Associazione di volontariato Idra

iscritta al Registro Regionale del Volontariato della Toscana per la promozione e la tutela del patrimonio ambientale e culturale

indirizzo postale:  Via Giano della Bella, 7  -  50124 FIRENZE;  e-mail  idrafir@tin.it

Tel. e fax  055.233.76.65;  Tel.  055.48.03.22, 320.16.18.105

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sede:  Via Vittorio Emanuele II, 135  -  50134 FIRENZE

per il sostegno: conto corrente postale n. 26619502, intestato all'Associazione di volontariato Idra, Via Vittorio Emanuele II 135, 50134 FIRENZE

 

 

Indice

 

Presentazione

 

Stralcio n. 1  -  Di chi è l’acqua?

Stralcio n. 2  -  “Tutti sapevano tutto”

Stralcio n. 3  -  La qualità dei progetti

Stralcio n. 4  -  “Le parti civili non sono patrioti, sono disfattisti”

Stralcio n. 5  -  “Stai attento quando torni a casa, potresti cadere in una buca”

Stralcio n. 6  -  Il subpappaltatore se ne va: il progetto non funziona

Stralcio n. 7  -   Nessuno ha il coraggio di togliere quei cartelli...

Stralcio n. 8 – Le associazioni hanno fatto valere i loro diritti? Sono rimbalzate...

Stralcio n. 9 - "Progresso, modernità? Solo ordinari esercizi di potere ed arroganza"

Stralcio n. 10 - “Mi sembrava l’allenatore Bo?kov: «Rigore è quando arbitro fischia». Qui «danno è quando TAV paga»”.

Stralcio n. 11 – Non è un’autorizzazione, è un “vedremo”. «Vedendo, facendo», dicono in Calabria.

Stralcio n. 12 - Nel nostro Paese i beni pubblici alla fine sono di chi se li prende

Stralcio n. 13 - Qui si riesce nella sintesi, nella summa: male, tempi infiniti. Quindi con tutti i danni e basta.

Stralcio n. 14 – CAVET? Tempi e costi garantiti...

Stralcio n. 15 – Si poteva e ci si doveva fermare

Stralcio n. 16 – L’acqua, un bene sempre più scarso: una prova a difesa o un’aggravante?

Stralcio n. 17 – Geologia creativa: l’abbassamento di falda sarà transitorio...

Stralcio n. 18 - “Un giorno qualunque, in galleria si va a 20 all’ora e con i tergicristalli

Stralcio n. 19 – “Si vorrebbe spiegare ad uno com’è fatta casa sua”

Stralcio n. 20 - “Il solo senso civico in Italia non solo non paga, ma ti ci fa rimettere”

Stralcio n. 21 – “Un progetto che viola uno dei princìpi del Trattato della Comunità Europea”

Stralcio n. 22 - “Io sono sempre senz'acqua. E il contatore gira anche con l'aria.”

Stralcio n. 23 - “I cittadini danneggiati sono stati messi di fronte al fatto compiuto

Stralcio n. 24 – “Le associazioni ambientaliste? Cassandre!”

Stralcio n. 25 – “I Comuni sono stati «un po’ truffati»

Stralcio n. 26 – Danno erariale ipotizzato a carico di Regione Toscana e Ministero dell’Ambiente

 

 

GUAI TAV IN PILLOLE

 

 

Con Idra un appuntamento informativo speciale: la poderosa requisitoria che i Pubblici Ministeri Gianni Tei e Giulio Monferini hanno pronunciato al processo in corso presso il Tribunale di Firenze a carico dei costruttori della TAV fra Firenze e Bologna. Un processo di prima grandezza per quantità di imputati, tipologie di reati contestati, cifre relative ai danni ambientali documentati, proscenio e backstage di protagonisti, comprimari, spalle e comparse. Iniziato il 23 febbraio 2004, dopo anni di indagini e il provvedimento di sequestro di un cantiere, sette cave e otto depositi del 23 giugno 2001, il processo ha ricevuto una copertura mediatica che sarebbe eufemistico definire mediocre. Il volume degli affari e il pedigree degli interessi coinvolti nella “grande opera” spiega senza bisogno di dietrologie questa distrazione di fondo. Entro il 2008 è attesa la sentenza.

 

L’associazione Idra, iscritta al Registro regionale del volontariato della Toscana, che si è costituita parte civile dopo aver portato un proprio contributo documentale al procedimento attraverso esposti e segnalazioni, desidera accompagnare questa fase finale che precede la sentenza con la pubblicazione - a puntate - di stralci della requisitoria che ha evidenziato le precise responsabilità degli imputati  di cui viene chiesta la condanna per i danni ambientali. E' importante infatti che l'opinione pubblica possa avere accesso almeno attraverso internet – se i grandi media rinunciano, come sembrano rinunciare, a garantire piena informazione – ad alcuni passaggi particolarmente pregnanti dell’analisi svolta dall’accusa. Sotto i riflettori del procedimento sono infatti non soltanto somme cospicue del bilancio pubblico nazionale, beni ambientali rari e risorse territoriali preziose, ma anche valori fondanti della nostra democrazia, della nostra stessa civiltà giuridica. Il PM  ha saputo mettere il dito nelle piaghe del modello TAV con grande efficacia comunicativa, e Idra ha considerato che sarebbe davvero un perdita per tutti se i dati, le circostanze, le testimonianze e le argomentazioni che fanno parte della rete di riflessioni da cui il PM deduce le proprie richieste di condanna restassero appannaggio dei soli presenti nell’aula del Tribunale, e dei pochi cultori che volessero accedere a quegli atti.

