare
ulteriori punti di misura e prelievo.
c.2. In ogni caso, qualora
il monitoraggio manifestasse l'insorgenza di fenomeni significativi dovrà
essere garantito il livello di servizio di fornitura idropotabile per quantità
e qualità attualmente erogata. A garanzia dei suddetti eventuali interventi e
prestata la polizza fideiussoria di cui all'art, 3, comma 2, lettera b).
Con
riferimento alle interferenze idrogeologiche sopra descritte si rende inoltre
necessario:
- per i lavori di scavo
delle gallerie e di coltivazione delle cave.
L'obiettivo
fondamentale di tutela delle risorse idriche naturali, in fase di realizzazione
dell'opera, mediante il contenimento degli emungimenti accidentali delle falde
sotterranee nel corso dell'avanzamento dei fronti di scavo, deve essere
conseguito con l'adozione di iniziative di rapido intervento, di provvedimenti
tempestivi di tamponatura delle acque affluenti, nonché di impermeabilizzazione
e rivestimento solleciti del cavo.
c.3.
I controlli freatimetrici nei pozzi individuati nella mappa di cui al
precedente punto c1), saranno integrati con l'installazione di strumentazioni
di misura per l'accertamento in continuo delle portate idriche rinvenute ed
emunte in fase di scavo.
c.4.
Entro sei mesi dalla stipula dell'atto integrativo e comunque non oltre il 28
febbraio 1996 il proponente predisporrà un codice di esecuzione e comportamento
nei lavori di scavo da approvarsi da parte dell'Osservatorio per assicurare che
tutte le acque defluenti siano convogliate fino all'imbocco delle gallerie in
canali idoneamente rivestiti, con pendenza e sezione costanti e sufficiente
lunghezza, opportunamente dimensionati in rapporto ai deflussi massimi
prevedibili ed attrezzati con apparecchiature per la registrazione automatica
delle portate, entro i valori massimi e minimi di interesse.
I dispositivi di misura per ciascuna galleria o
tratto di essa dovranno essere progettati ed ubicati in funzione delle modalità
di attacco degli scavi, del numero e della posizione dei fronti di avanzamento,
dei sistemi di allontanamento delle acque dal cavo, delle direzioni di deflusso
delle stesse e della possibilità di convogliamento in sezioni di misura uniche
o frazionate.
L
'adozione del predetto codice farà parte integrante dei documenti che regolano
i rapporti con le imprese esecutrici dei lavori.
c.5.
Al fine di prevenire eventuali interruzioni all'approvvigionamento idrico dei
comuni di:
Vaglia,
Sesto Fiorentino, Borgo S. Lorenzo e Firenzuola in funzione
dell'intercettamento. degli acquiferi durante i lavori di costruzione della
galleria e di coltivazione delle cave, entro tre mesi dalla stipula dell'atto
integrativo e comunque non oltre il 30 novembre 1995 dovranno essere consegnati
i progetti di approvvigionamento idrico alternativo per i suddetti Comuni, la
cui realizzazione deve essere disposta, prima dell'inizio dei lavori di scavo
della galleria e di coltivazione delle cave, a spese del proponente. Detti
approvvigionamenti sono garantiti dalla apposita polizza fideiussoria indicata
all'art. 3, comma 2, lettera a).
Nelle aree di seguito
indicate con riferimento alle precedenti categorie a), b), e c) e a quant'altro
riportato, si rende necessario integrare il progetto esecutivo.
Omissis
c.8. definizione con
diversi piezometri dell'area di influenza dei pozzi di Borgo San Lorenzo;
monitoraggio periodico dei pozzi per verificare l'effettiva assenza di
interferenze tra la cava-deposito progettata e l'area di alimentazione dei
pozzi. II controllo ed il monitoraggio dovranno riferirsi alla qualità chimica,
alle sue variazioni ed alle oscillazioni della falda nonché al livello
idrometrico della Sieve in prossimità dei pozzi.”
Tutto qui.
È l’unico documento ufficiale da cui si desume che qualcosa accadrà
(anche se non si dice cosa) e, nel caso che questo qualcosa accada, si dovrà
far qualcosa.
Qualora dovessero succedere altre cose (anche queste non si sa quali), si
dovrà fare qualcos’altro.
Di sicuro si dovranno
controllare i pozzi di Borgo S. Lorenzo.
E questa sarebbe un’autorizzazione?
Rilasciata da chi a chi?
E in forza di quali leggi e competenze?
E con quale oggetto?
Quest’atto pur
riletto cento volte ha sempre portato alla medesima conclusione: non è, né può
esserlo, un atto autorizzatorio, perché, se no, verrebbero meno tutti i
principi in materia a tutela del cittadino nei confronti dello Stato.
E quando abbiamo sentito l’arch. Costanza Pera,
allora Direttore generale per la Valutazione dell’Impatto Ambientale e
l’Informazione ai Cittadini del Ministero dell’Ambiente, ed oggi Dirigente
generale del Ministero delle Infrastrutture, da una parte ci siamo
tranquillizzati, ma dall’altra preoccupati.
Tranquillizzati perché si è
avuta la conferma che quel parere non autorizzava alcunché. Preoccupati perché
c’è da domandarsi quale sia il livello dell’amministrazione preposta a tale
competenze.
Per stessa ammissione del Direttore generale Pera le
procedure dell’epoca erano assolutamente inadeguate all’approvazione di
un’opera quale la tratta dell’A.V. Firenze Bologna e l’operato del Ministero
dell’Ambiente era un “tentativo” di tutelare l’interesse ambientale
Un
tentativo? Si approva un’opera come la Firenze-Bologna e si va a tentativi?
Ma leggiamole, le
dichiarazioni dell’arch. Pera.
TESTE PERA – Devo confessare che il mio ricordo è abbastanza… non preciso, però
diciamo che quello che è successo, le analisi, gli approfondimenti cui si è
dato luogo sono ottimamente sintetizzati in un documento ufficiale, preparato
dai miei uffici, che è l’accordo procedimentale sottoscritto il 28 di luglio
del 1995 dai Presidenti delle regioni Toscana e Emilia-Romagna e dai Ministri
interessati. L’accordo fu scritto a seguito di una istruttoria estremamente
prolungata, che durò alcuni anni, sul progetto e, diciamo, ci si rese conto che
la procedura di valutazione di impatto ambientale non era in condizione di
sciogliere tutti i nodi di un progetto di enorme complessità e di grande anche
protrazione nel tempo, per cui noi saremmo intervenuti con un parere e un
giudizio di compatibilità rispetto a un’opera che aveva poi uno sviluppo
temporale molto lungo in un ambiente fisico in parte da… le cui caratteristiche
andavano precisate in corso d’opera. Quindi fu, per la prima volta in Italia,
instaurato questo concetto dell’accordo procedimentale e dell’osservatorio, che
doveva servire ad accompagnare l’esecuzione dell’opera e a risolvere in corso
d’opera i problemi che, anche soprattutto sotto il profilo idrogeologico, si
sarebbero potuto presentare.
Quindi leggi non ce ne sono. Cominciamo a mettere i
puntini sulle i: è un tentativo. E nel
principio di legalità tentativi non se ne fanno. Quindi fu per la prima volta
in Italia, sembra un titolo di merito, una stelletta. Cioè, voglio dire: oggi
abbiamo visto dove siamo, speriamo sia l’ultima, vorrei dire. Fu per la prima
volta in Italia instaurato questo concetto dell’accordo procedimentale e
dell’Osservatorio - sull’Osservatorio capitolo a parte, e ci torneremo – che
doveva servire ad accompagnare l’esecuzione dell’opera ed a risolvere in corso
d’opera i problemi che anche soprattutto sotto il profilo idrogeologico si
sarebbero dovuti presentare. Non è
un’autorizzazione, è un “vedremo”. “Vedendo, facendo”, dicono in Calabria.
TESTE PERA – Se era una cosa… allora, noi, dal nostro punti di vista di allora
ovviamente, molto importante, non so che rilievo abbia per il Pubblico
ministero, la procedura di VIA, disciplinata dalla legge, prevedeva che si
facesse uno studio di impatto ambientale allegato al progetto a cura del
proponente l’opera e che il Ministero dell’ambiente avesse 90 giorni di tempo
per esprimersi di concerto col Ministro dei beni culturali. Ora, questa procedura
poteva andare bene per, non so, un inceneritore di rifiuti piuttosto che… che
poi non andava bene nemmeno in quel caso, non per un’opera di questo genere.
Quindi ci dicono che c’è una procedura,
l’Italia è dotata di una procedura che non va bene neanche per un inceneritore.
Però l’applicano, così, per l’Alta Velocità, e fanno un tentativo.
Ricordiamoci: non mi interessa, se la
sbrigherà la Corte dei Conti se questa roba è regolare, ci sono danni, non
mi interessa. Mi interessa ai nostri fini, riportiamolo sempre ai nostri fini,
se questa è un’attività lecita, legittimamente autorizzata. Questo ci
interessa: se questa è un’autorizzazione.
TESTE PERA – Cioè, noi ci siamo trovati a doverci occupare ed esprimere su un progetto
di enorme complessità con delle procedure assolutamente inadeguate, quindi
abbiamo, diciamo, insieme alle Regioni, perché poi le Regioni avevano una
competenza e un interesse su quest’opera
assolutamente straordinaria, perché stiamo parlando perlopiù tra l’altro di
materie già di competenza regionale in termini operativi e quotidiani, insieme alle Regioni abbiamo costruito questo
sistema di accordo procedimentale e di costituzione dell’osservatorio
nonché delle garanzie fidejussorie...
(basta pagare l’assicurazione, poi ci arriveremo)
TESTE PERA – ...del realizzatore nei confronti del
Ministero dell’ambiente, che era la prima volta in Italia e vorrei dire in
Europa che si realizzava.
(certo in Europa se ne guardano bene da fare una cosa
del genere)
TESTE PERA - Quindi abbiamo fatto qualcosa di assolutamente eccezionale...
(se lo dice da sola, ma forse non ha letto i
giornali)
TESTE PERA - ... sotto il profilo del tentativo di assicurare la tutela dell’interesse ambientale. E qui c’è la risposta alla
sua domanda, nel senso che il parere della Commissione che io al momento non ho
e se mi viene fornito posso commentare, e il successivo accordo procedimentale
tra i soggetti istituzionali interessati, si collocano in un preciso momento
temporale, quel luglio del 1995, ma intendevano accompagnare la realizzazione
dell’opera, quindi man mano… Alcune delle definizioni scritte, alcune delle
affermazioni contenute nell’accordo procedimentale sono… a me paiono
decisamente rilevanti in termini anche di novità di quello che si andava a
fare. Se lei ha letto o legge la parte per i lavori di scavo delle galleria e
di coltivazione delle cave, tutte quelle pagine sono il tentativo di delineare,
a montagna chiusa ovviamente, un modo di comportarsi, di agire, che garantisse
quanto più possibile l’interesse ambientale.
Quindi per espressa
affermazione di chi ha predisposto il parere per il Ministero dell’Ambiente poi
trasfuso nella conferenza dei servizi, questo parere è figlio di una procedura
inadeguata per opere del tipo la Firenze-Bologna, per cui si è inteso inventare
un qualcosa di nuovo non disciplinato dalle leggi allora vigenti.
Per espressa affermazione di chi ha predisposto il
parere si è fatto un tentativo per assicurare la tutela dell’ambiente. Un
tentativo? Cioè: si tenta? Si approva la Firenze-Bologna a tentativi?
E visto che era un
tentativo, allora viene da pensare che non c’è da sorprendersi che sia
fallito. È il destino di tanti tentativi, il fallimento, e si dà il caso
che questo sia proprio uno di quelli falliti.
Ma se siamo di fronte ad un tentativo, come si può
definire quel parere del Ministero dell’Ambiente un’autorizzazione? Come può
essere qualificata un’autorizzazione un provvedimento privo di una espressa
base normativa di diritto positivo vigente che ne legittimi l’adozione?
Esiste nel nostro ordinamento il concetto di
“tentativo di autorizzazione”? No, non crediamo.
Ecco perché diciamo che
siamo di fronte a danni provocati in seguito ad un’attività non debitamente
autorizzata. Perché il parere del
Ministero non è un’autorizzazione e non è stata rilasciata in forza ad una
legge specifica che legittimasse la causazione di tali danni.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT. ALESSANDRO
NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 12]
“DI CHI È L’ACQUA? DI TUTTI? DI NESSUNO?
[...] GLI IMPUTATI
[...] DEVONO AVER
PENSATO CHE L’ACQUA FOSSE LORO. E SE NON LORO, ALLORA CHE L’ACQUA NON FOSSE DI
NESSUNO, SECONDO IL PRINCIPIO ABBASTANZA IN USO NEL NOSTRO PAESE PER IL QUALE I
BENI PUBBLICI NON SONO CONSIDERATI BENI DI TUTTI, MA DI NESSUNO PER L’APPUNTO,
E QUINDI ALLA FINE SONO DI CHI SE LI PRENDE”.
Tra i pareri allegati alla Conferenza di servizi [...] ve n’è uno,
non considerato, quasi periferico, un
parere di aspetto dimesso per la sua apparente modestia e laconicità. È il
parere allegato alla deliberazione della Giunta Regionale della Regione Toscana
n. 03884 del 24/07/1995 [...] avente
per oggetto “Approvazione del progetto esecutivo del
quadruplicamento ferroviario veloce Milano-Napoli tratta Firenze-Bologna, e dei connessi schemi di accordo quadro, programma,
direttore e accordo procedimentale”.
Dopo vari “considerato” si dà atto “che l'istruttoria degli
elaborati sopracitati è stata effettuata dai competenti uffici regionali che
hanno predisposto i pareri di seguito elencati e che vengono allegati alla
presente Deliberazione”.
Tra questi si trova il “…parere concernente le autorizzazioni…di uso delle
acque e linee elettriche inferiori a 150 KW (R.D. 1775/1933) (Allegato C -
composto da sub allegati A e B)”. [...] Notare come la deliberazione sia stata
predisposta dal Dirigente Responsabile dal Servizio Infrastrutture, arch.
Gianni Biagi, che poi ritroveremo come membro dell’Osservatorio Ambientale per
conto della Regione Toscana e poi come assessore all’Urbanistica del Comune di
Firenze, dove risulta tuttora in carica.
E che diceva il parere
concernente le autorizzazioni “di uso delle acque e linee elettriche inferiori a
150 KW (R.D. 1775/1933)”?
Riportiamo per intero la
parte sulle acque, tanto è corto il parere: “Nella documentazione presentata non
risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche
superficiali e sotterranee che potranno essere attivate al momento della
realizzazione delle opere e pertanto va indicata nella Conferenza dei Servizi
che sono escluse autorizzazioni all’uso dell’acqua”.
Chiuso qua.
Nelle migliaia di carte di
questo processo questo è l’unico foglio che rinvia ad una specifica
competenza pubblica in materia di acque superficiali e sotterranee e vi si
legge la oggi paradossale affermazione che nella documentazione presentata dal
soggetto proponente l’opera “non
risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche
superficiali e sotterranee”!
Ora si obietterà: ma che
c’entra? È chiaro che qui si intende la richiesta per usare l’acqua per i
cantieri.
Intanto, c’entra, perché
CAVET non si è disturbata neppure per chiedere quelle, di autorizzazioni, tanto
è vero che in questo processo si procede anche per il furto di acqua da parte
di CAVET.
E poi, chi l’ha detto che CAVET non avrebbe dovuto munirsi dell’autorizzazione ex R.D.
775/33 e L. n. 75/95? Non foss’altro per chiedere la revoca di quelle in atto e
già concesse ai privati ed incompatibili con la realizzazione dell’opera. Quei
privati che non usavano già da tempo immemore punti d’acqua storici (ricordiamo
che nel corso del processo abbiamo trovato fonti di cui vi è traccia che
fossero utilizzate sin dal 1200, sin dal ‘500, oppure sorgenti con lapidi dell’800
oltre a tutte quelle altre ricordate da sempre a memoria d’uomo), quando in
tempi più recenti hanno voluto battere nuovi pozzi o attingere dai fiumi e
dalle sorgenti hanno presentato la loro bella domandina ed hanno avuto la loro
concessione, quella che, [...] se finalizzata a usi domestici, con la
legge del ’94 sarebbe divenuto addirittura un diritto quesito.
CAVET ha richiesto le revoca delle concessioni dei privati concesse? No.
Qualche ente Pubblico, Ministero,
Regione, Provincia le ha revocate d’ufficio? No.
Ricordiamoci
che per due chilometri CAVET ha detto: avremo impatti forse per due chilometri
da una parte e da quell’altra del tracciato. Tutte le fonti d’acqua che erano
là allora tu me le togli? Ed allora si comincia a capire cosa sarebbe successo.
Si sarebbe cominciato a capire quale
sarebbe stato il rischio a cui si sarebbe andati incontro. Forse qualcuno non
si voleva prendere la responsabilità. Forse la valutazione tra interesse
pubblico dell’opera e diritti dei cittadini, forse, sarebbe emersa in quella
sede. Forse non erano sbagliati i rilievi delle associazioni ambientaliste.
Forse il parere del Micheli e dalla Sargentini aveva un senso. Forse sarebbe
emerso qualcosa.
No.
Nessuno ha chiesto nulla, nessuno ha dato nulla. La mattina te ti svegli e non
ti trovi l’acqua. E non è reato?
[...]
Allora ecco
che viene la domanda: di chi è l’acqua?
Di tutti? Di
nessuno?
Dai fatti acclarati viene
un dubbio.
Che l’acqua sia di CAVET che ne dispone tranquillamente senza chiedere
nulla a nessuno?
Eppure deve essere quello, hanno pensato gli imputati quando hanno
seccato la sorgente di Visignano, l’acquedotto di Luco, hanno allagato le
gallerie di Osteto e di Marzano, hanno impattato la sorgente La Rocca e di
Moscheta, hanno seccato il Carza, ecc. ecc. Devono aver pensato che l’acqua
fosse loro. E se non loro, allora che l’acqua non fosse di nessuno, secondo il
principio abbastanza in uso nel nostro Paese per il quale i beni pubblici non
sono considerati beni di tutti ma di nessuno per l’appunto, e quindi alla fine
sono di chi se li prende.
Dico questo
anche perché nel corso del dibattimento ogni tanto pare essersi affacciata la
tesi che i ladri d’acqua fossero invece i privati con il pozzo autorizzato e che
loro sarebbero addirittura causa di una situazione idrogeologica già degradata
ante-lavori CAVET. Lo dice Celico a pg. 248 della sua CT. Il che sembra davvero
troppo. Prima di CAVET nel Mugello
c’era una situazione così degradata che quasi tutti i corsi d’acqua seccati da
CAVET erano perenni, classificati a salmonidi ed ospitavano le trote ed i
gamberi di fiume.
Noi ritenevamo invece, quando abbiamo esercitato
l’azione penale, e lo riteniamo ancora oggi, che l’acqua non solo non sia di
CAVET, ma nemmeno della Regione o di quelli che hanno approvato il progetto
dell’Alta Velocità in conferenza dei servizi nel 1995, ma che sia un bene
pubblico di cui qualunque soggetto, sia pubblico o privato, può disporre solo
nei modi e nei limiti di legge. Avrebbero dovuto revocare
tutte le concessioni. Non è che uno ne può disporre come se fosse cosa sua. Non
è una mela che ho in casa. È un bene
pubblico, e quindi soggetto al principio di legalità. Le leggi erano quelle
che ho riferito [...].
Ed allora se è vero che:
-
in Conferenza di servizi non si indicano le
interferenze idrogeologiche che si provocheranno se non in del modo del tutto
generico, eventuale e comunque con carattere di transitorietà legato solamente
all’andamento dei lavori tant’è che si rimanda il tutto ad fumoso monitoraggio
in corso d’opera;
-
il proponente non richiede alcuna autorizzazione per
l’uso di acque;
-
non si revocano le
autorizzazioni delle concessione in essere;
possiamo dunque dire di essere in presenza di
un’attività di CAVET autorizzata?
La domanda è retorica, e la
risposta è “no”.
Certo, comprendiamo quale avrebbe
potuto essere l’imbarazzo da parte di CAVET di chiedere di poter seccare
l’acquedotto di Castelvecchio, di Luco, la sorgente La Rocca, Moscheta, il
Carza e Carzola, e quale l’imbarazzo della Regione prima, e della Provincia
poi, a revocare le concessioni in essere e rilasciare quelle per seccare i
fiumi.
Ho capito.
Capisco l’imbarazzo, ma anch’io mi imbarazzo a volte, ma mi astengo. Non è che mi è permesso di bypassare il
principio di legalità e lo stato di diritto; se no si viene meno a tutto,
credo, proprio alle basi della convivenza civile.
Facciamo la controprova.
Visto che le indicazioni
del SIA, del Ministero dell’Ambiente, della Conferenza dei servizi, almeno a
parole, erano quella della salvaguardia diciamo per “quanto possibile”,
“compatibilmente” con la realizzazione dell’opera, siamo sicuri che il quadro
dei danni oggi realizzati fosse quello esplicitato sul tavolo della Conferenza
di servizi?
La risposta è “no”, tant’è
che non lo sostiene nessuno, neppure i CT di CAVET.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 13]
“SOTTOSTIMANDO, MINIMIZZANDO, ANDANDO A DRITTO DI
BRUTTO, CI SAREMMO ASPETTATI ALMENO CHE L’OPERA SAREBBE FINITA PRIMA E CHE IL
TUTTO, ALLA FINE, SAREBBE DOVUTO COSTAR MENO. SE PRESTO E BENE NON STANNO
INSIEME, CI SI ASPETTA CHE POSSANO INVECE COMBINARSI ALMENO PRESTO E MALE.
OPPURE, CATTIVA QUALITÀ, MA COSTI MINORI. NO,
QUI SI RIESCE NELLA SINTESI, NELLA SUMMA: MALE, TEMPI INFINITI. QUINDI CON
TUTTI I DANNI E BASTA. OPERA NON FINITA, PREZZI RADDOPPIATI, CATTIVA QUALITÀ,
COSTI ENORMI”.
Ma non basta provare gli eventi e la condotta.
La Procura
deve provare ancora di più, deve provare il dolo. La consapevolezza e la
volontà degli imputati di cagionare i danni
provocati. Deve provare la prevedibilità e la previsione dei danni e la
esigibilità di una condotta diversa da quella tenuta.
Ora non saremmo qui se i
danni realizzati fossero stati assolutamente imprevedibili e non fosse
esigibile dagli imputati un comportamento diverso da quello in concreto tenuto.
Sennonché non solo si
poteva e si doveva esigere che gli imputati tenessero una condotta alternativa,
ma i danni non solo erano prevedibili, ma molti sono stati addirittura
previsti, accettati e quindi volontariamente determinati.
È dall’analisi diacronica degli eventi che emerge
palese la prova del dolo da parte degli imputati.
I PRODROMI DEI DANNI
Numerosi gravi indizi
suggerivano, già prima dell'approvazione dell'opera e dell'apertura dei cantieri,
gli scenari dei quali siamo adesso, nostro malgrado, tardivissimi testimoni.
Già nel luglio 1992 nell’elaborato allegato alla
delibera 315/92 della Giunta Regionale, gli uffici di quell’Ente da pg. 29 a
pg. 32 descrivono quelli che sono risultate le lacune evidenziate nel corso
delle indagini e causa dei danni accertati.
Similmente il Servizio Geologico della Presidenza del
Consiglio dei Ministri del ‘92.
Di quest’ultima citiamo
alcune parti dal testo della relazione:
"Dati frammentari,
scarsamente confrontabili", "soggettiva
la sintesi dei dati e la conseguente valutazione ai fini della stabilità dei
versanti". Uno studio ricco di "discrepanze", "lacune o non corrispondenze dei
dati" nella cartografia. Mancanza di
"riferimenti toponomastici e tettonici" nel profilo geologico della tratta, "suggerimenti
geologico-tecnici generici e vaghi".
Trascurate "le qualità geo-meccaniche dei terreni" nonostante esse siano "cause che
predispongono alla instabilità degli stessi". Sottostimate "le modifiche geo-ambientali apportate
dall'intervento sul territorio"; "non
individuate le evoluzioni geodinamiche esogene e endogene". "Notevole frammentarietà delle
informazioni territoriali cartografate"
e "diversità delle scale di rappresentazione". Non tenuto "in debita considerazione quanto disposto dal
D.P.C.M. 27.12.1988 specie per quanto concerne le informazioni di carattere
geognostico e geotecnico". Assente
"la considerazione dei geotopi e dei beni culturali a carattere
geologico meritevoli di protezione".
"Estrema genericità sia nella previsione degli impatti che nelle
proposte di misure di mitigazione, per quanto riguarda sia la fase di cantiere
che quella di esercizio dell'opera".
Dopo quel parere, nessun
nuovo parere è stato richiesto al Servizio geologico della Presidenza del
Consiglio dei Ministri sul progetto esecutivo poi approvato nella Conferenza
dei servizi del 28 luglio 1995. Forse proprio a causa del tenore delle censure
espresse nel 1992?
Fatto sta che nulla cambia
nel 1995.
Infatti i servizi tecnici
della Regione Toscana (Ufficio del Genio Civile, Servizio Difesa del Suolo,
Nucleo di valutazione dei siti di cava di prestito), nei loro pareri espressi
pochi giorni prima della chiusura della Conferenza di servizi sulla scorta
degli elaborati tecnici del progetto esecutivo per la tratta AV
Bologna-Firenze, evidenziano enormi carenze progettuali sotto l'aspetto
idrogeologico, geomorfologico e idraulico, o segnalano che "gran parte delle
difficoltà nell'esame del materiale prodotto derivano dal fatto che lo stesso
nasce in assenza di una preventiva valutazione di impatto ambientale.
Valutazione che avrebbe permesso di evidenziare problematiche di larga scala
preliminarmente alla redazione del progetto esecutivo in modo da poterne tener
conto nella scelta delle specifiche soluzioni tecniche".
Ancora il 23.1.1995 vengono
ribadite analoghe riserve allo studio di impatto ambientale (S.I.A.) dal
Dipartimento Ambiente Regione Toscana a firma del geologo Micheli (pg.
1154/10), che, dopo aver premesso che in “ … un settore come quello Appenninico dove
sussiste una generale carenza di risorse idriche anche falde di modeste
dimensioni e capacità possono acquisire grande importanza locale", evidenzia come gli elaborati cartografici
contengano informazioni per soli due chilometri, e manchino indicazioni
puntuali sugli interventi di mitigazione, tanto più necessari visto che il
sicuro effetto drenante causato dalle gallerie “rischia di avere
ripercussioni negative sull’ecosistema, di superficie per la riduzione della
portata di base di corsi d’acqua anche in zone lontane dal tracciato
ferroviario”. Elementi
tutti che fanno sì che lo stesso Dipartimento esprimesse parere negativo “per evidenti carenze per
quanto riguarda l’approfondimento delle indagini, il mancato riconoscimento di
importanti acquiferi, la mancanza di interventi di mitigazione”.
Riportiamo per esteso le
“Conclusioni”:
“Sulla
base delle considerazioni sopra svolte si ritiene di esprimere parere negativo
sullo studio di impatto ambientale per evidenti carenze per quanto riguarda
1’approfondimento delle indagini, il mancato riconoscimento di importanti
acquiferi, la mancanza di interventi di mitigazione. In particolare si motiva
il parere negativo nel modo seguente: 1) mancanza di valutazione di ordine sismico
in funzione soprattutto ella stabilità delle pendici naturali o artificiali; 2)
assenza dì indagini geomorfologiche (forme carsiche, frane, deformazioni
gravitative profonde ecc.); 3) non riconoscimento dell’importanza
dell’acquifero carsico della formazione di Monte Morello; 4) mancanza di
valutazione di ordine idraulico soprattutto per i siti di cantiere e di
discarica in zone di naturale espansione delle acque; 5) non valutazione dell’
"effetto drenante” delle gallerie in acquiferi o in zona dì intensa
fratturazione e probabile circolazione idrica; 6) non valutazione delle
ripercussioni dell’effetto drenante delle gallerie in funzione degli ecosistemi
superficiali; 7} ristrettezza delle indagini geologiche ed idrogeologiche
limitate ad una fascia dì solo due chilometri intorno al tracciato ferroviario
che non consentono adeguate ricostruzioni stratigrafiche e strutturali; 8) non
indicazione degli interventi di mitigazione”.
Diremmo che c’è tutto
quello che ci doveva essere. Era il 23.1.1995. Bastava leggere ed aver voglia
di capire.
Ma non c’è solo questo
parere della Regione.
È addirittura dagli stessi atti nella disponibilità e
commissionati dai proponenti che emergono le stesse lacune. Si fa riferimento alla "Relazione geologica e idrogeologica per
la istruttoria della Variante del Progetto esecutivo (tratto Toscano:
Mugello-Vaglia-Careggi)", datata 30 giugno 1995 e redatta dal Dipartimento
di Scienze Geologiche dell'Università di Bologna sulla base di una convenzione
con la TPL - AV (società legata alla TAV Spa). Nella relazione appaiono
esplicitate gravi e puntuali perplessità circa i rischi di natura idrogeologica
connessi con la costruzione dell'opera, e circa l’attendibilità della
documentazione fornita per lo studio richiesto. Appare evidente il quadro di
preoccupazione che l'analisi del Dipartimento di Scienze Geologiche
dell'Università di Bologna aveva tempestivamente fornito ai proponenti
dell'opera anche se con riferimento all’originario tracciato che non prevedeva
la variante Castello, ma identico sino a Vaglia.
E questo per dire che già
stato dell’arte al momento della approvazione del progetto, era palese non solo
la astratta prevedibilità, ma addirittura la previsione in concreto di ciò che
poteva succedere e che, di fatto, è successo.
Ed a questo punto è del tutto conseguente ed esigibile pretendere che
gli imputati prendessero atto di tali documenti ed emergenze e si attivassero
di conseguenza [...].
Da notare che nessuno degli
imputati - e non ce l’aspettavamo di certo - ha detto “siamo una impresa di
incompetenti per cui non sappiamo fare il nostro lavoro”. No. Abbiamo sentito
anzi tutti rivendicare la loro estrema professionalità.
E allora cosa dobbiamo
pensare? Perché un funzionario regionale che avrà avuto uno stipendio di
1.500 euro in Regione è stato in grado di vedere ciò che altri mirabili e
chiarissimi professionisti privati, luminari della consulenza e top manager non
hanno visto?
Ci limitiamo a constatare:
1.
che si poteva e si doveva
prevedere quanto accaduto;
2.
una volta che comunque lo
avevano previsto altri, ne avrebbero dovuto necessariamente tener conto. Non
fosse altro per attivare conseguentemente e doverosamente le procedure in base
alle quali realizzare le opere ancorché dannose, ma solo previo puntuale rilascio
da parte della amministrazioni preposte delle necessarie autorizzazioni e solo
una volta che queste avessero verificato, nei modi di legge, la sussistenza di
un superiore interesse pubblico alla realizzazione della tratta Firenze-Bologna
pur con quei determinati effetti negativi.
Niente di tutto ciò invece
è accaduto.
Ma non è finita.
Ancor peggio se ci
ricordiamo cosa è successo in corso d’opera e di cui abbiamo già trattato.
Nel corso della cantierizzazione,
è stato istituito dalla Comunità Montana del Mugello-Alto Mugello-Val di
Sievee, con delibera n. 175 del 28.06.1996, l’Osservatorio Ambeintale Locale
(OAL) sui lavori dell’Alta velocità, dotato di un Comitato tecnico-scientifico
presieduto dal geologo prof. Giuliano Rodolfi. L'OAL ha ammonito a più
riprese circa i rischi che si sarebbero corsi in ambito idrogeologico con le
procedure di attuazione delle cantierizzazioni e degli scavi. Ma non risulta
che l'azione delle autorità di controllo (sindaci, Osservatorio Ambientale,
ARPAT, ecc.) sia stata sufficientemente efficace da evitare i danni ambientali
preconizzati.
E CAVET, diretto
interessato ed autore di tali danni, non ha fatto certo complimenti nell’andare
avanti diritto alla meta costasse quel che costasse, e “meta” si fa per dire,
visto che i lavori non sono oggi neppur finiti.
Eppure sottostimando,
minimizzando, andando a dritto di brutto, ci saremmo aspettati almeno che
l’opera sarebbe finita prima e che il tutto, alla fine, sarebbe dovuto costar
meno. Se presto e bene non stanno insieme, ci si aspetta che possano invece
combinarsi almeno presto e male. Oppure, cattiva qualità, ma costi minori. No, qui si riesce nella sintesi, nella summa: male,
tempi infiniti. Quindi con tutti i danni e basta. Opera non finita, prezzi
raddoppiati, cattiva qualità, costi enormi.
Infatti le censure
all’operato degli imputati CAVET si appuntano soprattutto al momento in cui
cominciano a costruire e vengono al pettine tutte le magagne ed i nodi di una
progettazione esecutiva quantomeno da valutarsi scadente se non addirittura
preordinata a minimizzare scientemente gli effetti negativi cui si sarebbe
andati in corso nella fase di realizzazione.
E infatti come si comincia
a costruire ecco che non tornano più i conti.
Abbiamo già anticipato
dell’importante segnale di quanto avvenuto a Castelvecchio.
Abbiamo già detto che
Trezzini nel 1998 arriva a dire a CAVET, in una riunione pubblica a Firenzuola,
le seguenti testuali parole:
“Penso che abbiate
trascurato qualcosa in questo periodo. Su questo tema occorre intendersi bene.
Andavano fatte quattro cose e non sono state fatte:
1)
andava previsto l'accaduto, e la previsione è risultata errata;
2) poteva essere fatto il
monitoraggio;
3)
poteva essere fatto il rivestimento alla galleria, senza fare come se
nulla fosse avvenuto;
4) potevano esser fatti prima
gli interventi alternativi.
Dobbiamo
puntualizzare che i modelli matematici devono avere una tolleranza minima.
Verifichiamo se è il caso di intensificare i dati dei monitoraggi. I dati di
monitoraggio, devono arrivare in tempo reale e non dopo mesi. FIAT e CAVET
devono provvedere con tempestività”.
Questo, Trezzini.
Stessi concetti ribaditi
nel settembre '99, in un articolo pubblicato sulla rivista Net dell'ARPAT, laddove il responsabile Piero Biancalani scrive, a
proposito dei problemi insorti nell'ambito delle acque sotterranee: "Nel
modello utilizzato per definire la fascia d'influenza delle gallerie si sono
assunte in partenza condizioni di omogeneità ed isotropia del mezzo
assolutamente lontane dalla realtà, comportando errori di valutazione
dell'effettiva estensione della fascia d'influenza dell'escavazione. Su tali
"ipotesi" si è basata anche la definizione preventiva dei codici di
scavo e quindi delle sezioni tipo da utilizzare nei differenti tratti, nonché
la stima del drenaggio stesso, con ripercussioni sul valore reale
dell'abbassamento del livello piezometrico. Il monitoraggio idrogeologico che è
stato predisposto è in grado di segnalare situazioni critiche solo quando
queste sono in qualche modo già in atto e di concedere, perciò, tempi assai
ridotti per gli interventi di emergenza tali da renderne spesso molto limitata
l'efficacia. Inoltre, il piano di monitoraggio era stato impostato sulla
importanza socio-economica dell'acquifero, e non risulta collegato con uno
studio che si ponga degli obiettivi più generali di tutela della risorsa idrica
sotterranea, sia in fase di costruzione che in fase di esercizio" (Net,
n. 12, settembre 1999) (pg. 200232).
Ed allora vediamo che
anche in corso d’opera - nonostante fossero ormai chiari, noti, non solo
conoscibili, ma addirittura conosciuti i danni che si andranno a provocare -
non si fa niente per porvi rimedio.
Ricordiamo al riguardo dei
danni alle sorgenti che approvvigionavano le frazioni di Luco di Mugello e di
Grezzano, nel Comune di Borgo S. Lorenzo, che gli imputati, nonostante l'OAL
avesse previsto ed ammonito degli eventi, non si sono affatto preoccupati di
prevenire.
Ecco cosa risulta aver scritto il prof. Giuliano Rodolfi il 18.1.'00 (pg.
200251) a un nutrito elenco di destinatari (fra cui il sindaco di Borgo San
Lorenzo, il presidente della Comunità Montana del Mugello, il rappresentante
della Regione Toscana nell'Osservatorio Ambientale Nazionale, i sindaci di
Vaglia, San Piero a Sieve, Scarperia e Firenzuola, e per conoscenza il CONSIAG
e l'ARPAT):
"I lavori per la
realizzazione della tratta appenninica della Ferrovia AV stanno sempre più
pesantemente interessando le risorse idriche (superficiali e profonde) del
bacino della Sieve (territori dei Comuni di Vaglia, San Piero a Sieve,
Scarperia, Borgo San Lorenzo), e dell'adiacente bacino del Santerno (Comune di
Firenzuola). Del progressivo aggravarsi della situazione sono testimoni le
segnalazioni che provengono a questo Osservatorio sia dalle suddette
Amministrazioni Comunali che da singoli cittadini.
Oltre a episodi di una
certa gravità, come il recente sprofondamento verificatosi in località Il
Grillo, conseguente al drenaggio di acque sotterranee intercettate nel corso
dello scavo della galleria di Firenzuola, si lamentano casi di diminuzione di
portata o, addirittura, di sparizione più o meno improvvisa di sorgenti
prossime agli scavi. In alcuni casi si segnalano sensibili alterazioni, sempre
in senso negativo, nelle portate dei corsi d'acqua superficiali.
È certo che i tratti di
galleria finora scavati hanno intercettato acquiferi produttivi liberando
volumi d'acqua molto superiori alle previsioni di progetto, dimostrando la
relativa attendibilità delle indagini idrogeologiche ante operam. D'altro
canto, risulta particolarmente difficile, in carenza di dati, stabilire
relazioni di causa-effetto fra le acque drenate e i fenomeni riscontrati; si
può solo, al momento, parlare di "rischio generico" per le acque,
senza nessuna possibilità di quantificare il fenomeno. Anche la ricerca di
eventuali approvvigionamenti alternativi è tutt'altro che basata su di un piano
organico d'indagini.
Nell'ineluttabile
prospettiva di un avanzamento dei lavori, che comporterà maggiori volumi di
acque intercettate, l'adozione di criteri realmente scientifici non può essere
ulteriormente procrastinata. Considerato che, in ogni caso, le opere progettate
incideranno negativamente sulla qualità e sulla quantità delle risorse idriche
disponibili sia per usi civili che industriali o agricoli, è indispensabile la
messa a punto di un oculato sistema di gestione.
Il primo passo, che avrebbe
dovuto essere compiuto, con il dovuto rigore, all'indomani dell'approvazione
dell'opera è, e rimane, un attento quanto assiduo monitoraggio delle acque
sotterranee e superficiali. E' anche vero che i dati raccolti in due o tre anni
di osservazione non sarebbero stati statisticamente significativi, ma avrebbero
comunque, e non poco, aiutato a capire la dinamica degli acquiferi e a porre in
relazione la loro variabilità con quella degli afflussi meteorici.
Purtroppo, siamo nelle
condizioni di usare, nella quantificazione dei parametri idrologici, gli
aggettivi o gli avverbi al posto dei numeri, o a rifarsi alle testimonianze di
qualche vecchio idraulico di qualsiasi comune o del solito anziano mezzadro. In
queste condizioni, se è già difficile stimare un danno presunto alle risorse
finora disponibili, figuriamoci quanto lo sia quantificare eventuali forme
alternative di approvvigionamento. Certo, in situazioni d'emergenza, come
quella che stiamo vivendo, qualunque dato, anche se riferito ad un solo anno di
osservazioni, avrebbe fatto comodo; ma quale livello di attendibilità
attribuirgli? L'esecutore (o il progettista, o il tutore) dei lavori AV ha
eseguito il monitoraggio di sorgenti, piezometri o pozzi significativi con
mezzi adeguati e con frequenza accettabile? A questo proposito, quale deduzione
sulla dinamica di una falda idrica o di una sorgente può essere azzardata sulla
base di verifiche solo trimestrali, come quelle che risultano essere state
effettuate, o anche mensili, qualora si tratti di punti particolarmente
significativi?
Per sommi capi, una nuova
indagine, sia pure tardiva, dovrebbe almeno prevedere:
-
la verifica della funzionalità dei piezometri e dei
pozzi esistenti,
-
la posa in opera di nuovi piezometri sia nei tratti
più problematici, che in quelli ancora non esplorati;
-
l'allestimento delle sorgenti più significative mediante stramazzi tarati
o, comunque, di qualsiasi apparato che consenta rapide misure di portata (per
"sorgenti significative" non si devono intendere solo quelle che
alimentano le utenze più numerose o importanti, ma anche quelle minori, che
possono fornire più utili informazioni sulla circolazione sotterranea);
-
l'adozione di una frequenza almeno quindicinale nelle verifiche;
-
la tempestiva comunicazione dei dati alle Amministrazioni competenti per
territorio e agli Organi preposti alla tutela ambientale".
Questo il chiaro quadro a
tre anni dall’inizio dei lavori, ma non si cambia.
Per capire il clima si rimanda al Consiglio Comunale aperto del 22.2.00 a
Luco di Mugello nel corso del quale quasi si accetta un destino annunciato:
dopo le sorgenti seccate a Castelvecchio e a Marzano, il tunnel TAV si avvicina
pericolosamente a quelle di Case d'Erci, di cui come detto il geologo
presidente dell'Osservatorio Ambientale Locale del Mugello, prof. Giuliano Rodolfi,
e il responsabile ambiente del CONSIAG, Filippo Landini, annunciano che sono da
considerare ormai "condannate".
A chi chiedeva di cercare
altre possibili fonti pulite di approvvigionamento, il rappresentante del
CONSIAG replicava che purtroppo c'era poco da fare in quella direzione: fino ad
almeno 2 o 3 km sia destra sia sinistra del tunnel l'impatto sulla falda può
rendere non più disponibile l'acqua attualmente esistente: inutile cercare lì
altre sorgenti, che potrebbero anch'esse sparire.
E CAVET? Che fa? Niente.
Non si ferma.
Nella sua comunicazione
alla VI Commissione consiliare della Regione Toscana "Territorio e
Ambiente", avvenuta il 20.7.'00 (ALLEGATO 29), l'assessore all'Ambiente
della Regione Toscana Tommaso Franci riferisce alcuni particolari importanti a
proposito dell'intercettazione nel marzo 2000 delle sorgenti di Casa d'Erci,
destinate all'alimentazione dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco
e Grezzano.
"Il 14 marzo
l'Osservatorio prescriveva (con nota indirizzata a TAV, Italferr, FIAT e CAVET)
i monitoraggi da svolgere, accogliendo anche le specifiche proposte dell'ARPAT.
In particolare confermava la progressiva 54+100 quale limite massimo di scavo
in attesa di ulteriori elementi conoscitivi. A conclusione della stessa nota
veniva infine comunicato: "Nella giornata odierna è giunta comunicazione,
da parte del Supporto Tecnico, in merito al riscontro di una venuta d'acqua
stimabile in circa 9 l/sec., al fronte della galleria in argomento. Tale
accadimento, in relazione all'ormai prossimo raggiungimento della progressiva
di probabile inizio drenaggio, fa ritenere che la sospensione dei lavori di
scavo debba essere immediata, che debbano essere avviati e conclusi nel più
breve tempo possibile gli approfondimenti di cui sopra e che in merito alla
prosecuzione l'Osservatorio esaminerà gli esiti delle attività richieste, non
appena disponibili".
Sulla base dei sopralluoghi
effettuati dall'ARPAT il 14 marzo i lavori di scavo avevano raggiunto la
progressiva 54+112 (si tenga presente che con l'avanzamento verso Bologna la
progressiva è decrescente). I lavori risultano essere proseguiti per ulteriori
1-2 giorni fino al raggiungimento della progressiva 54+102. In tale periodo si
è incrementata la venuta di acqua al fronte della galleria fino a raggiungere
16 l/sec.
Quasi
contemporaneamente ha iniziato a manifestarsi un decremento consistente delle
portate delle sorgenti Casa d'Erci 1 e Casa d'Erci 2 destinate
all'alimentazione dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco e
Grezzano, tanto che, in data 26.3.2000, è stata attivata l'integrazione degli
approvvigionamenti mediante autocisterne".
Come volevasi dimostrare.
Ma non si farà nulla
neanche per altre importanti sorgenti, come La Rocca che serve il capoluogo di Scarperia.
Nonostante ciò non ci si
ferma. Si va avanti.
Lo stesso per il cantiere
di San Giorgio, dove si verifica una serie di sprofondamenti di terreni
agricoli, l'ultimo dei quali di ben 7 metri a 70 metri di distanza dal fronte
di scavo.
La domanda è sempre quella. Perché non fermarsi già
dall'estate del 1998 quando era evidente il fallimento del progetto in corso
d’esecuzione dopo che si erano registrate conseguenze analoghe della
cantierizzazione TAV a Castelvecchio, nel Comune di Firenzuola?
Ed allora
come si fa a sostenere l’imprevedibilità dell’accaduto?
Ciò che è accaduto era non solo prevedibile, ma in
concreto previsto [...]. Ed allora se era prevedibile e previsto ciò che è
accaduto, perché non sarebbe esigibile che si fosse operato diversamente?
Dunque prevedibile, previsto e comunque accettato ed infine, dunque, voluto.
Comunque sicuramente accettato da quando si sono manifestati gli eventi di
Castelvecchio e dal quel momento chiaramente voluto.
L’assunto è confermato dal Documento del 2.8.'00
prodotto dall'Osservatorio Ambientale Nazionale. Vi si leggono espressioni come
"le sorgenti Badia di Moscheta
e Felciaione sono destinate ad essere prosciugate dal drenaggio della galleria
Firenzuola e della Finestra Osteto (…) La sorgente Badia di Moscheta ha un
notevole interesse dal punto di vista turistico-ambientale; infatti si tratta
di una captazione fatta dai monaci di Moscheta e si trova nel cortile della
Badia, meta di numerosi turisti. La sorgente potrebbe essere impattata a
partire dall'agosto 2001 (…) La Galleria Firenzuola dalla finestra Rovigo verso
sud drena attualmente circa 200 l/s".
Ormai la fine è nota.
Impattata anche Moscheta.
Ed allora come concludere?
a) CAVET doveva e poteva conoscere i danni ambientali che avrebbe
provocato con la sua condotta ed in parte già li conosceva, ma non se ne cura.
b) In ogni caso ne è chiaramente edotta appena iniziano le opere di scavo
e si provocano i primi impatti asseritamente non previsti.
c) Volontariamente e consapevolmente CAVET prosegue nell’attuazione del
suo programma conoscendone perfettamente gli effetti.
d) Alla proteste dei
danneggiati, degli enti locali, degli ambientalisti, si sottrae negando i
fatti, le proprie responsabilità o garantendo che tutto sarebbe tornato come
prima.
Il punto a)
prova il dolo eventuale.
I punti b) e
c) sono sufficienti a dimostrare il dolo diretto degli eventi provocati.
Il punto d) prova la consapevolezza e la malafede per
sottrarsi alle conseguenze dei danni provocati.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 14]
“CAVET HA AVUTO QUESTO AFFIDAMENTO [...], IN QUELLO CHE ERA IL PIANO [...] DEL ’92, DOVE C’ERA DA REALIZZARE QUESTE GRANDI
INFRASTRUTTURE FONDAMENTALI PER IL PIANO DI TRASPORTI NAZIONALE. E SI
ARROVELLARONO LA TESTA PER DIRE: MA CHI PUÒ FARE QUESTE STRUTTURE NEI TEMPI? LA
COSA IMPORTANTE ERA TROVARE IL SOGGETTO CHE DAVA GARANZIA DI TEMPI E COSTI. NON
DETTO, ERANO LORO. QUINDI SILVA RIVENDICA CHE CAVET È STATA SCELTA PERCHÉ
SOGGETTO CAPACE DI GARANTIRE TEMPI E COSTI, ED È QUESTO CHE GIUSTIFICAVA LA
LORO SCELTA COME GENERAL CONTRACTOR. [...] CERTO, OGGI, NEL 2008, AD OPERA ANCORA DA FINIRE E
CON COSTI FINALI INDETERMINATI QUESTE AFFERMAZIONI RISULTANO UN PO’ PARADOSSALI
E FANNO QUANTO MENO DUBITARE SULLA BONTÀ DELLA SCELTA DI CAVET COME ESECUTORE
DELL’OPERA. MA TANT’È”.
Abbiamo provato i danni, la condotta,
l’elemento soggettivo. Bisogna passare a valutare le singole
posizioni soggettive.
All’esito del dibattimento pare si debba
necessariamente operare un parziale distinguo tra l’operato dei soggetti CAVET
dai soggetti non CAVET.
Come detto, è CAVET il soggetto cui viene
appaltata l’opera “chiavi in mano”, che redige il progetto esecutivo, che
esegue materialmente l’opera.
È chiaro che siamo nell’ambito di una logica d’impresa per cui al di là
della responsabilità dei singoli sarebbe risultata assai opportuna una
legislazione quale quella sulla responsabilità delle società di cui alla legge
n. 231/2001, che recentemente ha esteso il suo campo di applicazione anche ai
reati connessi alla violazione delle norme sulla prevenzione infortuni sul
lavoro. È infatti ovvio che non siamo in presenza di soggetti che commettono
reati in proprio, ma che, evidentemente, li commettono nell’ambito di un
programma comune e di una strategia aziendale prefissati.
CAVET si fa forte del fatto di non aver scelto il
tracciato, di non aver redatto il progetto di massima, che le specifiche del
progetto esecutivo erano fortemente condizionate dal progetto di massima già
approvato, di non aver avuto nessun potere decisionale alla luce del contratto
stipulato con TAV, di non aver avuto alcuna autonomia progettuale ed operativa,
di essere in buona sostanza un mero esecutore materiale di scelte operato da
altri. Celico ci spende una
trentina di pagine su questo argomento, da pg. 120 in poi.
A parte il fatto che in questo modo CAVET
svilisce un po’ troppo il suo ruolo, direi che lo fa in anche modo
contraddittorio, sol che si ricordi che proprio alcuni dei suoi massimi
dirigenti quali Silva, Guagnozzi in questa aula, ma anche Celico nella sua CT,
quando gli si è contestato di aver agito come hanno agito, si sono
giustificati dicendo di aver operato come si doveva, secondo le migliori e più
razionali valutazioni di costi-benefici attinenti la realizzazione di questa
opera pubblica, senza però che si sia ben compreso chi gli avesse conferito
tale potere decisionale, che invece è proprio ed esclusivo degli organi
esponenziali della pubblica amministrazione, e non certo di un appaltatore.
Ma questo la dice lunga sul vero ruolo svolto da CAVET che non è stato
certo un mero esecutore materiale come vuole oggi apparire. Il mero esecutore materiale si mette un
paraocchi e va a diritto, qualunque cosa gli dicano la fa. No, loro rivendicano
di aver operato nel modo più razionale. E quindi questo la dice lunga sul
vero ruolo di CAVET. [...] Qui viene la battuta: cioè, voglio
dire, come quando le mamme qui a Firenze dicono “me l'ha detto lui di fare una
cosa”, e la risposta è “ma se t’avesse detto di buttarti in Arno?”. Perché
Celico ad un certo punto dice “ah, ma siamo stati costretti a redigere un
progetto esecutivo in sei mesi”. Ma ti hanno messo una pistola alla tempia, chi
ti ha obbligato? È colpa dei danneggiati se hanno avuto sei mesi? Cioè, non si
comprende quale sia l’argomento. E quindi CAVET ha fatto ciò che ha voluto fare
perché ha potuto e voluto farlo.
E non ultimo... e non ultimo, perché poi riportiamo le cose sempre su un
piano strettamente giuridico, CAVET non è un appaltatore qualunque, è un general contractor o, se vogliamo essere proprio
più precisi, il braccio operativo del general contractor, ma la sostanza
non cambia.
E il general contractor di che cosa risponde? Qual è il compito del general
contractor? Il general contractor stipula e si obbliga per opere chiavi in mano,
cioè chi ti commissiona l’opera se ne disinteressa. (...) Chiavi in mano vuol
dire: portami l’opera finita, dimmi quale pulsante pigiare, dimmi cosa fare,
dimmi con quale chiave aprire la porta e siamo a posto, io non voglio sapere
niente. E vorrà dire qualcosa se tu ti obblighi per opere chiavi in mano. Il general contractor ancor più
dell’appaltatore è responsabile del risultato. Ha un’obbligazione di risultato,
non di mezzi. Il general contractor
stipula contratti per opere “chiavi in mano”. Se no, che general contractor è? È general contractor solo per evitare di essere messo in
concorrenza con altri in gare ad evidenza pubblica magari a gara europea?
E CAVET è l’alter ego del general contractor, e come tale si è assunta una obbligazione di
risultato e non di mezzi. CAVET ha
fatto dunque ciò che ha fatto perché ha voluto farlo. È
sua responsabilità se ha
scelto di fare quello che dice Celico a pg. 147, se CAVET ovvero ha
accettato di redigere il progetto esecutivo in poco più di sei mesi, mentre per
il progetto di massima ci sono voluti sei anni.
Peraltro il fatto di essere stati prescelti come general contractor è circostanza rivendicata con orgoglio dall’ing. Silva quando
autoqualifica CAVET come soggetto prescelto perché uno dei pochi capaci di eseguire
quell’infrastruttura fondamentale per il piano dei trasporti nazionale dando
garanzia di rispetto di tempi e costi. Silva interrogato dà una spiegazione su
come mai... rivendica con orgoglio come mai secondo lui è stata scelta CAVET: CAVET ha avuto questo affidamento, sono
parole dell’imputato Silva, in quello
che era il piano che è ancora del ’92, dove c’era da realizzare queste grandi
infrastrutture fondamentali per il piano di trasporti nazionale. E si
arrovellarono la testa per dire: ma chi può fare queste strutture nei tempi? La
cosa importante era trovare il soggetto che dava garanzia di tempi e costi. Non
detto, erano loro. Quindi Silva rivendica che CAVET è stata scelta perché
soggetto capace di garantire tempi e costi, ed è questo che giustificava la
loro scelta come general contractor. [...] Certo,
oggi, nel 2008, ad opera ancora da finire e con costi finali indeterminati
queste affermazioni risultano un po’ paradossali e fanno quanto meno dubitare
sulla bontà della scelta di CAVET come esecutore dell’opera. Ma tant’è.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 15]
“ITALSTRADE
DOPO I FATTI DI MARZANO ED OSTETO
RESCINDE IL CONTRATTO E LASCIA PERDERE. SI RITIRA. ESCE DI SCENA. NON SI INTESTARDISCE NELL’ESECUZIONE
DI UN’OPERA BASATA SU UN PROGETTO ESECUTIVO RISULTATO FALLIMENTARE, E NON SOLO
DAL PUNTO DI VISTA AMBIENTALE, MA ANCHE DAL PUNTO DI VISTA COSTRUTTIVO [...].
QUESTA
CIRCOSTANZA CI DÀ PROVA ANCHE DI UN ALTRO FATTO IMPORTANTE, OVVERO DEL FATTO
CHE CI SI POTEVA COMPORTARE ANCHE IN MODO DIVERSO DA COME SI È COMPORTATO
CAVET. [...] SI POTEVA E CI SI DOVEVA FERMARE PER PRENDERE
ATTO DI QUELLO CHE ERA SUCCESSO E RICONSIDERARE IL TUTTO”.
E allora
passiamo come abbiamo detto alle posizioni soggettive. Lasciamo [...] perdere ora [...] un attimo i soggetti CAVET e concentriamoci sugli imputati “non CAVET” di
questo capo di imputazione.
[...] L’Italstrade ha
avuto in sub-appalto da Cavet la realizzazione degli scavi per le gallerie di Marzano
e Osteto nel cantiere T11. Quelle che hanno avuto tra gli impatti maggiori.
Basti pensare alla venuta del 25.4.’99 a Marzano ed a quella di Osteto il
9.6.’99 con conseguenze drammatiche. Ricordiamoci che per Osteto si è avuto
l’allagamento completo, ripeto completo, del cavo di galleria. Quindi
indubitabile il fatto che Italstrade
abbia materialmente provocato dei danni con la sua condotta.
E allora
però qual è l’elemento distintivo che ci fa diversamente qualificare la sua
condotta?
Italstrade è un
sub-appaltante. Italstrade non ha
redatto il progetto esecutivo. Italstrade non è incaricata dello scavo dell’intero tratto. Italstrade non è stato scelto come General Contractor
da TAV. Quindi Italstrade, davvero, a
differenza di CAVET, è davvero mero esecutore materiale dello scavo. È poco più
che manovalanza. Tecnica e qualificata, ma manovalanza.
Poteva dunque prevedere Italstrade cosa sarebbe successo? È lei che ha redatto
il progetto esecutivo? No. Aveva la cognizione complessiva di tutto quello che
stava accadendo anche su tutti gli altri cantieri? No. CAVET le aveva forniti i
dati per poter prevedere gli eventi cui sarebbe andata incontro? No. Perché
diciamo no? Non è un assioma, non è un’affermazione apodittica, no, perché Italstrade sulla base delle informazioni CAVET si
attrezza, si attrezza in un certo modo, [...] prepara
le strutture necessarie a ciò che si attende che avverrà, macchinari, impianti
di smaltimento, e questi non sono inefficienti, ma - ce lo dice il teste - non
è che sono inefficienti: quando arrivano le venute sono insufficienti, cioè
vanno incontro a eventi non previsti di cui non hanno notizia. Tanto è vero
che abbandonano il cantiere, lo chiudono, sono costretti ad interrompere
proprio dagli eventi [...]. Ma
non solo si fermano: prendono atto del fallimento del progetto che dovevano
eseguire e lasciano perdere, abbandonano, chiudono, rescindono il contratto, se
ne vanno.
CAVET invece imperterrita resta e prosegue [...] tant’è
che al momento dei sequestri da parte della Procura i lavori sono sì ripresi,
ma non da Italstrade, ma in diretto
affidamento CAVET.
Ripetiamo, Italstrade dopo
i fatti di Marzano ed Osteto rescinde il contratto e lascia perdere. Si ritira.
Esce di scena. Non si intestardisce
nell’esecuzione di un’opera basata su un progetto esecutivo risultato
fallimentare, e non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di
vista costruttivo, se è vero che il subappaltatore Italstrade è
costretto a prendere atto che non è realizzabile e abbandona l’esecuzione dell’opera.
Prende atto che il progetto così com’è è
una cosa diversa, c’è bisogno di cose diverse, e abbandona l’esecuzione delle
opere.
Questa circostanza ci dà
prova anche di un altro fatto importante, ovvero del fatto che ci si
poteva comportare anche in modo diverso da come si è comportato CAVET. Si
poteva fare come ha fatto Italstrade. In ogni caso si
poteva e ci si doveva fermare per prendere atto di quello che era successo e
riconsiderare il tutto. Segno che era ed è esigibile che CAVET si comportasse
in modo diverso.
In ogni caso [...] già nell’ottobre del 2000 il cantiere Italstrade è fermo e quindi il reato per loro è
quantomeno prescritto cessando loro a tale data la loro condotta, abbandonando
l’opera e quindi non essendo più nelle condizioni per cui fosse da loro
esigibile una condotta diversa da quella tenuta.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 16]
“CAVET INVOCA SPESSO LA SICCITÀ [...]. LA SICCITÀ È
SEMPLICEMENTE UNA GIUSTIFICAZIONE POSTICCIA. I DATI ATTESTANO CHE NEL
TRENTENNIO PASSATO, IL QUINQUENNIO PIÙ SICCITOSO FU QUELLO ‘89-‘93, OLTRE AL
FAMOSO 1985 [...]. E NESSUN TESTIMONE HA DETTO CHE I POZZI, LE FONTI
ED I TORRENTI DEL MUGELLO SI SIANO SECCATI IN QUEGLI ANNI. NEPPURE NEL 1985. [...]
IRONIZZANDO, SE VOLESSIMO CREDERE ALLA TESI CAVET
DELLA “SICCITÀ”, SI DOVREBBE CONCLUDERE CHE, QUANTO MENO, CAVET “PORTI MALE”
ALLE ZONE CHE SONO INTERESSATE DAI LORO INTERVENTI, VISTO CHE DOVE PASSANO
LORO, ARRIVA LA SICCITÀ: L’ACQUA SPARISCE ANCHE IN AREE COME IL MUGELLO RICCHE
DI FIUMI, SORGENTI E POZZI PERENNI. PIÙ SERIAMENTE, INVECE, È DA RAVVISARSI CHE
NEL TRIENNIO 1999-2001 C’È STATA UNA SICURA CARENZA DI AFFLUSSI METEORICI. PIÙ
IN GENERALE C’È MENO ACQUA. [...]
L’ACQUA DIVENTA UN BENE SEMPRE PIÙ SCARSO, DAVVERO
PIÙ RARO E QUINDI PIÙ PREZIOSO. [...] COSA NE DOBBIAMO DEDURRE? QUESTA MINOR DISPONIBILITÀ
D’ACQUA, È UNA PROVA A DIFESA O NON È PIUTTOSTO UN’AGGRAVANTE? NON SI DOVREBBE OPERARE SEMPRE E COMUNQUE PER
IL MEGLIO, NEL MASSIMO RISPETTO DELLE GENERAZIONI FUTURE, SPECIALMENTE QUANDO
IN GIOCO CI SONO BENI VITALI E PREZIOSI COME L’ACQUA?”.
Questa dunque l’accusa.
Eventi, condotta, elemento soggettivo, individuazione delle responsabilità
personali dei soggetti individuati come autori dei fatti.
Ma un lavoro serio impone
che si verifichino anche le prove addotte dalle difese per vedere quali falle,
quali lacune possano eventualmente aver viziato le tesi dell’accusa.
Ed abbiamo fatto questa
verifica . E, all’esito, sono risultate confermate più di un buona ragione non
solo per aver incardinato questo processo ma anche per affermare la
responsabilità penale dei soggetti sopra indicati.
È parso di capire che la difesa a seconda dei casi,
abbia inteso muoversi sulle seguenti dieci direttrici.
1) È colpa della siccità.
2) L’acqua tornerà.
3) Non siamo stati noi.
4) Era tutto previsto...
5) … comunque monitorato ...
6) … comunque mitigato …
7) ovviamente salvo l’imprevedibile, perché la geologia
non è una scienza esatta.
8) Comunque c’è l’assicurazione di Bologna.
9) Comunque gli interventi CAVET sono migliorativi della
situazione preesistente.
10) E poi, alla fin fine, che volete da noi, visto che
“tutti sapevano tutto”?
1)
LA SICCITÀ
CAVET invoca spesso la Siccità.
Lo dice CAVET a M. O. per
il calo della portata del Bosso, e lo conferma anche l’ottima Arpat nel 2000, ma
M. O. non la prende come una risposta seria ed infatti detta tesi è sconfessato
dai tabulati CONSIAG (ud. 23.2.05).
[...] Lo dice Longo a B. F. per l’essiccamento dalla sera alla mattina della
sua sorgente a Paterno.
Lo dicono l’ing. Vellani e
Marcheselli a D. F. nel luglio 2003.
Teste D. F. - Noi come Consorzio e come privati siamo stati tranquilli perché in quel
momento l’acqua c’era e questo fino ad arrivare al luglio 2003; nel luglio del
2003, quindi un anno dopo, poco più di un anno dopo, improvvisamente la fonte…
insomma, la presa sul Carzola si è completamente essiccata. Noi abbiamo un
impianto con delle autonomie, nel senso, abbiamo un 500 metri cubi di accumulo,
quindi siamo stati in grado di andare avanti poco più di una settimana perché
il momento effettivo di secca del fiume è partito verso la metà di luglio del
2003. Io, fra l’altro, in quel momento ero in vacanza addirittura anche
all’estero, mi chiamarono dei miei vicini, insomma dei miei soci, dei miei
consoci, e mi dissero ‘qui non arriva più acqua al rubinetto’. La prima cosa
che pensai di fare fu chiamare il CAVET, chiamai al numero che avevo in agenda
e parlai con l’ingegner Vellani; l’ingegner Vellani mi disse ‘Ma, non piove… la
siccità…’, insomma, facemmo una telefonata così un po’ generica e mi disse
anche ‘il cantiere sta per chiudere’, chiudere per le vacanze probabilmente,
‘non possiamo intervenire’. In realtà non sono intervenuti e fra l’altro non è
intervenuto neanche nessun ente pubblico perché poi ci siamo cercati di attivare
presso Comune di Sesto e di Vaglia - i nostri due Comuni perché il nostro
Consorzio sta su due Comuni appunto come dicevo all’inizio – e nessuno è
intervenuto, tanto è vero che circa il 20 di luglio abbiamo dovuto cominciare a
farci portare dell’acqua tramite autocisterne da una ditta privata. Questa
operazione di trasporto di acqua con autocisterne è andata avanti purtroppo…
dico purtroppo perché ha avuto un costo notevole, oltre 70.000 euro solo per la
questione di trasporto… è andata avanti fino al 15 di ottobre. Durante l’estate
è piovuto un paio di volte e le piogge hanno riportato una certa quantità
d’acqua nel torrente Carzola per la ruscellazione superficiale, cioè come
quando piove… ora i dettagli geologici forse non è il caso né io sono qualificato
per darne, però comunque quando ci sono delle piogge il torrente Carzola
ruscella in superficie, l’acqua superficiale si riconvoglia nel letto e anche
in una fase di secca com’era quella di quell’estate 2003 arrivava un po’
d’acqua la mattina dopo della pioggia, però questa a noi non ci faceva altro
che danno perché ci costringeva addirittura a sostituire le pompe che abbiamo
nella presa…
Teste D. F. - Chiaramente; perché, appunto, dai contatti avuti con CAVET, sia con l’ingegner
Vellani che con l’ingegner Marcheselli che ci dicevano tutto sommato la vostra
problematica dipende dalla siccità e non dalle opere eseguite, notavamo una
certa resistenza a venirci incontro perlomeno da un punto di vista economico.
Lo dice Bollettinari a D.
I. per la sorgente di Campomigliaio, dopo che gli si è seccata all’improvviso
la sorgente perenne, peraltro immortalata da una lapide del 1800 .
Teste D. I. - Allora, dopo la prima lettera per primo è venuto il professor Rodolfi che
è dell’OAL, Osservatorio Ambientale Locale, poi sono venuti due tecnici
dell’ARPAT, poi è venuto personale dell’Italfer però non ricordo il nome, un
geologo che si presentò della Fiat Engineering… se ricordo bene il nome è
Bollettinari o qualcosa di simile…questo geologo Bollettinari della situazione
diceva che probabilmente era una questione meteorologica perché in quell’anno
era nevicato poco, c’era poca pioggia, e quindi probabilmente imputava il
disseccamento della sorgente a un problema meteorologico.
E a domanda difesa:
Teste D. I. - Io di questo riferimento alla
situazione meteorologica lo ricordo perfettamente anche perché l’anno
successivo ho riscritto nuovamente dicendo ‘L’anno scorso la situazione
meteorologica poteva anche essere così, nel 2001 adesso è piovuto…’.
Non risultano risposte se
non il fatto che di lì a poco il D. I. riceverà una telefonata
dall’assicurazione Ausonia di Milano.
Lo dicono anche a C. G. per
“I Guazzini”. [...] Che la siccità sia una mera scusa, basta leggere la testimonianza di C.
G.
Teste C. G. - Un dato interessante, se vuole glielo dico, è estate '98. Estate '98 è
stata riconosciuta come calamità naturale, con sgravi fiscali in agricoltura,
lo potete verificare in Regione Toscana. A fine estate, senza ricarica e a metà
ottobre, quindi niente acqua tutta l'estate e metà primavera, “I Guazzini”
avevano 47 litri al minuto. Ora, un mese fa, si era a 1 litro virgola 23 il
minuto.
Abbiamo prodotto il
bollettino della Regione Toscana tratto dal BURT per dimostrare che è vero quel
che dice C. G.
C. G. è riscontrato anche
da A. C. ed S. U.. Anche nel ‘98 loro coltivavano mais senza aver bisogno di
irrigare.
C. G., per chi se lo vuole ricordare, è
quello della sorgente “I Guazzini” debitamente autorizzata con concessione
permanente della Regione Toscana. Quello per cui CAVET nega di avergliela
seccata, la sorgente, dando la colpa ai pozzi del Bagnone, senza darne prova.
Io vorrei ci si rileggesse la sua testimonianza per ricordarsi come C. G. fosse
quello che aveva fatto una scelta di vita e che aveva messo su un pescheto
biologico, morto. Quello che ha avuto la casa lesionata dalle esplosioni dallo
scavo della galleria che passava proprio sotto la sua proprietà. È quello che vicino a casa ha avuto una frana. È
quello che quando pensava di aver finito con
le mine in galleria che non lo facevano dormire, hanno ricominciato da capo
perché la galleria si era ammalorata, per cui hanno dovuto sminare il cemento
per rifarlo nuovo. Quello che pur
avendo scelto di andare a vivere lì alla prima domanda del PM che gli chiede se
abita a Scarperia...
Pubblico Ministero - Ho capito. Senta, lei abita anche lì?
... è costretto a rispondere ...
Teste C. G.
- Sì. Purtroppo sì.
Chi non ha voglia di leggere si riveda il filmato
tratto dalla trasmissione delle Iene già prodotto a suo tempo in atti.
Riportiamo qui una parte
della testimonianza.
Pubblico Ministero - Per capirsi, si chiama “I Guazzini” perché i vecchi
proprietari erano i Guazzini...
Teste C. G. - No, “I Guazzini” è il posto della località. Cioè,
proprio... rende bene l'idea in che ambiente eravamo: “I Guazzini”. Cioè, pieno
di acqua.
Pubblico Ministero - Guazza
acqua...
Teste C. G. - Sì, sì,
perfetto. C'erano anche i pesci, se le può interessare.
Pubblico Ministero - No, ecco.
Sì, ce lo dica, perché...
Teste C. G. - Sì, lì
c'era una presenza di barbi, i vecchi proprietari dell'epoca ve lo potrebbero
riferire. E granchi e gamberetti.
Pubblico Ministero - Ecco, di
tutta questa roba non c'è più nulla?
Teste C. G. - No. Tutto
secco. I Guazzini sono a tutt'oggi
d'inverno secchi. Anche se qualcuno questa estate ha trovato l'acqua per
conto di CAVET.
Al sig. C. G. che ha avuto
sempre acqua prima dei lavori dell’alta Velocità dicono che la sua sorgente si
è seccata per la siccità e per i pozzi del Bagnone.
A volte poi la siccità
arriva solo dopo l’assicurazione, come nel caso di F. M. che rifiuta l’offerta
dell’assicurazione per comporre bonariamente la questione e, dopo il rifiuto,
gli arriva la lettera della CAVET che gli dice che è colpa della siccità.
Pubblico
Ministero - ... nessuno di CAVET è
venuto per questa sorgente che lei dice non c'è più?
Teste F. M.
- Ma mi sembra sia venuto un... un
signore che rappresentava la CAVET per conto di una società assicuratrice.
Pubblico
Ministero - Ecco.
Teste F. M.
- Mi sembra che m'abbia detto che
era, che rappresentava la CAVET. Chiedendomi se volevo sistemare la cosa
bonariamente, cioè, diciamo così con dei soldi. Io gli ho detto. ”No, io non
voglio dei soldi, voglio l'acqua, se è riconducibile all'impatto avuto
tramite... per questa galleria “. Tutto qui.
Pubblico
Ministero - Ho capito. E poi questa
cosa, questa sua controproposta, ha avuto un seguito, c'è stata corrispondenza,
ha avuto risposte?
Teste F. M.
- Mi sembra c'è stata corrispondenza
tramite un mio avvocato il quale ha scritto alla CAVET. E la CAVET ha risposto
che, secondo loro, questo essiccamento era dovuto a una estate particolarmente
siccitosa del 2001. Mi sembra sia questo...
Pubblico
Ministero - Ad oggi com'è la
situazione? É ritornata l'acqua?
Teste F. M. - No.
Insomma, la siccità è semplicemente una giustificazione posticcia. I
dati attestano che nel trentennio passato, il quinquennio più siccitoso fu
quello ‘89-‘93, oltre al famoso 1985 (quell’anno, per chi è di Firenze,
quell’anno in cui non piovve mai da aprile a novembre e per cui fu ritenuto
necessario da parte della Protezione Civile realizzare il famoso “tubone
Zamberletti”, una condotta lunga sedici chilometri che esiste ancora e che venne
realizzata per allacciare l’acquedotto asciutto di Firenze con le acque dei
laghetti Renai di Signa).
E nessun testimone ha detto che i pozzi, le fonti ed
i torrenti del Mugello si siano seccati in quegli anni. Neppure nel 1985.
In ogni caso, per tornare
ad anni più recenti, abbiamo prodotto il decreto pubblicato sulla Gazzetta
della Regione Toscana che dimostra come nel 1998 fu dichiarato lo stato di
calamità per la siccità nel Mugello, e non risulta nessun punto d’acqua seccato
quell’anno. Ed anzi, il sig. A. C., a S. Giorgio, anche quell’anno ebbe un
rigoglioso raccolto di mais senza annaffiare.
Ironizzando, se volessimo credere alla
tesi CAVET della “siccità”, si dovrebbe concludere che, quanto meno, CAVET
“porti male” alle zone che sono interessate dai loro interventi, visto che dove
passano loro, arriva la siccità: l’acqua sparisce anche in aree come il Mugello
ricche di fiumi, sorgenti e pozzi perenni.
Più seriamente, invece, è da ravvisarsi
che nel triennio 1999-2001 c’è stata una sicura carenza di afflussi meteorici.
Più in generale c’è meno acqua. Vuoi che ciò sia per i cambiamenti climatici,
vuoi sia per fare un dispetto al prof. Segale, quello che afferma che “l’acqua
non è un bene raro”, l’acqua diventa un bene sempre più scarso, davvero più
raro e quindi più prezioso. E allora la siccità, diamola paradossalmente per
provata; non certo come causa di essiccamento dei fiumi e delle sorgenti del
Mugello, ma come tendenza in atto all’inaridimento di quella come di altre
zone. Cosa ne dobbiamo dedurre? Questa minor disponibilità d’acqua, è una prova
a difesa o non è piuttosto un’aggravante? Non si dovrebbe operare sempre e comunque per il meglio, nel massimo
rispetto delle generazioni future, specialmente quando in gioco ci sono beni
vitali e preziosi come l’acqua?
Noi abbiamo cominciato queste indagini nel 1999,
quando il problema dei mutamenti climatici era certo meno sentito e dibattuto
di oggi. Ciò nondimeno appariva già allora evidente
come non fosse tollerabile uno spreco quale quello che si stava verificando, se
non giustificato e legittimato da valutazioni di ordine superiore adottate
dagli organi competenti nel pieno rispetto della legalità. Il che non però non
è avvenuto nel nostro caso.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 17]
“E LUI M'HA DETTO: 'NO, MA VEDRÀ CHE L'ACQUA
RITORNA...'.
PERCHÉ AVEVAMO PERSO ANCHE DELLE SORGENTI.
E LUI M'HA SPIEGATO CHE SCAVANDO IL TUNNEL L'ACQUA
ANDAVA IN DIVERSI RIVOLI E CHE PROBABILMENTE LE SORGENTI SAREBBERO RITORNATE,
MAGARI NON NELLO STESSO POSTO. E COSÌ SAREBBE SUCCESSO ANCHE PER IL FOSSO.
PERÒ PER IL FOSSO NON... NON SI È ANCORA PRODOTTO
NIENTE”.
2) L’ACQUA TORNERÀ
L’acqua, finiti
i lavori, tornerà.
È una delle prime carte giocate da CAVET, già in fase
di progettazione, e fa parte
di una logica che è quella di minimizzare sempre e comunque quelli che saranno
gli impatti di questa opera.
Versione
criticata da subito nella fase istruttoria da Micheli nel suo parere del
23.1.’95.
Pubblico Ministero - Senta un'altra cosa: si ricorda invece se per caso c'erano alcune
ipotesi di valutazione sulla... come si può dire in qualche modo... sulla
permanenza o meno del danno? Se i danni erano previsti, se...
Teste Micheli Luigi - Su quell'altro, sull'elaborato successivo, sulla tratta, l'ultimo
parere che ho dato, invece, c'erano considerazioni sull'impatto, però
considerato assolutamente permanente, una volta realizzata l'opera, si sarebbe
ripristinato la situazione idrogeologica ante operam.
Pubblico Ministero - Allora forse non permanente.
Teste Micheli Luigi - Era considerato, sì, temporaneo durante la fase di scavo,
l'abbassamento...
Pubblico Ministero - Ah, contestuale col..