 

Vengono utilizzati, nel confezionamento degli stralci, i testi delle trascrizioni fornite alle parti civili dalla Cancelleria del Tribunale, integrati e sostituiti - ove appaia necessario o opportuno - dai corrispondenti passaggi della memoria depositata dal PM. Là dove sia utile al lettore, i testi sono accompagnati da integrazioni informative a cura della nostra Associazione in forma di nota ndr. Anche dei titoli e dei grassetti è responsabile l’Associazione. Ancorché non richiesto, ma per una doverosa forma di rispetto nei loro confronti, Idra sostituisce ciascun nome delle parti civili via via menzionate nel testo con una coppia di maiuscole, priva di nesso con le iniziali della parte civile stessa.

 

Buona lettura. E che possa servire a tutti noi a evitarci un futuro del genere!

 

 

Aggiornamento 2.1.’09

 

Questa carrellata di citazioni dalle requisitorie al processo l’abbiamo iniziata il 5 settembre scorso, prevedendo la sentenza entro il 2008.

Ma i tempi del procedimento si sono leggermente allungati.

Del resto, le esperienze riportate dai PM, gli approfondimenti condotti, le analisi svolte, le conclusioni tratte, ci sembrano di tale rilievo per l’intera  nazione da meritare ogni possibile supplemento di attenzione, tenuto conto anche della straordinaria latitanza della maggior parte dei grandi mezzi di informazione al riguardo.

Abbiamo pensato quindi di continuare a proporvi nuovi stralci almeno fino ad esaurire, nelle prossime settimane, i contenuti a nostro avviso più significativi della prima requisitoria.

In attesa, giustappunto, della sentenza.

Buona lettura.

 

 

Aggiornamento 20.2.’09

 

È stata annunciata per il prossimo 3 marzo 2009 la sentenza del Tribunale di Firenze chiamato a pronunciarsi sulle pesanti e circostanziate imputazioni di danno ambientale, e reati connessi, che la Procura di Firenze ha formulato dopo il sequestro di un cantiere, sette cave e otto depositi a servizio della costruzione della linea TAV Firenze-Bologna nel giugno 2001.

Il mega-processo penale è iniziato a febbraio 2004 e si conclude quando ancora la “grande opera” non è terminata. La cantierizzazione della TAV fra Firenze e Bologna era stata avviata a luglio 1996. I “supertreni” avrebbero dovuto sfrecciare fra i due capoluoghi regionali già nel 2003: adesso sono annunciati per dicembre 2009. Da 6,5 a 13 anni: un ritardo nei tempi di consegna di almeno il 100%.

Se mai partiranno, poi, quei convogli viaggeranno per 60 km sottoterra senza il conforto di un tunnel parallelo di sicurezza: in una galleria progettata per i 300 km/h i treni TAV sono destinati a incrociarsi dentro lo stesso tubo di cemento senza vie di fuga fra una “finestra” e l’altra. Ai documenti ufficiali dei Vigili del Fuoco si sono aggiunte recentemente le dichiarazioni degli stessi costruttori (a Exit, La7, il 19 novembre 2008, minuto 29:00): in caso di incidente, deragliamento o collisione, vigerà l'obbligo di esodo in auto-soccorso! In uno scenario che ci possiamo solo immaginare, i contusi, feriti o moribondi dovrebbero raggiungere a piedi da soli, dunque, una discenderia che potrà essere lontana anche due km e mezzo...

I costi? Cresciuti almeno del 400%: da 2100 mld di vecchie lire (annunciati ma mai concretizzati come investimenti privati per una quota del 60%) sono passati a oltre 10.000 integralmente pubblici (ma il dato è molto vecchio, e il sito TAV che dava qualche informazione di massima è stato chiuso da un pezzo). L’Europa ha doverosamente costretto a far emergere nei bilanci pubblici del nostro Paese questo straordinario “buco TAV”, prima accortamente nascosto, accumulatosi all'ombra di un'architettura contrattuale quanto meno discutibile.

Un’opera, la TAV sotto l’Appennino, così “storica” e invidiata dal mondo che per quasi due anni i costruttori hanno dovuto lavorare in Mugello a minare e ricostruire circa duemila metri di galleria appena realizzata... Mai visti i documenti che attestano chi paga anche questo e tutti gli altri ‘imprevisti’. Vista, invece, la Risoluzione dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, che recita testualmente: I maggiori oneri economici dovuti a carenze progettuali evidenziate da imprese terze e attestate da sentenza del giudice ordinario, sono stati sostanzialmente riversati su TAV con la contrattualizzazione di varianti e la definizione di riserve nell‘ambito degli accordi bonari”.

A carico dell’ambiente (uno dei più incontaminati della Regione Toscana, oggetto di tutela speciale per effetto della normativa europea) danni reiterati: impattate 73 sorgenti, 45 pozzi, 5 acquedotti, 20 fiumi, torrenti e fossi. Acque drenate dalle falde: “non meno di 150 milioni di metri cubi di acqua nel territorio della Comunità Montana del Mugello”. Secondo l’accusa, “il danno meramente economico provocato sulle risorse idriche è di oltre 110 milioni di euro” e “il danno ambientale viene individuato nel suo valore più attendibile in misura pari a circa 741 milioni di euro.

 

Prosegue intanto la pubblicazione di stralci della requisitoria dei PM.

 

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 1]

 

 

“DI CHI È, A CHI APPARTIENE L’ACQUA?

LA DOMANDA, NELLA SUA BANALITÀ, HA IMPLICAZIONI ENORMI, PERCHÉ NON È INDIFFERENTE SE SI DICE CHE È DI TUTTI, È DI NESSUNO, È DI CHI SE LA PRENDE”.

 

 

Purtroppo non potrò essere breve, anche a volere: anzi, dopo tre anni di dibattimento e tre anni d’indagine, siamo alla fine di questo impegnativo processo. Solo una premessa: chi mi conosce sa che non sono retorico, non cerco piaggeria o quant’altro. Però [...] proprio perché non è retorica, ed è una cosa sentita,vorrei iniziare con il ringraziamento alle difese ed agli imputati per la correttezza. Spero che siano stati contraccambiati. [...] Abbiamo un dato oggettivo, lo può testimoniare il Giudice, i verbali. [...] È stato possibile celebrare un processo regolarmente, in modo lineare, nel rispetto dei ruoli, ognuno ha fatto il suo, che però di questi tempi mi pare un segno di assoluta civiltà e di cui volevo dare atto. Ripeto, non è retorica.

Detto questo, visto che ci siamo detti che siamo bravi, belli, buoni, cominciamo subito a litigare.

 

C’è un’affermazione che mi ha dato noia, cioè proprio pregiudiziale, che in questo processo è riecheggiata dalle difese: di un processo ideologico. Voglio dire, non c’è nulla contro le ideologie, ma l’ideologia in un processo sì, perché l’ideologia in un processo richiama sempre a tesi preconcette, a teoremi. [...] Mi dà noia l’ideologia perché chiaramente [...] è come se ci fosse un a priori, un essere qualcosa contro qualcuno, e qualcosa a prescindere.

 

E qui chiaramente devo dire qualcosa. E parto da due cose banali.

 

La prima, che non è vero, e sfido chiunque a trovare negli atti di indagine il fatto che la Procura si sia lasciata andare a congetture, idee e quant’altro. Qui si processano persone, fatti, condotte e quant’altro.

 

È all’opposto invece. Rigiro la questione. Non è affatto un processo ideologico, ma un processo che io definisco necessario, proprio nell’accezione letterale del termine. Quella per cui è un processo dovuto, insopprimibile, capace di una forza tale da autoimporsi. Cioè un processo che non si poteva non fare. E perché dico questo? Oltretutto perché una Procura ha una funzione pubblica, è un soggetto [...] investito di una pubblica funzione. Non so quanti chili di prosciutto si sarebbe dovuto mettere sugli occhi per non vedere e non darsi carico di un evento come quello che si stava realizzando nel Mugello. Zona di pregio ambientale, ma dove si stavano verificando tutta una serie di fatti tali da alterare e stravolgere, se non talvolta proprio distruggere, le condizioni di vita preesistenti, non solo di singoli, ma di intere comunità e cittadine. E quindi era necessario, ed a questo punto anche doveroso per la Procura, perché non si poteva esimere dal compito di verificare la verità delle innumerevoli denunce che arrivavano. [...]

 

Necessario e, sotto un certo punto di vista, assolutamente moderno –– nel senso proprio della parola, ovvero di un processo dei nostri giorni - in quanto un processo coerente con la realizzazione di uno Stato a sua volta moderno - questa volta nel senso di ultimo approdo di un processo evolutivo positivo, ovvero di progresso - laddove questo Stato moderno lo si voglia identificare - come crediamo lo si possa fare in modo del tutto condiviso - in uno Stato al tempo stesso efficiente e rispettoso dei diritti dei cittadini, nell’ambito del quale ognuno è chiamato ad assumersi la responsabilità delle proprie competenze e del proprio operato e risponderne di conseguenza, affinché sia esigibile da ciascuno di noi di dare il meglio di sé per il conseguimento del bene comune. Quindi è un processo moderno, perché la verifica di questo comportamento è compito della Procura.

 

E diciamo che è un processo moderno perché destinato a dare risposte che solo nell’anno 1999, quando abbiamo cominciato le indagini, non avrebbero avuto forse l’importanza di oggi. Forse chi aveva più sensibilità già le poteva prevedere, ma [...] oggi [...] sembrano, dopo nove anni, un pochino più evidenti e più eclatanti.