Teste Micheli Luigi - Con l'opera. Finita l'opera, finite le opere di impermeabilizzazione,
eccetera eccetera, sarebbe ritornata la situazione antecedente. Però tutto su
valutazioni molto teoriche, eh. Molto... modellazioni numeriche dove mettere,
dare un valore a un parametro cambia moltissimo il risultato finale, insomma.
La progenitura pare sia dell’ing. Lunardi
che in conferenza dei servizi, per come testimoniato dal Presidente della
Comunità Montana Notaro, avrebbe detto che tutti gli interventi erano in
qualche modo reversibili.
Ciò che l’ing. Lunardi dice in conferenza
dei Servizi, l’ing. Calcerano lo dice a Castelvecchio. Entrambi
dicono che l’acqua sarebbe tornata.
Nel Mugello Calcerano fu un incompreso,
visto che il Sindaco Mascherini fece ironicamente mettere a verbale la
dichiarazione.
A Roma no, atteso che Calcerano risulta essere stato
nominato Capo della Segreteria tecnica proprio presso il Ministero delle
Infrastrutture, di cui anche l’ing. Lunardi ha ricoperto l’incarico di
ministro.
A rileggere la testimonianza di Trezzini sull’impatto
di Castelvecchio viene da rabbrividire a pensare come si sia tentato di gestire
questa cosa da parte di CAVET. Non solo gli ingegneri di CAVET hanno sostenuto
che l’acqua sarebbe tornata, ma si sono spinti fino a formulare teorie di
“geologia creativa” per cui l’impatto provocato dallo scavo sarebbe stato
puntuale e coincidente con il cavo della galleria, ed i suoi effetti sarebbero
diminuiti allontanandosi da esso, secondo un andamento che potrebbe essere
simile a quello rappresentato da un grafico ad ali di gabbiano, per poi
ricostituire pressoché lo stesso status quo ante, una volta terminato lo scavo
ed il rivestimento della galleria.
Morale, dicono a Trezzini
che la falda a Castelvecchio è scesa solo di pochi centimetri e andrà a
risalire. Trezzini non si fida, fa fare dei sondaggi e l’acqua non la trova
neppure a 40 metri di profondità!
Teste Trezzini Fabio - Sì, certo, io quando avvenne Castelvecchio non ero
presidente dell’Osservatorio perché non esisteva neppure l’Osservatorio in
quanto era quel periodo…
Pubblico Ministero - …era quel periodo di vacanza;
lei però fece…
Teste Trezzini Fabio - Andai… voglio dire, ritenni che fosse giusto e
opportuno occuparsi di questo aspetto e andai a vedere e facemmo anche una
riunione [...] con i tecnici di CAVET in
cui fu fornita una possibile spiegazione di questa interferenza non prevista,
spiegazione che risultò certamente errata… se vuole le spiego perché.
Pubblico Ministero - Sì sì.
Teste
Trezzini Fabio - La spiegazione era
errata perché il consulente di CAVET che era presente di cui non ricordo il
nome e che tra l’altro poi…[...] … questo consulente dette
la spiegazione che in sostanza la previsione di interferenza o non interferenza
si poggiava sul fatto che lo scavo penetrando nella montagna in cui c’è acqua
causa una depressione del livello della falda; questa depressione è molto acuta
proprio in prossimità dello scavo e poi tende a riportarsi sul livello iniziale
che aveva la falda nell’arco di 100, 200, 300, insomma, qualche centinaio di
metri. E questa era la spiegazione concettuale attraverso la quale era stata
definita questa fascia di influenza, cioè la fascia di influenza segnava il
confine tra la zona di depressione della falda e la sua progressiva risalita e
il raggiungimento del livello preesistente.
Pubblico Ministero - Mi scusi, forse non ho capito, dove c’è l’impatto poi il fenomeno
decresceva?
Teste
Trezzini Fabio - Dovrei darle un
disegno ma, diciamo, il concetto è questo…
Pubblico Ministero - Gli effetti si minimizzavano a distanza?
Teste
Trezzini Fabio - Sì, perché è chiaro
che… almeno, questa era l’interpretazione
che fu data, intendiamoci…cioè che lo scavo deprime la falda in corrispondenza
di se stesso, questa falda non scende
come se fosse…
Pubblico Ministero - Come se si levasse un tappo e si svuota.
Teste Trezzini Fabio - … come se levassi un tappo dal lavandino che
scende tutta giù ma fa una specie di ‘V’, le ali stilizzate di un gabbiano… per
cui l’ala tende a risalire gradatamente verso il livello…
Pubblico Ministero - Oh, perfetto. E il risultato di questa geologia creativa era il
fatto che sarebbe stato transitorio questo abbassamento di falda? Si
ricorda se ci fu un’affermazione in questo senso in quella riunione proprio?
Teste
Trezzini Fabio - Diciamo questa è
una tesi che si sentiva sostenere, certo, se fosse stato sostenuto in quella
riunione no, non saprei dire. [...] Però
di questo noi avemmo immediatamente una conferma negativa perché…
Pubblico Ministero - Perché lei
non si fidò.
Teste Trezzini Fabio - Io non mi fidai e dissi ‘facciamo
dei saggi’…
Pubblico Ministero - Oh.
Teste
Trezzini Fabio - ... e quando si fecero questi saggi si vide
che contrariamente a quello che era stato ipotizzato e proposto come
spiegazione la falda non era a poche decine di centimetri [...] sì, perché si disse che evidentemente questa
risalita era stata un pochino più lenta di quello che si ipotizzava ma che
comunque quindi la falda sarebbe stata a poche decine di centimetri; e io dissi
‘ma non sarà il caso di verificarlo?’ e allora chiesi a CAVET… suggerii,
perché, appunto, non avevo nessun potere… chiesi di fare questo sondaggio e a
quanto ricordo a decine di metri l’acqua non c’era… a 30, 40, qualcosa del
genere.
Pubblico Ministero - Può essere 40?
Teste Trezzini Fabio - Sì, un ordine di grandezza era questo, cioè, a 40
ancora non c’era, quindi magari era anche più giù insomma.
Quindi non sappiamo nemmeno a quanto è,
perché loro si fermano a 40 ma l’acqua non la trovano più. E a Castelvecchio
l’acqua non è più tornata.
Pubblico
Ministero - L’interpretazione che le
veniva proposta diceva no, qui ci sarà l’interferenza, qui ci sarà la perdita
d’acqua ma con le ali di gabbiano le interferenze vanno sfumando in distanza.
Oltre a questo, le domando se si ricorda, se le fu detto o se fu mai oggetto di
discussione, che comunque la perdita
d’acqua fosse legata alla temporaneità dell’esecuzione dei lavori perché una
volta eseguiti i lavori, una volta fatta la galleria, cioè chiusa, la
situazione si sarebbe ripristinata come prima.
Teste
Trezzini Fabio - No, in
quell’occasione fu detto, se fu detto anche altre volte non lo so, ma
certamente nel prosieguo dei lavori e delle discussioni quando poi ripresero in
termini più organici e strutturati con il supporto dell’ARPAT questa tesi se mai
fu riproposta fu certamente rigettata per più di un motivo; e per il fatto che
appunto il modello interpretativo secondo gli esperti dell’ARPAT, secondo lo
stesso professor Pranzini (1), non era applicabile in questo caso per cui non
ci trovavamo in una spugna…
Pubblico
Ministero - No, no, che fu rigettata
è un discorso ma che fu posta, che fu affermata.
Teste
Trezzini Fabio - Diciamo, la
possibilità di ricostituire esattamente… no, questo non me lo ricordo.
Pubblico
Ministero - Allora le leggo: “Il fatto di Castelvecchio evidenziava come
ci fossero interferenze sulle falde anche in ambito esterno a quella che era
stata delimitata come fascia di interferenza nel progetto. Anche nella riunione della Regione i professionisti di CAVET ribadirono
la volontà degli studi allegati al progetto minimizzando l’impatto e sostenendo
da un lato il poco momento dell’abbassamento della falda segnalata e comunque
la sua temporaneità dovendo ritenere che una volta esaurita la fase esecutiva
dell’opera il sistema sarebbe tornato in equilibrio”.
Teste
Trezzini Fabio - Sì.
Pubblico
Ministero - Io proposi di fare il
sondaggio e invece risultò che…
Teste
Trezzini Fabio - Sì sì. Ripeto, feci
fare quei sondaggi proprio perché non ero convinto della spiegazione.
Ma che l’acqua tornerà non
lo dicono solo Lunardi e Calcerano. Lo dice anche Bollettinari. Bollettinari
nega, ma lo testimonia L. O..
Teste L. O.
- Ma è cominciato nel 2000. Noi
abbiamo scritto delle lettere alle quali non c'è stata risposta. E poi ho
chiesto a un geologo, ora non mi ricordo... Sì, Bollettinari. Ma così, in modo
informale. E lui m'ha detto: 'no, ma
vedrà che l'acqua ritorna...'. Perché avevamo perso anche delle sorgenti. E lui
m'ha spiegato che scavando il tunnel l'acqua andava in diversi rivoli e che
probabilmente le sorgenti sarebbero ritornate, magari non nello stesso posto. E
così sarebbe successo anche per il fosso. Però per il fosso non... non si è
ancora prodotto niente.
Lo dicono al sig. G. N.. E glielo
dice probabilmente Longo, perché parla dell'ingegnere del cantiere [...], comunque
glielo dice l’ingegnere, e questo per
ritornare al ruolo nell’organigramma di CAVET dove tutti fanno fronte, non è
che c’è cedimenti, dicono tutti la stessa cosa, ognuno per il loro grado si va
diritto, non ci interessa.
Pubblico Ministero - Ecco, ma come andò il
discorso, non le contestarono che loro non ci entravano niente con questo?
Teste G. N. - No, l'ingegnere mi
disse: 'stai tranquillo, che noi quando si rincamicia, l'acqua torna...' . Ma
ne è tornata una delle sorgenti, quell'altre due non...
Pubblico Ministero - Allora, ci spieghi
"si rincamicia"... cosa s'intende...
Teste G. N. - I camion, quando passano
con il cemento, diciamo, chiudano, ha capito?
Pubblico Ministero - Cioè, lo scavo della galleria, fatta la galleria, rincamiciato...
Teste G. N. - Sì, sì...
Pubblico Ministero - ...nel senso... Poi
sarebbero ritornate. Le hanno detto questo?
Teste G. N. - Sì, che sarebbero ritornate. E
invece due non sono tornate.
Pubblico Ministero - Due non sono tornate.
Teste G. N. - No.
Ecco allora come è finita: due non sono tornate.
In udienza pare sia
risultato che a questa “teoria” non ci abbia addirittura creduto neppure l’oggi
assessore del Comune di Firenze, arch. Biagi, e se non ci crede l’architetto Biagi...
l’architetto Biagi è il dirigente della Regione che approva quella delibera con
i pareri parziali [...].
Teste Biagi Gianni - Sicuramente ci sono
alcune situazioni dove l’elemento di depauperamento - almeno secondo le nostre
valutazioni poi qui c’è anche una valutazione diversa da parte di altri - potrà
essere un depauperamento significativo per lungo tempo, dipende questo dalla
organizzazione geologica del suolo, è difficile valutarlo in questo momento; lo
studio di impatto ambientale ipotizzava, se mi ricordo bene, che la situazione
complessiva si ristabilisse ma non identica alla situazione preesistente in un
arco di tempo di qualche anno, otto dieci anni, però questa è effettivamente
una questione che forse dovrebbe chiedere…
Pubblico Ministero - Allora le faccio un’altra
domanda: lei conosce l’ingegner Calcerano?
Teste Biagi Gianni - L’ingegner Calcerano sì
che lo conosco.
Pubblico Ministero - Se si ricorda nei vostri
confronti, discussioni o quant’altro, vi fosse un’opposizione di CAVET in
relazione alla temporaneità o meno di certi impatti.
Teste Biagi
Gianni - Sì sì, questa era una delle
questioni che le dicevo, cioè ci furono valutazioni molto probabilmente diverse
a seconda delle opinioni dei soggetti in funzione di alcune specifiche
situazioni, questo può essere accaduto però per quanto riguarda l’Osservatorio
a noi interessava che fossero affrontate comunque e risolte le questioni nello
specifico e quindi io mi ricordo che comunque per quanto riguarda per esempio
la necessità di fornire approvvigionamenti idrici idropotabili o [incompr.] la questione fu affrontata indipendentemente dalla
provvisorietà o meno dell’evento che si verificava.
E allora la domanda è: perché
Biagi ha adottato, ai sensi della legge 23/93, la delibera della Regione
Toscana con cui dava tutti i pareri favorevoli in Conferenza dei Servizi? Perché [...] la Regione Toscana, su una tesi riportata da tutti
che l’acqua tornerà, e che non ci credono, approva tutte le delibere da portare
per i pareri favorevoli in conferenza di servizi? Ma di questo tratteremo poi, quando parleremo della Corte dei Conti.
Quindi abbiamo “siccità” e “l’acqua
tornerà”. E siamo a due.
3) NON SIAMO STATI NOI.
La terza è la più semplice, è “non siamo stati noi”,
è sempre valida. Si comincia da piccini: “non sono stato io, qualunque cosa non
sono stato io”. Difesa sempre valida a
qualunque età. (...) E anche se rivesti
un ruolo primario in un azienda leader quale CAVET. E infatti la usa anche
l’ing. Silva.
Per non sbagliare l’ing.
Silva nella nota a sua firma del 27.1.’99 già citata (doc. 196/10),
relativamente all’acquedotto di Castelvecchio e Visignano nega che sia stata
CAVET ad impattare le sorgenti, e sostiene che, a dispetto dei residenti che
dicevano di essere senz’acqua, l’acqua c’era ancora, che le sorgenti ancora
buttavano, che era comunque colpa della siccità. Leggiamo alcuni stralci del
testo di questa lettera per capire chi sono i nostri imputati, come si sono
comportati, cosa hanno fatto, detto e in questo caso, scritto.
Testo della nota del 27.1.1999:
“Oggetto: Sistema Alta
Velocità Linea Milano-Napoli -Tratta Bologna-Firenze Problemi ambientali:
Sorgente a servizio Comuni Castelvecchio e Visignano Realizzazione nuovo
acquedotto .
Con riferimento all’oggetto lo scrivente Consorzio
ritiene necessario evidenziare alcune precisazioni che si riportano di seguito.
Non riteniamo corretto che si parli di prosciugamento della sorgente a servizio
dell’acquedotto di Castelvecchio e Visignano. La suddetta sorgente è
monitorata” - ricordiamoci di questi
monitoraggi - “con continuità e dopo una notevole diminuzione di portata
verificatasi nel periodo estivo, particolarmente siccitoso, ha cominciato
nuovamente fornire acqua, seppure non ancora ai livelli registrati ante
operam”. Qui abbiamo la summa, c’è tutto:
siccità, l’acqua tornerà, non siamo stati noi. “Al riguardo” - prosegue la nota - “non si giustifica
tanta preoccupazione. [...] La richiesta di sostenere il costo dell’adeguamento
della rete di distribuzione di Castelvecchio è immotivata ed inaccettabile.
Distinti saluti, il Direttore Generale”.
Abbiamo tutto, questo è il quadro al ’99.
Quindi palese negazione di ogni responsabilità e
difesa ad oltranza a dispetto di ogni evidenza.
Nonostante Trezzini avesse detto
bisognava monitorare, e il monitoraggio non è stato fatto; bisogna prendere
atto del fallimento del progetto, e non è stato fatto; deve essere modificato
il codice di scavo, e non è stato fatto; nel ’99 nero su bianco per
Castelvecchio che è ancora secco: siccità, non siamo stati noi, non c’è
preoccupazione, la richiesta di sostenere i costi di adeguamento della rete di
distribuzione è immotivata ed inaccettabile.
Ma è una politica aziendale
scelta a tavolino che si sostiene anche davanti agli amministratori pubblici,
ai Sindaci.
CAVET [...] lo dice anche al sindaco di Borgo S. Lorenzo
per Casa d’Erci.
Teste Margheri Antonio - Allora, qui si entra in... cioè, diciamo che quando
le sorgenti di Casa d'Erci furono impattate, in un primo momento, diciamo, da
parte di CAVET non ci fu un immediato riconoscimento di responsabilità, no? [...]
Perché nelle previsioni di Cavet gli effetti si dovevano produrre, diciamo,
dopo molti mesi. No? E quindi, ecco, inizialmente fu attribuito a una
situazione, diciamo, meteorologica di tipo particolare, ecco.
Pubblico Ministero - Mi scusi, una
circostanza... mi pare interessante. Da chi fu riferito questo, dove, in che occasione
e perché. Lei lo sta riferendo come un fatto appreso da lei personalmente?
Teste Margheri Antonio - Sì. [...]
Giudice - Al di là delle persone,
poi vedremo, lei è certo come sindaco, quindi in veste istituzionale, al
momento in cui vi fu un incontro con CAVET, con personale di CAVET, tecnici
della CAVET, in cui fu contestata questa circostanza, lei ha riferito prima che
CAVET sosteneva in quel momento, all'inizio, che la mancanza,
l'essiccamento, il depauperamento delle sorgenti di Casa d'Erci, derivavano,
per lo meno in gran parte, da eventi atmosferici stagionali.
Teste Margheri Antonio - Non fosse direttamente riferibile alla
galleria.
Giudice - Di questo è
certo, però, anche se non sa chi fisicamente, come si chiamava la
persona...
Teste Margheri
Antonio - Di questo sono certo, ecco. [...]
Diciamo che è sempre stato un punto molto difficile. In prima istanza, ecco, lo posso dire tranquillamente, la reazione era
sempre quella di rimandare, appunto, a qualcos'altro che non fosse l'impatto
della galleria. E ancora oggi, diciamo, ci sono questioni che credo siano
come dico in quell'articolo ancora aperte. Dico, il riconoscimento del
depauperamento del torrente Farfereta, ecco. Comunque lo confermo, insomma. In
quella riunione cui accenno lì, no? del... appunto, fuori dai gangheri...
insomma, credo fosse una riunione proprio formale dell'Osservatorio, quindi ci
saranno stati sicuramente anche dei miei colleghi, ecco. All'inizio l'atteggiamento, così come è successo anche successivamente,
è stato quello molto di minimizzare, ecco.
Questa tesi, oggi
abbandonata in parte, residua ancora come estremo baluardo di difesa nei
confronti di specifici singoli punti acqua di alcune parti offese o parti civili.
È la tesi che residua per i Guazzini, i pozzi di Luco, M. S., l’acquedotto
Co.Ge.Mo..
(1)
Dalle deposizioni del consulente della difesa prof. Pietro Bruno Celico e del presidente
dell’Osservatorio Ambientale Nazionale ing. Fabio Trezzini, il prof.
Pranzini risulterebbe essere consulente di Italferr SpA.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 18]
“IN
CONFERENZA DEI SERVIZI NEL LUGLIO DEL 1995 A ME È SEMBRATO CHE IL COMPORTAMENTO
DELLA REGIONE FOSSE PIÙ TESO A SBLOCCARE E A INIZIARE I LAVORI PIÙ CHE A
VERIFICARE E A CHIEDERE CHE COSA LA REALIZZAZIONE DI QUESTA OPERA AVREBBE
COMPORTATO IN RIFERIMENTO ALL'IMPATTO AMBIENTALE E SOCIALE CHE QUESTA OPERA
AVREBBE PORTATO NEL TERRITORIO RISPETTO ALLA QUALITÀ DEL PROGETTO CHE LÌ
ANDAVAMO AD APPROVARE”.
4) ERA TUTTO PREVISTO E ....
La difesa CAVET sostiene che tutto era previsto. Poi
dice anche di no, che qualcosa era imprevedibile. Ma ora non stiamo a
sottilizzare ed a fare i difficili di come si possano conciliare le due cose.
Diamo tutto per buono e restiamo all’“era tutto previsto”.
Su questo punto rimandiamo
al CT CAVET, Celico, pg. 89 e ss. della CT ed alle favolose relazioni ISMES e
Broili, compendio del visto e previsto da CAVET.
Alla tabella 3 del suo
elaborato Broili indica 30 punti acqua passibili di impatto e ne azzecca 5.
Non ci pare un gran
risultato sia per il numero degli impatti previsti che per il grado di
precisione nell’indovinarli. Però non è un risultato disprezzabile per Broili. 5
previsioni realizzate su 30 non sono poche se è vero che il metodo usato da
Broili era così accurato tanto da permettergli di dire che – testuale pag. 15
della relazione (pg. 6 allegati Celico) - “dal km. 52 al km. 73 mancano purtroppo informazioni riguardanti pozzi e
sorgenti utilizzati a scopo idropotabile nell’ambito di interesse della
presente ricerca, per l’indisponibilità manifestata dagli uffici ed enti locali
preposti a fornire indicazioni e dati utili. A questo proposito gli enti
pubblici interpellati sono stati i seguenti:
- Comunità montana Zona E
via Togliatti, Borgo S. Lorenzo, nella persona del sig. T.;
- Ufficio tecnico del
Comune di Borgo S. Lorenzo, nella persona dell’arch. V.;
-
Ufficio tecnico del Comune di Vaglia,
nella persona del sig. R. B.”.
Testuale. Quindi Broili,
ineffabilmente, afferma e scrive che per 21 chilometri del tracciato non sapeva
nulla!!
Ma come, il
geologo CAVET preposto ad una delle opere pubbliche di maggior interesse
nazionale ha l’impudenza di scrivere candidamente che non ha i dati per 21
chilometri di tracciato e dà la colpa di ciò ai sig.ri T., V. e R. B. perché
non gli hanno fornito le informazioni richieste?
Ma stiamo
scherzando?
E CAVET
permette che queste affermazioni possano essere messe nero su bianco nella
“relazione idrogeologica“ prodotta a corredo del progetto esecutivo presentato
da Ente Ferrovie dello Stato, TAV Spa, Italferr SIS TAV Spa, FIAT, Spa e
Consorzio CAVET e depositato in conferenza dei servizi?
Ci saremmo aspettati che CAVET dovesse licenziare in tronco e citasse per
danni uno che scrive cose simili. Invece no. CAVET ancora oggi difende Broili
ed addirittura lo indica come perno centrale delle argomentazioni di difesa
dicendo che l’elaborato Broli tutto prevedeva e tutto ha previsto.
E il prof. Celico appoggia Broili e gli dà anche ragione a pg. 95 della
sua CT dicendo che è mancata la collaborazione degli Enti locali e che Broili è
uno che, “in
tempi non sospetti, fa correttamente nomi e cognomi”, dal che si deve ritenere che Celico intenda indicare Broili come
fulgido esempio di professionista che non ha paura di mettersi contro nessuno
nell’adempiere al suo incarico.
Inoltre il prof. Celico coglie un’altra occasione per dare una bella
lezione alla Procura scoprendo, lui, i tre veri colpevoli della gran parte dei
danni alle falde acquifere del Mugello che, a questo punto, sarebbero pertanto
i sig.ri T., V. e R. B. che non hanno fornito i dati a Broili.
Ma abbiamo
già visto come questa non sia l’unica volta che il prof. Celico si inventa PM
per arrivare financo ad avanzare vere e proprie precise notizie di reato e
clamorosi capi d’accusa. Vi ricordiamo che, fosse stato per Celico, sarebbero
imputati tutti gli abitanti della frazione di Luco perché le loro fogne
scaricavano a cielo aperto dopo che CAVET aveva seccato il torrente Bosso.
Ma andiamo avanti.
Broili non fa tutto da solo. Trova valido conforto nella stessa relazione
ISMES, anch’essa presentata come allegato al progetto esecutivo e depositata in
conferenza dei servizi.
A pg. 54
della relazione ISMES (n. 27 degli allegati alla CT Celico) si parla delle
gallerie, di tutte le gallerie in generale e quella di Firenzuola in
particolare. E che si dice? Testuale: “Da questo risultato si deduce quindi che le gallerie
hanno portate di gran lunga inferiori
alle disponibilità naturali, quindi il drenaggio da esse operate sugli
acquiferi non provocherà un apprezzabile depauperamento degli acquiferi
medesimi”.
E conclude:
“Come si vede dall’ultima colonna della tabella:
- per le
gallerie la portata è sempre inferiore a 0.02 l/s paragonabile ad uno
stillicidio;
- per le
finestre la portata è ancora più bassa, di circa un ordine di grandezza
mediamente”.
Sono le famose ... ultime
parole.
Lo “stillicidio” lo si vada a raccontare a Italstrade che
prima ha avuto la venuta d’acqua del 25 aprile 1999 a Marzano e poi a giugno
del ’99 le si è allagata l’intera galleria di Osteto, nel senso che si è
completamente riempito d’acqua il cavo della galleria.
Chi vuole una visione più
scenografica dello stillicidio si vada a leggere la testimonianza di L. O..
Avvocato Parte Civile - Senta, m'interessava un momento quella cosa che lei
ha detto prima, che aveva visitato la galleria.
Teste L. O. - Sì.
Avvocato Parte Civile -
Nella galleria di Vaglia, per caso?
Teste L. O. - Sì.
Avvocato Parte Civile - In che periodo ha detto?
Teste L. O. - Senta, ora non mi ricordo. Credo che fosse... febbraio dell'anno
scorso.
Avvocato Parte Civile - Ecco, e che cosa ha visto quando è andato...
Teste L. O. - Be', c'era molta acqua. Quello che mi
ha colpito era tutta quest'acqua che cadeva a dirotto. Eravamo in una jeep,
c'erano i tergicristalli al massimo e si andava a 20 all'ora. E quello mi ha
colpito molto.
Un giorno qualunque, in galleria si va a 20 all’ora e
con i tergicristalli.
Ma torniamo
al “tutto previsto”.
Se era tutto previsto, perché non abbiamo mai trovato
uno che fosse uno che dal ’99, seppur richiesto, ci abbia fornito un elenco
preciso e chiaro, con data precedente all’inizio degli scavi, di cosa sarebbe
stato impattato? Perché ancora oggi, a opera fatta, siamo a discutere su cosa
sia stato impattato e cosa no?
Comunque sulle previsioni
ricordiamo Trezzini presidente dell’O.A.N. per il Ministero dell’Ambiente.
Abbiamo già detto che Trezzini nel 1998 arriva a dire
a CAVET, in una riunione pubblica a Firenzuola per Castelvecchio, le seguenti
testuali parole: “Penso che abbiate
trascurato qualcosa in questo periodo. Su questo tema occorre intendersi bene.
Andavano fatte quattro cose e non sono state fatte: 1) andava previsto
l'accaduto, e la previsione è risultata errata, 2) poteva essere fatto il
monitoraggio, 3) poteva essere fatto il rivestimento alla galleria, senza fare
come se nulla fosse avvenuto. 4) potevano esser fatti prima gli interventi
alternativi”.
E visto che parliamo delle
previsioni, parliamo un po’ della famosa fascia di interferenza dell’opera ed
il “modello Federico”.
CAVET nega di aver mai limitato le sue previsioni ed
i suoi monitoraggi ad una predeterminata fascia, vuoi fosse di cento metri per
parte, vuoi fosse un chilometro per parte, e nega di aver usato modelli
matematici tipo il “modello Federico” prima della
variante di Castello e solo in via di verifica per la galleria di Vaglia.
Allora non si spiegano le
testimonianze e gli scritti di molti soggetti qualificati.
Ad esempio Biancalani,
funzionario ARPAT.
Nel settembre '99,
Biancalani, a proposito dei problemi insorti nell'ambito delle acque
sotterranee scrive: "Nel modello utilizzato per definire la fascia d'influenza delle
gallerie si sono assunte in partenza condizioni di omogeneità ed isotropia del
mezzo assolutamente lontane dalla realtà, comportando errori di valutazione
dell'effettiva estensione della fascia d'influenza dell'escavazione.”
Nello
stesso senso Trezzini:
Teste Trezzini Fabio - Premesso che io anche nella
fase preliminare non mi occupai degli aspetti geologici e idrogeologici perché
nella commissione c’era uno specialista che si occupava di questo, a quanto
ricordo il progetto prevedeva una fascia di influenza delle interferenze e cioè
ipotizzava che una fascia di cui adesso non ricordo l’ampiezza a cavallo
dell’asse della galleria delimitasse appunto la zona di possibile interferenza
idrogeologica; quindi le sorgenti, i pozzi, i punti d’acqua entro quella fascia
avrebbero nelle previsioni del progetto subito delle interferenze, quindi degli
abbassamenti o anche degli abbassamenti tali da eliminarli. [...].
Teste Trezzini Fabio - Questo non me lo ricordo, all’interno di questa
fascia non mi ricordo se c’erano delle indicazioni su alcune sì e altre no, mi
ricordo il concetto della fascia, non mi ricordo se all’interno della fascia
c’erano delle sorgenti di cui veniva esclusa…
Idem Rubellini (1), per cui TAV o chi per essa e quindi CAVET “usava un modello
geometrico che normalmente si usa per area a permeabilità primaria”. Roba adatta alla Pianura padana, insomma, e
non per i massicci montuosi del Mugello.
Pubblico Ministero - Torniamo alla domanda di
prima. Si ricorda se l’approfondimento o lo studio delle varie interferenze era
basato su un modello matematico?
Teste Rubellini Pietro - Per quello che riguarda la
idrogeologia no, per quello che riguarda le altre componenti d’impatto non
glielo so dire perché non l’ho guardata io quella parte.
Pubblico Ministero - Cioè non era basato su
modello matematico?
Teste Rubellini Pietro - Era basato su una serie di
considerazioni - all’epoca eh - di tipo idrogeologico rispetto alle
caratteristiche del sistema di fatturazione… della formazione di Monte Morello,
comunque anche delle altre formazioni che è un modello classico concettuale che
si utilizza quando si fanno gli studi di prima approssimazione rispetto a
questo tipo di interferenza. Comunque devo dire una cosa, perché poi mi sono
occupato anche successivamente di questo tipo di problemi per il lavoro che
continuo a fare, cioè di geologo: all’epoca non esistevano molti modelli di
tipo matematico per descrivere la circolazione dentro acquiferi porosi per
permeabilità secondaria.
Pubblico Ministero - Organizziamoci perché non
ci siamo proprio. Lei l’ho sentita io personalmente l’8 agosto 2002, le
contesto, vediamo se se lo ricorda: “TAV o chi per essa usava un modello
geometrico che normalmente si usa per area a permeabilità primaria”.
Teste Rubellini Pietro - Sì, esatto, è quello che
ho detto, cioè all’epoca non esistevano dei modelli - e anche ora sono
abbastanza embrionali - non esistevano dei modelli matematici per descrivere la
circolazione idrica dentro acquiferi permeabili per porosità secondaria, quindi
si utilizzavano, e a volte si utilizzano anche adesso, i modelli che si
utilizzano per gli acquiferi a permeabilità primaria; è una approssimazione.
Pubblico Ministero - Allora, intanto se vuol
spiegare velocemente tra permeabilità primaria e secondaria, un esempio.
Teste Rubellini Pietro - Una sabbia è come una
spugna, l’acqua…
Pubblico Ministero - Pianura Padana può andare
bene?
Teste Rubellini Pietro - La Pianura Padana è
perfetta.
Pubblico Ministero - Grazie. Allora, mentre di permeabilità
secondaria?
Teste Rubellini Pietro - Una roccia con delle
fratture l’acqua cammina dentro queste fratture.
Pubblico Ministero - Il Mugello?
Teste Rubellini Pietro - Non tutto il Mugello, i
massicci montuosi del Mugello.
Quindi
quando si parla di permeabilità primaria, Pianura Padana. Siamo nel Mugello. E
allora, c’era o non c’era questa astratta fascia previsionale? C’era sì. Perché
se non c’è, c’è un complotto, cioè tutti parlano di questa fascia che poi
sparisce. [...] A
parte, è cronaca di oggi che anche per l’attraversamento di Firenze è ritornata
una fascia di 100 metri per gli immobili che possono essere lesionati o meno
per il sottoattraversamento...
La fascia infatti la cita
anche C. per le verifiche statiche. Lui domanda perché non gli hanno fatto la
verifica e i dipendenti CAVET gli rispondono di non averglielo fatta perché
casa sua era a 105 metri dal tracciato mentre loro avevano mandato di farlo
solo entro 100 metri.
Una cosa simile succede al
sig. M.. Il geologo Agnelli va vedere una sorgente in loc. Torricella, il sig.
M. gli chiede di vedere anche l’altra che si è seccata e quello gli dice ‘Guardi, io non ci vengo
nemmeno, perché non è il mio compito. Le do l'indirizzo della CAVET di Pianoro,
dove..., all'attenzione dell'ingegner Piscitelli al quale lei deve fare le sue
rimostranze'.
Peggio per il sig. S..
Teste M. S. - In un primo tempo venne un certo ingegnere... Ottaviani. Venne su, mi
disse: 'S., state... stai calmo, tanto dipende da noi, si sistema tutto, si
mette tutto a posto, si cosa tutto'. Passato due o tre mesi io non vidi più
nessuno, ritelefonai, perché mi aveva lasciato il numero di telefono. Mi
rispose un altro ingegnere... E quest'altro mi disse: ”io non voglio sapere di
nulla. Lei non appartiene alla nostra fascia'”, dice, ”la s'arrangi”.
Allora la fascia esiste e pare che abbia funzionato
anche in maniera rigida. Se sei fuori fascia scatta la sanzione: “Ti arrangi”.
Se poi era tutto previsto, cosa testimoniano sin dal 2000
i Sindaci dei Comuni di Borgo S. Lorenzo, S. Piero e Firenzuola?
Illuminanti le
dichiarazioni rese dai sindaci di Borgo San Lorenzo Antonio Margheri, di
Firenzuola Renzo Mascherini, e di San Piero a Sieve Alessia Ballini, in
occasione dell'incontro con i Sindaci e la Comunità Montana della VI
Commissione consiliare della Regione Toscana "Territorio e Ambiente",
il 29 giugno 2000.
ANTONIO MARGHERI - Sindaco
di Borgo San Lorenzo.
"[...] circa un anno fa quando dopo un bilancio e dopo anche
il verificarsi di eventi che si erano manifestati, soprattutto riguardanti le
risorse idriche in maniera o inaspettata o comunque in maniera più pesante di
quella che era stata prevista, avvertimmo tutti la necessità di richiedere
approfondimenti, studi più seri e meglio impostati rispetto a quelli che
avevano accompagnato il progetto esecutivo dell'opera.
[...] ormai è dato per acquisito
che il modello idrogeologico che era stato redatto e che accompagnava il
progetto esecutivo dell'opera si è dimostrato, soprattutto per alcuni tratti,
in maniera particolare i tratti di galleria che attraversano l'Appennino,
inadeguato.
[...] Nella fattispecie noi
abbiamo parlato anche di comportamento irresponsabile da parte di CAVET
in quanto dopo la realizzazione di un tratto di galleria che non aveva avuto
intercettazione di acquiferi, i lavori sono continuati per due o tre giorni
prima che ci fosse la sospensione nonostante che l'intercettazione sia avvenuta
13-14 metri prima del punto stabilito come inizio del rischio.
Il
passaggio della tratta nell'Appennino è cosa molto complicata e molto delicata
in quanto si incontrano strati di roccia fratturati e attraverso le fratture
della roccia la galleria drena le risorse idriche. Questa situazione era stata
parzialmente prevista ma si sta manifestando in modi e in quantità che non
erano stati previsti in quanto il modello idrogeologico adottato faceva
riferimento ad uno strato molto più compatto dell'ammasso roccioso, cosa che
non c'è.
[...] Potrei leggere questi passaggi
degli accordi procedimentali testualmente però ne faccio a meno, ci sono
passaggi che consentono di rivedere anche il progetto qualora ce ne sia la
necessità, però ancora questi approfondimenti tecnici e queste proposte non
hanno raggiunto un livello tale da poter ancora oggi essere valutato
attentamente.
[...] Noi vogliamo uscire da questa situazione, non siamo
interessati a tenerci a vita questa servitù di cantieri che ci sono nel nostro
territori però la ripresa dei lavori deve avvenire all'interno di un quadro di
certezze e di valutazioni attente, di assoluta non sottovalutazione dei
problemi da tutti i punti di vista della salvaguardia delle acque superficiali
perché i fossi e i torrenti devono rimanere, da un punto di vista igienico
sanitario perché per esempio a Luco e a Grezzano ci sono 2.000 abitanti che non
hanno al momento un servizio di depurazione e, quindi, se l'acqua nei fossi
manca ci sono poi anche emergenze di carattere igienico sanitario".
RENZO MASCHERINI - Sindaco
di Firenzuola.
"In
conferenza dei servizi nel luglio del 1995 a me è sembrato che il comportamento
della Regione fosse più teso a sbloccare e a iniziare i lavori più che a
verificare e a chiedere che cosa la realizzazione di questa opera avrebbe
comportato in riferimento all'impatto ambientale e sociale che questa opera
avrebbe portato nel territorio rispetto alla qualità del progetto che lì
andavamo ad approvare, rispetto alla qualità degli studi di impatto
ambientale che in quella sede furono portati ed approvati. E nell'esperienza
che abbiamo fatto con l'inizio dei lavori dopo la conferenza dei servizi,
abbiamo potuto verificare che i timori che la popolazione del Mugello, gli enti
locali del Mugello avevano manifestato, erano dei timori reali. Cioè oggi
possiamo sicuramente dire che questi studi erano inadeguati, che i progetti
erano del tutto carenti, nel senso che l'indagine sul territorio, indagine
sulla composizione del territorio che si sarebbe dovuto attraversare con queste
gallerie, era una indagine inadeguata, il modello che si era assunto di
composizione della roccia era un modello del tutto astratto pensando che la
roccia dell'Appennino avesse una composizione isotropa omogenea per cui si
sarebbe, costruendo la galleria, determinato un drenaggio di acqua nell'arco di
200 metri e che quindi in conseguenza di questo si sarebbero interferite
solo alcune sorgenti. Difatti in
conferenza dei servizi per esempio nel Comune di Firenzuola era prevista la
costruzione di un acquedotto che avrebbe dovuto sopperire al fatto che la
costruzione della galleria avrebbe potuto seccare alcune sorgenti e quindi
preventivamente si portava l'acqua in una zona del Comune. Poi, invece, abbiamo verificato che durante la costruzione
dell'opera, la prima frazione nella tratta Firenze-Bologna è rimasta senz'acqua
è quella di Castelvecchio perché si trattava di una sorgente che non era a 200
metri dalla galleria ma una sorgente che era ad un chilometro e 100 metri dalla
galleria. Allora il modello che era stato assunto in conferenza dei servizi e
che prevedeva che si sarebbero solo intaccate le sorgenti nell'arco di 200
metri dalla galleria non era idoneo e che la fratturazione della roccia e la
composizione della roccia che è eterogenea, avrebbe potuto comportare di
seccare sorgenti anche a più di un chilometro dalla galleria e quindi corse
a recuperare, portare acqua con le autobotti, far costruire in via di emergenza
acquedotti alternativi. Questo è avvenuto molto tempo fa. Poi è arrivato
Casa d'Erci: 2.000 persone sono rimaste senz'acqua e anche lì non era
previsto perché le sorgenti erano a 250 metri, non erano nemmeno ad un
chilometro.
Quindi c'è una carenza di
indagine, una carenza di conoscenza, una carenza dei codici di scavo;
nonostante che i codici di scavo siano inadeguati, nonostante che la conoscenza
e quindi la previsione di quello che può succedere si è manifestata inadeguata
perché stanno succedendo continuamente queste situazioni impreviste, possiamo anche dire che c'è un mancato
rispetto del codice di scavo anche se inadeguato in conferenza dei servizi, nel
senso che il codice di scavo approvato in conferenza dei servizi prevedeva che
si facesse l'escavazione ma che costantemente si sarebbe dovuto fare il
rivestimento e la impermeabilizzazione per tutela le risorse idriche, invece
quello che si è verificato è che si fanno le escavazioni delle gallerie, si
fanno chilometri di galleria e poi si va dopo un anno a rivestire e invece di
stare a 200 metri dal fronte si sta ad un chilometro perché così nel frattempo
le sorgenti si sono drenate e quindi il battente d'acqua sopra le gallerie si è
abbassato e quindi queste acque non danno più fastidio rispetto alla
realizzazione dell'opera. (…) Possiamo dire che c'è non so se un
comportamento irresponsabile è la parola giusta ma sicuramente un mancato
rispetto dei codici di scavo su tutta la tratta. Quindi il problema di chi paga questo danno ambientale credo che si ponga
anche in riferimento alla legge nazionale di tutela delle risorse idriche.
Questo è un problema che penso se la Regione lo vuole affrontare, non lo può
affrontare solo per Casa d'Erci ma lo dovrebbe affrontare su tutta la tratta
perché cosi si è verificato su tutta la tratta. Ora per quanto riguarda il
Comune di Firenzuola da indagini che loro hanno affinato in questi 5 anni,
viene fuori non solo che si è seccata la sorgente di Castelvecchio, quindi è
andata a secco e hanno costruito l'acquedotto alternativo, ma che tra due anni si impatteranno le sorgenti di
tutta la vallata di Moscheta. Ora il Mugello, il Consiglio Comunale di
Firenzuola, ha fatto una battaglia aspra per evitare di toccare quella valle
dove ci sono 6.000 ettari di demanio accorpato della Regione dove la Regione ci
ha investito tanti soldi, è di fatto un parco naturale dove c'è una azienda
agrituristica della Regione gestita da una cooperativa, è una zona di grande pregio ambientale, un patrimonio pubblico. Avevamo
cercato di evitare di costruire lì una finestra, ci è stato detto che non era
possibile rispetto ai tempi, è stata iniziata la costruzione di una finestra,
questa finestra era lunga un chilometro e 200 metri, a 900 metri hanno
imbattuto in una puntuale venuta d'acqua di 70 litri al secondo, si è allagata
la galleria e hanno abbandonato la finestra. Quindi probabilmente quella
finestra non si finirà più, si dovrà costruirla partendo dalla galleria sotto,
quindi la galleria principale ricostruire la finestra perché dovrà servire
sempre come entrata di emergenza per la sicurezza in galleria ma sarà
realizzata solo alla fine, quindi non diminuirà minimamente i tempi di
costruzione della galleria, si è voluta fare lo stesso ma è stato annunciato da
studi più precisi che le sorgenti di quella valle saranno seccate e quindi si
sta verificando la possibilità di portare in quella valle risorse idriche da Firenzuola,
quindi dovremmo costruire diversi chilometri di acquedotto per portare l'acqua
eccetera. Per realizzare questa opera ci vorrà più di un anno e quindi il
Consiglio Comunale di Firenzuola ha detto: non riprendete i lavori di quella
finestra, costruiamo altri acquedotti, portiamo l'acqua da fuori e poi
seguitiamo a costruire questa galleria in maniera che quando si arriva sotto la
valle di Moscheta già la valle sia già approvvigionata da acqua portata da
fuori.”
ALESSIA BALLINI - Sindaco di
San Piero a Sieve.
"[...] una sostanziale ingovernabilità degli eventi.
Perché si dice questo? Si dice questo innanzitutto perché questa opera inizia
con un enorme e terribile difetto di origine che è quello a cui si è già fatto
riferimento in precedenza di una sostanziale inattendibilità e inconsistenza di
uno studio di impatto ambientale che in una fase precedente di realizzazione
dell'opera avesse potuto permettere una valutazione non soltanto dei costi
economici che l'opera si portava dietro ma anche di quelli ambientali che poi è
l'unico modo moderno e corretto di trasformare i territori. Ora non siamo
più nel 1995 quando si è chiusa una fase, siamo nel 2000, non si può tornare
indietro ma di fatto l'assenza di questa seria valutazione di impatto ambientale
costituisce qualcosa di importante.
[...] è saltata per questa
opera una sana logica di consequenzialità, per cui prima si conosce, poi si
valuta, poi si progetta e poi si realizza.
[...] crisi di un sistema
idrogeologico di un intero territorio che attualmente non siamo nelle
condizioni di sapere quali ripercussioni reali avrà nei prossimi anni.
[...] Il fatto che questo si sia
verificato al Carlone nel 2000, cioè non prima, quando addirittura stavano
peggio sicuramente gli abitanti del Carlone o a San Pellegrino o da altre
parti, non è legato ad altre cose se non al fatto che il controllo è avvenuto
in maniera casuale.
[...] senza un supporto
tecnico, senza un sistema di controlli che sia puntuale, che sia certo, che sia
razionale, noi non abbiamo nessuno strumento per agire, nessuno strumento anche
per poter far fronte a questi problemi.
[...] Brevemente le ultime due questioni: la Regione
Toscana ha, all'interno di un organismo che è stato più volte citato stamani,
cioè dell'Osservatorio Ambientale Nazionale, un rappresentante, un ruolo che
negli ultimi anni ha svolto l'ingegner Biagi che sembra di aver capito non
abbia, avendo assunto altri impegni, la possibilità di seguire questo ruolo,
questa funzione nei prossimi anni. Io solleciterei la Regione a definire al più
presto possibile, se di sostituzione si deve parlare, la sostituzione perché
siamo tra l'altro in una fase delicata nella quale c'è un bisogno impellente
della presenza della Regione in questo organismo ed io, questa è una opinione
personale, inviterei la Regione anche a valutare l'opportunità di una presenza,
di una partecipazione più politica a questo organismo che non è un organismo
che abbia semplicemente una funzione tecnica o che prenda decisioni
semplicemente da un punto di vista tecnico e neutrale, ma di fatto credo che
invece se la Regione ci partecipasse con una presenza più politica, questo
potrebbe essere uno dei passi verso un maggior coinvolgimento della Regione nei
problemi di cui si sta parlando stamani e che mi sembra appunto la Regione
abbia imboccato questa strada".
Quindi, no, non era
tutto previsto. E anche per la parte prevista, sicuramente questa, non era
stata resa esplicita. Il che, ai nostri fini, non è uguale, è peggio. Prova la
malafede.
(1)
Il dott. Pietro
Rubellini, geologo, è attualmente responsabile del “Servizio attività
geologiche e VIA, Controllo attuazione accordi di programma Alta Velocità e
Terza corsia A1” del Comune di Firenze e presidente dell’Osservatorio
Ambientale Nazionale sul Nodo AV di Firenze. Si è occupato del progetto Alta
Velocità nel 1995 come funzionario del Dipartimento Ambiente e Territorio della
Regione Toscana. Successivamente, per due mandati, è stato assessore nella
giunta del Comune di Sesto Fiorentino (FI), all’Ambiente e ai Lavori Pubblici
(primo mandato) e all’Urbanistica e all’Ambiente (secondo mandato).
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 19]
“SI AFFIDA
AL CONTROLLATO STESSO DI AUTOMONITORARE E CONTROLLARE CIÒ CHE FA. [...]
CAVET, NONOSTANTE MOLTI TESTIMONINO COME I MONITORAGGI
SIANO INIZIATI SOLO DOPO AVER SUBITO GLI IMPATTI, CERCA DI USARE QUEI
MONITORAGGI TARDIVI E INEFFICIENTI A DIFESA, CON EFFETTI PERVERSI, IL CHE, PER
LE PERSONE OFFESE, SAREBBE VERAMENTE AGGIUNGERE AL DANNO LA BEFFA.
[...] LA FUNZIONE
DEL MONITORAGGIO CAVET È QUELLA DI FARE IL MIRACOLO DI FAR TORNARE L’ACQUA DOVE
NON C’È PIÙ.”.
5) ERA TUTTO PREVISTO E .... E COMUNQUE MONITORATO...
Comunque anche se non tutto
era previsto, tutto era ugualmente e sotto controllo. Tutto monitorato da
CAVET.
Vediamolo, questo monitoraggio.
In prima battuta ci dicono che il monitoraggio
ante-progettazione non è stato fatto, non c’era. Lo dicono Rubellini, Sargentini, Micheli e soprattutto lo dice anche
CAVET.
Viene male, capirlo. La logica parrebbe aver dovuto
imporre il seguente iter: prima monitoro, conosco la situazione, faccio dei
test, e poi redigo il progetto esecutivo. Ma pare così non sia per gli addetti
ai lavori o, quantomeno, per i CC.TT. di CAVET. Infatti il prof. Celico a pg. 538 della sua CT afferma: “Non è stato effettuato alcun monitoraggio ante
progettazione perché rappresenta un falso problema”. Uno potrebbe anche voler dar fede al prof. Celico se poi però non
riscontrasse che CAVET, a sua volta, ha invece creato problemi, e questa volta
veri e non falsi, a tanta gente.
Vediamo come.
Nella conferenza di servizi
il monitoraggio diventa una prescrizione specifica per CAVET.
Avvocato
Parte Civile - Chi faceva i
monitoraggi…
Teste
Trezzini Fabio - I monitoraggi li
faceva CAVET.
Avvocato Parte
Civile - CAVET, ARPAT…
Teste
Trezzini Fabio - ARPAT faceva dei
controlli. Faceva dei controlli… la consistenza, la frequenza, eccetera.
Avvocato
Parte Civile - … dal CAVET?
Teste
Trezzini Fabio - Sì. Un monitoraggio
previsto dall’accordo era un monitoraggio a cura di CAVET.
E già questo non torna
tanto. Si affida al controllato stesso di automonitorare e controllare ciò
che fa. Ma la cosa peggiore è che la prescrizione imposta appare di fatto
monca. Si dice: “CAVET, fai un monitoraggio preciso”. Ammettiamo, anche se
non risulta, che CAVET l’abbia fatto davvero un monitoraggio preciso. Ma poi? Perché
il Ministero, la Regione, il deliberato della conferenza dei servizi, non
conclude il discorso sulla prescrizione imposta? CAVET deve fare il
monitoraggio ma a che fine? E quando l’ha fatto e si leggono i risultati, cosa
dovrebbe succedere? Non è dato sapere. Non è dato sapere perché intanto CAVET,
finché ha potuto, i risultati del monitoraggio se li è tenuti per sé. Non li
mandava nemmeno all’Osservatorio, o meglio li mandava così in ritardo che a
quel punto erano inutili.
Pubblico Ministero - Senta, si ricorda per esempio che c’era una
contestazione sua molto puntuale sul fatto che i dati del monitoraggio da parte
di FIAT e CAVET arrivavano con un ritardo notevole?
Teste Trezzini Fabio - Certo, certo.
Pubblico Ministero - Questa situazione è mutata, è migliorata o…
Teste Trezzini Fabio - Eh, col tempo certo, col tempo è migliorata perché
poi piano piano abbiamo…
Pubblico Ministero - Ma questi dati come arrivavano, arrivavano un po’
così alla spicciolata, con una cadenza regolare…
Teste Trezzini Fabio - Adesso non ricordo ovviamente i dettagli ma,
insomma, certamente arrivavano i dati delle portate drenate, quindi
sull’entità delle interferenze idrogeologiche che erano appunto previste dal
progetto di monitoraggio, arrivavano certamente con settimane se non mesi di
ritardo per cui quando il fenomeno si era giù svolto da tempo, o comunque da un
tempo relativamente alto nel caso in questione, e quindi difficilmente poi
potevano essere utilizzate per proporre delle correzioni.
Pubblico Ministero - Cioè, arrivando troppo tardi era quasi inutile, cioè
arrivavano a cose un po’ fatte.
Teste Trezzini Fabio - Sì sì, questo sì.
Perché CAVET mandava i risultati in ritardo?
La verità pare essere molto semplice. Alla storia che il monitoraggio dovesse
avere una reale e concreta funzione a fini di tutela ambientale non ci ha
creduto mai nessuno, e certo non ci ha mai creduto CAVET. Siamo
certi e sicuri che CAVET abbia fatto un monitoraggio, ma solo e soltanto quello
strettamente necessario alla necessità connesse alla progressione dei lavori in
galleria.
Solo così si spiegano, non
solo il ritardo nell’inoltrare i dati, ma anche le modalità con cui è stato
fatto il monitoraggio e la scelta da parte di CAVET dei punti da monitorare.
Solo così si può rispondere
al Sindaco Margheri di Borgo S. Lorenzo che domanda - se qualcuno ha previsto
l’impatto di Casa d’Erci - perché nessuno ha presentato ai Comuni un
progetto d’approvvigionamento idrico alternativo visto - aggiungiamo noi -
che l’unica prescrizione certa data in conferenza dei servizi era quella di
salvaguardare i livelli di approvvigionamento di acqua potabile.
Teste Margheri Antonio - No, per quanto ne so, anche per quanto riguarda le,
appunto, le sorgenti di Casa d'Erci ribadisco che nella documentazione di
conferenze dei servizi del '95, questo diciamo non era evidenziato. Cioè, se...
Allora, molti, diciamo, e non solo il Comune, ma tanti soggetti presero visione
di questo, del materiale che poi era depositato in Regione a Firenze. Se ci
fosse stato una evidenziazione diciamo specifica di Casa d'Erci, ci sarebbe
stato sicuramente una grande attenzione, sensibilità. E sia da parte delle
istituzioni, ma anche da parte dei realizzatori dell'opera, se qualcuno fosse
stato a conoscenza preventivamente di questo impatto, perché si arriva
all'impatto senza che nessun progetto d'approvvigionamento idrico alternativo
sia stato presentato ai Comuni?
Solo così si può spiegare
come, ancora nel 2002, non risultassero essere state attivate procedure
attendibili di monitoraggio e di controllo degli effetti delle interferenze dei
lavori con le falde acquifere. Incredibile.
I lavori sono iniziati da anni ed il 28.2.’02, quando eppure molti danni sono
già stati fatti, con riferimento alla galleria di Vaglia, ARPAT può ancora
scrivere, senza scomporsi però più di tanto, che ancora il monitoraggio non è a
punto. Si legge
infatti: “Nel capitolo
relativo al monitoraggio idrogeologico si riportano alcune sorgenti e pozzi da
monitorare, molti di questi sono inclusi nell'elenco dei punti attualmente
monitorati altri no e viceversa. Per quanto riguarda il monitoraggio delle
sorgenti, quindi, si rileva una incongruenza tra quanto scritto nel Programma
operativo e quanto riportato nelle schede di monitoraggio (file pervenuto al
S.T. in data 20.02.02), in particolare per quanto riguarda le frequenze di
monitoraggio (...)”. Questi alcuni passaggi della relazione ARPAT
del 2002.
E tutto questo, quando si aspettava a farlo?
È evidente che CAVET del monitoraggio a fini ambientali se n’è occupata solo
quando è stata obbligata a farlo, se no avrebbe fatto di meglio e questo sin
da subito, dal 1997. Ma ancora dal 2000, se CAVET avesse voluto, avrebbe
potuto fare di meglio. Bastava prendere atto
delle rimostranze di Mascherini alla data del 22.6.’00.
Mascherini, Sindaco di Firenzuola
- “[...]
Poi l'ultima questione, e chiudo, è quella della vigilanza e della sorveglianza,
cioè il monitoraggio delle risorse idriche, il monitoraggio della qualità
dell'aria, il monitoraggio del rumore. Anche rispetto a questo noi dobbiamo
cambiare perché molto è stato fatto ma sicuramente del tutto insufficiente
perché se un lavoro è stato fatto, è
stato fatto unicamente, quasi unicamente, per monitorare la qualità delle
acque, e non del tutto, perché il professor Rodolfi mi sta dicendo che da Casa
d'Erci ad andare a Firenzuola galleria i piezometri che misurano i battenti
d'acqua non esistono ancora. Cioè effettivamente monitorare che cosa succede
alle risorse idriche, le sorgenti se diminuiscono eccetera, non esiste un
reticolo di monitoraggio sufficiente per capire che cosa esiste prima della
galleria e dopo la galleria, le portate delle sorgenti prima e dopo. Tutto
questo credo che deve essere fatto con maggiore attenzione perché altrimenti
uno non capisce nemmeno che cosa comporta. Si va solo dietro alle sorgenti che
alimentano gli acquedotti dei centri abitati, ma non si capisce niente delle sorgenti che alimentano i corsi d'acqua e
quindi non si capisce lo scombussolamento ambientale che questo determina.
Quindi occorre mettere a punto un monitoraggio della qualità dell'acqua e della
quantità di acqua delle sorgenti, e su questo qualcosa è stato fatto, ma del
tutto proprio che non si è fatto minimamente è il monitoraggio della qualità
dell'aria, del rumore e delle polveri. Tutto
questo che era nel programma dell'Osservatorio Nazionale Ambientale, è rimasto
nella mente di chi lo voleva fare e quindi questo va recuperato. [...]
L'Osservatorio Nazionale Ambientale stanzia tutti gli anni non so quanti soldi,
centinaia di milioni che dà ARPAT per fare questo monitoraggio ma ARPAT è uno
strumento della Regione che deve svolgere due compiti: quello istituzionale di
verificare la qualità dell'acqua e del rumore, più deve svolgere il ruolo di
supporto tecnico dell'Osservatorio Nazionale Ambientale per cui c'erano tutte le condizioni perché ci
fossero le risorse perché il monitoraggio fosse fatto; in effetti questo
monitoraggio è del tutto insufficiente".
Comunque, ancora oggi, CAVET difende i suoi studi
geologici ed il suo monitoraggio che, per quanto va sostenendo, parrebbe ottimo
ed abbondante.
Sulla bontà degli studi a
disposizione dei geologi CAVET testimoniano però M., V. ed altri con verbali
dagli effetti surreali.
Ricordiamoci cha già il Servizio Geologico nel ’92
aveva sottolineato come gli studi disponessero di “dati frammentari,
scarsamente confrontabili", Uno studio ricco di "discrepanze",
"lacune o non corrispondenze dei dati" nella cartografia. Mancanza di
"riferimenti toponomastici e tettonici" nel profilo geologico della
tratta.
E come ancora nel ’95 Broili, a progetto esecutivo
redatto, ammettesse di non aver dati per pozzi e sorgenti per ben 21 chilometri
di tracciato.
Nonostante questa scarsità di dati CAVET cerca di
forgiare la realtà secondo i suoi desiderata.
A L. M. cercano di convincerlo che la sorgente che gli
si è seccata non si chiama “I Sorcelli”, ma in un altro modo. Il perché è
semplice, ne hanno monitorata un’altra che non c’entra nulla con la sua.
Avvocato Difesa - Signor L. M., senta, torniamo alla sua sorgente, quella che lei dice
essere la sorgente “Sorcelli”.
Teste L. M. - Sì.
Avvocato Difesa - Ha anche un altro nome? Si chiama “Castagneto del maestro”?
Teste L. M. - Che sappia io no.
E questo, fino a prova
contraria, che non c’è, dovrebbe bastare a tagliare la testa al toro. Lui abita
e vive lì ed usava la sorgente “I Sorcelli“ che si chiama così. Punto. Ma la
scienza non guarda in faccia a nessuno e travolge le credenze popolari tipo
quella di cui sembrerebbe vittima L. M..
E il difensore lo spiega al giudice:
Avvocato Difesa - Noi abbiamo un problema,
signor Giudice, la ragione di queste domande è evidente… noi abbiamo dei
monitoraggi, abbiamo dei controlli che sono stati eseguiti, ed abbiamo una
certa mappa… quindi la ricerca di queste informazioni serve poi per dire…
E al teste:
Avvocato Difesa - Ora glielo chiedo. Allora,
senta, lei sa se la sua sorgente, la sorgente che lei chiama “Sorcelli”, è
stata controllata? Se venivano a vedere quanto buttava?
Teste L. M. - Sono venuti dopo il mio
intervento in Comune una volta.
Giudice - Dopo che s’era seccata?
Teste L. M. - Sì.
Giudice - No, credo che la domanda
fosse prima, no?
E la difesa:
Avvocato Difesa - Prima e dopo, perché c’abbiamo anche i monitoraggi dopo.
“Abbiamo i monitoraggio prima e dopo”. Ma di quali monitoraggi parliamo?
La difesa CAVET indica il
nome della sorgente in modo diverso dal proprietario, L. M. dice che l’hanno
controllata, non monitorata, solo una volta dopo che si era seccata e ci si
ostina a dire di disporre dei dati dei monitoraggi prima e dopo... E si
cerca lo stesso di convincere L. M. che invece, ovviamente non si fa convincere
di cose che conosce meglio di loro.
Teste L. M. -
Prima che si fosse seccata? No.
Avvocato Difesa - Dopo?
Teste L. M. -
Dopo son venuti a vedere che c’ero io presente e li portai sul posto e dico
‘Venite un po’ a vedere cosa succede
qui’, poi dopo per l’appunto il giorno mi trovavo su vicino alla sorgente, ecco
che sono arrivati due giovani che venivano
a fare il controllo dell’acqua, e io gli dissi ‘Ah, venite ora?! dopo cinque o
sei anni venite a controllare ora la sorgente?!’, perché c’era già in corso
questa causa e allora è arrivato… non so se era l’ARPAT o chi fosse a
controllare.
Avvocato Difesa - Ci sta che fossero incaricati del CAVET? Perché erano incaricati del CAVET,
a noi risulta.
Ancora. Ma risulta cosa?
Comunque …
Teste L. M. - Può darsi, può darsi, non mi dissero niente quindi…
Giudice - Viaggiavano su un’autovettura che aveva dei segni, delle scritte,
qualcosa?
Teste L. M. - No, vennero a piedi, l’autovettura lassù non ci va.
E già questo potrebbe
spiegare abbondantemente perché non c’era il monitoraggio. A camminare si fa
fatica... in autunno poi piove e c’è fango, d’inverno fa freddo e nevica,
d’estate si suda… In ogni caso:
Giudice - Va
beh, ho capito, non saranno arrivati a piedi lì, da qualche parte saranno scesi
dalla macchina.
Teste L. M. -
Sì, ma io l’autovettura non l’ho vista.
Giudice -
Quindi lei fece fare il controllo sull’acqua da persone che non sapeva chi fossero?
Teste L. M. - Loro passarono che io… ci
dico la verità, io ero lì che facevo legna a 200 metri dalla sorgente,
passarono e dice ‘noi dobbiamo andare a controllare l’acqua di questa
sorgente’…
Giudice - Gli dettero un nome loro
alla sorgente?
Teste L. M. - No. Dissero: ‘Dobbiamo
andare a controllare’, siccome io sapevo che in giro c’era questo problema
dico: ‘Andate’. Ci dico anche questo: quando tornarono indietro dico: ‘L’acqua
c’è ora?’, dice:‘Ce n’è, ce n’è’, dico: ‘Quanto fa al minuto?’ ‘Trentatré litri’.
Giudice - Quando
è successo questo fatto?
Teste L. M. - Anno scorso.
Giudice - Quindi
si riferisce al periodo in cui lei dice è tornata l’acqua.
Teste L. M. - Sì. Anno scorso proprio da questi giorni qui perché mi ricordo che ero
su a far legna vicino alla sorgente.
Avvocato Difesa - Era il periodo di Natale, è possibile?
Teste L. M. - No, dopo, dopo Natale.
Ed ecco però che il
monitoraggio compie finalmente il miracolo tanto atteso.
Avvocato Difesa - Perché verso marzo sembrava che avesse una maggiore portata.
La fonte di cui non si sa il nome, che il teste dice
che gliel’hanno seccata e l’hanno controllata una volta solo dopo l’impatto,
secondo il miracolo compiuto dal monitoraggio CAVET, a marzo, si riprende ed ha
addirittura anche una maggiore portata! Non si sa rispetto a cosa, ma ha una
portata maggiore.
Ma il fatto, purtroppo non
è isolato.
Teste C. V. - Quando vennero questi geologi restai sinceramente sconcertato. Perché, pur
geologi, non avevano chiara la situazione delle fonti locali. E abbiamo avuto
una piccola...
Pubblico Ministero - Ci fu un equivoco?
Teste C. V. - Un equivoco, sì. Un equivoco secondo me antipatico. Niente di che, per
carità di Dio. Loro attribuivano il mio deposito, la mia sorgente che io ho
fatto, nel senso bambino ho visto costruire ... pensavano che fosse la fonte di
approvvigionamento del podere Il pozzo. Altra casa a distanza, sì, di 400
metri, in tutt'altra direzione. Per cui scoprii in quella occasione, anche che
pensando loro che quel tubo che era lungostrada fosse quello che da quella
fonte andava al pozzo, lo avevano, in occasione dei lavori TAV, per sbaglio
troncato e non lo avevano ripristinato, perché tanto sapevano che non c'era
acqua. Con questo tagliarono definitivamente l'acqua mia, cioè di Marzano,
quella comunale, che veniva di scorta a casa mia.
Pubblico Ministero - Ah, quindi doppio. Lei ebbe sia la sorgente, sia
anche l'acquedotto...
Teste C. V. - Sì, perché loro... L'acquedotto fu tagliato brutalmente per errore. E
pensando che fosse secco, va bene?, non ripristinarono...
Pubblico Ministero - Quindi...
Teste C. V. - Quindi io restai totalmente... Non avevo neanche la possibilità di
agganciarmi all'acquedotto di Marzano per un
certo periodo.
Ed infatti ancora oggi
Bollettinari e Rodolfi collocano le sorgenti di C. V. in modo diverso tra loro.
Questo per dire l’affidabilità
degli studi su cui si fonda il monitoraggio.
Vediamo poi la tempestività di questo salvifico
monitoraggio.
Abbiamo già visto come
ARPAT, nel 2002, dicesse che il monitoraggio ancora non fosse ancora a punto.
Ma qui ci interessano i monitoraggi dei punti d’acqua
usati dai privati. Infatti non basta che i monitoraggi non siano stati fatti,
siano stati fatti male o, comunque, se fatti e fatti bene, non siano serviti a
nulla visto che gli impatti si sono provocati lo stesso. CAVET, nonostante molti testimonino come i monitoraggi siano iniziati
solo dopo aver subito gli impatti, cerca di usare quei monitoraggi tardivi e
inefficienti a difesa, con effetti perversi, il che, per le persone offese,
sarebbe veramente aggiungere al danno la beffa.
Abbiamo già detto di L. M.
al quale vanno a controllare la sorgente solo dopo che gli si è seccata.
Così D. U. del podere “Monacale”
che testimonia come il monitoraggio sia iniziato solo dopo che la sorgente si è
già seccata. Idem per il pozzo “La Campora” dei sigg.ri T..
Eppure si cerca di usare il
monitoraggio per dimostrare ciò che non è. Si fa riferimento a quelle domande
della difesa ai danneggiati i quali avevano già risposto per mezz’ora al PM di
come, prima dei lavori CAVET, disponessero di punti acqua che buttavano per
tutto l’arco dell’anno e di come, dopo i lavori di scavo, non li avessero più.
A quelle domande mediante le quali la difesa chiedeva alle persone offese se
fossero proprio sicuri di non avere più l’acqua, perché a CAVET risultava una
cosa diversa, risultava che dai monitoraggi fatti da CAVET stessa, l’acqua ci
fosse. E i danneggiati rispondevano stupiti: “Come c’è l’acqua? L’acqua non c’è
più”. E la difesa “Vedremo, vedremo…”. Vedremo cosa? Vedremo quando? Quello sta
lì da anni di casa lì, ti dice che prima aveva acqua a sfare, ora va avanti da
anni ad autobotti e gli si domanda se è sicuro che l’acqua non c’è, perché i
monitoraggi fatti da CAVET stessa dicono di sì?
Torniamo dunque al teste L.
M..
Avvocato - Senta,
nell’estate del 2003 che è stata un’estate caldissima… lei se la ricorda, no?
Teste L. M. - Sì.
Avvocato - …
questa fonte ce l’aveva acqua?
Teste L. M. - No.
Avvocato - E’ sicuro? Lei è
sicuro di questo dato, che la sua fonte quell’estate lì non avesse acqua?
Perché noi abbiamo la prova con i monitoraggi che l’acqua c’era.
Teste L. M. - Eh, se c’era … esserci ci poteva
essere però con la pressione a casa mia l’acqua non arrivava nel 2003. Avevo
l’acquedotto del Comune però l’altro era aperto, se arrivava l’acqua la vedevo.
Banale, ma efficace no? Se c’è l’acqua chi abita lì, la vede. Ma i
dati dei monitoraggi sono una fede incrollabile...
Una
per tutti, andiamo a leggere la testimonianza di B. F. il 23.2.’05 in
riferimento alla sua sorgente seccata a Paterno di Vaglia.
Avvocato Difesa - Mi scusi signora B. F., la sorgente è sicura che oggi non ci sia
più, che non vi sia nessuna portata d’acqua?
E già la domanda è ardita
visto che era mezz’ora che B. F. aveva detto che aveva la sorgente che
serviva anche gli altri abitanti della zona, che gliel’avevano seccata e
che ora andava avanti ad autobotti e si sarebbe dovuta allacciare per forza
all’acquedotto, dovendo poi pagare ciò che fino ad allora aveva sempre avuto
gratis.
Comunque la teste risponde.
Teste B. F. - Sì, c’è solamente se piove o se nevica come può nevicare adesso, allora
forse ricomincia a buttare un po’ di acqua, sono le acque di superficie, questo
mi spiegavano anche quando venivano a monitorare.
La risposta è chiara, ma la difesa non demorde. Secondo tentativo.
Avvocato Difesa - Sì, ma è sempre secca o a volte c’è dell’acqua?
E la teste, per la seconda volta.
Teste B. F. - Se ci sono delle precipitazioni abbondanti allora per qualche giorno da
dove veniva la sorgente arriva un po’ di acqua piovana.
Quindi quando piove dalla
sorgente esce un po’ dell’acqua piovuta. Normale, no? Allora si divaga…
Avvocato Difesa - E quest’acqua dove va?
Non si sa cosa c’entri
comunque...
Teste B. F. - Va nel ruscello, va a dispersione.
Avvocato Difesa - Non va più nella sua cisterna?
Teste B. F. -
Eh no, tanto non basterebbe! E poi è
acqua piovana, non è acqua di sorgente quella eh, è acqua di superficie.
Avvocato Difesa - Scusi, ha cambiato il percorso? Perché non va più nella sua cisterna?
Teste B. F. -
Perché io ho un’altra cisterna,
quella che mi viene dal pozzo.
Avvocato Difesa - Quindi l’ha scollegata
quella.
Teste B. F. - Eh, quella non può
servire, cioè questa è una vasca che poi sta vuota per sette mesi.
Avvocato Difesa - Quindi non è più
collegata.
Teste B. F. - No, no, no, va a
dispersione nel ruscello.
Ma ecco che si arriva al
punto. Ecco cosa voleva arrivare a dimostrare la difesa.
Avvocato Difesa - Viene monitorata questa
sorgente?
Teste B. F. - Viene monitorata, ora è un
pezzetto che non vengono questi ragazzi però.
Avvocato Difesa - È possibile dire… ma mi pare
che lei dica una cosa diversa da quella che a me risulterebbe, ma volevo
capire, ci sono dei mesi dell’anno in cui viene l’acqua e altri mesi in cui
viene?
Teste B. F. - L’acqua non viene mai adesso, se però, mettiamo come ora, ci sono queste
precipitazioni, nevica per una settimana, allora prima che il terreno si
prosciughi un po’ di acqua…
Quindi chiara la risposta. Se
piove, la sorgente dà un po’ d’acqua piovana; se nevica, la sorgente dà un po’
d’acqua via via che la neve si scioglie. Ma è acqua precipitata, di superficie,
non di falda. Semplice no? E invece no, si va avanti:
Avvocato Difesa - Ma io non vorrei da lei delle spiegazioni tecniche sul terreno…
Teste B. F. -
Eh, ma non gli posso dire viene
l’acqua di sorgente io.
Avvocato Difesa - No, se
lei vede, questo le chiedo.
Teste B. F. -
Ogni tanto vedo un po’ di acqua.
Avvocato Difesa - Eh, questo volevo sapere da lei. Questo ‘ogni tanto’…
Teste B. F. - Per due giorni.
Avvocato Difesa - … accade nel periodo invernale, nel periodo estivo, è indifferente il periodo…
Teste B. F. - Accade quando ci sono delle
precipitazioni abbondanti.
E tre! Quando piove
o nevica c’è l’acqua, quando non piove, no! Ma deve essere un argomento ostico
per la difesa o forse non si vuole
intendere.
Avvocato Difesa - Quindi quando ci sono… questo è quello che lei ha osservato e osserva…
E qui la teste un po’ si
urta.
Teste B. F. - Sì, ma della serie, può durare un giorno ecco, non è che dura un mese
l’acqua per annaffiare l’orto eh, comunque possono monitorare, possono venire a
vedere.
Avvocato
Difesa - Lei li ha fatti entrare
quando sono venuti a fare questi monitoraggi?
Teste B. F. - Sempre, sempre.
Avvocato
Difesa - Bene, grazie, non ho altre
domande.
Finalmente.
Ma come detto, la
funzione del monitoraggio CAVET è quella di fare il miracolo di far tornare
l’acqua dove non c’è più.
G. perde tutta l’acqua, ma
CAVET riesce a monitorarne la presenza. Cercano di convincere anche G. che gli
è tornato l’acqua nei pozzi, G. che pure sta a S. Giorgio dove è stata una ecatombe,
G. che confina con il C. cui è sprofondalo il terreno di sei metri, G. che
abita dove tutti i terreni hanno perso l’umidità naturale per cui non possono
più coltivare il mais senza innaffiare come prima.
Così anche con S. a cui
hanno seccato due pozzi a Cerreto Maggio o per il B. che si era trasferito da
Firenze in Mugello cui seccano la sorgente, deve quindi vendere i cavalli che
aveva e che alla fine “a malincuore“ come dice lui, se ne deve tornare a
Firenze da dove si era trasferito.
Avvocato - Senta,
lei ha visto la sorgente di cui abbiamo parlato secca?
Teste Z. B. - Senz’altro, ma non l’ho vista io solo…
Avvocato - Io
le ho chiesto se lei l’ha vista perché noi abbiamo dei monitoraggi che dicono
che c’è dell’acqua… vedremo.
Ancora questo inquietante
“vedremo” e infatti il B. si urta e parte con un:
Teste Z. B. - Allora lei mi dovrebbe spiegare…
Ma il giudice,
opportunamente, lo ferma.
Ma vediamo il paradossale
esame di N.:
Avvocato
Difesa - Le chiedo scusa, tutti e
due i suoi pozzi erano muniti di motore? o sono muniti di motore?
Teste L. N.
- Sì. Di motore.
Avvocato
Difesa - E oggi non pesca più questo
motore?
Teste L. N.
- No, no. No. Addirittura il
primo... il pozzo, quello con più portata, mi si è bruciata anche la pompa.
Avvocato
Difesa - Sì, ma quello che io vorrei
sapere, sono secchi, oppure... a me risulterebbe da alcuni monitoraggi che in
realtà un po' d'acqua ci sia.
Teste L. N.
- No, sono secchi.
Avvocato
Difesa - Non c'è acqua.
Teste L. N.
- No.
Avvocato
Difesa - Per quello che lei ne sa.
Come sarebbe a dire “per
quello che lei ne sa?”. Siamo al surreale. È CAVET a dire a N. di essere lui
a non sapere se a casa sua c’è l’acqua o meno.
Ma il fatto non è episodico, è proprio una strategia
difensiva.
Ecco le domande che vengono
fatte a P. che è uno che ha fatto lo sciopero della fame per i suoi pozzi
davanti al Comune di S. Piero.
Avvocato Difesa - Dunque, il pozzo che è nel giardino ... è quello più vicino al Carza? Le
risulta questa circostanza?
Teste S. P. - Come mi risulta, ci abito. Certo!
Già
si parte male. Si vorrebbe spiegare ad uno com’è fatta casa sua. Ma si
va avanti.
Avvocato Difesa - A noi risulterebbe che la galleria, quando è passata di lì, non abbia
intercettato acqua. Né dal Carza...
Teste S. P. - Sa, ognuno può dire quello che vuole, eh.
Avvocato Difesa - No, no, ci sono dei dati, per questo...
Teste S. P. - Eh, ma anche i dati possono essere in qualunque modo...
Avvocato Difesa - C'è un monitoraggio...
Teste S. P. - Quello che dite va bene. Cioè, quello che viene detto va bene. Io non
sono nessuno. A me è stato detto ... quando iniziarono i lavori in prossimità
di casa mia, furono sospesi per tre o quattro giorni, perché io conoscevo degli
operai che ci lavoravano, erano a casa fermi, non potevano lavorare, perché in
quel preciso momento avevano intercettato delle falde ...
Avvocato Difesa - Va bene, ci sono i monitoraggi, vedremo.
Vedremo cosa? Ricordiamo
che P. è quello che ha fatto lo sciopero della fame, che aveva un pozzo con
l’acqua a sei metri di profondità e dopo passata la galleria lì l’acqua è a 60
metri. P. è quello che ha litigato con Longo davanti al sindaco perché si
sentiva, testuale detto da lui, “melinato”, e cosa finiscono col domandargli?
Avvocato Difesa - Senta, un'altra domanda: successivamente, dopo il passaggio della
galleria e quindi il completamento dei lavori, o comunque diciamo l'avanzamento
dei lavori in quella zona ... le risulta che poi il pozzo abbia comunque
nuovamente avuto acqua?