 

La decisione che il Giudice prenderà su questo processo in qualche modo risponderà indirettamente a queste domande. La prima è: di chi è, a chi appartiene l’acqua?

 

La domanda, nella sua banalità, ha implicazioni enormi, perché non è indifferente se si dice che è di tutti, è di nessuno, è di chi se la prende.

 

Dove finisce l’ambito di responsabilità della Pubblica Amministrazione  e dove comincia quello del privato nella gestione dei servizi pubblici e nella realizzazione di opere pubbliche in tempi come questi di  privatizzazioni, caduta dei monopoli, libera concorrenza, mercati unici, ecc. ecc.? Quali sono le regole che si devono correttamente applicare nei rapporti pubblico/privato per discriminare le rispettive responsabilità ? 

Domanda le cui risposte non attengono alla sociologia ma allo stretto diritto, e più precisamente proprio a quello che è, e sempre più sarà, il “diritto amministrativo moderno”.

Non è che noi ora poniamo queste domande per fare una sociologia da strapazzo che non ci compete. No. Noi qui si fa un processo e quindi parleremo solo e soltanto di diritto. Ed è carino perché, proprio a vedere l’evoluzione dei tempi, queste cose di cui andremo a dire sono oggetto di una materia, oggi, proprio all’Università, che ai miei tempi non c’era. [...]. Si chiama “Economia aziendale”. È alla Facoltà di Giurisprudenza. Materia che definisce e studia concetti come “esternalità negative”, la cd. teoria della “cattura”, il concetto di “asimmetria informativa”. Concetti e nozioni indispensabili per essere pienamente consapevoli di cosa ci siamo occupati in questo processo e poter evitare che fatti analoghi si ripetano in futuro.

 

Concetti solo, ora, chiamati per nome, ma che richiameremo e spiegheremo più in dettaglio al momento opportuno.

 

Questa premessa per dire che nessuno nell’Ufficio della Procura della Repubblica di Firenze - e trattasi di affermazione da ritenersi scontata perché non può darsi il contrario - ha ritenuto di potere e dovere sindacare il progetto dell’Alta velocità oggi rinominata più modestamente Alta capacità.

 

Detto questo, e riconfermato dunque il rispetto del principio della separazione dei poteri che preclude la sindacabilità delle scelte operate dalle amministrazioni pubbliche preposte al funzionamento dello Stato, si deve al contempo ribadire che è compito proprio e precipuo della magistratura verificare il rispetto delle norme penali, specialmente laddove è esigibile il massimo della correttezza quale può essere il contesto di una esecuzione di un’opera di primaria importanza per il complessivo buon funzionamento del cd. Sistema Italia. E quindi questo processo è tutto fuori che un’astrazione, è tutto fuori che un a priori, non è per niente qualcosa di ideologico, ma è un processo a persone ben identificate per precipue condotte che hanno cagionato eventi specifici, che è il proprio, che è l’essenza del diritto penale: condotta, elemento soggettivo, evento.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 2]

 

 

«TUTTI SAPEVANO TUTTO» [...].

L’UFFICIO DI PROCURA NON SI È MAI NASCOSTO IL PROBLEMA SE GLI ODIERNI IMPUTATI SIANO STATI LORO E SOLTANTO LORO I RESPONSABILI DI QUELLO CHE È AVVENUTO. [...]  FU GIÀ DETTO NEL CORSO DELL’UDIENZA PRELIMINARE COME DAL FATTO CHE GLI IMPUTATI FOSSERO NUMERICAMENTE MOLTI NON SI POTESSE DESUMERE NECESSARIAMENTE CHE FOSSERO “TUTTI”, E QUINDI CHE NON VI POTESSERO ESSERE STATI ANCHE ALTRI SOGGETTI CHE AVESSERO CONCORSO NEI FATTI CONTESTATI. ED È CHIARO IL RIFERIMENTO AI SOGGETTI PUBBLICI CHE HANNO GOVERNATO L’APPROVAZIONE DELL’OPERA ED I CONTROLLI IN FASE DI ESECUZIONE”.

 

 

Cominciamo dagli imputati.

Poi ci torneremo, sugli imputati, ma sempre per dare conto.

Perché credo che una Procura, un Pubblico Ministero, quando manda qualcuno a giudizio, tra le varie cose che deve fare, gliene deve rendere conto. Deve spiegare. Poi a sua volta sarebbe carino che l’imputato spiegasse. Però noi rendiamo conto agli imputati perché oggi sono qua e perché sono quelli che abbiamo individuato.

 

Allora, anticipo: gran parte dei soggetti fanno parte del Consorzio CAVET. Gli imputati di fatto sono stati individuati tra i soggetti incaricati della materiale esecuzione dell’opera. Più precisamente sono i soggetti individuati tra quelli che, pur facenti parte di coloro incaricati delle mera esecuzione dell’opera, hanno a loro volta avuto un potere decisorio in materia o una concreta e diretta capacità di incidere su quelle che sono state poi le definitive determinazioni nel corso dell’esecuzione dell’opera stessa o un potere di qualificata responsabilità tecnica nella esecuzione del progetto.

Ricordiamo infatti i soggetti ed i ruoli da questi svolti nell’esecuzione delle tratta Firenze Bologna.

Il soggetto pubblico concedente è Ferrovie dello Stato.

TAV è il soggetto concessionario non avendo le Ferrovie indetto alcuna gara di aggiudicazione né europea ne’ di diritto interno, ma avendo utilizzato il sistema delle concessioni allora vigente.

Ad ITALFERR viene attribuita una non mai bene chiarita “Alta Sorveglianza”.

TAV individua come “General Contractor”, ovverosia come interlocutore contrattuale concessionario dell’opera, FIAT, cui affida la Direzione lavori.

FIAT per l’esecuzione materiale delle opere individua un Consorzio di imprese, denominato CAVET, a sua volta costituito da grandi imprese quali Impregilo, la CMC, la Fiat Engeneering, e gli affida l’esecuzione dell’opera.

 

Chiaramente la domanda a cui si deve rispondere è: perché gli imputati sono stati individuati prettamente, principalmente, anche numericamente, nei soggetti appartenenti al consorzio CAVET incaricato dell’esecuzione dell’opera?

La risposta è semplice. Chi altri? E in ogni caso, sicuramente loro che sono sicuramente gli esecutori materiali dei danni e pertanto devono essere chiamati a rispondere del loro operato.

E’ CAVET che ha redatto il progetto esecutivo.

E’ CAVET cui è stata affidata la realizzazione dell’opera.

CAVET era in prima linea nei cantieri e disponeva di tutti i dati, le informazioni, le risorse tecniche e umane per prevenire e non cagionare i danni procurati e, in estremo subordine, il dovere di attivare gli iter procedurali per conseguire le debite autorizzazioni per fare ciò che ha fatto. Ammesso e non concesso che le avrebbe ottenute.

 

Altro discorso se poi di imputati ce ne dovessero essere altri diversi ed ulteriori a quelli qui chiamati in giudizio.

L’Ufficio di Procura non si è mai nascosta il problema se gli odierni imputati siano stati loro e soltanto loro i responsabili di quello che è avvenuto.

Fu già detto nel corso dell’udienza preliminare come dal fatto che gli imputati fossero numericamente molti non si potesse desumere necessariamente che fossero “tutti”, e quindi che non vi potessero essere stati anche altri soggetti che avessero concorso nei fatti contestati. Ed è chiaro il riferimento ai soggetti pubblici che hanno governato l’approvazione dell’opera ed i controlli in fase di esecuzione. Non siamo ad una festa privata a numero ristretto, ad inviti. Eravamo aperti a qualunque sbocco che avesse un supporto probatorio.

E che la Procura anche durante il corso del dibattimento abbia indagato - nel senso di sondare facendo tutte le domande necessarie a chi si è seduto sul banco come testimone o imputato - se vi fossero altri soggetti ulteriori rispetto agli imputati. e che potessero essere a loro volta individuati come soggetti penalmente responsabili dei fatti contestati, è cosa che è stata fatta pubblicamente - come pubblico è il dibattimento - sotto gli occhi di tutti.

 

La cosa è rimasta così, l’invito non è stato accolto. Ma deve restare fermo il punto che la Procura le domande le ha fatte.

[...]  Il dottor Celico (1), di cui avremo ampia occasione di parlare per la consulenza, fa un riferimento che è interessante, è nell’ultima postilla della sua, e dice: “Tutti sapevano tutto”, intendendo pubblica amministrazione e quant’altro. E l’affermazione è interessante: tutti sapevano tutto.

Allora lo chiediamo a Silva, all’epoca direttore generale di CAVET, non lo chiediamo all’ultimo arrivato. E gli chiediamo: “Scusi, ma questa affermazione che fa il vostro consulente, bene, “tutti sapevano tutto”... ma qualcuno le ha detto che facevate bene a fare quello che facevate? Qualcuno vi ha coperto, vi ha garantito “tutto a posto”, “va bene così”? Ci sono state riunioni in cui sono state determinate, adottate, decisioni di questo tipo?”. E la risposta: “Non ci sono state riunioni di questo tipo”.

 

P.M. DR. TEI – Ascolti un’altra cosa. Adesso cambio argomento. Molto velocemente. Il suo consulente, il vostro consulente, fa un’affermazione anche condivisibile: “Tutti sapevano...”, parlo del problema delle acque. “Tutti sapevano tutto”. Io le domando se quindi ci sono mai state riunioni  [...] , se al suo livello o a altri livelli, le Autorità Pubbliche tipo Regione o quanto altro  [...], sono stati notiziati, e qualcuno con nome e cognome ha detto ‘Sì, va bene così. Continuiamo, andate a diritto’. Questo per il periodo dal ’97 al 2001 [...].