Teste S. P. - No. No.
Avvocato Difesa - È sicuro anche di questo?
Teste S. P. - Certo che sono sicuro. Se me lo chiede, le dico...
Avvocato Difesa - Anche per questo ci sono i monitoraggi.
Come dire, stia attento a quel che dice… E qui P., giustamente, si arrabbia:
Teste S. P. - Un dipendente CAVET che veniva a fare le misurazioni mi disse che da 8
metri l'acqua era scesa a 26 metri. L'ultima cosa che io ho saputo poco prima
che si seccassero i pozzi. Comunque i pozzi sono secchi e sono visibili a
tutti, eh.
Giudice - Perfetto. Grazie.
Teste S. P. - E anche la sorgente.
Giudice - Si accomodi pure.
Teste S. P. - Grazie.
Certo se fanno come da M. a Torricella ci
sta che i monitoraggi facciano miracoli. Infatti a M., Agnelli monitora solo la
sorgente non seccata. Dell’altra non vuol nemmeno sapere.
G. che ne ha viste tante
comunque resta dell’idea di non fidarsi dei monitoraggi CAVET.
Teste C. G. - No. Tutto secco. “I
Guazzini” sono a tutt'oggi d'inverno secchi. Anche se qualcuno questa estate ha
trovato l'acqua per conto di CAVET.
Pubblico Ministero - Ho capito. Senta...
Giudice - No, non ho capito, scusi.
Teste C. G. - Sì, questa è un'altra cosa.
Giudice - Sono secchi d'inverno e
d'estate...
Teste C. G. - Sì, CAVET...
Siccome questa sorgente “I Guazzini” dopo l'anno 2000 io ho cessato di seguire
il monitoraggio, in quanto era secca, perché fino al 2000 venivo... l'EGS si
metteva in contatto con me per chiedermi di farlo in contraddittorio questo
monitoraggio. Io avevo piacere d'esserci. Dopo il 2000 ci congedammo, dicendo:
'tanto è secca, è inutile che mi richiami'. Poi ho scoperto che anche
quest'estate 2004 hanno misurato acqua ne “I Guazzini”. Al che io ho fatto
tutta una serie di lettere e tuttora sto facendo monitoraggio con ARPAT e con
OAL, tutti i mesi. Proprio per fare, per dimostrare che acqua non c'è. Non c'è d'inverno, ditemi come hanno fatto
a trovarla questa estate.
Pubblico Ministero - Cioè, lei
non è stato fortunato come loro. Lei d'inverno non la trova, loro d'estate sì,
questo vuol dire?
Teste
C. G. - No, la trovano questi che fanno il
monitoraggio, perché...
Pubblico
Ministero - Sì,
questo, stavo dicendo esattamente la stessa cosa.
Teste
C. G. - Sì, sì.
Pubblico
Ministero - Nel
senso, i suoi accertamenti successivi sono negativi.
Teste
C. G. - Sì. Io li sto facendo mese mese,
perché a questo punto bisogna stare attenti a tutto.
E a dire il vero anche noi siamo portati a propendere
per l’opinione di C. G. di non fidarci tanto dei dati del monitoraggio ...
TRIBUNALE DI FIRENZE
SEZIONE MONOCRATICA
DOTT. ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento penale n. 535/04 R.G.
Udienza del 10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 20]
“INTERVENTI DI MITIGAZIONE CHE SONO
SPESSO CHIARAMENTE CARATTERIZZATI DALL’IMPROVVISAZIONE ED IMPOSTI SOLO DALLA
INEVITABILITÀ DELLA LORO MESSA IN OPERA, PENA IL PERICOLO DI SOLLEVAZIONI
POPOLARI. IN MOLTI CASI, COMUNQUE, CON LA CARATTERISTICA DI ESSERE QUASI SOLO
UNA PEZZA MESSA PER TAMPONARE UN’EMERGENZA, SPERANDO DI CHIUDERE PRESTO I
CANTIERI ED ANDARSENE”.
5) ERA TUTTO
PREVISTO E .... E COMUNQUE MONITORATO... COMUNQUE MITIGATO …
Del fatto
che non tutti i danni siano stati esplicitati, che i monitoraggi non ci fossero
o comunque siano serviti a poco o nulla - salvo dire nel processo che l’acqua
persa dalle persone offese invece c’è ancora - è cosa evidente sol che si
guardi all’indicazione degli interventi di mitigazione indicati ante-operam, e
poi - ancor più - se si guarda quelli effettivamente realizzati, attese
peraltro le modalità concrete con cui questi sono stati poi realizzati. Interventi
di mitigazione che sono spesso chiaramente caratterizzati dall’improvvisazione
ed imposti solo dalla inevitabilità della loro messa in opera, pena il pericolo
di sollevazioni popolari. In molti casi, comunque, con la caratteristica di
essere quasi solo una pezza messa per tamponare un’emergenza, sperando di
chiudere presto i cantieri ed andarsene.
E non c’è da
stupirsi se CAVET, per bocca dell’ing. Silva, è convinta di poter seccare le
sorgenti e i pozzi di chiunque e far pari e patta con un po’ d’autobotti.
Imputato SILVA - “Noi avevamo ... avevamo l’obbligo di assicurare il livello idropotabile
durante l’esecuzione dei lavori a breve termine. In teoria ... in teoria io
avrei potuto, per tutto il periodo di esecuzione delle opere, sopperire a
quelle che erano le mancanze con delle autobotti. Sarei stato un folle perché è
un’operazione sciagurata. Dopo di che... dopo di che quando c’è la fine dei
lavori, cara TAV adesso fai tu tutte le opere compensative. Tutto quello che
(inc.) serve per risolvere. Chiaramente è un’operazione che, cioè, non può
essere supportata dal territorio, e giustamente TAV decise di intervenire. Di
intervenire con dei programmi di intervento, con delle opere; con dei
protocolli, recentemente. Ma è fuor di dubbio che questo non è un onere ... non
è un onere del CAVET. Perché la galleria drenante, è un progetto di galleria
drenante, si sa che drena e si sa che causa quegli effetti”.
Più chiaro di così.
[...] A chi è andata bene è successo di aver perso [...] l’acqua “buona, incontaminata, perché in campagna di sorgente” per
passare all’“acqua di condotta, medicata”.
Abbiamo
ormai una vita così artificiale in città che si deve far mente locale per
capire cosa si sono perse certe persone. Si sono perse cose che riesce
difficile immaginare che potessero esistere ancora. Che potessero esistere
situazioni quali quella di T. N. che addirittura si poteva permettere di avere
una piscina alimentata con l’acqua del fiume, acqua di fiume classificata come
acqua minerale. Doveva essere uno spettacolo.
Per non parlare dei costi.
Il paradosso
qui è che la cosa migliore, l’acqua buona, era gratis e quella peggiore,
l’acqua dell’acquedotto, va invece
pagata.
Ma dicono quelli di CAVET che sono stati eseguiti gli interventi di
mitigazione nel modo più razionale possibile ovvero in modo di evitare sprechi
di denaro pubblico (cfr. pg. 109 Ct Celico).
E allora
vediamoli gli interventi di mitigazione. Vediamo la loro consistenza, la loro
pronta realizzazione, l’efficienza e vedremo se risultano davvero razionali,
ottimi, tempestivi, funzionali, di alta tecnologia. Di alcuni dei quali, anticipiamo,
avremo possibilità di valutare in un certo senso anche l’”eleganza”.
Partiamo da CASTELVECCHIO-VISIGNANO.
CAVET secca l’acquedotto privato di Visignano a Castelvecchio avendo seccato
la sorgente “Spugne” e lasciando senz’acqua 40 famiglie ed un ristorante, che
infatti costituiscono un comitato, il comitato della valle del Diaterna.
Avevano acqua pura e con 50.000 lire l’anno di spesa se la cavavano.
Poi con l’essiccamento della sorgente Le Spugne tutto cambia.
Vediamolo, l’intervento di mitigazione. Parla il presidente del comitato.
Teste E. F. - “… A questo punto non eravamo più in grado autonomamente, privatamente
di gestire un acquedotto con dei grandi danni così… perché prima era una cosa
anche molto semplice da fare e dopo invece eravamo di fronte a dei problemi più
grandi di noi e quindi abbiamo chiesto al Comune che lo prendesse in gestione
lui; di conseguenza il comune ha chiesto a CAVET di costruire un acquedotto nuovo
e c’ha allacciato ad un’altra frazione che si chiama Piancaldoli e credo sia
andato in funzione nell’estate del ’99, quindi un anno dopo; siamo andati
avanti per un anno con le autobotti, siamo rimasti tantissime volte senz’acqua
perché nell’inverno le condutture erano all’esterno, quindi ghiacciavano e ci
siamo dovuti anche arrangiare per smontare i tubi e scaldarli con delle
fiaccole, e dal ’99 ci arriva l’acqua tramite delle pompe da un altro paese”.
Un anno di
autobotti e per avere l’acqua d’inverno la gente doveva uscir di casa ed andare
a scaldare i tubi con le fiaccole. Soluzione elegante, non c’è che dire. E
infatti quelli del comitato del Diaterna hanno lasciato perdere ed ora sono
attaccati all’acquedotto comunale e si sono rassegnati a pagare la bolletta.
Ma la difesa
cerca di convincere i danneggiati che i danni, grazie agli interventi di
mitigazione, sono stati per loro solo
temporanei.
Ma gli risponde bene il sig. L. M..
Avvocato, parlando dell’acquedotto - C’è
una situazione diversa tra durante il periodo in cui venivano con l’autobotte e
quando poi è arrivato l’acquedotto, no?
Teste L. M. - Eh, quando è arrivato
l’acquedotto si sa, il problema per l’acqua non c’è più stato.
Avvocato - Oh, allora, questa sua situazione
di disagio quanto è durata? Quattro anni? Tre anni?
Teste L. M. - È durata sempre perché io la Diaterna la ho inquinata e la mia sorgente
non ce l’ho più …e dove mandavo al pascolo il bestiame l’acqua non c’era e io
ho dovuto sempre tenere con l’acqua dell’acquedotto il bestiame vicino a casa.
No,
purtroppo anche con gli interventi di mitigazione, i danni non sono stati
affatto temporanei.
ALICELLE.
Non male anche la mitigazione per Alicelle.
Teste V. A. - La CAVET cercò rapidamente buttando tubi di pvc nel bosco e facendo un
allacciamento provvisorio che si protrae quindi... perché ancora il problema
non è stato risolto, da quattro estati consecutive. C'è questo tubo nel bosco
provvisorio, un deposito all'aria, quindi sotto il sole, di 5.000 litri. E poi
c'è una stazione di pompaggio con pompa. Poi devono portare il generatore per
spingere quest'acqua. Si deve chiamare il camion con l'acqua che la porti. E
queste cose le devo fare io... L'anno scorso non potevano portare, come si
dice, il motore per la corrente. Io sono stato fra giugno e parte di luglio
senz'acqua, perché non potevano portare il motore.
BY-PASS BAGNONE - BOSSO
Ma passiamo al by-pass Bagnone- Bosso.
La premessa è d’obbligo, se no non si sa da cosa si parte.
C’erano due
fiumi, uno il Bosso ed un altro il Bagnone. Entrambi pulitissimi, entrambi con le trote, la gente ci faceva il
bagno ed addirittura – incredibile negli anni 2000 a trenta chilometri da
Firenze – l’acqua si poteva bere. Il
Bagnone calava in estate, il Bosso no.
Arriva la galleria e cosa succede?
Il Bosso si secca e l’acqua che esce dalla galleria viene recapitata nel
Bagnone che così viene a godere di portate d’acqua mai viste da quel fiume.
Però visto che non si può avere tutto dalla vita ecco che il Bagnone, grazie
all’acqua della galleria, diventa di un bel colore grigio lattiginoso.
Ma visto che ora il Bagnone ha l’acqua di galleria la si usa per rendere
un po’ d’acqua al Bosso, e l’opera di mitigazione è dunque il by-pass Bagnone-
Bosso.
Al di là
dell’altisonante e fuorviante termine inglese il cosiddetto by-pass in pratica
è solo un trabiccolo costituito da tubo attaccato ad una pompa e infatti
funziona un po’ sì e tanto no, per come testimoniato dal M. O. ed altri.
Pubblico
Ministero - Senta, non è stato fatto
un by-pass tra il Bagnone e il Bosso?
Teste M. O.
- Sì.
Pubblico
Ministero - Chi l’ha fatto? Come
mai? A che cosa doveva servire?
Teste M. O.
- Questo by-pass doveva servire a
travasare l’acqua dal torrente Bagnone rimpinguato dall’acqua di risulta dalle
gallerie e trasferirla con un by-pass di circa 1000 metri o poco più dal
torrente Bagnone al torrente Bosso a monte dell’abitato di Luco.
Pubblico
Ministero - Ecco, questo lei lo sa
perché è una delle cose che avete richiesto? Avete parlato con il sindaco?
Com’è questa cosa?
Teste M. O.
- Questo lo so perché per noi era di
vitale importanza.
Pubblico
Ministero - Perché è collegato
all’approvvigionamento di 12 litri al secondo.
Teste M. O.
- Certo, esatto.
Pubblico
Ministero - È stato realizzato
questo by-pass?
Teste M. O.
- Sì.
Pubblico
Ministero - In che anno?
Teste M. O.
- Penso nel 2001.
Pubblico
Ministero - Funziona?
Teste M. O.
- Dal 2001 al 2004 funziona qualche
volta.
Pubblico
Ministero -Cioè, lei ha segnato che
c’era un funzionamento di questo
by-pass?
Teste M. O. - Io ho anche qui dei verbali di ARPAT e della Polizia
Municipale che testimoniano che questo by-pass è spesso inattivo. Allora,
guardi, il primo… cito la risposta di ARPAT: “A seguito esposto dell’azienda
agricola [...]” che siamo noi “e della
Comunità Montana in data 9/7/2001 i tecnici del servizio…” eccetera eccetera.
Pubblico Ministero - Quindi lei ci dice che queste documentazioni sono
l’esito di alcune segnalazioni che lei ha fatto a questi organi.
Teste M. O. - Qui leggo ‘da parte nostra
e della Comunità Montana’. Ne ho cinque di questi qui.
E poi il sig. M. O. ce lo
descrive, il by-pass.
Teste M. O. - Dunque, il by-pass è un
tubo di 200 millimetri in metallo che si vede anche dalla strada percorrendo la
strada che va verso Luco, chiaramente non si può vedere se corre acqua però ci
si accorge quando non c’è acqua nel torrente e soprattutto quando la poca acqua
che c’è è maleodorante.
Avvocato Difesa - Ecco, a questo volevo arrivare, cioè le segnalazioni che lei ha fatto
erano per che cosa?
Teste M. O.
- Per questi motivi, acqua
maleodorante e assenza di portata.
Avvocato Difesa Rosso - Quindi sono cinque le sue…
cinque, sei…
Teste M. O.
- Sono numerose, ecco, dal 2000 al
2004.
Avvocato
Difesa Rosso - Ecco, in questi
quattro anni vorrei capire in quante occasioni… cinque o sei… lei ha segnalato…
Teste M. O.
- Guardi, vi lascio i verbali ARPAT
e Polizia Municipale…
Avvocato
Difesa Rosso - Ma a me non mi
interessano i verbali…
Teste M. O.
- Diciamo cinque.
Avvocato
Difesa Rosso - … voglio sapere le
sue segnalazioni.
Teste M. O.
- Benissimo, diciamo cinque.
Avvocato
Difesa Rosso - Di queste cinque in
quante occasioni si lamentava della omessa portata d’acqua o della poca portata
d’acqua del by-pass?
Teste M. O.
- In tutte e cinque naturalmente.
Avvocato
Difesa Rosso - Quindi in tutte e
cinque le occasioni ‘poca acqua e maleodorante’?
Teste M. O. - È chiaro, è collegata la cosa.
Il risultato finale era dunque che il Bosso continuava a ricevere un po’
d’acqua da Frassineta ma a un certo punto l’acqua trovava un fessura - subito
chiamata dalla gente del posto “inghiottitoio” - e il rigagnolo d’acqua
spariva. Dopo un po’ c’era però il bocchettone del tubo del by-pass che
ributtava le acque del Bagnone rinforzato dall’acqua di galleria ed il
rigagnolo del Bosso ripartiva.
Così le
fantasmagoriche opere di mitigazione CAVET avevano trasformato un fiume
incontaminato con le trote in un rigagnolo ad intermittenza.
E non si pensi sia un fatto unico.
Anche il
Diaterna è diventato un fiume intermittente. Infatti il
ramo di Caburaccia ad un certo punto si interra, si secca e dopo, alla
confluenza con il ramo di Castelvecchio, ricompare ma anche questo grazie al contributo
dell’acqua di galleria.
Il bello è che il by-pass Bagnone-Bosso non ha neppure assicurato questo
scarso risultato perché come i lavori di CAVET in galleria sono finiti,
CAVET ha staccato la corrente e se ne è andata con buona pace degli abitanti di
Luco che, sparito il Bosso, si sono ritrovati in pratica con le fogne a cielo
aperto.
La riuscita di quest’opera di mitigazione pertanto non è solo scarsa, ma
neppure duratura eppur digerendo di mala voglia l’assunto che possa essere
ritenuta una mitigazione il “travasare” l‘acqua da un fiume ad un altro.
CAVET, quando ha chiuso i cantieri, con quelli ha
chiuso anche la pompa di sollevamento e se n’è andata lasciando a secco tutti, con
successivi problemi per il Comune di Borgo S. Lorenzo che ha dovuto emettere
l’ordinanza n. 210 del 28.6.05 che imponeva a CAVET di riattivare il by-pass,
ordinanza poi revocata con la successiva ordinanza n. 233 del 19.7.05, etc.
etc. con il finale - ad oggi - di totale inattività di tutte le opere di
rilancio sul torrente Bagnone e di conseguenza sul torrente Bosso, e con il
paradosso del consulente Celico che vuole denunciare gli abitanti di Luco
perché inquinano.
Questo è
livello delle opere di mitigazione.
Ma, incredibile a leggersi, il by pass Bagnone – Bosso a pg. 183
della sua CT è portato dal dr. Celico come esempio di dimostrazione
di “sensibilità ed efficienza” da parte del Consorzio Cavet. “Sensibilità ed efficienza”, scritto in
neretto nel testo.
Ma possiamo continuare.
A Santo Stefano a Cornetole a
Campomigliaio, frazione di San Piero a Sieve, [...] alla U. Z. e a D. I. seccano le
sorgenti nel 2000. Nel 2005 quando li sentiamo è 5 anni che vanno avanti con
autobotti e serbatoi ed aspettano di essere attaccati all’acquedotto.
Teste D. I. - Oltre la mancanza dell’acqua naturalmente si può immaginare cosa vuol
dire far passare un’autobotte su una strada vicinale, sterrata, almeno tre o
quattro volte al mese e l’attraversamento del giardino che non esiste
naturalmente più perché ogni volta che passa l’autobotte lascia il segno;
naturalmente il controllo per non rimanere acqua è totalmente a mio carico,
cioè non è che c’è una data fissa in cui l’autobotte viene ma bisogna che
controlli che il serbatoio finisca o meno; l’anno scorso il serbatoio
precedente si è rotto, sono rimasto altri quindici giorni senz’acqua perché
prima hanno tentato di ripararlo e naturalmente era irreparabile… un acquedotto
con 5000 litri d’acqua la pressione… come si può pensare di risaldare della
plastica non lo so, ma insomma hanno tentato di ripararlo, sono rimasto altri
quindici giorni senz’acqua prima che si decidessero di riportare un nuovo
serbatoio; la strada l’ho già rifatta una volta e probabilmente mi toccherà
rifarla nuovamente se voglio passarci con degli autoveicoli. Questo il minimo,
senza contare il disagio di avere appunto quattro persone che sono cinque anni…
Prosegue D.
I. - …Nel 2003 io sono stato
contattato da un ufficio tecnico di una compagnia di assicurazione, l’Ausonia,
in Milano mi sembra, per conto del CAVET, in cui mi si diceva che rispetto al
danno che avevo subito la cosa faceva parte dell’accordo dell’addendum che era
stato fatto tra la Regione Toscana e CAVET o chi per lui e che ci sarebbe stato
un intervento di realizzazione di un acquedotto tra il Comune di Vaglia e il
Comune di San Piero e che a quel punto ci sarebbe stato un intervento anche per
la mia abitazione e che comunque CAVET garantiva fino al momento
dell’allacciamento all’acquedotto la fornitura con le autobotti, che sarebbe
continuato il servizio. Quindi io, a quel punto, un’assicurazione mi contatta
rispetto a quello, ritengo che da parte del CAVET a quel punto ci sia stato il
riconoscimento.
Pubblico Ministero - Quindi, cambiando argomento, se capisco bene ora il
problema è allacciarsi all’acquedotto… cosa? comunale? che acquedotto sarà?
Teste D. I. - Ritengo che sia un acquedotto comunale.
Pubblico Ministero - Ma è una cosa in prospettiva quindi?
Teste D. I. - In questa lettera mi si parlava di un progetto che doveva essere fatto
nel 2003 e l’allacciamento nel 2004, a questo punto…
Pubblico Ministero - Siamo nel 2005.
Teste D. I. - … siamo nel 2005 e i lavori devono ancora iniziare.
A Luco nel luglio 2000 seccano la sorgente d’acqua pura e potabile della
sig.ra V. D., la vicina del sig. A. C., quello del terreno di mais sgonfiato.
CAVET gli batte provvisoriamente un pozzo che va però manutenuto, ha bisogno
dei filtri perché viene acqua ferrosa. Il pozzo funziona un po’ così e così,
tra quando si rompe la pompa, tra quando va via la luce, e la V. D. resta
spesso senz’acqua.
Ma ora lasciamo perdere. Facciamo finta che l’opera di mitigazione sia
l’allaccio definitivo all’acquedotto e sentiamo cosa dice la V. D..
Teste V. D. - Sì sì sì, mai mancato l’acqua
fino al luglio del 2000.
Pubblico Ministero - E dopo ha
detto che un po’ sì un po’ no, però più che altro vi approvvigionate da questo
pozzo nuovo.
Teste
V. D. - Eh, quella doveva essere una situazione
provvisoria perché nel 2001 abbiamo avuto un incontro e lì era stato deciso con
accordo che io fossi allacciata all’acquedotto, quindi io sono quattro anni che
sto aspettando questo allacciamento
all’acquedotto.
Pubblico
Ministero - A un acquedotto pubblico?
Teste V. D. -
Sì.
Pubblico
Ministero - Ma lei prima la pagava?
Teste V. D. -
No, io no,
io avevo solo la sorgente.
Pubblico Ministero - Per capire la differenza se funziona … non so se è stato pattuito, quali
fossero gli accordi, quali fossero le cose che le sono state prospettate, nel
senso se il nuovo acquedotto… chi pagherà la bolletta dell’acquedotto?
Teste V. D. - È quello che mi chiedo anch’io.
Pubblico Ministero - Ah, quindi non è stata decisa questa cosa?
Teste V. D. - No, perché dal 2001 in pratica, dopo quell’incontro
lì, io non ho avuto più notizie.
Pubblico Ministero - Ah, siete fermi lì.
Teste V. D. - Sì, siamo fermi lì.
La V. D. è stata sentita nel 2005. Dopo 5 anni.
A C. V. tagliano l’acquedotto e gli mettono un tubo volante di acqua
sporca di galleria e lo mandano avanti così per sei mesi.
Per il torrente Ensa, CAVET dà al sig.
F. 260 metri di lamiera zincata per fare un letto del fiume artificiale in
grado di passare una fessurazione ed assicurare il funzionamento del Mulino [...].
R.
dell’azienda [...], visto che non si costituisce parte
civile e che fa solo una denuncia per senso civico, rimettendosi all’operato
degli organi competenti, non fanno nulla. Eppure con l’acqua del Cardetole dava
da bere alle sue mucche dal 1962, da 40 anni e mai si era seccato. Lo seccano
nel 2000 e lui come dice testualmente, “si va sul mercato, si è preso un
escavatore” e si fa da solo e a sue spese un piccolo invaso.
È triste, ma
si deve desumere che il solo senso civico in Italia non solo non paga, ma ti ci
fa rimettere.
Nulla neanche per la sig.ra M. alla quale seccano un pozzo a S. Piero,
loc. Casenuove Taiuti, nonostante Cardu fosse andato a fare un sopralluogo e gli
avesse detto di non preoccuparsi che ci avrebbero pensato loro.
Questi gli
interventi di mitigazione.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 21]
“È DA PROVARE CHE UN GEOLOGO SI
ARRISCHI A VALIDARE UN PROGETTO PER LA COSTRUZIONE DI UNA CASA PRIVATA SE NON È
TRANQUILLO SU QUELLO CHE POTRÀ ACCADERE. [...] FORSE DOBBIAMO CONCLUDERE CHE NEL REALIZZARE OPERE
PUBBLICHE SI POSSA ESSERE PIÙ “SPORTIVI”, SI POSSA OSARE DI PIÙ?”.
7) ... SALVO L’IMPREVEDIBILE, PERCHÈ LA GEOLOGIA NON
È UNA SCIENZA ESATTA (E IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE?).
Quindi,
secondo CAVET, tutto previsto e comunque mitigato.
Salvo l’imprevisto però, è ovvio.
Gli impatti imprevisti ammessi da CAVET (v.
test. Bollettinari) sono:
-
gli impatti sui fiumi (le
previsioni, abbiamo visto quanto poi azzeccate, citavano comunque solo il Carza
e Carlone);
-
la
sorgente Castelvecchio;
-
Casa
d’Erci, che si è seccata in due ore invece che in un anno e mezzo;
-
la
sorgente La Rocca.
Impatti imprevedibili fino ad un certo punto,
diciamo noi … perché, abbiamo già detto, c’è chi li aveva previsti,
e rimandiamo a Rubellini. Già il gruppo di lavoro della Regione nel ’95, di cui
faceva parte Rubellini, aveva avvisato che doveva essere approfondito il tema
degli impatti sui corsi d’acqua. [...] Ma CAVET, per bocca di Celico, ci dice “Che volete da noi. Non
sapete che l‘idrogeologia non è una scienza esatta? Che vi è la chiara
impossibilità di effettuare previsioni certe?” (Cap. 2.1.2 della CT di Celico).
Ora, se il dr. Celico si fosse fermato qui, si
sarebbe potuto anche sorvolare, visto che l’assunto difensivo certo non
sconvolge chi di mestiere fa i processi e in mille occasioni si è trovato a
valutare fatti non rapportabili a scienze esatte, come la psichiatria, la
grafologia, la ricostruzione dinamica di incidenti stradali, la medicina, la
psicologia, ecc. ecc. E non avremmo certo perso tempo a spiegare l’ovvio,
ovvero che gli imputati non sono stati certamente chiamati in giudizio per non
essersi dotati di una sfera di cristallo dell’ultimo tipo.
Ma il dr. Celico si spinge oltre.
Si spinge fino a sostenere la bontà del
metodo usato da CAVET nello scavo delle gallerie per, come dice lui, successive
approssimazioni, che, dice, “non
è un’invenzione di comodo”, ma “...un’accorta
ed oculata metodologia di indagine” (pg. 57).
Vediamo perché siano giuridicamente
inaccettabili gli assunti del dr. Celico.
Il dr. Celico introduce il concetto di sorpresa geologica citando l’art.
1664, II comma, del Codice civile richiamato a suo tempo dall’art. 25 della
legge n. 109/94, oggi sostituito dall’art. 132 del D.lgs. 163/2006. La cosa è
interessante, fa un bell’assist Celico, la sorpresa geologica nella disciplina
di settore delle opere pubbliche è citata tra le cause che legittimano le “varianti
in corso d’opera”.
“Art. 132. Varianti in
corso d’opera (artt.
19, comma 1-ter, e 25, legge n. 109/1994).
1. Le varianti in corso
d'opera possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei
lavori, esclusivamente qualora ricorra uno dei seguenti motivi:
a) per esigenze derivanti
da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;
b) per cause impreviste e
imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento, o per l'intervenuta
possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al
momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo,
significativi miglioramenti nella qualità dell'opera o di sue parti e sempre
che non alterino l'impostazione progettuale;
c) per la presenza di eventi
inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene
verificatisi in corso d'opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili
nella fase progettuale;
d) nei casi previsti
dall'articolo 1664, comma 2, del codice civile;
e) per il manifestarsi di
errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in
parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il
responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione all'Osservatorio
e al progettista.
2. I
titolari di incarichi di progettazione sono responsabili per i danni subiti
dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della
progettazione di cui al comma 1, lettera e). Nel caso di appalti avente ad
oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori, l'appaltatore
risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre
varianti in corso d'opera a causa di carenze del progetto esecutivo.
3. Non
sono considerati varianti ai sensi del comma 1 gli interventi disposti dal
direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti
entro un importo non superiore al 10 per cento per i lavori di recupero,
ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5 per cento per tutti gli altri
lavori delle categorie di lavoro dell'appalto e che non comportino un aumento
dell'importo del contratto stipulato per la realizzazione dell'opera. Sono
inoltre ammesse, nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, le varianti, in
aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua
funzionalità, sempre che non comportino modifiche sostanziali e siano motivate
da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al
momento della stipula del contratto. L'importo in aumento relativo a tali
varianti non può superare il 5 per cento dell'importo originario del contratto
e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera.
4. Ove le varianti
di cui al comma 1, lettera e), eccedano il quinto dell'importo originario del
contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto e
indice una nuova gara alla quale è invitato l'aggiudicatario iniziale.
5. La
risoluzione del contratto, ai sensi del presente articolo, dà luogo al
pagamento dei lavori eseguiti, dei materiali utili e del 10 per cento dei
lavori non eseguiti, fino a quattro quinti dell'importo del contratto.
6. Ai fini del presente articolo si
considerano errore o omissione di progettazione l'inadeguata valutazione dello
stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica
vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali
ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle
norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali”.
Nel ribadire il divieto delle varianti in
corso d’opera la legislazione fa salvi cinque casi, di cui quattro connessi ad
eventi imprevedibili, quali ad esempio la modifica della legislazione e la
sorpresa geologica.
Quindi cosa
si desume? Si desume la conferma di ciò
che questa Procura ha sempre sostenuto. Non stiamo celebrando un processo per
un delitto colposo, per un difetto di “previsione”, ma l’opposto, ovvero un
processo per dolo, perché, una volta conseguita la consapevolezza degli effetti
del progetto esecutivo redatto non ci si è attivati - anche e proprio con
varianti in corso d’opera - per elidere gli effetti devastanti di ciò che si andava
a fare.
Quindi, seguendo il ragionamento del dr.
Celico, e condiviso il concetto che la idrogeologia non sia una scienza
esatta, non è accettabile che da questa affermazione se ne possa trarre come corollario
il fatto che tutto è permesso e che qualsiasi conseguenza negativa debba essere
gioco forza accettata e subita.
[...]
Ripetiamo: la legge considera errore o omissione anche l’inadeguata
valutazione dello stato di fatto. E allora può
essere una esimente sostenere che la idrogeologia non è una scienza esatta?
Riteniamo di no se ci ricordiamo tutte le fasi che ci hanno portato ai danni
per cui oggi si è celebrato questo processo.
Ricordiamoci che siamo partiti da una
relazione Broili, citata dal dr. Celico come esempio di ottimo lavoro
previsionale, che attesta che per ben 21 chilometri di tracciato CAVET non
ha nessuna informazione riguardati pozzi e sorgenti. Ribadiamo. CAVET non
sapeva nulla, per inefficienza propria, di cosa avrebbe incontrato per 21
chilometri, ma questo ha poco a che fare con la questione che l’idrogeologia
non è una scienza esatta.
Se la geologia poi non è una scienza esatta, non deve
allora operare il principio di precauzione?
La domanda è già stata già posta in sede dibattimentale al dr.
Bollettinari che ha dato una certa risposta che continuiamo a non ritenere
convincente.
È da provare che un geologo si arrischi
a validare un progetto per la costruzione di una casa privata se non è
tranquillo su quello che potrà accadere, così com’è da provare se quello
stesso geologo ci mette la firma o meno se non è più che sicuro o se non ha
preso tutte le precauzioni del caso. Forse
dobbiamo concludere che nel realizzare opere pubbliche si possa essere più
“sportivi”, si possa osare di più?
E poniamo
nuovamente una domanda già posta. Non si
dovrebbe operare sempre e comunque per il meglio nel massimo rispetto delle
generazioni future, specialmente quando in gioco ci sono beni vitali e preziosi
come l’acqua?
Il dr. Celico si è invece già risposto confermando la bontà del metodo
sopra enunciato “della successiva approssimazione” e chiama a testimone
l’intera comunità scientifica mondiale. Conclude infatti il Dr. Celico che dai lavori di scavo in galleria la Comunità
scientifica ha tratto un grado di conoscenza scientifica che non era
preesistente e dovuta proprio grazie all’esperienza effettuata nelle gallerie
dell’Alta velocità ferroviaria (pg. 67). Citando il teste Mirri il prof.
Celico ci rappresenta che tale esperienza ha permesso anche di organizzare
numerosi “convegni ai quali hanno
partecipato geologi di tutto il mondo, inclusi quelli della Cina, Giappone, USA
e UE che ne hanno rimarcato l’interesse scientifico con molte domande e vivaci
discussioni” (Pg. 71). La cosa non pare provi troppo a favore
degli imputati. È come dire che oggi, grazie alle lavorazioni che hanno
comportato l’utilizzo dell’amianto, gli scienziati e i medici hanno potuto
organizzare molti convegni e ora sanno molto di più sul mesotelioma polmonare.
Quindi non dubito affatto della circostanza che si siano tenuti convegni
sugli scavi dell’Alta Velocità nel Mugello, ma non diventano accettabili per questo
motivo i riferimenti all’asserita legittimità - perché di questo stiamo
parlando - di una metodologia per successive approssimazioni quali quelle
concretamente poste in essere nel caso del Mugello.
E questo è il “principio di precauzione”. E non si
pensi che il principio di precauzione sia una invenzione della Procura. Visto
che stiamo trattando della realizzazione di una delle opere più imponenti di
Italia realizzata da un consorzio formato da colossi dell’imprenditoria
nazionale, ci si sarebbe aspettati che fossero questi stessi soggetti ad
esigere da loro stessi un comportamento adeguato per poter competere anche sui
mercati esteri, primi fra tutti quelli europei, ma così non è stato. Forse
proprio perché non si è in grado di competere in mercati maturi quali quelli
europei magari si ripiega su quello interno e su qualche altro mercato più
arretrato.
Diciamo questo perché sembra davvero difficile
ipotizzare che possa essere esportato in Europa un progetto come quello della
tratta Firenze-Bologna che non viene appaltato in regime in concorrenza ed
all’esito di una gara europea, che alla fine costerà il doppio se non di più
del preventivato e che prevede lo smaltimento delle rocce da terra e da scavo
in base ad una legge ad hoc per la quale la Repubblica Italiana è stata
condannata proprio in sede europea.
E qui, tornando al tema che stiamo trattando, si deve evidenziare come
il principio di precauzione, e insieme quello dell’azione preventiva, sono i
principi che devono guidare, in modo prioritario, le scelte ambientali in
Europa. E non è un auspicio, è norma di legge. Lo impone l’art. 174, par. 2,
del Trattato della Comunità Europea: “La politica della Comunità in materia
ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità
delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui
principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente,
nonché sul principio «chi
inquina paga»”.
Testuale. E scusatemi se è poco. Cioè, non è la requisitoria
del Pubblico Ministero: è un articolo del trattato della Comunità Europea.
Ecco dunque perché non pare esportabile
un progetto che non rispetta proprio il principio di precauzione e che viola
uno dei principi contenuti nel Trattato della Comunità Europea, e perché
non convincono le teorie del prof. Celico e del dr. Bollettinari.
Il principio di precauzione è diritto positivo
vigente. Ma c’è di più. Oggi, il principio di precauzione è diritto positivo
vigente anche secondo l’ordinamento italiano. L’art. 3 ter del Decreto
legislativo ambientale n. 152/2006, per come di recente modificato dal Decreto
legislativo correttivo n. 4 del 16.1.08, testualmente recita: “La tutela dell’ambiente e
degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da
tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche
pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi
della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria
alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio «chi inquina
paga» che, ai sensi
dell’articolo 174, comma II, del Trattato delle Unioni Europee, regolano la
politica della comunità in materia ambientale”.
Finalmente in modo espresso anche nella
legislazione italiana: ma solo come “repetita iuvant”, in quanto il principio
era già vigente essendo, come detto, già contenuto del trattato della Comunità
europea. Era principio giuridico consolidato, necessario corollario di uno
stato di diritto che costituzionalmente tutela il paesaggio.
Più banalmente sembrerebbe anche solo un
principio di buon senso, ma tant’è.
È sempre principio giuridico consolidato, in sede
penale però, invece, il principio per cui, nel dubbio che si possa realizzare
un evento, ci si debba astenere dal tenere la condotta che lo può cagionare.
Comportarsi diversamente significa accettare che l’evento si realizzi e quindi
doverne sopportare le debite conseguenze.
E
allora credo che proprio sì, debba rispondere in sede penale chi non rispetti
quella legge espressamente che ti dice che quando ti rendi conto che la cosa
che stai facendo non corrisponde a ciò che hai progettato ti devi fermare,
prenderne atto, e comportarti di conseguenza, approntando proprio quelle
varianti necessarie in corso d’opera che ti permettano di agire come dovuto.
Chiudendo il cerchio faccio un
esempio [...].
Una società farmaceutica vince l’appalto di un ministero della sanità e deve
vaccinare 1000 bambini con un vaccino da lei prodotto. Non fa test
antivaccinazione, si informa a malapena sulle allergie dei bambini, non informa
i genitori dei rischi, e non acquisisce sottoscrizioni di un consenso
informato. Comincia in corso d’opera, monitora qualche bambino qua e là, gli
misura la febbre, e dopo 20 vaccinazioni ne muoiono 3. Alla prima famiglia un
dottore le dice che è colpa di una malattia tropicale, della siccità. A
un’altra le dice che forse il bambino non è morto, ma che tra cinque anni si
riprenderà [...],
fa mettere a verbale una dichiarazione [...] partecipa alle spese per il funerale [...]. Alla terza famiglia le dice che no, il fatto
era imprevisto, e che la medicina non è una scienza esatta, che è vero. Quindi
si continua con le vaccinazioni, si va avanti, dopo 1000 ne muoiono altri 47,
per cui su 1000 bambini ne muoiono 50. Grazie a questa vaccinazione la Comunità
scientifica internazionale fa vivaci e gremiti convegni [...], sa tutto su questa malattia e sugli effetti
collaterali del vaccino.