 

IMPUTATO SILVA – Io ho un contratto... ho un contratto dove devo ottemperare a certe prescrizioni. Il mio compito è di ottemperare a tutte le prescrizioni. E questo il CAVET lo ha sempre fatto in tutte le circostanze. L’assistenza tecnica all’osservatorio ambientale per tutte le richieste che ci sono state fatte, noi le abbiamo soddisfatte. Tutti i ritorni di istruzioni, prescrizioni, sono state dal Cavet puntualmente messe in atto. E questo è il ruolo di CAVET…. Che tutti sapevano tutto, cioè non è ri... basta leggersi l’indice della conferenza dei servizi. Se Lei va a vedere solamente l’elenco degli elaborati e vede chi partecipava a questa conferenza dei servizi vede che gli elaborati li recepiscono  [...].

 

P.M. DR. TEI – Sì, siamo d’accordo che qui siamo ante operam.

 

IMPUTATO SILVA – Esattamente. Qui siamo a livello di conferenza dei servizi. Non dimentichi che noi siamo degli esecutori. Quindi sulla base di questa documentazione, di questa prescrizione che mi viene data, eh?, io determino... io determino i tempi di esecuzione e il prezzo contrattuale.

 

P.M. DR. TEI - ...Le domandavo se, per un caso, passando dalla filosofia (che sono la conferenza dei servizi e il contratto) alla storia (che poi sono l’esecuzione dell’opera sul terreno con eventi materiali che si consolidano), se ci sono stati un certo punto di riflessione e riunioni [...]  e qualcuno ha detto ‘Sì, va bene, tutto a posto. A diritto.’?

 

IMPUTATO SILVA – Non ci sono state riunioni di questo tipo.

 

Quindi, visto che il principio cardine per instaurare un processo è quello della disponibilità delle prove e non la astratta elaborazione di mere ipotesi che possono essere anche logiche e plausibili, ad oggi resta il fatto che, in assenza dei necessari supporti probatori e riscontri, le mere congetture sono destinate restare nel nulla di fatto.

E proprio perché abbiamo evitato qualsiasi tipo di congettura i capi di imputazione e gli imputati di questo processo che abbiamo sottoposto al vaglio di questo giudice, sono il più solido approdo finale cui siamo giunti.

D’altra parte nessuno, neppure tra gli odierni imputati, fosse anche solo per discolparsi, ha chiamato in causa altri non presenti in questo processo [...], e ciò né nel corso delle indagini né nel corso del dibattimento.

Gli odierni imputati, poi vedremo come all’esito del dibattimento neppure tutti di loro, sono i soli raggiunti da sicure prove di colpevolezza per i fatti contestati.

 

Certo ci può essere un po’ la sensazione di aver individuato solo gli autori materiali di un reato, ma, come detto, nel processo penale non è dato fare dietrologie.

Se risultasse poi che qualcuno – ma non sapremmo chi - alla fine potrà ritenere di essere stato “graziato” e dovrà e vorrà ringraziare qualcuno, questo qualcuno non sarà certo la Procura, che ha provato a sondare tutto il sondabile. La Procura in dibattimento ha verificato ogni comportamento. Dico questo perché questo dobbiamo dire ai nostri imputati. Di questo dobbiamo rendere conto ai nostri imputati. Ed è per sintesi, perché poi glielo spiegheremo per altre duecento pagine di requisitoria, per cui spero alla fine si saprà perlomeno come mai sono qua.

Se poi qualcun altro ravvisasse altre responsabilità diverse da quelle penali, quali quella politica, amministrativa o altro per il comportamento delle amministrazioni pubbliche vi è da dire che non spetta certo a questa Autorità Giudiziaria di valutare tali tipi di responsabilità.

 

Spetta invece sempre a questa Procura rilevare come vi siano state evidenti differenze tra l’operato delle varie amministrazioni pubbliche, in particolare tra alcune amministrazioni quali la Comunità Montana del Mugello ed alcune amministrazioni Comunali da un lato e quello della Provincia, della Regione Toscana e del Ministero dell’Ambiente dall’altra. Diversità su cui ritorneremo al momento in cui si motiveremo la richiesta di trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per danni erariali.

 

 

(1) Dagli atti risulta che il prof. Pietro Bruno Celico è ordinario di Geologia presso l’Università Federico II di Napoli ed è consulente tecnico della difesa.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 3]

 

 

[...] QUESTO PER DIRE DA SUBITO QUALE POSSA ESSERE IL VALORE CHE SI PUÒ DARE AD AFFERMAZIONI LETTE NEI DOCUMENTI E RISUONATE IN QUESTA AULA, ANCHE DA PUBBLICI AMMINISTRATORI, QUALI “OPERA GRANDIOSA REALIZZATA DAI MIGLIORI SPECIALISTI E TECNICI”, “TECNICHE INNOVATIVE A LIVELLO MONDALE”, “UN’OPERA DI PRIMARIA IMPORTANZA”, “ABBIAMO LE MIGLIORI PROFESSIONALITÀ”. CHIUNQUE VORRÀ USARE QUESTI ARGOMENTI DOVREBBE PRIMA SPIEGARE PERCHÉ IN QUESTA OPERA PUBBLICA (PURTROPPO CERTO NON L’UNICA) L’INDICAZIONE E FISSAZIONE DEI TEMPI E DEI COSTI DI REALIZZAZIONE ABBIANO AVUTO UNA AFFIDABILITÀ PARI A QUELLA DELLA LETTURA DI UN MAZZO DI TAROCCHI DA PARTE DI UNA CARTOMANTE”.

 

 

L’opera pubblica relativa al quadruplicamento ferroviario veloce della tratta Bologna-Firenze è stata approvata in conferenza dei servizi in data 28.7.’95.

Però si parte nel ’92.

Nel ’92 cominciano a girare questi fogli, perché sono poco più che fogli, ed approdano ad uno Studio di Impatto Ambientale. [...] Già nel 1992 si rilevano i prodromi di quella che sarà la caratteristica degli studi e degli elaborati di quest’opera o, meglio degli studi che alla fine saranno destinati ad avere la meglio su altri. Vinceranno sempre e comunque i peggiori, quelli più tirati via, quelli tendenti a minimizzare i danni, gli impatti, a nascondere quella che risulterà invece la vera realtà dei fatti.

E non si pensi che sia una valutazione: è un fatto circostanziato.

Questa storia infatti, come detto, comincia nel 1992 con il SIA, Studio di impatto ambientale [...]. Siamo nel 2008. Dopo sedici anni deve essere finita, figuriamoci! Però ha una caratteristica: nasce subito da una logica vecchia, nel ’92 (e poi vedremo come la cosa purtroppo non è migliorata): si limita ad una valutazione del paesaggio come “paesaggio cartolina”. Esteriore aspetto dell’ambiente. [...] Ecco perché sembrava una grande idea fare quasi tutto il tracciato in galleria.

Con questo non si vuol dire che ora si vuol disconoscere la rilevanza di salvaguardare l’esteriore aspetto del territorio perché ci interessa l’acqua. Diciamo ovviamente una cosa diversa. Diciamo che il rispetto del paesaggio come immagine, come tutela del panorama, lo vorremmo ormai poter dare come concetto pacifico ed acquisito, anche se acquisito non è, visto quante e tante volte viene leso.  Riteniamo però che dovrebbe essere solo una prima approssimazione al risultato finale, se l’obiettivo è quello di conseguire il risultato migliore possibile. In altre parole: va benissimo che una ferrovia passi in galleria per salvaguardare il paesaggio, ma subito dopo ci saremmo aspettati che chi è preposto a decidere si ponga poi la domanda di cosa succede, e di quali possano essere i problemi che possono sorgere, nel fare un buco lungo 70 chilometri nella montagna.

Così non fu. O lo fu solo in parte. E comunque non è stato mai esplicitato nella sua pienezza.

 

Il progetto che venne presentato agli uffici regionali diretti dalla dr.ssa Sargentini per il parere necessario al SIA (Studio di Impatto Ambientale) era caratterizzato soprattutto da genericità.

Lo dice la teste dr.ssa Sargentini della Regione Toscana.

Sargentini: “Cosa intendo con questo? La genericità era data dal fatto che venivano riportate per alcuni aspetti valutazioni assolutamente... come dire, di principio, che non erano poi contestualizzate, rispetto al territorio. Dove venivano riportati i dati - e questo è riferibile in particolare alla questione pozzi, sorgenti, eccetera - c'era una sorta d'inventario, ma, come dire, erano i dati più o meno conosciuti per qualche motivo, rimessi insieme. E non c'era, a nostro avviso, uno sforzo di omogeneizzazione di questi dati e quindi poi di interpretazione e valutazione complessiva. [...] Noi si riteneva che non fosse assolutamente da sottovalutare la possibile interferenza con acquiferi anche profondi e che nessuno di noi ovviamente poteva dare una certezza di questo, ma che comunque dovevano essere approfondite le indagini, dovevano essere previste analisi specifiche per rendere, per contestualizzare una serie di affermazioni che prese da sole...”.

Quindi non solo necessità sin da subito di approfondimenti, ma subito con la tendenza - che rimarrà una ostante - alla minimizzazione degli impatti e dei danni.

Prosegue infatti la Sargentini: “Io ho un ricordo, ora non saprei se preciso su tutto, ma che in generale si tendeva a dire che gli eventuali impatti, laddove ci fossero stati, sarebbero stati reversibili”

Pubblico Ministero: "Quindi, mi corregga... Allora, reversibili?”.

Teste Sargentini Maria: “Reversibili. Cioè, è chiaro che se io faccio un intervento in un territorio e c'ho comunque un impatto momentaneo, è possibile che a seguito della realizzazione di un manufatto o di un'opera, come dire, passato un certo tempo, si ripristini la condizione pre... ante operam”.

Pubblico Ministero: “Quindi, praticamente collegato all'esecuzione di lavoro: ho un rubinetto, lo chiudo perché devo passare, come sono passato lo posso riaprire?”.