E io come Pubblico Ministero non
dovrei fare un processo a questa società farmaceutica? [...] No, io procedo per omicidio volontario e
chiederei la condanna di questi soggetti.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 22]
“SECONDO IL PROF. CELICO, MEGLIO TUTTA L’ACQUA IN
PUNTO CHE IN TRENTACINQUE PUNTI DIVERSI QUANTE SONO LE SORGENTI IMPATTATE [...].
ORBENE, IN ATTESA CHE IL MUGELLO DIVENTI LA NUOVA
SILICON VALLEY ITALIANA GRAZIE A QUESTA GRANDE DISPONIBILITÀ D’ACQUA DOVUTA A
CAVET, IO CI VEDO UNO SVANTAGGIO.
A ME VIENE IN MANIERA SUPERFICIALE DA PENSARE CHE SE
C’È UN PUNTO D’ACQUA TUTTO LÌ, IN UN
POSTO SOLO, E IO FACCIO 500 METRI, SE VOGLIO BERE DEVO TORNARE INDIETRO.
HO FATTO UN CHILOMETRO E SONO AL PUNTO DI PARTENZA. SE HO 35 PUNTI D’ACQUA AD UN CHILOMETRO L’UNO DALL’ALTRO, CIÒ MI PERMETTE DI SPOSTARMI PER 35
CHILOMETRI SENZA PORTARMI DIETRO NEMMENO UNA BORRACCIA: SARÀ MEGLIO CHE
AVERE TUTTA L’ACQUA IN UN PUNTO SOLO”.
8) ... COMUNQUE C’È L’ASSICURAZIONE DI BOLOGNA.
Alla peggio, come già anticipato,
ci penserà comunque “l’assicurazione di Bologna”, come l’ha denominata il dr.
Bechelli, responsabile TAV.
E l’assicurazione c’è
davvero.
Forse non è di Bologna,
forse è di Milano, l’Ausonia. Ma c’è.
C’è, ma funziona in modo un po’ anomalo.
Compare e scompare, e ha un
rapporto strano con la siccità. A volte arriva prima, a volte dopo la siccità.
Con D. I. arriva dopo la
siccità.
Teste D. I. - Allora, dopo la prima lettera per primo è venuto il professor Rodolfi
che è dell’OAL, Osservatorio Ambientale Locale, poi sono venuti due tecnici
dell’ARPAT, poi è venuto personale dell’Italferr però non ricordo il nome, un
geologo che si presentò della Fiat Engineering… se ricordo bene il nome è
Bollettinari o qualcosa di simile…questo geologo Bollettinari della situazione
diceva che probabilmente era una questione meteorologica perché in quell’anno
era nevicato poco, c’era poca pioggia, e quindi probabilmente imputava il
disseccamento della sorgente a un problema meteorologico.
E a domanda difesa:
Teste D. I. - Io di questo riferimento alla situazione meteorologica lo ricordo
perfettamente anche perché l’anno successivo ho riscritto nuovamente dicendo
‘L’anno scorso la situazione meteorologica poteva anche essere così, nel 2001
adesso è piovuto…’”.
Non risultano risposte, se
non il fatto che di lì a poco il sig. D. I. riceverà una telefonata
dall’assicurazione Ausonia di Milano.
Teste D. I. - … non sono sicuro. Comunque, diciamo, c’è stato tutto questo controllo da
parte del geologo Agnelli. Nel 2003 io sono stato contattato da un ufficio
tecnico di una compagnia di assicurazione, l’Ausonia, in Milano mi sembra, per
conto del CAVET, in cui mi si diceva che rispetto al danno che avevo subito la
cosa faceva parte dell’accordo dell’addendum che era stato fatto tra la Regione
Toscana e CAVET o chi per lui e che ci sarebbe stato un intervento di
realizzazione di un acquedotto tra il comune di Vaglia e il comune di San Piero
e che a quel punto ci sarebbe stato un intervento anche per la mia abitazione e
che comunque CAVET garantiva fino al momento dell’allacciamento all’acquedotto
la fornitura con le autobotti, che sarebbe continuato il servizio. Quindi io, a
quel punto, un’assicurazione mi contatta rispetto a quello, ritengo che da
parte del CAVET a quel punto ci sia stato il riconoscimento.
A volte l’assicurazione arriva però prima della
siccità come nel caso di F. M. che rifiuta l’offerta e l’assicurazione per
comporre bonariamente la questione e, dopo il rifiuto, gli arriva la lettera
della CAVET che gli dice della siccità.
Dal punto di vista dei
danneggiati non pare che l’assicurazione di CAVET sia una assicurazione su cui
fare molto affidamento.
Comunque
resta il principio più volte espresso. In
uno stato di diritto, in casi come questi, la tutela dei cittadini è anche ex-ante,
non solo ex-post. La tutela dei
cittadini non è delegabile alle assicurazioni di CAVET.
9) ... COMUNQUE GLI INTERVENTI CAVET SONO
MIGLIORATIVI DELLA SITUAZIONE PREESISTENTE.
È la parte smaccatamente “aziendale”
della CT di Celico ed è a pg. 541. Egli indica gli svantaggi e vantaggi del
nuovo equilibrio idrogeologico.
Nel nuovo
equilibrio idrogeologico si hanno i seguenti svantaggi:
-
l’abbassamento della quota di disponibilità della
risorsa idrica;
-
il prosciugamento, in magra, di alcuni tratti di
corsi d’acqua;
-
il prosciugamento di alcuni pozzi e sorgenti.
Niente da
dire, siamo d’accordo su tutta la linea. Vuol dire che i fatti non se li è
inventati il Pubblico Ministero. Vuol
dire che i fatti contestati dalla Procura sono oggettivi e riscontrati.
A ciò si aggiunge
l’ulteriore conferma data dal CT Bollettinari che, a tutto concedere alla
difesa, indica la differenza tra la tesi dell’accusa e quella della difesa dei
quantitativi d’acqua dispersi – solo a livello di sorgenti – in misura del 20%.
In verità la differenza è del 7% per i CC.TT dell’accusa, ma poco rileva.
Comunque questi sono gli
ordini di grandezza della diversa valutazione degli impatti tra difesa ed
accusa. Una differenza che non mai va oltre il 20%.
È sui vantaggi che proprio
non vi è la possibilità di addivenire a conclusioni condivise.
Vantaggi sarebbero quelli derivanti:
-
dalla
trasformazione di acque superficiali in sotterranee;
-
dal notevole
incremento delle disponibilità idriche;
-
dalla
concentrazione delle disponibilità idriche;
-
dalla
possibilità di utilizzare l’acquifero come “serbatoio stagionale”;
-
dalla
necessità di sostituire:
·
alcuni
piccoli acquedotti privati;
·
alcuni
piccoli acquedotti pubblici.
Io non li capisco. Non ci vedo nessun
vantaggio in tutte queste cose qua.
Sui fiumi che diventano carsici e
spariscono i pesci non ce lo vedo, sono limitato. Non si riesce veramente a
vedere nessun vantaggio nel trasformare un’acqua superficiale (fiume,
torrente?) in acqua sotterranea. Basti
ricordare la scomparsa della fauna ittica, il perdere la possibilità di godere
della vista e dell’utilizzo (economico e non) del fiume, per ritenere difficile condividere questo assunto
del dr. Celico.
Pare azzardata anche la tesi del notevole incremento
delle disponibilità idriche. Ora, se è certamente vero come dice la difesa
CAVET, che CAVET non ha distrutto l’acqua, pare però anche che, secondo il
famoso principio che nulla si distrugge, debba valere anche l’opposto, ovvero
che nulla si crea o, perlomeno, che se qualcuno crea questo non sia CAVET.
Anche la
tesi dell’ipotesi migliorativa come conseguenza della concentrazione dell’acqua
sembra del tutto opinabile.
Secondo il prof. Celico, meglio tutta l’acqua in
punto che in trentacinque punti diversi quante sono le sorgenti impattate. [...] Celico a
pag. 234 riporta l’iperbole per cui la
disponibilità idrica attuale, ancorché a quota più bassa, è costituita da
“quantitativi idrici che possono far decollare l’economia locale”. Affermazione,
quest’ultima, scritta addirittura in neretto, quindi seria, profondamente
sentita e creduta.
Orbene, in attesa che il Mugello diventi la nuova
Silicon Valley italiana grazie a questa grande disponibilità d’acqua dovuta a
CAVET, io ci vedo uno svantaggio.
A me viene in maniera superficiale da pensare che se
c’è un punto d’acqua tutto lì, in un
posto solo, e io faccio 500 metri, se voglio bere devo tornare indietro.
Ho fatto un chilometro e sono al punto di partenza. Se ho 35 punti d’acqua ad un chilometro l’uno dall’altro, ciò mi permette di spostarmi per 35
chilometri senza portarmi dietro nemmeno una borraccia: sarà meglio che
avere tutta l’acqua in un punto solo. Non lo so se va bene per gli animali, [...] per chi ha le attività economiche, per gli
agriturismi, non lo so: Celico ci dice che decollerà il Mugello. Non sappiamo quale dei due territori oggetto
degli esempi si possa ritenere migliore, più ricco, e quale dei due abbia più
possibilità di decollare economicamente.
E visto che si parla di economia, parliamo di soldi,
che è l’unica cosa che tutti sembrano capire di questi tempi. Il dr. Celico tra gli svantaggi indica il prosciugamento di alcuni pozzi
e sorgenti.
Tra i vantaggi la necessità di sostituire:
·
alcuni piccoli acquedotti privati;
·
alcuni piccoli acquedotti pubblici.
A parte il fatto che, nel
corso del dibattimento, pare di aver raccolto testimonianze di gente arrabbiata
perché gli hanno seccato il pozzo, la sorgente, l’acquedotto, controlliamo
se risulti che qualcuno fosse andato dal prof. Celico a rappresentare la
necessità di sostituirgli piccoli acquedotti pubblici o privati e per vedere se
davvero c’era gente contenta, che meno male che ora era arrivata l’Alta
Velocità, così ora tutti avevano avuto l’acquedotto nuovo.
Ma questa cosa non risulta. Risultano, come detto, le
testimonianze di gente arrabbiata e che tra le varie recriminazioni avanzava
una precisa rivendicazione: chi ci pagherà la bolletta dell’acqua?
Il problema dei costi ce lo
ricordano L. N., A. B. e C. D., B. F. ed anche M. S., al quale quelli
dell’acquedotto gli hanno fatto pagare l’aria invece che l’acqua.
Della non necessità di tale
asserita “miglioria” basta leggersi A. Z. e B. V. che, paradossalmente,
l’avevano già l’acquedotto e si erano addirittura voluti staccare ripristinando
un pozzo autorizzato dal Genio, pozzo che gli è stato seccato e ora vanno ad
autobotti.
Ma leggiamoci alcuni passi.
A L. N. seccano due pozzi a
Cerreto Maggio. Due pozzi inutilmente monitorati visti i risultati finali.
Pubblico Ministero - Perché oggi lei è attaccato all'acquedotto?
Teste L. N. - Sì, oggi sì.
Pubblico Ministero - Acquedotto di chi?
Teste L. N. - Del Comune.
Pubblico Ministero: Del Comune. Paga una bolletta?
Teste L. N. - No.
Pubblico Ministero - Chi paga?
Teste L. N. - Per ora nessuno. Però mi è stato detto che a giugno verranno a mettere
i contatori bisognerà pagare la bolletta
dell'acqua. Non mi sembra giusto.
Pubblico Ministero - Pagate la bolletta?
Teste A. B. - Certo, e cara! Prima non si pagava niente e ora…
C. D. ha poi un ristorante che si permetteva di
mettere in tavola le caraffe con l’acqua di sorgente.
Teste C. D. - Ma, io in tutta onestà non c’ho capito molto,
abbiamo protestato, però… anzi, alcuni che lavorano al CAVET proprio alcuni giorni
fa mi hanno detto ‘Ma come mai pagate le bollette dell’acqua quando le deve
pagare il CAVET?’, le paghiamo
addirittura, a me arriva regolarmente una bolletta dell’acqua… anzi le dirò che
pago 400 euro di acqua ogni tre mesi (avendo l’attività chiaramente ne
consumo), contro 100.000 lire che pagavo all’epoca all’anno.
Arriviamo poi al sig. M.
S.. Improvvida domanda della difesa.
Avvocato Difesa - ... Senta, lei è
agganciato all'acquedotto ora?
Teste M. S. - Sono agganciato all'acquedotto,
addirittura se la va a vedere ora lì, alla società dell'acqua, gli ho mandato
una lettera, che io sono sempre senz'acqua. E il contatore gira anche con
l'aria. Ora l'è bene, se lei non lo sa glielo dico io.
Avvocato Difesa - Sì...
Teste M. S.
- Mi è arrivato uno sproposito d'acqua da pagare che io non ho consumato. E
allora gli ho fatto...
Avvocato Difesa - Che il contatore gira con l'aria?
Teste M. S. -
Gira anche con l'aria.
Avvocato Difesa - Ho capito.
Teste M. S. -
E io non lo sapevo e loro non lo dicono ai cittadini. Siccome m'è arrivato uno
sproposito... io pagavo una bischerata d'acqua che consumavo normalmente, una
sciocchezza, mi è arrivato un monte di quattrini da pagare, mi sono... ho fatto
ricorso. Ho fatto ricorso e loro m'hanno ringraziato. Dice: 'guardi, s'è
sbagliato, dipende da noi... non deve pagare nulla’. E tutto è finito lì.
Avvocato Difesa - Va bene, via.
Giudice - Speriamo che non trasferiscano quel tecnico.
Teste M. S. - Ecco.
Avvocato Difesa - Nessun'altra domanda. Grazie.
Questo il sig. M. S., che
ha pagato l’aria invece che l’acqua, grazie all’acquedotto nuovo.
È sempre la
difesa ad introdurre la storia dell’acquedotto ed a scatenare le ire dei testi.
[...] Al sig. V. V.. gli seccano una
sorgente ultracentenaria e lo costringono ad attaccarsi all’acquedotto di
Imola. E non è per niente contento. [...] La L. T. è quella invece che ha il
marito che da quando beve l‘acqua dell’acquedotto gli brucia lo stomaco. Altri, che pure avevano l’acqua ed ora non ce
l’hanno più, magari vorrebbero essere anche attaccati all’acquedotto, ma
l’acquedotto non glielo fanno. Casi come quello del sig. V. A., che vive in
una casa isolata ed il costo dell’allaccio è troppo alto per una utenza sola,
per cui resta senza. [...]
Quindi CAVET
provvede e mitiga. A spese del danneggiato però.
E perché dovrebbero essere contenti?
Qual è il vantaggio per loro? Quello di pagare una
bolletta che non avevano mai pagato per bere acqua di condotta invece che acqua
di sorgente?
Strisciante è passata però
un’altra versione di questo fatto.
Ora ci sono gli acquedotti, prima invece i mugellesi
prendevano l’acqua senza pagarla. Non si è capito bene se si volesse dire che
la rubavano.
Ma chi l’ha detto che la rubavano?
La rubava chi ce l’aveva
dall’800? Chi con la legge Galli avrebbe maturato un vero e proprio diritto
quesito? Chi aveva fatto tutto in regola con la sua brava concessioncina del
Genio Civile?
La rubava il sig. D. I., al
quale portano via l’acqua nel 2000, va a serbatoio ed autobotti e nel 2005
ancora aspetta di essere attaccato all’acquedotto?
Siamo
ostinati. Non ci vediamo alcun vantaggio in tutto questo. Non è che è sia
proprio CAVET che ha “rubato”, questa volta “rubato” tra virgolette, l’acqua ai
mugellesi?
Poi CAVET è accusata anche per aver rubato l’acqua, e
questa volta rubato senza virgolette, ma di quest’altro capo di imputazione
come detto, parleremo poi.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT. ALESSANDRO
NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 23]
“SE SI È TITOLARI DI UNA POSIZIONE SOGGETTIVA FAVOREVOLE,
FINO A QUANDO NON ARRIVA UN PROVVEDIMENTO ABLATORIO QUEL SOGGETTO PUÒ STARE A
CASA TRANQUILLO, NELLA CERTEZZA CONFERITAGLI DAL PRINCIPIO DI LEGALITÀ CHE
NULLA DI PREGIUDIZIEVOLE GLI PUÒ CAPITARE. [...] I CITTADINI VANNO
INFORMATI NEI SENSI DI LEGGE SE HANNO POSIZIONI SOGGETTIVE INCOMPATIBILI CON
L’OPERA. SE NON FOSSE COSÌ, DOVREMMO DIRE CHE I CITTADINI CHE SAPEVANO
AVREBBERO DOVUTO OPPORSI TIRANDO SU LE BARRICATE E PROVOCARE TUMULTI DI PIAZZA?
[...] MA QUESTA SAREBBE LA LEGGE DELLA GIUNGLA, LA LEGGE
DEL PIÙ FORTE, CHE IN EFFETTI PARE SIA STATA QUELLA APPLICATA NEL CASO CONCRETO
DA CAVET, IL CHE, PERÒ, È E RESTA INACCETTABILE”.
10) TUTTI
SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.
Tutti
sapevano TUTTO.
E’ uno dei
leitmotiv della CT del prof Celico.
E senza
dubbio questo è vero.
O più
precisamente, è vero in parte, ma in parte è falso.
E se anche
fosse vero, vuol dire qualcosa? Vediamo.
Nessuno ha
mai detto o pensato che CAVET abbia eseguito la tratta Firenze-Bologna in modo
clandestino, anche se poi vedremo che in effetti, alcune condotte clandestine,
le ha pure tenute, tipo quando manda degli operai di notte, con una Panda con i
fari bassi, a battere un pozzo nel terreno della chiesa di Paterno per svuotare
la galleria, di nascosto a B. D..
Vediamo la parte non vera.
CITTADINANZA
La parte sicuramente non vera è quella relativa alle informazione alla
cittadinanza.
Ad esempio, citando il teste Rubellini, la difesa, per il tramite di Celico,
afferma che i cittadini sono stati avvisati mediante assemblee pubbliche e,
quindi, che i cittadini sapevano.
Ma che discorso è?
Se valesse questo principio, fossi la difesa, avrebbe potuto osare di più
e dire: ma la gente non legge i giornali? come fanno a dire di non sapere che
si sarebbe costruita la tratta Firenze-Bologna?
Ma che
c’entra questo?
Uno stato di
diritto funziona diversamente.
Se si è titolari di una posizione soggettiva
favorevole, fino a quando non arriva un provvedimento ablatorio quel soggetto
può stare a casa tranquillo, nella certezza conferitagli dal principio di
legalità che nulla di pregiudizievole gli può capitare.
Il fatto che uno possa leggere che si realizzerà la
terza corsia dell’A1 non vuol dire che ciò autorizzi la Società Autostrade a
fargli trovare una mattina le ruspe nel suo giardino senza che sia stata
attivata la regolare procedura d’esproprio, e che questi si debba tenere tale
sopruso. Se succede, li può denunciare tutti, anche se tutte le mattine avesse
comprato 10 quotidiani e si fosse fatto una rassegna stampa e avesse saputo
tutto quello che c’era da sapere sull’A1. I cittadini vanno informati nei sensi di legge se hanno
posizioni soggettive incompatibili con l’opera.
Se non fosse così, dovremmo dire che i cittadini che sapevano avrebbero
dovuto opporsi tirando su le barricate e provocare tumulti di piazza?
Non capisco
dove porti questo ragionamento. Siccome
io te lo dico in un convegno pubblico, stai zitto! Ma forse siamo al Bechelli, che nessuno oggi si sacrifica, non lo
so... Ma questa sarebbe la legge della giungla, la legge del più forte, che
in effetti pare sia stata quella applicata nel caso concreto da CAVET, il che,
però, è e resta inaccettabile.
Quindi i
cittadini NON SAPEVANO cosa sarebbe successo loro, non hanno mai saputo quello
che avrebbero dovuto sapere, e soprattutto non lo hanno mai saputo nei modi di
legge, che è l’unico modo cha assume rilevanza in sede penale.
I cittadini danneggiati sono stati dunque messi di
fronte al fatto compiuto.
Conferma di ciò si ha nel centinaio di testi escussi che si sono trovati
senz’acqua e non c’è un foglio, un documento, un atto pubblico ed ufficiale
pervenuto ad un privato che provi il contrario, ovvero che fossero
preventivamente ed ufficialmente informati della revoca delle concessioni
all’utilizzo dell’acqua di cui erano titolari o, quantomeno, che avrebbero
subito la perdita dell’acqua.
Ma a sconfessare la tesi della difesa c’è anche il fatto che chi,
stando attento alle cose, leggendo i giornali, ha provato ad informarsi da solo
e si è attivato, non è che abbia avuto miglior fortuna. Basti pensare al
sig. D. F. del consorzio dell’acquedotto Cogemo.
Pubblico Ministero - Alcuni chiarimenti. La prima
cosa che ha detto, se ho capito bene, è che voi già dal ’92 avevate fatto
osservazione del progetto?
Teste D. F. - Sì, ’94… insomma, ora la
data in questo momento… mi sembra ’94, sì, insomma nel periodo del cosiddetto
(incompr.) ambientale, quando era possibile farlo.
Pubblico Ministero - Perfetto, se ci spiega
proprio la procedura ci fa piacere. Quindi voi siete stati messi a conoscenza
ufficialmente dell’esistenza di un progetto?
Teste D. F. - No, siamo venuti a conoscenza dell’esistenza del progetto dalle forme di
pubblicità correnti, cioè l’abbiamo seguito dai giornali e saputo anche da
alcuni comitati che si erano formati spontaneamente nella zona di Cercina;
questo perché, appunto, la vicinanza con Cercina ci ha permesso di conoscere…
Il sig. D. F. ha letto i giornali, si è informato nei comitati spontanei
di Cercina, ha chiesto e ottenuto un sopralluogo dal Piscitelli [...] e com’è finita?
È finita male lo stesso.
Quando è
andata via l’acqua alle 135 famiglie servite dal consorzio, Vellani gli ha
detto che la colpa era della siccità e che comunque il cantiere stava per
chiudere per l’estate e che non potevano intervenire.
Ed infatti
non sono intervenuti, né allora, né mai, e il sig. D. F., dopo sette anni, è
qui parte civile ad incrociare le dita sull’esito del processo.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 24]
“LE
ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE IN EFFETTI SAPEVANO, MA NON PERCHÉ QUALCUNO AVESSE
SPIEGATO LORO QUALCOSA, MA SOLO PERCHÉ SI ERANO STUDIATE LE CARTE”.
10) TUTTI
SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE
Ancora peggio se si va a vedere la situazione
per le associazioni ambientaliste.
Le associazioni ambientaliste in effetti sapevano, ma
non perché qualcuno avesse spiegato loro qualcosa, ma solo perché si erano
studiate le carte. Il bello è
però che le associazioni ambientaliste, per il loro sapere, e per come già
detto, sono finite con il fare la figura delle Cassandre. Non solo non
sono state ascoltate dalle amministrazioni competenti, ma è stato anche negato
che sarebbe accaduto quanto da loro previsto, ogni volta minimizzando e
sminuendo i possibili impatti dell’opera. In altre parole, e con le parole di
Annigoni di Italia Nostra, le associazioni ambientaliste nel loro
operare a tutela dell’ambiente si sono scontrate con un muro di gomma in ogni
sede nazionale, tanto da doversi ridurre a tentare la carta dei ricorso alla
Corte di Giustizia Europea.
Teste Annigoni Benedetto - Ma noi, i nostri
interlocutori erano le istituzioni. Noi non abbiamo mai avuto rapporti con la
CAVET, o con i diretti esecutori dell'opera. E devo dire che, per quanto mi
risulta, questi rapporti anche con le istituzioni non sono stati
particolarmente facili. Cioè, quello che io posso testimoniare per averlo
vissuto, è una certa reticenza, il famoso muro di gomma, insomma, ecco.
Teste Annigoni Benedetto - Noi abbiamo fatto ricorsi
alla Magistratura, almeno due ricorsi, due esposti. E come Italia Nostra e Idra
abbiamo fatto anche un ricorso alla Corte Europea.
Pubblico Ministero - Alla Corte Europea. Ecco,
si ricorda quale fosse il nocciolo delle vostre argomentazioni?
Teste Annigoni Benedetto - Ma
sì, mi ricordo che il nocciolo delle nostre argomentazioni, per il primo
esposto era la mancanza di qualunque garanzia per quanto riguardava la
sistemazione dei rifiuti, diciamo di scavo e la loro tossicità, o meno. Nel
secondo esposto noi abbiamo fatto praticamente un collage di atti pubblici, dal
quale risultava una serie di responsabilità oggettive da parte delle
istituzioni, nell'aver avallato e voluto questo intervenire pesante sul
territorio, secondo quelle modalità con cui poi è stato realizzato. Alla Corte
Europea siamo ricorsi, non trovando nessun modo di far valere le nostre ragioni
in sede nazionale.
E ciò nonostante che le associazioni ambientaliste avessero previsto e
tecnicamente motivato molti degli eventi poi di fatto verificatisi.
Teste Annigoni Benedetto - Ma, per esempio, voglio
dire, proprio sulla base delle indicazioni fornite dai membri di Italia Nostra competenti in materia, noi
sostenevamo, abbiamo sempre sostenuto che scavando a quella quota con quei
criteri di scavo e quel tipo di terreno, cioè con quelle determinate
caratteristiche geologiche, si sarebbe verificato quello che poi si è
verificato. Cioè, mi risulta anche il monitoraggio è avvenuto sulla... una
distanza di 300 metri alla linea di scavo. E noi avevamo previsto che questi
danni si sarebbero verificati su una ben più ampia distanza, coinvolgendo il
territorio ben più ampio, dato il carattere geologico di quella zona, così come
ci era stato illustrato dai nostri membri competenti in materia, come appunto
Malesani, o lo stesso presidente.
Pubblico Ministero - Quindi, se... per
sintesi - mi corregga però se sbaglio, perché... si può rilevare, allora, sin
dall'origine una discrepanza tra gli effetti dell'opera che voi avevate
previsto e segnalato e tra quelli che vi venivano prospettati?
Teste Annigoni Benedetto - Certo. Non a noi. Veniva prospettato un impatto
ambientale assolutamente inferiore e marginale. Addirittura il discorso delle
acque già alla conferenza dei servizi che dette il via poi all'accordo dei vari
Comuni del Mugello che fino ad allora s'erano opposti, il problema delle
esposti, il problema delle acque era marginale, era considerata una cosa
marginale. Mentre per noi rappresentava il pericolo maggiore.
Quindi le associazioni ambientaliste sapevano tutto.
E allora? Non è forse una prova a carico, non aggrava forse la
posizione degli imputati non aver voluto tenere conto di quello che queste
sostenevano?
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 25]
“È DA DIRE
COME GENERALMENTE I COMUNI ABBIANO IN PARTE SUBÌTO L’OPERA, IN PARTE L’ABBIANO
APPROVATA PER SENSO DI RESPONSABILITÀ [...]. UN PO’ SONO STATI MESSI NEL MEZZO”.
10) TUTTI
SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.
LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
Quindi tutti sapevano tutto cosa? Per i cittadini non
vale. Per le associazioni ambientaliste, men che meno. Abbiamo già detto: ruolo
di cassandre, preveggenti. Dicono ciò che accadrà ma nessuno le crede. Fanno i
loro ricorsi anche fino alla Corte di Giustizia Europea, li perdono. Tutti
quindi sapevano. E anche se lo sapevano? Non vale neanche per le associazioni ambientaliste.
Arriviamo quindi alle amministrazioni pubbliche. Qui
è diverso, anche perché hanno un ruolo di controllo. Però bisogna fare dei
distinguo, perché non tutte le pubbliche
amministrazioni partecipano all’iter formativo in condizione paritetica.
Si parte
dalla conferenza di servizi. [...] Ognuno ha la sua competenza, Ministro
dell’Ambiente per il VIA, il Ministero dei Beni Culturali per le zone
assoggettate a tutela, il Ministro della Difesa non lo so, però c’è anche il
Ministro della Difesa, la Giunta Regionale a fini urbanistici, la Provincia di
Firenze per il vincolo idrogeologico, la Comunità Montana per il taglio dei
boschi. I Comuni per i pareri sul progetto a fini urbanistici. Quindi non è che
si arrivi proprio tutti con le stesse carte in mano. E infatti l’intervento di
ispezione delle varie pubbliche amministrazioni è diverso.
Allora andiamo a vedere cosa può voler dire qui
“tutti sapevano tutto”.
COMUNITÀ MONTANA
Prendiamo la Comunità Montana: il presidente della Comunità Montana è in conferenza di servizi per il
taglio dei boschi. Insomma due di denari quando briscola è bastoni. In pratica poteri di scarsissima rilevanza.
Basta leggere la
testimonianza del Presidente delle Comunità del Mugello che a domanda della difesa
ribadisce la ragione della sua presenza in Conferenza dei servizi.
Teste Notaro Giuseppe - Per quanto di competenza, le ripeto, cioè io per gli
espianti degli oliveti. .... Cioè, io non potevo farmi carico se a Casa d’Erci sarebbe
successo o meno, questo dovevano essere altri a valutarlo, io siccome, appunto,
rappresentavo un’istituzione per le mie competenze ho espresso il mio parere
per la mia competenza.
Più chiaro di così. Lui
aveva potere solo sugli oliveti. Ma non si fida. E infatti la Comunità Montana
istituisce l’OAL che di fatto si è dimostrato uno dei pochi punti di
riferimento validi per i cittadini e che si è fatto carico in modo
volontaristico di oneri che certo non sarebbero dovuti gravare necessariamente
proprio sulla Comunità Montana.
Pubblico
Ministero - Ecco,
mi scusi, che bisogno c’era dell’OAL se esisteva già un Osservatorio Ambientale
nazionale?
Teste
Notaro Giuseppe - L’Osservatorio Ambientale Locale
nasce proprio dalla esigenza che anche in sede di Conferenza dei Servizi noi
avevamo avvertito di svolgere quell’azione di tutela, e quindi anche una
visione autonoma propria degli enti locali, rispetto alle problematiche
chiaramente molto difficili e molto complesse che avremmo dovuto affrontare,
stante anche la difficoltà degli enti locali ad avere dei supporti tecnici
adeguati all’interno delle stesse amministrazioni; per cui c’è stato un lavoro molto
stretto naturalmente tra i funzionari delle amministrazioni locali ma che ha
trovato un punto anche di riferimento più ampio e tecnicamente molto più
qualificato nell’Osservatorio Ambientale Locale che era composto da tutti
esperti qualificati, era un organo tecnico a servizio appunto degli enti
locali.
Pubblico Ministero - Senta, per la sua presenza
proprio in Conferenza dei servizi e per la sua esperienza successiva, c’è una
corrispondenza tra i disagi attesi e quelli concretamente subiti sul territorio
dalle vostre amministrazioni?
Teste Notaro Giuseppe - No, credo di no, nel senso che era chiaro che
avremmo avuto tantissime difficoltà, io credo che quando noi abbiamo firmato in
sede di Conferenza dei servizi abbiamo fatto un atto di responsabilità partendo
però anche da un atto di fiducia in chi avendo competenze molto più di noi…
sinceramente il Comune ce le aveva per delle autorizzazioni di tipo
amministrativo, urbanistico eccetera, la Comunità Montana se n’è parlato prima,
però, fortemente perplessi e anche in difficoltà rispetto a quelle che potevano
essere problemi legati appunto alla tutela del territorio, noi abbiamo pensato
che fosse necessario in qualche modo non opporsi a un’opera che aveva una
dimensione e caratteristiche così importanti di carattere nazionale ed europeo
però nello stesso tempo svolgere un’azione di presidio, di tutela del territorio;
in questo senso il discorso dell’OAL.
C’è una differenza tra quello che noi percepivamo allora e quello che è
successo dopo perché, dicevo prima, io non ho avuto modo di leggere
naturalmente tutti gli atti in tre giorni, quindi in questo senso non ho avuto
modo di avere la piena consapevolezza delle tante pagine… mi ricordo che in
sede di Conferenza dei servizi all’Hotel Jolly se non sbaglio, c’erano almeno
tre quattro stanze piene di incartamenti, di progetti, di cartografie, quindi non credo che nessuno di noi abbia avuto
possibilità di leggere, di guardare, di studiarsi queste cose, però è chiaro
che l’elemento che in qualche modo era rassicuramene per certi aspetti che
quegli interventi e quei problemi di carattere idrogeologico a erano comunque
tutti interventi in qualche modo
reversibili, mitigabili in condizione in qualche modo di trovare una risposta;
faccio una battuta perché, voglio dire, è stato anche uno dei progettisti, ora
è ministro, il ministro Lunardi mi pare più volte anche su quest’opera
ha sempre detto che tecnicamente tutto
è risolvibile, ecco, mi pare che la realtà è stata tutt’altra, che
non era possibile tecnicamente risolvere i problemi che purtroppo poi si sono
manifestati, per cui i danni che secondo me oggi ci sono e sono anche danni
irreversibili.
Questo è quello che sapeva un organo quale la Comunità Montana.
Sapeva che c’era la volontà politica a livello governativo e regionale
di realizzare un‘opera pubblica di rilevanza nazionale che, o con il parere
favorevole o con il parere contrario della Comunità Montana sul taglio degli
alberi, si sarebbe fatta comunque.
E sapeva quello che veniva detto da chi avrebbe dovuto avere le
competenze in materia, tipo l’ing. Lunardi, che gli interventi sul territorio
erano comunque tutti interventi in qualche modo reversibili, mitigabili, che
hanno sempre detto che tecnicamente tutto era risolvibile.
Parole testuali di Notaro
stranamente non citate dal prof. Celico nel suo commento a questa testimonianza
a pg. 434 della sua CT.
E si capisce allora perché
la Comunità Montana si costituisca parte civile.
Avvocato Difesa - Nella prospettiva non mi è
chiarissima la sua valutazione di questo punto: lei ha detto ‘le cose poi sono
andate diversamente’, ma da punto di vista delle sue competenze, del governo
del territorio e nell’ambito del territorio per quelle che sono le prerogative
dell’ente da lei rappresentato, che cosa è accaduto di diverso, cioè che lei
non poteva mettere in conto nel momento in cui ha dato, sia pure
soggettivamente con quella carenza di conoscenza ma con l’elaborazione
dell’ente alle spalle e con quei riferimenti di studio e di approfondimento da
parte degli enti che hanno quelle competenze superiori che abbiamo appena
individuato, ecco, che cosa c’è stato di diverso per quanto riguarda il
territorio e le sue prerogative in quel territorio? perché so che c’è stato un
cittadino che non ha più avuto l’acqua nel suo pozzo, so che vi è stata una
sorgente che si è seccata, questo mi è noto.
Teste Notaro Giuseppe - Per quanto riguarda le competenze più strettamente
amministrative molte delle osservazioni in qualche modo ho cercato di chiarirle
con le domande di parte civile, nel senso che siccome molti di questi
interventi poi attenevano al demanio forestale anch’io ho avuto modo di constatare
una serie di carenze, di interventi, di sopravvenienze, eccetera, eccetera.
Avvocato Difesa - Ci vuole dire quali?
Teste Notaro Giuseppe - Casa
d’Erci e demanio, Frassineta e demanio, Osteto e demanio, Moscheta e demanio.
Avvocato Difesa - Sì, e dunque?
Teste Notaro Giuseppe - Son tutte
interferenze idrogeologiche che le ho citato, sono tutti casi specifici.
Avvocato Difesa - Che incidono, sotto il
profilo del danno, lei dice, nelle prerogative della Comunità Montana, questo quindi
è il suo pensiero.
Teste Notaro Giuseppe - È territorio della Comunità Montana, cioè gestito
dalla Comunità Montana, territorio regionale gestito dalla Comunità Montana.
Risposta e posizioni che
più lineari non si può.
Ed in sintesi si può dire che
la Comunità Montana sia per l’OAL sia per il progetto TRIMM è stata una
delle poche istituzioni efficaci di controllo del territorio.
Giusto per la cronaca, la nuova Legge obiettivo per
le opere pubbliche esclude che alle nuove Conferenze dei servizi partecipino
soggetti come la Comunità Montana.
COMUNI
Comuni: simile anche se con dei distinguo. Cioè, a
macchia di leopardo, la posizione dei Comuni.
Nei Comuni ci si trova un po’ di tutto.
Si va da Dugheri,
sindaco di San Piero, che va in
Conferenza dei servizi, io non lo so, con l’attenzione che si va a comprare un
litro di latte, forse a un litro di latte stai un po’ più attento perché guardi
la scadenza.
Dugheri non si ricorda più o meno nulla, non si
ricorda neanche un nome dei presenti alla Conferenza dei servizi.
Ora non so
quante volte possa capitare al sindaco di S. Piero di partecipare a conferenze di
servizi con una schiera di ministri che approvano un’opera epocale che passa
proprio da S. Piero. Fatto sta, non si ricorda nulla di serio. Nemmeno il nome
di un partecipante fosse solo perché simpatico o antipatico. Non si ricorda
nulla e nulla sa nemmeno di quello che succede dopo.
Ed infatti lascia la patata
bollente alla Ballini, il Sindaco che lo seguirà.
Poi passiamo a Rubellini.
Da funzionario regionale che si è occupato del
problema Alta Velocità per la prima volta nel 1995, perché lavorava presso il
Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Toscana, incaricato del parere
da portare in Conferenza dei servizi, poi se n’è occupato per due mandati
successivi nelle giunte comunali del Comune di Sesto Fiorentino come assessore,
prima all’Ambiente e Lavori Pubblici e poi, nel secondo mandato,
all’Urbanistica e Ambiente.
E non è proprio lo stesso
Rubellini.
Il primo, funzionario regionale, concorre a redigere
un parere puntuale, dettagliato, con rilievi motivati e richieste specifiche di
adeguamento del progetti.
Il secondo, politico-assessore, entra nell’andazzo
generale e diventa vago e generico.
Richiesto di dire quali
provvedimenti avesse adottato il Comune nei confronti dei cittadini per gli
impatti idrogeologici nel territorio di Sesto si limita a dire di aver indetto
un’assemblea per dire “occhio, forse Fontemezzina può essere impattata”. Tutto
qui. Richiesto puntualmente di dire quali provvedimenti di rilievo giuridico
avesse adottato il Comune, tipo ordinanze, dopo alcune titubanze, risponde:
Teste Rubellini Pietro - ... Non so, ora mi ricordo furono fatte delle
ordinanze di traffico per la gestione del traffico, delle ordinanze…
Un po’ poco. Un po’ poco,
ma non caso isolato e comportamento spiegabile secondo le scienze
giuridico-economiche e proprio secondo quella “teoria della cattura” di cui
abbiamo anticipato l’enunciazione ma che tratteremo quando parleremo della
Regione e del Ministero.
Qui parlando delle
Amministrazioni comunali è interessante però vedere come alcuni
soggetti, nel loro piccolo, mutino completamente atteggiamento dal momento in
cui da terzi esterni diventano, seppur con ruoli marginali, “cogestori” della
realizzazione dell’opera.
Rassegniamo al ricordo di
questo processo tale Marta Billo.
Marta Billo è un
consigliere di opposizione nel Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino e
presenta un esposto in Procura contro l’Alta velocità, e presenta una
interrogazione in Consiglio comunale proprio all’Assessore Rubellini per
l’impatto di Fonte Mezzina. È per questo infatti che viene citata come
testimone in questo dibattimento. E cosa si scopre nel corso dell’audizione
della Billo? Si scopre che la stessa Billo è poi diventata a sua volta
Assessore nel Comune di Sesto. Assessore all’Ambiente e Lavoro. E come
Assessore fa qualcosa? Sarebbe lecito aspettarsi di sì, visto come si era
agitata. E invece, no. Come diventa assessore non fa nulla. Non si interessa
nemmeno più.
Pubblico
Ministero - Quindi lei di Fonte
Mezzina non si è interessata.
Teste Billo
Marta - No, ci è stato detto che...
Credo di aver fatto delle interrogazioni all'allora assessore Rubellini, che ha
risposto, sì, che Fonte Mezzina è stata intercettata. E quindi
l'acqua non c'è più.
Pubblico
Ministero - Bene. Quindi è esatto dire che quando era
all'opposizione faceva esposti e interrogazioni, ora che è assessore non sa
niente, non se ne interessa più.
Teste Billo Marta - È
un po' cattivo, secondo me.
Pubblico Ministero - No, è
una domanda.
Teste Billo
Marta - No, è che i lavori sono
praticamente finiti. Cioè, quello che era da fare è fatto. Cioè che a questo
punto che cosa... boh, non saprei cosa
fare. A questo punto, per ritrovare...
Pubblico Ministero - Bene, grazie. Nessun'altra domanda.
In generale però è da dire come generalmente i Comuni
abbiano in parte subìto l’opera, perché è chiaro che come
fai tu a contrastare un’opera nazionale? Lo puoi fare fino ad un certo punto.
(...) Annigoni addirittura parla di commissariamento, dice: “C’era una posizione bloccata del comune
di Firenze, essendo sotto elezioni c’era una posizione decisamente a favore da
parte del presidente della Regione Vannino Chiti e del ministro Berlinguer.
Ricorderò che Vannino Chiti addirittura minacciò di commissariare i comuni del
Mugello che non avessero sottoscritto la conferenza dei servizi”.
Un po’ sono stati messi nel mezzo
perché a loro è stata prospettata una realtà diversa da quella che si è poi
realizzata, e alla fine - alla resa dei conti - hanno capito che tanto o con
loro o senza di loro si faceva, e quindi hanno contrattato le opere
compensative, valutando come “il meno peggio” il richiedere ed
ottenere opere compensative a servizio del territorio del loro Comune.
In ogni caso tutti dicono che hanno
fatto riferimento alla Regione e vediamo: sono stati un po’ “truffati”. La
parola “un po’ truffati” sembra grezza: se la diciamo in termini tecnici si
chiama “asimmetria informativa”. È un altro dei concetti studiatissimi,
non c’è nulla di nuovo.
Il concetto viene usato e
studiato in economia, per spiegare i differenti comportamenti dei soggetti nello stesso
processo economico.
Tecnicamente l'asimmetria informativa
è la condizione in cui un'informazione rilevante non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte
del processo economico, dunque una parte degli agenti interessati ha maggiori informazioni
rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa
configurazione.
Ciò ovviamente presuppone interesse diversi tra le
parti perché, se tutte le parti della contrattazione economica avessero
obiettivi e interessi comuni, ogni parte fornirebbe alle altre ogni
informazione significativa, elidendo pertanto il concetto stesso di asimmetria
informativa in quanto tutti verrebbero a disporre, allo stesso momento, delle
stesse informazioni, ovvero ci sarebbe un patrimonio comune di conoscenze.
La presenza di asimmetrie informative si spiega dunque solo quando le parti hanno interessi diversi e non solo non
collimanti, ma addirittura divergenti e contrapposti.
Per esemplificare, solo il
concetto della asimmetrie informative spiega il perché in mercati
concorrenziali possano sopravvivere più soggetti economici con offerte diverse.
Se tutti i consumatori disponessero di tutte le informazioni per valutare
l’offerta migliore tra quelle proposte dai vari operatori economici di un
settore, si avrebbe l’automatica espulsione dal mercato di chi propone le
offerte inferiori, salvo per questi ultimi, adeguarsi alla migliore.
In altre parole se ciascuno
di noi disponesse di tutte le informazioni utili per assicurare la propria
autovettura, non ci sarebbero così tante compagnie assicurative con così tante
offerte diverse.
Le asimmetrie informative
spiegano ad esempio anche perché risparmiatori preferiscono ricorrere ai
servizi di investimento offerti dalle banche benché siano costosi. Rispetto ai
risparmiatori, le banche possiedono (o si ritiene che possiedano) informazioni
migliori su un maggior numero di possibili investimenti. La minore conoscenza
da parte del risparmiatore lo induce quindi a ricorrere a un operatore
specializzato nella raccolta e nell'elaborazione delle informazioni circa i
possibili modi di investire il denaro.
Il risultato
delle asimmetrie informative è di garantire un vantaggio informativo a chi
dispone di più conoscenze [...]. Come detto, se le parti avessero
interessi comuni, tutte le informazioni rilevanti verrebbero immediatamente
scambiate e ogni asimmetria informativa cesserebbe di esistere con parità delle
posizioni contrattuali.
Quando una delle parti
contrattuali possiede maggiori o migliori informazioni sulla disponibilità a
pagare dell'avversario, questa asimmetria si riflette sulla capacità di
influenzare a proprio favore il “prezzo”. Potere informativo è quindi sinonimo
di potere contrattuale ed economico.
Venendo al nostro caso, e visto cos’è accaduto,
appare evidente come alle amministrazioni comunali, TAV, CAVET, Ministero e
Regione non abbiano fornito tutte le informazioni circa a cosa sarebbero andati
incontro i territori comunali attraversati dall’alta velocità con riferimento
al problema idrogeologico.
All’esito pertanto i Comuni hanno
finito col “pagare” un “prezzo” maggiore di quello che si aspettavano o di
quello che sarebbero stati disposti a “pagare”, e ciò proprio a causa di un
“svantaggio informativo”, visto che gli altri soggetti della “contrattazione”
(TAV, CAVET, Ministero e Regione) hanno deciso
di sfruttare a loro vantaggio le asimmetrie informative per “chiudere”
la conferenza dei servizi al minor “costo” possibile.
Ecco perché,
dunque, i Comuni sono stati “un po’ truffati”. Non è stato detto loro tutto
quanto avrebbero avuto diritto di sapere [...]. Non è tanto vero che “tutti sapevano tutto”. Gli Enti locali sapevano
cosa gli raccontavano, ovvero che i danni sarebbero stati pochi e temporanei in
quanto mitigabili e ripristinabili.
Ed in ogni caso che senso
ha dire “tutti sapevano tutto”, se poi la mia competenza è solo quella sul
taglio degli alberi o se mi si fa chiaramente capire che, o con il parere
favorevole o contrario del Comune di cui sono sindaco, l’opera si fa lo stesso?
In ogni caso hanno gli enti locali hanno fatto conto
e riferimento sul ruolo di controllo e di garanzia che doveva essere proprio
della Regione e del Ministero dell’Ambiente.
Lo dice Notaro.
Teste Notaro Giuseppe - ... e giustamente altri forse hanno anche un peso
maggiore, nel senso che altri, come la Regione Toscana, non c’è dubbio che per
quanto mi riguarda ha avuto un’influenza importante perché se la Regione
Toscana mi dice che in qualche modo è importante, non soltanto realizzare
quest’opera, ma abbiamo trovato il modo per gestire in maniera adeguata questa
situazione, io credo che ho un elemento di rassicurazione che mi aiuta anche a
decidere.
Ancora nel 2000 ci fa
sempre affidamento la Ballini, quando richiede alla Regione un ruolo più
attivo, più politico in sede di osservatorio ambientale.
E mal glien’è incolto perché, purtroppo, bisogna dire
che queste aspettative sono state di fatto tradite.
TRIBUNALE DI FIRENZE
SEZIONE MONOCRATICA
DOTT. ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento penale n. 535/04 R.G.
Udienza del 10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 26]
“QUESTO
PROCESSO HA FATTO EMERGERE CHE MINISTERO E REGIONE POTEVANO E DOVEVANO SAPERE
PRIMA QUELLO CHE SAREBBE SUCCESSO E POI CIÒ CHE È ACCADUTO DAVVERO.
HA FATTO EMERGERE CHE MINISTERO E
REGIONE AVREBBERO DOVUTO ANCHE VOLER SAPERE CIÒ CHE STAVA ACCADENDO E
PREVENIRLO, E CIÒ CONTROLLANDO L’OPERATO DI CAVET, PER EVITARE I DANNI,
TUTELARE I CITTADINI ED IL PAESAGGIO.
[...]
RITENIAMO
QUINDI CHE MINISTERO E REGIONE NON ABBIANO SVOLTO QUESTA LORO FUNZIONE DI
TUTELA, E SI RICORDI CHE LA FUNZIONE È PROPRIO L’ESPRESSIONE DA PARTE DELLA
P.A. NON SOLO DI UN POTERE, MA ANCHE, E FORSE SOPRATTUTTO, UN DOVERE.
PER QUESTO
RIMETTIAMO AL GIUDICE DI VALUTARE SE RIMETTERE CON SENTENZA GLI ATTI ALLA CORTE
DEI CONTI AI SENSI DELL’ART. 129 III COMMA C.P.P. CON RIFERIMENTO ALL’OPERATO
DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA REGIONE TOSCANA QUALORA SI RAVVISI COME
QUESTA PROCURA RAVVISI UN CASO IN CUI SI È CAGIONATO UN DANNO ERARIALE”.
10) TUTTI
SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.
LE
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
REGIONE E
MINISTERO
E vediamole, le condotte della Regione e del Ministero. E torniamo al
“tutti sapevano tutto”, che in questo caso pare affermazione un po’ meno
avventata.
Senza dubbio
la Regione e il Ministero hanno avuto un ruolo primario non solo per le
competenze, ma anche perché veri punti di riferimento degli Enti Locali, e di
fatto veri organi decisionali sull’approvazione della tratta A.V.
Firenze-Bologna.
Regione
e Ministero che all’esito del
dibattimento non hanno certo dato prova di grande coerenza in questo processo
visto che si sono costituiti parte civile. Non hanno indicato un testimone. Il Ministero ha portato due consulenti per la
valutazione del danno subito che non hanno certo lasciato il segno, e la
Regione non ha portato neppure quello. Per quali voci specifiche di danno e
soprattutto per quale ammontare si siano costituiti, non è proprio chiarissimo.
Piacerebbe ritenere che Regione e Ministero abbiano valutato l’opera
della Procura di così alta qualità da non aver nulla da aggiungere, ma sarebbe
vana presunzione e vanità, atteso che riteniamo che qualunque sia stato l’esito
del lavoro di questo ufficio, lo stesso sia comunque sempre perfettibile o
integrabile dalle parti civili a tutela dei loro interessi. Ipotesi comunque
smentita dall’attivismo mostrato invece da altre parti civili private che
pure a volte agivano a tutela di un solo pozzo o poco più, invece che, ad
esempio, 57 chilometri di fiumi come spetta alle pubbliche amministrazioni.
Regione e Ministero, che in corso d’opera non hanno dato prova di aver
esercitato poteri significativi per prevenire, o raddrizzare poi, una situazione
che si era messa al peggio sin dall’inizio, ed evitare ciò che si è verificato.
Mancavano
forse le competenze tecniche necessarie a Regione e Ministero?
No davvero.
Abbiamo visto come puntuali fossero le relazioni predisposte dagli uffici
regionali redatte dal gruppo di lavoro messo su dalla Sargentini e le relazioni
del geologo Micheli.
Abbiamo visto come anche il Servizio Geologico della Presidenza del
Consiglio dei Ministri nel ’92 avesse già
sottolineato come gli studi predisposti dai futuri esecutori dell’opera
disponessero di “dati frammentari, scarsamente confrontabili", fossero
infarciti di "discrepanze", "lacune o non corrispondenze dei
dati" nella cartografia e con mancanza di "riferimenti toponomastici
e tettonici" nel profilo geologico della tratta.
Quindi no, non era incompetenza tecnica.
Ed è per questo che diciamo che in questo caso pare meno avventata
l’affermazione “tutti sapevano tutto”. Se non tutto, Regione e Ministero avevano gli strumenti per sapere
molto.
E ALLORA
PERCHÈ QUESTO È POTUTO ACCADERE?
Per evitare di lasciarsi andare a considerazioni empiriche o soggettive,
per valutare il comportamento delle pubbliche amministrazioni non si può che
rifarsi agli esperti che dedicano continuamente la loro opera a questi temi, studiandoli.
Ovvero a chi ha elaborato ed espresso il
concetto della “teoria della cattura”, ovvero la “capture theory”, e
abbia valutato le sue implicazioni.
Riteniamo
infatti che in questo processo sia importante evitare di lasciare spazio a
suggestioni, a ricostruzioni esclusivamente basate su visioni personalistiche,
o su prospettazioni sociologiche o politiche in senso lato, e si debba invece
essere assai rigorosi e ricondurre il tutto nell’ambito dello stretto diritto.
E il concetto anticipato, e che esplicheremo, è proprio un principio
giuridico-economico attinente all’analisi economica del diritto e alla teoria
della regolazione amministrativa. Questo a conferma del fatto che questo
processo niente ha a che fare con questioni ideologiche, ma solo con specifiche
questioni giuridiche attinenti i rapporti Stato/cittadino da un lato, i
rapporti pubblico/privato dall’altro, la gestione dei servizi pubblici, ecc.
ecc., secondo schemi ed istituti del diritto pubblico, economico ed
amministrativo attuali e che si inseriscono in contesti generali ed attuali in
atto quali quelli economici di privatizzazione, di ricerca dell’efficienza
dell’operato della pubblica amministrazione, di concorrenza nel mercato
globale. Diritto che studia, analizza ed infine dimostra quali strumenti
adottare nella gestione dei servizi pubblici, quali rischi e quali pericoli si
corra.
Secondo l’analisi economica si definisce “regulatory
capture” (o “capture theory”) il fenomeno della “cattura” dei regolatori (le autorità di regolazione) da parte dei soggetti regolati, ossia la convergenza d’interessi tra gli
uni e gli altri e la conseguente perdita del carattere di imparzialità del
soggetto regolatore. Senza divagare, traduciamo questa astrazione,
riportando il tutto al nostro caso ed a quanto ci interessa.
Questa
teoria spiega il rischio che un’opera come l’Alta Velocità, così importante per
il suo valore strategico, per l’impegno economico, per il ritorno politico, di
fatto data in esclusiva ad un General Contractor a sua volta esponente di un
forte potere economico-imprenditoriale, porti alla convergenza d’interessi tra
concedente, concessionario e General Contractor, con conseguente perdita del
carattere di imparzialità del soggetto pubblico che dovrebbe avere una funzione
regolatrice. Rischio realizzato nel nostro caso.
Ma non ci accontentiamo di enunciare teorie astratte. Verifichiamole.
Nel nostro
caso la Regione ed il Ministero hanno subito la
fatale attrazione della realizzazione dell’opera, e ne diamo le prove.
OSSERVATORIO
NAZIONALE AMBIENTALE
L’Osservatorio
era quell’organismo che avrebbe dovuto presiedere alla realizzazione dell’opera
e garantire la salvaguardia del territorio proprio in corso d’opera vista la
complessità dell’opera.
A sentire
l’on. Chiti ed il Presidente della Regione Toscana, Martini, l’Osservatorio era
strumento innovativo di livello nazionale cui rimandare la risoluzione di ogni
problematica prevista o non prevista in sede di approvazione.
Forse era
meglio essere più tradizionalisti visto come ha funzionato in concreto questo
osservatorio di innovativa portata.
[...]
-
Organismo
costituito in modo quasi parlamentare;
-
con compiti
vaghi;
-
e che per il
funzionamento dipendeva (e dipende...) dai finanziamenti a carico del soggetto controllato TAV.
Aggiungiamo
poi come il dibattimento abbia dimostrato inoltre come l’Osservatorio:
-
avesse poteri coercitivi nei confronti di CAVET pari
a “zero”;
-
non fosse funzionante quando ci fu l’impatto di
Castelvecchio e per parte dell’anno ’99, proprio uno di quegli anni segnati dai
maggiori impatti e dalle maggiori emergenze di venute d’acqua in galleria;
-
fosse privo, sempre fino al ’99, di una sede, di
strumenti di lavoro, di un supporto tecnico.
Non un
granché come “strumento innovativo” e “d’avanguardia”.
COMPOSIZIONE
E FUNZIONI
Teste Sargentini Maria - Dunque, l'osservatorio è formato da Ministero
Ambiente, Ministero dei Trasporti, Regione Toscana, Regione Emilia Romagna,
Italferr e TAV. E il presidente che è sempre Ministero Ambiente.
[...]
Teste Sargentini Maria - No. L'osservatorio aveva il compito di... come
dire, sovrintendere in qualche modo, al che i lavori venissero fatti nel
rispetto delle prescrizioni date dalla conferenza dei servizi e aveva potere di
indicare, rispetto agli elementi, in particolare per la parte ambientale,
perché questo veniva anche detto, si rimandava a tutta questa fase successiva,
di dare indicazioni in relazione ai dati di monitoraggio migliorati e per
garantire che cosa poi? Che, rispetto al progetto approvato e alle prescrizioni
date, si ottenesse il miglior risultato e quindi la maggiore mitigazione
possibile, rispetto ai possibili danni... come dire, possibili interferenze,
possibili problemi, eccetera. Questo era il compito dell'osservatorio.
POTERI
Pubblico Ministero - L’Osservatorio
Ambientale è un gruppo di filosofi perché non aveva neanche un supporto
tecnico, è esatto questo? Il supporto tecnico è arrivato dopo.
Teste Biagi Gianni - Certamente.
Pubblico
Ministero - Allora, intanto, perché
la necessità di un supporto tecnico non previsto inizialmente?
Teste Biagi
Gianni - No, il supporto tecnico era previsto già negli accordi che furono stipulati,
è stato avviato con qualche ritardo, non c’è dubbio, ma il supporto
tecnico all’Osservatorio era già previsto negli accordi tant’è vero che vi
erano anche delle somme stanziate per il suo funzionamento.
Pubblico
Ministero - Da chi?
Teste Biagi
Gianni - Da TAV. Sette miliardi e
mezzo di lire, se non ricordo male. Però fu avviato con ritardo e il supporto
tecnico era indispensabile perché i sette membri dell’Osservatorio non possono
stare sul territorio e, come lei ha detto prima, il territorio era un territorio molto complesso non solo
orograficamente ma anche fisicamente nel senso che era una linea molto
allungata sul territorio, quindi il supporto tecnico fu attivato e come
supporto tecnico fu indicato l’ARPAT che è l’Agenzia Regionale Protezione
Ambiente della Toscana e che era una garanzia per quanto riguarda perlomeno il
rappresentante della Regione Toscana.
Pubblico
Ministero - Quindi supporto tecnico
e ARPAT pagato da TAV?
Teste Biagi
Gianni - Certo.
Pubblico
Ministero - Sì?
Teste Biagi
Gianni - Sì sì sì.
Pubblico
Ministero - Quindi l’Osservatorio è
una costola in questi accordi… va bene, però la domanda è sempre questa,
perché, appunto, non c’eravate solo voi, erano sette i soggetti, quindi ci
poteva essere la Comunità Montana, quello e quell’altro, dove poi, al di là
dell’Osservatorio che osserva… poteri
concreti l’Osservatorio? Poteri
decisori di ordinanza?
Teste Biagi Gianni - No.
Pubblico Ministero - Zero,
siamo d’accordo?
Teste Biagi Gianni - Certo.
Pubblico Ministero - In primo luogo, che poteri concreti, reali,
materiali aveva l’Osservatorio Ambientale?
Teste Trezzini Fabio - L’Osservatorio
Ambientale aveva dei poteri molto limitati di fatto perché aveva… essendo
peraltro un organo misto che quindi comprendeva le altre amministrazioni
interessate - la Regione e il Ministero dei Trasporti - e i rappresentati di
TAV e di FS, aveva il compito di tenere sotto controllo l’andamento dei lavori
e degli effetti ambientali, quindi licenziando preventivamente un progetto
complessivo di monitoraggio - cosa che fu fatta a suo tempo - e aveva il
compito di indicare gli eventuali provvedimenti da assumere, ma non aveva il
potere né di ordinarli né di adottare atti che avessero una qualche forma di
urgenza.
[...]
Pubblico Ministero - È
esatto dire che non avesse nessun potere autoritativo di nessun tipo?
Teste Trezzini Fabio: Direi
di sì.
ORGANO
INTERMITTENTE, DISORGANIZZATO, PRIVO DELLE INFORMAZIONI NECESSARIE E CON
SUPPORTO TECNICO ATTIVATO IN RITARDO
Pubblico Ministero - Senta, lei è stato membro e presidente dell’
Osservatorio Ambientale in relazione ai lavori dell’Alta Velocità?
Teste Trezzini Fabio - Sì.
Pubblico Ministero - Da quando a quando?
Teste Trezzini Fabio - Dal ’96… poi ci fu un’interruzione intorno al ’99,
nel senso un periodo di vacanza dell’Osservatorio che poi fu ricomposto esattamente
non ricordo quando ma insomma qualche mese… ci fu qualche mese di intervallo –,
e poi fino al 2001.
[...]
Teste Trezzini Fabio - Adesso dovrei rivedere le carte ma a quanto ricordo
Castelvecchio non era previsto.
Pubblico Ministero - È esatto dire che fece scalpore perché nessuno se
l’aspettava?
Teste Trezzini Fabio - Sì, certo, io quando avvenne Castelvecchio non ero
presidente dell’Osservatorio perché non esisteva neppure l’Osservatorio in
quanto era quel periodo…
Pubblico Ministero - Senta, all’inizio logisticamente come eravate messi? Avevate stanze,
posti, cose, uffici?
Teste Trezzini Fabio - No.
Pubblico Ministero - E dove
vi riunivate?
Teste Trezzini Fabio - Ci
riunivamo in stanze del Ministero dell’Ambiente ma non avevamo né una
segreteria né un archivio, insomma eravamo organizzati in maniera molto
approssimativa.
Pubblico Ministero - Questo fino a quando?
Teste Trezzini Fabio - Eh, adesso esattamente non me lo ricordo ma insomma
direi per tutto il primo mandato andò così, cioè per i primi tre anni, con il
secondo mandato poi si comincia a strutturare un supporto tecnico da parte
dell’ARPA allora, oggi APAT, che poi svolse funzioni di segreteria per noi
oltre che di supporto minimo di coordinamento, e anche un supporto tecnico che
prima era stato occasionale o comunque certamente non strutturato da parte
delle agenzie regionali, l’ARPA Toscana e l’ARPA Emilia.
Pubblico Ministero - Quindi avete avuto un supporto tecnico solo dal ’99 in poi?
Teste Trezzini Fabio - Sì, direi di sì.
Pubblico
Ministero - Senta, si ricorda per
esempio che c’era una contestazione sua molto puntuale sul fatto che i dati del
monitoraggio da parte di FIAT e CAVET arrivavano con un ritardo notevole?
Teste
Trezzini Fabio - Certo, certo.
Pubblico
Ministero - Questa situazione è
mutata, è migliorata o…
Teste
Trezzini Fabio - Eh, col tempo
certo, col tempo è migliorata perché poi piano piano abbiamo…
Pubblico
Ministero - Ma questi
dati come arrivavano, arrivavano un po’ così alla spicciolata, con una cadenza
regolare…
Teste
Trezzini Fabio - Adesso non ricordo
ovviamente i dettagli ma, insomma, certamente
arrivavano i dati delle portate drenate, quindi sull’entità delle
interferenze idrogeologiche che erano appunto previste dal progetto di
monitoraggio, arrivavano certamente con
settimane se non mesi di ritardo per cui quando il fenomeno si era giù svolto
da tempo, o comunque da un tempo relativamente alto nel caso in questione, e
quindi difficilmente poi potevano essere utilizzate per proporre delle
correzioni.
Pubblico
Ministero - Cioè, arrivando troppo tardi era quasi inutile, cioè
arrivavano a cose un po’ fatte.
Teste
Trezzini Fabio - Sì sì, questo sì.
RAPPORTI
TRA CONTROLLATO E CONTROLLORE
Teste Biagi Gianni - No, il supporto tecnico era previsto già negli
accordi che furono stipulati, è stato avviato con qualche ritardo, non c’è
dubbio, ma il supporto tecnico all’Osservatorio era già previsto negli accordi
tant’è vero che vi erano anche delle somme stanziate per il suo
funzionamento.
Pubblico
Ministero - Da chi?
Teste Biagi
Gianni - Da TAV. Sette miliardi e mezzo, se non ricordo male.
Pubblico
Ministero - E come
veniva pagato questo supporto tecnico? Sapete qualcosa?
Teste Trezzini Fabio - Ci fu una convenzione certamente non stipulata
dall’Osservatorio, una convenzione stipulata credo direttamene da TAV su
indicazione del Ministero dell’Ambiente per regolare e compensare con fondi che
credo la TAV fosse comunque impegnata a utilizzare per il funzionamento
dell’Osservatorio nel suo complesso in base all’accordo procedimentale del ’95,
e, se non ricordo male, questa convenzione fu stipulata tra la TAV e le due
agenzie regionali, e anche l’ANPA, anche l’agenzia nazionale.
Pubblico Ministero - Quindi non si ricorda bene ma il dato grezzo è che soldi
della TAV venivano utilizzati per la struttura tecnica dell’Osservatorio
Ambientale.
Teste Trezzini Fabio - Sì sì.
Teste Mascherini Renzo - Guardi, fino a quando la presidenza
dell’Osservatorio Nazionale Ambientale era presieduta dall’ingegner Trezzini
lui che aveva l’abitudine di convocarci periodicamente, quasi mensilmente, ogni
due mesi, cosa che si è interrotta poi con il cambio del governo e cambio del
responsabile dell’Osservatorio perché lui poi è stato sostituito con il cambio
del governo dal dottor Agricola il quale ben si è guardato poi dal coinvolgere
i sindaci nella verifica costante di quello che succedeva nella costruzione
della ferrovia, ma fino a quando il presidente dell’Osservatorio è stato
l’ingegner Trezzini noi abbiamo avuto modo di seguire, di verificare quali
erano gli impatti, di verificare quali erano le soluzioni che si potevano
adottare per evitare questi impatti.
[...]
Teste Mascherini Renzo - Cioè, a noi c’era stato detto che il modello
dell’impatto sulle sorgenti prevedeva una conformazione isotropa della roccia e
che si sarebbe impattato le sorgenti solo a 200 metri dal tunnel, questa
era l’informazione che noi avevamo, per cui furono realizzate le opere
acquedottistiche per supplire l’impatto sulle sorgenti che erano a distanza 200
metri dal tunnel, quindi quando venne fuori invece che l’impatto era anche su
sorgenti più lontane si cominciò a discutere che cosa sarebbe successo nel
prosieguo dell’escavazione e che cosa si doveva fare per ovviare agli impatti
sulle sorgenti così distanti dal tunnel.
Giudice - Un attimo, Pubblico Ministero, un chiarimento su questo aspetto. Lei ha
detto più volte ‘ci fu detto’ ‘ci era stato detto’, allora, vorrei il soggetto
di questo.
Teste Mascherini Renzo - Le informazioni ci venivano date all’interno
dell’Osservatorio Ambientale.
Giudice - Ed erano di provenienza della Regione o di CAVET?
Teste Mascherini Renzo - Era di provenienza dell’Osservatorio Ambientale,
l’Osservatorio era presieduto da un rappresentante del governo, poi c’era il
rappresentante della Regione, della Provincia, dei Comuni, di CAVET, di TAV e
dell’ARPAT che era consulente dell’Osservatorio e che svolgeva di fatto due
parti in commedia, nel senso che l’ARPAT era un’agenzia regionale ambientale e
però era anche consulente dell’Osservatorio.
Lette le
parole di Mascherini e visto che era TAV che pagava il supporto tecnico
all’osservatorio sarà per questo che ARPAT è apparsa sempre prudentissima in questo
processo?
E l’on. Chiti difende questo meccanismo dicendo che
non ravvede conflitti di interesse e che era giusto addebitare i costi a TAV
piuttosto che sul contribuente. Su eventuali “conflitti di interesse” non pare
opportuno avventurarsi, ma forse l’onorevole dimentica però che TAV significa
Ministero del Tesoro quindi è la stessa cosa. Il contribuente paga lo stesso e resta sempre fermo che il controllato
sovvenziona il controllore. In ogni caso, poi, caso di conflitto di
interessi o meno, è chiaro che se chi è controllato paga il controllore è forte
la tentazione del primo di tenere al guinzaglio il secondo ed infatti basta leggersi la telefonata del 16.5.02
del ore 17.16 tra Guagnozzi e Bechelli per vedere come il primo sobilli il
secondo a tenere a bada l’ARPAT visto che TAV la paga.
GUAGNOZZI - Te la posso dare un’idea?
BECHELLI - Eh!
GUAGNOZZI - Quella cazzo di convenzione che avete con gli uffici
regionali per dargli il supporto economico all’implementazione degli uffici ...
dategli una scadenza... cominciate a
vedere che succede, no?
BECHELLI - Sì, ma no. Questo non c’è
mica la possibilità di farla una cosa...
[...]
GUAGNOZZI - Ma sai Gianni c’è anche un’altra storia. Voi gli avete finanziato tutto,
pure il potenziamento degli uffici. Cominciate a dirgli che quello è il
mestiere che devono fare loro.
BECHELLI - E lo so bene. Figurati!
GUAGNOZZI - E adesso comincia ad essere rognosa la storia no?
[...]
GUAGNOZZI - e sai. Allora li potenziate per fare che? Per far mettere i bastoni fra
le ruote?
[...]
GUAGNOZZI - Abbi pazienza. Io ti potenzio se te... con la tua attività..
[...]
GUAGNOZZI - [incomprensibile] ... a tenere il ordine
quanto altro a sviluppare a fare, a sbrigare eccetera, ma se tu usi la mia
disponibilità per venirmi contro... ma io ti devo togliere immediatamente la
possibilità di farlo.
Più chiaro
di così.
E nessuno ci vede allora quel rischio di “cattura” di cui alla teoria
citata, quel rischio per cui date queste commistioni tra regolante e regolato, alla
fine, un organismo concepito come l’Osservatorio, non potesse in alcun modo
funzionare?
In altre parole, poteva perseguire questo organismo
quell’ambiziosissimo obiettivo di essere il custode della salvaguardia
ambientale della zona interessata dai lavori di Alta Velocità?
No, non
poteva ed infatti non l’ha fatto, e rispondiamo con i fatti.
Chi vuole una chiara esemplificazione del fallimento del combinato
disposto monitoraggio/Osservatorio si vada a leggere Trezzini sulla venuta di
Marzano nel marzo 2000.
Pubblico
Ministero - Bene, poi le valutazioni
su cosa servisse un monitoraggio fatto dopo lei mi sa dire qualcosa; un monitoraggio a progetto approvato che
funzione aveva?
Teste
Trezzini Fabio - Ma, questa fu una filosofia di fondo scelta a
suo tempo da chi la doveva scegliere naturalmente, cioè che si riteneva – e
credo che la cosa abbia un qualche fondamento – che nella impossibilità per
opere grandi di prevedere nel dettaglio effettivamente tutti gli accadimenti si
ritenne di affiancare alla approvazione… anche perché la normativa italiana non
prevede un monitoraggio in corso d’opera di un’opera approvata a seguito della
valutazione di impatto ambientale, o perlomeno non la prevedeva allora; quindi
si ritenne, essendo appunto opere complesse con una grande estensione
territoriale che potevano incidere su diverse componenti ambientali, che non
fidandosi sostanzialmente di quanto poteva essere simulato, modellizzato e
previsto in sede progettuale di valutazione di impatto ambientale si dovesse quindi
monitorare gli effettivi effetti…
Pubblico
Ministero - Mi scusi, per essere
chiaro, ovviamente io non chiedo a lei valutazioni che non la riguardano, che
non le spettano, cioè non è questo il senso della domanda, la domanda è in
questo senso: siccome lei ha visto questi piani di monitoraggio le domando come
in concreto, visto che è una cosa di cui vi dovevate e vi siete occupati
personalmente in relazione alla vostra funzione – cosa doveva succedere, come
funzionava, cosa era previsto… l’utilità… in relazione alle situazioni singole;
le faccio un esempio per tutti perché lei l’ha vissuta personalmente, la venuta
di Marzano laddove c’erano le previsioni contrastanti tra Pranzini, ARPAT e
CAVET, dico, non le chiedo valutazioni imbarazzanti o che spettano ad altri e
nemmeno a noi, ma in concreto in quanto presidente dell’Osservatorio Ambientale
cosa è successo, come avete affrontato una cosa del genere; cosa c’entrasse il
monitoraggio, cosa doveva scattare, a cosa servisse e in concreto come ha
funzionato. Le chiedo fatti.
Teste
Trezzini Fabio - L’episodio a cui
lei fa riferimento è l’episodio, appunto come lei ha ricordato, che c’era una
disparità di vedute tra i vari tecnici che lavoravano attorno all’Osservatorio
Ambientale, sia i tecnici di CAVET, per parte loro di TAV, e quindi il
professor Pranzini che era consulente… non so se di TAV o di Italferr, e i
tecnici dell’ARPAT che avevano fatto delle valutazioni su quella che poteva
essere la progressiva di sicurezza fino alla quale scavare prima di incorrere in
un rischio concreto di drenaggio di ingente vena d’acqua. Naturalmente queste
valutazioni si basavano su tutti gli studi che erano stati nel frattempo e che
erano stati anche approfonditi su nostra richiesta in corso d’opera, proprio su
quello che effettivamente poteva dar luogo attraverso lo scavo. Quando ci fu
quella venuta piuttosto rilevante ci trovavamo leggermente al di qua, cioè
entro la progressiva che era stata poi concordata dai tecnici dell’ARPAT con i
tecnici… (suona il telefono) …appunto dal confronto di situazioni divergenti
arrivarono i tecnici a concordare una progressiva che doveva essere di relativa
sicurezza; questa venuta avvenne, se non ricordo male leggermente prima e io in
quell’occasione venni a saperlo telefonicamente o attraverso un fax, ma insomma
per le vie brevi ma in maniera molto improvvisa e anche tempestiva peraltro, e
non avendo la possibilità ovviamente di convocare l’Osservatorio Ambientale
mandai una lettera a TAV e CAVET dicendo che a mio giudizio fermare immediatamente
lo scavo proprio perché si era verificata questa venuta d’acqua. Non mi risulta
che questa mia richiesta fu esaudita ma i lavori di scavo si interruppero di lì
a qualche giorno ancora, o comunque passò del tempo ancora. Quindi lei mi
chiede a che cosa serviva il monitoraggio, eh, insomma, in teoria doveva
servire a tenere sotto controllo l’evolversi dei fenomeni e intervenire ogni
volta che questo fosse stato possibile per correggere il tiro.
Pubblico
Ministero - Quindi funzionò in
questo caso?
Teste Trezzini
Fabio - Ma, in questo caso si
dovrebbe concludere di no, nel senso che da
una parte la venuta ci fu e sarebbe stato comunque difficile evitarlo perché
dopo lunghe discussioni fu fissata una progressiva che in realtà alla luce dei fatti, con il senno di poi, non aveva le
caratteristiche di sicurezza che si pensava dovesse avere, da un lato,
dall’altro la mia richiesta di interrompere i lavori di scavo per limitare
comunque al minimo i danni non fu soddisfatta.
Pubblico Ministero - Proprio
anche perché lei non aveva nessun potere.
Teste Trezzini Fabio - Sì,
sì, certo, non avevo nessun potere.
Pubblico Ministero - Tant’è vero che poi subentrò il sindaco…
Teste Trezzini Fabio - Certo.
Pubblico Ministero - … ci fu un’ordinanza, no?
Teste Trezzini Fabio - Sì.
Pubblico Ministero - Quindi quando ci fu bisogno poi di adottare in
qualche modo un provvedimento concreto di una qualche efficacia si ritornò ai
principi generali delle ordinanze sindacali, se non capisco male.
Teste Trezzini Fabio - Sì sì.
La cosa buffa
è che anche nell’accertata inefficienza più che totale dell’Osservatorio, CAVET
ha avuto comunque modo di lamentarsi dell’operato di questo.
Basta
leggersi le intercettazioni come quella di Piscitelli con Polazzo in data
1.7.02 alle ore 12.13 (pg. 410242):
PISCITELLI - Però questo cazzo di Osservatorio Ambientale... Dio santo, deve lavorare
per il lavoro e no solo per il Ministero dell’Ambiente... è un disastro così...
eh Fabio.. sta lavorando solo per il Ministero dell’Ambiente.
FABIO - Secondo me è peggio di prima...
PISCITELLI - … e certo che è peggio di prima. Lavora per il Ministero dell’Ambiente
-... e se tu leggi i compiti istituzionali ... è praticamente la salvaguardia
del lavoro... nell’ambito di alcune regole. Questi del lavoro non se ne fottono
proprio. Non è possibile andare avanti con l’Osservatorio Ambientale che
secondo me non sta facendo il suo compito istituzionale.
FABIO - Sono d’accordo. Ma è impossibile dirglielo.
E su
questo concordiamo con Piscitelli e Polazzo. L’Osservatorio non ha svolto il
suo compito istituzionale, ma nel senso opposto di quello indicato da Polazzo e
Piscitelli.
L’Osservatorio
non ha tutelato l’ambiente ed i cittadini. Ma non aveva gli strumenti per farlo.
E quando ci ha provato, CAVET ha messo giù tutto il suo peso economico per far
sì che l’Osservatorio non fosse troppo rigido.
Lo testimonia esplicitamente Trezzini.
Teste Trezzini Fabio - No, no, ma certo, io ho cercato di essere
equilibrato nella mia funzione ma certamente i cittadini mi hanno accusato… sì,
di fare poco, di non fare insomma quello che avrei dovuto e certamente la
controparte CAVET in qualche fase può aver ritenuto invece che badassi troppo
alle questioni ambientali e non all’economia dell’intervento, ma, insomma,
sempre in termini… come dicevo prima…
Pubblico
Ministero - Vabbè, su questo… se no
sarebbe un altro processo. Senta, conosce Fabio Polazzo?
Teste
Trezzini Fabio - Sì, certo.
Pubblico
Ministero - Lui è membro
dell’Osservatorio Ambientale TAV?
Teste
Trezzini Fabio - Non so se lo sia
attualmente, lo è stato quando io ero presidente per un periodo, all’inizio fu
l’ingegnere Salemme, poi fu sostituito dall’ingegner Polazzo.
Pubblico
Ministero - E non le arrivò nessuna
sollecitazione da lui sul fatto… o che lui fosse portatore di segnalazioni di
parte di CAVET che insomma l’ Osservatorio Ambientale doveva rompere un po’
meno e fare andare avanti i lavori?
Teste
Trezzini Fabio - Sì sì, questo… in termini
molto trasparenti e espliciti, nel senso che durante le riunioni… ovviamente
CAVET partecipava alle riunioni solo se invitata a fornire spiegazioni o a dare
informazioni sugli elaborati e quant’altro ovviamente, non partecipava ai
lavori dell’Osservatorio; all’interno dei lavori dell’Osservatorio non c’è
dubbio che la posizione di TAV, chiunque fosse il rappresentante, ma anche di
Italferr, era di sollecitare soluzioni che consentissero di andare avanti
rapidamente; su questo non ci sono dubbi.
E la conclusione oggettiva che si trae dai fatti, alla fine è una
sola, ovvero che l’Osservatorio Ambientale fosse poco più che un paravento, un
contentino dato per tacitare le associazioni ambientaliste perché, anche
qualora avesse voluto esplicare il suo ruolo fino in fondo, non ne avrebbe
avuta la possibilità non avendo i poteri necessari per conseguire tale scopo e
comunque perché soggetto a pressioni economiche e non, sia da parte di TAV che
lo finanziava che di CAVET che protestava.
Pubblico
Ministero - Senta, ma ora... siccome
siamo tutti abbastanza grandi, ma non avete ottenuto proprio nulla? Nel senso,
siccome siete anche un bacino di voti, non so di che cosa, ma da questi
colloqui, discussioni, non vi è stata fatta nessuna concessione, non siete stati
tranquillizzati in alcun modo...
Teste
Annigoni Benedetto - Abbiamo avuto
molte volte delle promesse che però non sono state mantenute. Per esempio, una
delle cose che erano oggetto di una nostra obiezione, era il controllo su
questi lavori fatto dal laboratorio nazionale, no?
Pubblico
Ministero - Dall'Osservatorio?
Teste
Annigoni Benedetto - Dall'Osservatorio
Nazionale. Dove era presente la CAVET.
Pubblico
Ministero - Ecco, ce lo può dire,
appunto, perché siccome è proprio... era una delle cose a cui mentalmente
rimandavo, ecco, l'Osservatorio Ambientale quindi nasce, o perlomeno viene
rappresentato e comunque lei, mi sta dicendo, che comunque a voi è stato
prospettato, come un organismo di controllo sulla qualità dei lavori, se
capisco bene.
Teste Annigoni
Benedetto - Era l'organismo che
doveva garantire in corso d'opera che non venissero fatte certe devastazioni.
Pubblico
Ministero - Ecco...
Teste
Annigoni Benedetto - O quanto meno
doveva servire a minimizzarle, una volta che si erano verificate.
Pubblico
Ministero - Ecco, su questo voi
avete chiesto di avere un membro, vi è stato dato, non vi è stato dato... siete
stati in grado di parlare, o comunque interloquire al di là dell'esito
finale...
Teste
Annigoni Benedetto - No, quello che
noi abbiamo chiesto, oltre alla trasparenza, cioè continuamente al fatto di
essere tenuti informati, noi abbiamo chiesto che... Abbiamo sottolineato questa
situazione di incompatibilità dell'Osservatorio nazionale dove era presente il
controllore e il controllato. Abbiamo chiesto a più riprese - e ci era stato
anche promesso, ma poi non è avvenuto - un rafforzamento dell'ARPAT e un
rafforzamento dell'osservatorio a livello locale. E questo non è avvenuto.
Pubblico
Ministero - Ho capito. Quindi
diciamo, abbiamo una scala di prospettazioni che vi sono state fatte:
Osservatorio Ambientale come organismo centrale che doveva controllare tutta
l'opera. Rafforzamento dell'ARPAT sull'organo...
Teste
Annigoni Benedetto - A livello
locale.
Pubblico
Ministero - A livello locale. In più
un rafforzamento dell'Osservatorio ambientale locale.
Teste
Annigoni Benedetto - Sì.
Pubblico
Ministero - Lei questi non li ha
riscontrati, non ha visto una evoluzione...
Teste
Annigoni Benedetto - No, non ho
visto. So che ci sono state fatte delle promesse, ma poi questo non ha avuto
conseguenze pratiche.
In concreto
dunque, l’Osservatorio, poco più che un espediente per poter comunque sostenere
di essere stati molto attenti all’aspetto ambientale tanto da aver addirittura
costituito una struttura apposita.
Peccato che poi poco o nulla è stato fatto affinché l’Osservatorio
potesse davvero funzionare adeguatamente.
Intanto, con la creazione dell’Osservatorio, quanto meno si otteneva
che della questione ambientale, nel peggiore dei casi, se ne risarebbe parlato
poi chissà quando, come stiamo infatti facendo noi nel 2008, ben 13 anni dopo,
a cose, carriere ministeriali e danni, ormai fatti.
La
controprova è che la creazione dell’Osservatorio avrebbe dovuto rafforzare
l’opera di controllo delle Regione e del Ministero, mica abolirla.
Ma non
risulta che Regione e Ministero abbiano a loro volta autonomamente ed
efficacemente controllato l’operato di CAVET.
Abbiamo già
detto che certo non mancavano le capacità tecniche al Ministero ed alla Regione
per avere un ruolo più incisivo rispetto alla prevenzione e mitigazione degli
eventi. No. Ma al posto di quei soggetti
che hanno dato prova della loro competenza in modo criticamente costruttivo,
Ministero e Regione hanno preferito valorizzare al loro interno i soggetti che
hanno invece esercitato le loro competenze in modo acritico di accettazione del
fatto compiuto.
REGIONE
Nonostante
la Regione disponesse delle relazioni Micheli e Sargentini, per ben presentarsi
alla Conferenza dei servizi, preferisce
adottare la delibera di Giunta Regionale n. 3884 del 24.8.95 (pg. 200331) con
la quale approva la tratta Firenze-Bologna, collaziona
l’espressione di tutti i pareri di competenza tra cui quello del RD. 1775/33 e
dà qualche blanda prescrizione su strade, su generiche opere di mitigazione,
attivazione Osservatorio ambientale, verifiche idrauliche interessanti il
bacino dei torrenti Carza e Carzola e fiume Sieve.
Dirigente responsabile firmatario della
deliberazione, arch. Biagi, ora assessore del Comune di Firenze. Allora
Presidente della Regione Toscana, l’oggi on. Vannino Chiti. Ancor più laconica
la deliberazione della giunta Regionale n. 859 del 27.7.98 (pg. 700052) con cui
si approva la Variante Castello. Dirigente responsabile firmatario della
deliberazione, arch. Biagi. Presidente
della regione Toscana, on. Vannino Chiti.
Ed eccoci
allora ad un altro aspetto per verificare la tesi della “teoria della cattura”.
Non opporsi,
o quanto meno non porsi criticamente, nei confronti dell’Alta Velocità non
porta male.
I due
presidenti delle Regioni che l’hanno approvata ed uno dei progettisti sono
assurti a cariche ministeriali.
Due
funzionari, degli enti locali che si sono occupati dell’istruttoria
amministrativa, sono diventati assessori comunali. Ed entrambi sono ora
chiamati, a vario titolo, a seguire i lavori per il sottoattraversamento
dell’AV di Firenze. Rubellini è addirittura presidente di un altro Osservatorio
Ambientale che dovrà verificare gli effetti dello scavo per il
sottoattraversamento della città di Firenze sugli immobili.
Eppure
critiche vi erano state sull’operato di questi soggetti.
Il Sindaco
di San Piero a Sieve, Alessia Ballini, nel corso dell'incontro con i Sindaci e
la Comunità Montana della VI Commissione consiliare della Regione Toscana
"Territorio e Ambiente", il 29 giugno 2000 chiede alla Regione stessa
di sostituire l’arch. Biagi da membro dell’Osservatorio.
La dichiarazione trascritta della Ballini: premessa "(…) una sostanziale
ingovernabilità degli eventi” e
rappresentato l’ulteriore fatto che, parole della Ballini, “ora non siamo
più nel 1995 quando si è chiusa una fase, siamo nel 2000, non si può tornare
indietro ma di fatto l'assenza di questa seria valutazione di impatto
ambientale costituisce qualcosa di importante”, tra le due richieste che avanza alla Regione ricorda come “la
Regione Toscana ha, all'interno di un organismo … più volte citato stamani,
cioè dell'Osservatorio Ambientale Nazionale, un rappresentante, un ruolo che
negli ultimi anni ha svolto l'ingegner Biagi che sembra di aver capito non
abbia, avendo assunto altri impegni, la possibilità di seguire questo ruolo,
questa funzione nei prossimi anni. Io solleciterei la Regione a definire al più
presto possibile, se di sostituzione si deve parlare, la sostituzione perché
siamo tra l'altro in una fase delicata nella quale c'è un bisogno impellente
della presenza della Regione in questo organismo ed io, questa è una opinione
personale, inviterei la Regione anche a valutare l'opportunità di una presenza,
di una partecipazione più politica a questo organismo che non è un organismo
che abbia semplicemente una funzione tecnica o che prenda decisioni
semplicemente da un punto di vista tecnico e neutrale, ma di fatto credo che
invece se la Regione ci partecipasse con una presenza più politica, questo
potrebbe essere uno dei passi verso un maggior coinvolgimento della Regione nei
problemi di cui si sta parlando stamani e che mi sembra appunto la Regione
abbia imboccato questa strada".
La Ballini è
un politico e sa parlare. Chiede un ruolo più
politico della Regione Toscana all’interno dell’Osservatorio Ambientale
Nazionale, ma non manca di chiedere la sostituzione di Biagi, sempre se,
parole della Ballini, “... se di sostituzione si deve parlare”.
Resta aperto
il quesito sul perché la Regione Toscana, visto che oggi è qui rappresentata
parte civile, abbia preferito scegliere certi soggetti quali membri dell’OAN
piuttosto che altri tecnici competenti come Micheli, che sembravano aver capito
meglio di altri a cosa si sarebbe andati incontro.
Allora per verificare se è vero che non porsi criticamente nei confronti
di un certo modo di progettare ed eseguire l’A.V. abbia portato davvero bene a
quei soggetti che hanno tenuto questo comportamento, proviamo anche a fare la
prova al contrario.
Verifichiamo se magari hanno fatto carriera anche
quei tecnici che invece si sono posti criticamente nei confronti delle
soluzioni [...] proposte ed applicate per realizzare la
Firenze-Bologna e che, con il senno di poi, sono risultati essere i tecnici che
meglio di tutti hanno inquadrato la vicenda, che meglio di tutti hanno
dimostrato di aver previsto gli impatti, il tipo di problematiche che un’opera
di tal genere avrebbe comportato, che meglio di altri avevano indicato le
lacune degli elaborati progettuali redatti dagli esecutori dell’opera, che
meglio di altri avevano fornito tutte le indicazioni utili per meglio
salvaguardare l’interesse pubblico, dell’ambiente e dei cittadini.
Proviamo a vedere che fine ha fatto Micheli.
Pubblico
Ministero - Senta, che livello era
lei al momento in cui fece...
Teste
Micheli Luigi - All'epoca ero al
settimo livello, credo. Ora sono cambiati i livelli, ora si chiamano D, cose...
Pubblico
Ministero - Ma ha fatto una carriera
fulminante lei alla Regione, o...
Teste
Micheli Luigi - Sono più o meno
rimasto allo stesso livello, con un riconoscimento...
Ora c'ho una posizione organizzativa in più.
Pubblico Ministero -Dopo dieci anni.
Teste Micheli Luigi - Sì, sì.
Insomma Micheli, dopo 10 anni, non ha fatto carriera. Anzi a suo tempo è
stato anche ripreso dai suoi superiori per quel parere critico (ma col senno di
poi azzeccatissimo) ed accusato di essere contro l’Alta Velocità e ciò
nonostante il Micheli avesse già espresso un parere favorevole, secondo onestà
intellettuale, per il nodo fiorentino.
[...]
Lo abbiamo visto.
L’assessore Biagi è architetto e Micheli un geologo, che ha scritto nel gennaio
1995 quel che poi è accaduto. Si fosse ascoltato Micheli forse non ci sarebbe
stata la necessità di questo processo. Ed invece la Regione Toscana non ha dato
seguito al parere di Micheli, ma ha piuttosto approvato la delibera di Giunta
Regionale n. 3884 del 24.8.95 predisposta dall’allora dirigente della Regione,
arch. Biagi.
MINISTERO
E il
Ministero?
Il ministero
parte subito male con il parere portato ed approvato in Conferenza dei servizi.
Ci riportiamo alle domande del giudice ed alle risposte date dall’arch.
Costanza Pera, allora Direttore generale per la Valutazione dell’Impatto
Ambientale del Ministero dell’Ambiente.
Giudice - Domande? Senta, scusi, un paio di passaggi che non ho
ben compreso, lei ha fatto riferimento,
all’inizio della sua deposizione, a una difficoltà derivante dal rapporto fra i
tempi a voi concessi e le dimensioni dell’opera nel rendere un parere. E mi
pare che lei abbia collegato questo discorso dicendo: visto che vi era
difficoltà ci siamo preoccupati di immaginare un sistema di monitoraggio in
corso d’opera che era assolutamente nuovo rispetto ai precedenti. Allora, la
domanda è questa: c’era un problema di tempi o era un problema di fattibilità?
Cioè a dire, era difficile o impossibile dare un parere ponderato, istruito,
quindi fondato per una questione di tempi o perché le dimensioni dell’opera e
la natura dell’opera non lo consentivano?
Teste Pera -
Entrambi. Cioè, c’era una incongruenza tra l’oggetto e lo strumento di…
Giudice - Per un verso il parere era impossibile da dare, per un verso erano
stretti i tempi.
Teste Pera -
Non stretti, era uno strumento amministrativo che non si prestava, che
non aveva nessuna coerenza con l’oggetto.
Giudice - Perfetto, voi ne immaginate un altro.
Teste Pera -
Sì.
Giudice - Che è quello dell’osservatorio in corso d’opera.
Teste Pera - Mm.
Ma il Ministero, dopo l’espressione di quel parere,
dove non ha certo dato il meglio di sé, si comporta anche peggio nel prosieguo.
Sparisce. Delega tutto
all’inefficace Osservatorio, dove pure è rappresentato mantenendo la Presidenza
di detto organismo, rinunciando al contempo ad esercitare le sue precipue
funzioni a tutela dell’ambiente e che pure gli attribuivano anche un potere di
sospensione dei lavori, ai sensi dell’art. 6 della L.n. 349/1986, oggi
abrogato. “6. Qualora,
nell'esecuzione delle opere di cui al comma 3, il Ministro dell'ambiente
ravvisi comportamenti contrastanti con il parere sulla compatibilità ambientale
espresso ai sensi del comma 4, o comunque tali da compromettere fondamentali
esigenze di equilibrio ecologico e ambientale, ordina la sospensione dei lavori
e rimette la questione al Consiglio dei ministri.”
Vediamo sempre il teste Pera.
Giudice - Allora, questo monitoraggio era pensato fin dall’inizio all’interno di un
procedimento che prevedeva anche poteri di intervento del Ministero oppure no?
Mi spiego meglio, si fa un monitoraggio per vedere che cosa succede in corso
d’opera e poi quando succede si sta a vedere quello che è successo oppure il
monitoraggio è finalizzato a un intervento in relazione a ciò che succede? Ha
capito cosa voglio dire? Cioè, io posso monitorare per avere una cognizione o
posso monitorare come fase endoprocedimentale di un procedimento che immagino
efficace, di intervento. Lei prima ha detto: nel momento in cui si verificava
un problema noi auspicavamo che fosse risolto questo problema. Certo, lo
auspichiamo tutti, ma se il problema non veniva risolto che succedeva? Il Ministero
che faceva?
Teste Pera - Dunque…
Giudice - Quando monitorava e si accorgeva che era nato un problema, rilevante,
che cosa poteva fare? Quali strumenti erano previsti in questo monitoraggio?
Coattivi intendo, nei confronti dell’esecutore dell’opera, che fossero ad
esempio riottoso a prendere provvedimenti. Non so se sia mai avvenuto, ma è
un’ipotesi. Non so se ho reso il concetto.
A questa domanda la teste non solo non risponde, ma dice anche una cosa
non vera ovvero che:
Teste Pera -
Penso… spero
di aver capito. L’osservatorio era anche la sede per mettere seduti allo stesso
tavolo i rappresentanti delle istituzioni con competenze ambientali, nel senso
che la competenza operativa su una serie di aspetti ambientali legati alla
costruzione dell’opera non era del Ministero ma era delle Regioni. Allora, così
come nel 1990 è stata creata la conferenza dei servizi per mettere seduti
intorno a uno stesso tavolo le amministrazioni che fino a quel momento si
scrivevano delle lettere e prendere, seduti allo stesso tavolo, una decisione
dopo essersi parlati e confrontati e avere esaminato insieme delle carte e dei
progetti, nello stesso modo l’osservatorio doveva essere la sede nella quale i
rappresentanti del Ministero dell’ambiente e delle regioni insieme alla TAV che
era la concedente di chi realizzava l’opera, esaminassero la situazione e le
cose da fare. Allora, i margini… la lettura dell’accordo procedimentale dice
che a fronte di determinate situazioni l’osservatorio aveva da… cioè, c’erano
delle risposte da dare. Io leggo quello che c’è scritto qui, nello stesso
tempo la presenza delle Regioni e la presenza di TAV, diciamo, doveva
complessivamente costituire un sistema di responsabilità che, poniamo che sotto
la montagna ci fosse stata una gigantesca… adesso, non so, inventiamoci una
cosa…
...
scordandosi per l’appunto i poteri del Ministero dell’Ambiente ai sensi
dell’art. 6 della L. n. 349/1986.
Il giudice,
giustamente non si accontenta e prova a chiarire...
Giudice - No, abbia
pazienza, non c’è nulla da inventarsi perché qui è successo. È successo un
problema in una galleria e è intervenuta un’ordinanza sindacale, quindi non c’è
niente da inventarsi, è già tutto previsto. Il problema è questo: io vorrei
capire questo, se un’opera di queste dimensioni, di rilievo nazionale, che
quindi che interessa la collettività, perché io sento qui da tre anni che
quest’opera interessava la collettività. Era stato deciso che si facesse e su
questo il processo non entra perché non gli interessa, il Ministero prende atto
che non è in grado di formulare un parere approfondito, perché per un verso non
è possibile in relazione all’opera e per un verso le procedure, i tempi non ci
sono, questo mi è parso di capire. Allora pone in essere un organismo di
monitoraggio e il tutto poi è rimesso alla discrezionalità amministrativa del
sindaco di un paese di montagna dell’Appennino tosco-emiliano. Mi pare di
capire questo poi alla fine. Cioè, il Ministero non si garantisce, nei
confronti di un’opera di livello nazionale e nel momento in cui venissero fuori
dei problemi certificati da un organismo di monitoraggi, un intervento? Io
vorrei capire questo. Cioè, se nasce un problema che riguarda più comunità territoriali, un problema
di un certo rilievo, non lo so quale, qui abbiamo discusso e abbiamo sentito
che il problema riguarda una galleria, quindi è potuto intervenire il sindaco
di quella zona, ma mettiamo che fosse successo un problema di carattere più
generale, allora io vorrei capire questo. Se vi è un’opera di carattere
nazionale, il Ministero non ha immaginato, nell’arco di questo procedimento di
monitoraggio degli strumenti di intervento? Non si tratta solo di
conoscere. Eh, conoscere è importante ma poi bisognerà anche che qualcuno
faccia qualcosa. E se questo qualcuno che deve fare qualcosa per avventura non
la volesse fare che succede?
Teste Pera -
No, scusi,
però qui c’è un problema che forse non ho chiarito sufficientemente bene. Due
cose, primo, noi non è che non potevamo dare un parere, noi il parere l’abbiamo
dato dicendo che era un parere, allo stato delle conoscenze, positivo con tutta
una serie di prescrizioni che riguardavano tra l’altro il fatto che si
organizzassero i cantieri, che si mitigassero tutta una serie di impatti
eccetera e che per quanto riguardava le gallerie si procedesse ad accompagnare
i lavori con questo monitoraggio, con certe tecniche e con certi metodi. Questo
per precisione. Secondo, la competenza, io non voglio fare la burocrate che scarica
sugli altri, ma siamo…
Giudice - No, sono qui per capirla, nessuno (inc.).
... ma
quella resta ferma. Non risponde e scarica sulle Regioni....
Teste Pera -
Siamo nel
1996, quando si iniziano i lavori, quando comunque si firma l’accordo
procedimentale è il 95, chi ha la pazienza di leggere le premesse vedrà che
l’accordo procedimentale viene a valle di un accordo tra le due Regioni,
ciascuna Regione con i Ministeri e con la TAV, perché siamo in un’epoca in cui
le Regioni rivendicavano a gran voce la propria competenza in materia
ambientale e avevano al Ministero magari anche un po’… no, dice: e questi cosa
vogliono? Ok? E quindi l’intervento in caso di una situazione ambientalmente
estremamente critica, prima del Ministero doveva farla la Regione.
Giudice - Ho capito. Io la ringrazio di essere venuta, abbiamo esaurito.
Peccato non
sia esattamente così. Peccato che il Ministero sarebbe potuto e dovuto
intervenire. Non c’è altro da aggiungere.
OMESSO
CONTROLLO
In conclusione non resta purtroppo che prendere atto
della circostanza che Ministero e Regione hanno di
fatto abdicato alle loro funzioni e prerogative pubbliche, delegandole ad
un privato. Ed il privato se non è regimato e controllato agisce da quello che
è, per fare ciò che deve fare, ma secondo le sue regole, non quelle pubbliche.
Eppure è proprio questo il rischio che si corre quando la P.A. abdica alla sue
proprie funzioni e prerogative delegandole ad un privato. Il rischio che lo
stato di diritto si degradi. Ed è
quello che è successo nel nostro caso.
La cosa si rende palese basti che si legga l’interrogatorio di Guagnozzi.
L’ing. Guagnozzi racconta la storia dell’AV dalla sua parte.
Imputato Guagnozzi - “… Io purtroppo le ricordo tutte, perché le ho vissute tutte io queste
vicende. È stato uno dei primi impianti pilota sperimentali di quel tipo lì che
sono stati fatti e poi è stato dato in carico a qualcun altro, è stato fatto,
ho sentito (inc.) che ce l'ha raccontato l'altra volta (inc.), io poi non le ho
più vissute queste cose. Però sostanzialmente la filosofia è che se si sapeva a
priori questa vicenda, ci si poneva rimedio immediatamente prima. La verifica si
faceva durante i lavori, se la necessità avveniva o non avveniva. Quindi si
facevano interventi mirati per la necessità. Ovviamente in questo quadro così
articolato non si poteva non tener conto delle necessità quotidiane delle quali
TAV si era fatto carico di evitarne gli effetti, quindi quello di andare ad
approvvigionare il Tizio, il Caio, mi manca l'acqua qui, mi manca la storia lì,
e di quella lei si è presa carico e ha girato a noi. Noi abbiamo dato
disposizione ai cantieri di andare immediatamente a sopperire alle richieste.
Poi dopo si vedeva l'attribuzione, i fatti, eccetera. Poi fintanto che a un
certo momento la vicenda è stata abbastanza contenuta, i cantieri andavano in
via libera, poi decidevano porto l'autobotte, tiro giù un tubo di plastica e li
collego, metto, voglio dire, un serbatoio lì, ogni tanto... Poi abbiamo sentito
che si facevano ricaricare anche i pozzi che nel frattempo dicevano essere
impattati e poi invece li usavano come cisterne, quindi non (inc.) non poteva
essere bucata, altrimenti alla fine era una cisterna inutile. Questo è un po'
il quadro operativo nel quale ci siamo mossi. Ovviamente poi è accaduto che
strada facendo sono state contestate al CAVET o a TAV in modo improprio,
proprio, con una miriade di cose che alla fin fine si sono accavallate senza
una certa titolarità o un'attribuzione, tutta una serie di fatti e fenomeni che
oggi stiamo discutendo. A mio avviso erano tutti abbastanza chiari, perché
questa galleria drenante... Non si può pensare che si fa un buco nella montagna
con la galleria drenante e poi si dica che non era preventivato. Io mi
ricordo tantissime riunioni fatte poi successivamente, come direttore tecnico,
sul territorio, dove partecipava (inc.), l'amministrazione delegato di TAV ogni
tre mesi, con le comunità montane, con le amministrazioni, si andava a
Scarperia, si andava a San (inc.), riunioni collegiali, tutti quanti, tutti
parlavano dei propri problemi, questo per loro non era un problema. Altrimenti
che lo dicevano, l'amministratore delegato di TAV, che era colui che avveniva
lì apposto per la titolarità, per rispondere come persona diretta, poi dava
operativamente a noi l'onere di andare a sistemare le situazioni, ovvero di
sopperire. Poi se era preventivato, se era nel nostro contratto si faceva,
altrimenti mandava avanti una perizia di variante per una nuova attività, loro
approvavano, non approvavano, ci imponevano, non imponevano, in quel momento
poi scattavano altre vicende contrattuali, perché l'imposizione magari non
corrispondeva alla nostra richiesta, allora diventava... Insomma fa parte di
quel coacervo delle riserve che tutto sommato contrattualmente parte sono lì,
parte... Questa è la gestione contrattuale corrente. Questa credo che sia...”.
E dal suo punto di vista lo si può anche capire. Non condividere, non
giustificare, ma capire. Infatti non si può certo pensare di parlare di
quali debbano essere i corretti rapporti stato/cittadino in uno stato di
diritto con un ingegnere che crede di essere investito di tutti i poteri
speciali per adempiere alla missione conferitagli di fare un buco di 70 e passa
chilometri dentro una montagna per farci passare un treno.
Ma si può
pensare di chiedere a quell’ingegnere delle sorgenti di Fonte Mezzina o
Alicelle o andargli a parlare dei pozzi di quelli che stanno a Paterno? Cosa ci
si aspetta che ti risponda? Al massimo, se è in giornata buona e non ha altri
pensieri per lui più gravi in testa, potrà dire che manderà un’autobotte,
giusto per fare un piacere.
Questo può
rispondere.
Ma uno stato
di diritto è tale se pretende da tutti il rispetto delle regole anche per una
sola sorgente sia che si chiami Fonte Mezzina o Alicelle.
E questa è
la base delle censure all’operato del Ministero e della Regione.
Le censure
sono quelle di aver lasciato i cittadini che subivano gli impatti da soli a
ragionare con gli ingegneri delle loro sorgente, dei loro pozzi.
Sono quelle
di non aver voluto ascoltare chi chiedeva approfondimenti, chi raccomandava
cautele, di non aver ascoltato i propri tecnici più accorti, di aver omesso di
controllare, di non aver preso atto in corso d’opera che si stava realizzando
un qualcosa con effetti diversi e più gravi di quelli che sin dall’inizio si
era voluto minimizzare.
Sono quelle di
aver opposto un muro di gomma alle censure motivate delle associazioni
ambientaliste.
Teste Annigoni Benedetto - No, questo veniva fuori dalle previsioni del
progetto.
Pubblico Ministero - Dal progetto.
Teste Annigoni Benedetto - Cioè, il progetto prevedeva un impatto
nell'ambito di 300 metri. In realtà siamo arrivati a 4 chilometri assicurati.
Pubblico
Ministero - Ecco, quindi alle vostre
segnalazioni puntuali, per esempio, su questo punto, avete avuto risposte? Nel
senso, siete stati interpellati, o avete preso atto, o avete... siete stati in
grado di verificare che sia mutato qualcosa a seguito di queste vostre
iniziative o era rimasto tutto uguale...
Teste Annigoni Benedetto - Assolutamente no. L'unica cosa che abbiamo potuto
ottenere, grazie all'interessamento del sindaco di Borgo San Lorenzo, allora
Antonio Margheri, è stato l'accesso alla galleria quando si verificò il massimo
impatto. Cioè, quando uscirono centinaia di litri il secondo. Lì pote...
Pubblico Ministero - Sta facendo... scusi, sta facendo riferimento a
Marzano?
Teste Annigoni Benedetto - Sì. Sì. Lì avemmo l'occasione col sindaco di Borgo
San Lorenzo e altre associazioni ambientaliste di accedere direttamente alla
galleria e di vedere quello che stava succedendo. Questa è stata l'unica
esperienza diretta avuta. Per il resto, il fatto stesso che noi abbiamo auto
a che fare soprattutto con la stampa, con i comitati locali, con la
Magistratura, è la prova evidente che l'interlocutore istituzionale non ha dato
risposte.
Pubblico Ministero - Quindi lei mi dice che, nonostante queste
segnalazioni... allora, non generiche, ormai non più di preoccupazioni
sull'opera, come si diceva, quel dibattito iniziale, ma diciamo fondato su
carte, su documenti, su fogli. Quindi su questioni puntuali e precise, quindi
al di là... anche in questo caso non avete avuto risposte.
Teste Annigoni Benedetto - Non abbiamo avuto risposte.
Pubblico Ministero - Ecco, però... Allora mi faccia capire, così
almeno... Ma il tipo di risposte che avevate prima con queste segnalazioni,
tanto formali, o informali, perché credo che risposte scritte con carta e penna
forse siano poche. Magari in questi incontri che diceva invece col sindaco, a
Casa d'Erci... qualcosa ci s'era scambiati. Il tipo di atteggiamento, il tipo
di risposte, più che d'atteggiamento, risposte che avete avuto, era nel senso:
'no, le vostre preoccupazioni sono campate in aria', oppure, 'no, non è vero
nulla', oppure: 'vedremo, faremo...' Cioè, com'era...
Teste Annigoni Benedetto - Ma direi che fondamentalmente sono state ignorate.
Cioè, noi via via che le cose avanzavano, avanzavamo anche delle proposte
concrete. Per esempio, avendo di dimostrato l'evidenza che la valutazione
d'impatto ambientale all'origine era carente, e visto che si verificava ciò che
noi avevamo ampiamente denunciato, cioè vale a dire un impatto estremamente
grave sulle risorse idrogeologiche, abbiamo chiesto che venisse fermato i
lavori. Abbiamo chiesto che venisse fatto un nuovo... una nuova valutazione di
impatto ambientale anche avvalendosi di tecnici di validità e di portata
europea. Abbiamo chiesto che certe tecniche di scavo fossero abbandonate. Cioè,
è chiaro che se si fanno delle gallerie drenanti progettate come drenanti,
cioè, è molto difficile nel momento in cui si ha una fuoriuscita d'acqua
bloccarla, no? quindi chiedevamo che cambiassero le tecniche di scavo.
Chiedevamo che le gallerie venissero impermeabilizzate. Cioè, avanzavamo di
volta in volta una serie di richieste. Alle quali non è stato dato risposte.
Avvocato Difesa - Questa marginalità della previsione lei da che cosa l'ha ricavata nel
rapporto con le istituzioni?
Teste Annigoni Benedetto - Ma perché alla conferenza dei servizi, quando furono
distribuiti ai Comuni che andavano a firmare una parte almeno della
documentazione relativa al progetto e noi abbiamo avuto occasione, almeno in
parte di accedere a queste carte, si vedeva come la valutazione per quanto
riguardava l'impatto sulle risorse idriche, non fosse sufficientemente
approfondita, soprattutto dato la natura del territorio che doveva essere...
Ed in questo senso, con riferimento a Ministero e Regione è meno
temeraria l’affermazione del prof. Celico del “tutti sapevano tutto”.
TRASMISSIONE
ATTI CORTE DEI CONTI
Ed allora
che fare, oggi?
Cosa rispondere al Sindaco Mascherini che già nel 2000 si poneva la
seguente questione non solo per Moscheta e Casa d’Erci che ricadono nel suo
territorio, ma per tutta la parte di Mugello interessata ai lavori dell’A.V.?
Mascherini - Quindi il problema di chi paga questo danno ambientale credo che si ponga
anche in riferimento alla legge nazionale di tutela delle risorse idriche.
Questo è un problema che penso se la Regione lo vuole affrontare, non lo può
affrontare solo per Casa d'Erci ma lo dovrebbe affrontare su tutta la tratta
perché cosi si è verificato su tutta la tratta.
Noi possiamo solo rispondere che questo processo ha fatto emergere che
Ministero e Regione potevano e dovevano sapere prima quello che sarebbe
successo e poi ciò che è accaduto davvero.
Ha fatto
emergere che Ministero e Regione avrebbero dovuto anche voler sapere ciò che stava
accadendo e prevenirlo, e ciò controllando l’operato di CAVET, per evitare i
danni, tutelare i cittadini ed il paesaggio.
Sotto questo
ultimo aspetto, quello della doverosità della tutela del paesaggio da parte
dello Stato e della Regione, si rimanda alla più recente sentenza della Corte
Costituzionale 367/2007 che ha ribadito come il paesaggio sia un valore non
solo “primario”, ma anche “assoluto”, “se si tiene presente che il paesaggio
indica essenzialmente l'ambiente”.
Interessante
notare come la sentenza della Corte sia conseguente ad un ricorso proprio della
Regione Toscana che, tra l’altro, si
lamentava come l’attuale normativa statale vigente le precluda la possibilità
di «individuare
con il piano paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista
paesaggistico». La Corte ha invece
ribadito che “l'oggetto tutelato non è il concetto astratto delle “bellezze
naturali”, ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che
presentano valore paesaggistico” ovvero “lo stesso aspetto del territorio, per
i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore
costituzionale”.
Leggiamo un estratto significativo della sentenza:
“Come si è venuto progressivamente chiarendo già
prima della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, il concetto di paesaggio indica,
innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo
aspetto visivo. Ed è per questo che l'art. 9 della Costituzione ha sancito il
principio fondamentale della “tutela del paesaggio” senza alcun'altra
specificazione. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i
contenuti ambientali e culturali che
contiene, che è di per sé un valore costituzionale.
Si tratta peraltro di un valore “primario”, come ha già da tempo
precisato questa Corte (sentenza n. 151 del 1986; ma vedi anche sentenze n. 182
e n. 183 del 2006), ed anche “assoluto”, se si tiene presente che il
paesaggio indica essenzialmente l'ambiente (sentenza n. 641 del 1987).
L'oggetto tutelato non è il concetto astratto delle
“bellezze naturali”, ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro
composizioni, che presentano valore paesaggistico.
Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli
concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in
via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la
valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che
sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni.
La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un
bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un
valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello
Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri
interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in
materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e
ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi
pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato,
e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni.
Si tratta di due tipi di
tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente
restare distinti. E in proposito la legislazione statale ha fatto ricorso, ai
sensi dell'art. 118 della Costituzione, proprio a forme di coordinamento e di
intesa in questa materia, ed ha affidato alle Regioni il compito di redigere i
piani paesaggistici, ovvero i piani territoriali aventi valenza di tutela
ambientale, con l'osservanza delle norme di tutela paesaggistica poste dallo
Stato. In particolare, l'art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, novellato
dall'art. 13 del d.lgs. n. 157 del 2006, ha previsto la possibilità, per le
Regioni, di stipulare intese con il Ministero per i beni culturali ed
ambientali e con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per
«l'elaborazione congiunta dei piani paesaggistici», precisando che il contenuto
del piano elaborato congiuntamente forma oggetto di apposito accordo
preliminare e che lo stesso è poi «approvato con provvedimento regionale».
In buona sostanza, la tutela del
paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione
nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici,
redatti dalle Regioni.
In questo stato di cose, la Regione Toscana non può
certo lamentarsi di non poter statuire d'intesa l'individuazione dei beni da
tutelare ed il regime di tutela, in quanto incidenti su competenze regionali.
Come sopra si è chiarito, le competenze regionali non concernono le specifiche
modalità della tutela dei beni paesaggistici (rimessa alla competenza esclusiva
dello Stato), ma la concreta individuazione e la collocazione di questi ultimi
nei piani territoriali o paesaggistici.
Quanto alla reintroduzione
nel Codice dei beni culturali e del paesaggio della tipologia dei beni
paesaggistici previsti dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito,
con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, si deve inoltre
sottolineare che detta legge ha dato attuazione al disposto del citato articolo
9 della Costituzione, poiché la prima disciplina che esige il principio
fondamentale della tutela del paesaggio è quella che concerne la conservazione
della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali.
Alla luce di quanto detto cade anche l'altra censura
della Regione Toscana, secondo la quale non le dovrebbe essere preclusa la
possibilità di «individuare con il piano paesaggistico i corsi d'acqua
irrilevanti dal punto di vista paesaggistico»”.
Purtroppo
abbiamo visto in questo processo come non siano stati rispettati tali principi.
Per tutto
quanto detto riteniamo quindi che Ministero e Regione non abbiano svolto questa
loro funzione di tutela, e si ricordi che la
funzione è proprio l’espressione da parte della P.A. non solo di un potere, ma
anche, e forse soprattutto, un dovere.
Per questo rimettiamo al giudice di valutare se rimettere con sentenza
gli atti alla Corte dei Conti ai sensi dell’art. 129 III comma c.p.p. con
riferimento all’operato del Ministero dell’Ambiente e della Regione Toscana
qualora si ravvisi come questa Procura ravvisi un caso in cui si è cagionato un
danno erariale.