Teste Sargentini Maria: “Sì. Ecco, un po' era questa la sensazione che veniva, che tutto è reversibile. L'altro aspetto che secondo noi era rilevante (questo me lo ricordo molto bene, perché è stato uno dei primi progetti complessi che si sono analizzati) è che tutte le valutazioni che c'erano nel SIA tendevano a dare risposte nella fase a regime, cioè a cantieri finiti. Ora qui si era di fronte ad un'opera in cui la cantierizzazione sarebbe stata lunga e imponente in termini di territorio. Perché non era una cantierizzazione del tipo “faccio passare un piccolo mezzo”. Ci sono campi base, ci sono le viabilità d'accesso, ci sono tutta una serie di questioni tecniche connesse alla complessità dell'opera principale. Ma la stessa opera [...] ha i cunicoli d'accesso, per esempio. Per cui una cosa che si evidenziava è che per la fase di cantiere non si diceva niente. Mentre, a detta mia e del mio ufficio, la fase di cantiere [...] poteva presentare e avrebbe presentato sicuramente una serie di impatti anche sul versante della risorsa idrica, assolutamente da non sottovalutare”. [...]

Un’altra cosa si ricorda la Sargentini, il difetto di individuazione di opere di mitigazione.

Teste Sargentini Maria: “Uno ragiona sulla base dei dati che ha. Quindi, reversibile o non reversibile, il dato di fatto era: l'impatto ci può essere e ci può essere anche in fase di cantiere. E l'altro aspetto è: se impatto ci può essere, è necessario prevedere gli interventi di mitigazione anche... cioè, sotto vari profili. Ma in particolare, per esempio, si sta ragionando di risorsa idrica: se viene impattata una risorsa che è anche fonte di alimentazione per un acquedotto, che questo avvenga a regime, o che avvenga in fase di cantiere, è assolutamente indifferente rispetto all'esigenza di garantire comunque fornitura idrica”. [...]

In conclusione, progetti ed elaborati [...] generici, superficiali.

Pubblico Ministero: “Ho capito. Però, mi corregga se sbaglio. Se ho capito bene lei dice: una parte generale quasi sovrammettibile a una parte specifica”.

Teste Sargentini Maria: “Sì. Non c'era differenza, sostanzialmente.... Il fatto che fossero dati conosciuti, di per sé, qualitativamente non dà risposte... Il problema è che non c'era una contestualizzazione. Cioè, io posso prendere i dati che conosco, poi rielaborarli e motivare perché quel dato, rispetto a quel territorio, lo interpreto in un certo modo. Quindi, secondo noi, mancava la fase di interpretazione. E ovviamente anche di implementazione di questi dati”. [...]

Ricordiamocelo. Elaborati generici rispetto alla realtà del territorio, mancata esecuzione di un adeguato monitoraggio ante operam, mancata previsione di opere di mitigazione.

 

Purtroppo eravamo nel ’92 e lì siamo di fatto rimasti anche dopo.   

Il parere della Regione viene trasfuso nel Parere Commissione VIA con prescrizioni n. 72 del 27/11/92. [...]

Arriviamo all’approvazione del progetto nel ’95.

Quindi, prima della Conferenza dei Servizi si riparte. Abbiamo questo parere SIA generico, e [...] ora passiamo ad un progetto esecutivo. E quindi viene ricostituito il gruppo in Regione, che ha fra le altre competenze quella di verificare se le prescrizioni date nel ’92 fossero state rispettate o meno. Quindi la Sargentini ricostituisce il gruppo. E vengono interpellati per un parere analogo, oltre a valutare il tracciato al netto del Nodo di Firenze e con il nuovo tratto Vaglia-Paterno.

Teste Sargentini Maria: “Per quello che ricordo sulla parte idrogeologica qualcosa in più veniva detto, ma rimanevano ancora molte perplessità e restavano perplessità per le quali si chiedeva che ci fossero integrazioni, che ci fossero... cioè, come dire, si dà un parere, no? Quindi si dice: è necessario che venga integrato tutto questo profilo, questo, quest'altro. Perplessità forti rimanevano rispetto alla considerazione della fase di cantiere, e quindi alla necessità di messa in opera... Ecco, ricordo questo: che, rispetto a possibili impatti, ancora una volta si rimandava, cioè, il tutto veniva rimandato... veniva detto che tutto poteva essere mitigato in maniera sufficiente con interventi che sarebbero stati previsti in base al monitoraggio. E quindi tutto veniva rimandato a un possibile piano di monitoraggio. [...] Si rimandava nel senso che veniva detto: dov'è possibile un impatto - e ancora si rileva, se non mi ricordo male, nel mio parere il fatto che comunque c'è bisogno di ulteriori informazioni - dov'è possibile un impatto, interverremo con idonee misure di mitigazione. Le idonee misure le definiremo sulla base del monitoraggio. Questo era il concetto... [...] Nel nostro caso c'era una indicazione generica di possibili impatti”.

Pubblico Ministero: ”Generica vuol dire senza nomi? vuol dire su tutta la tratta?”.

Teste Sargentini Maria: “Allora, in generale il ragionamento era che gli impatti sulle risorse idriche venivano espressi in termini di possibili impatti sulle forniture acquedottistiche. questo era l'elemento... cioè, sulle forniture di approvvigionamento. Non c'è un ragionamento di impatto sulla risorsa in termini fisici, e comunque gli impatti vengono in generale trattati come impatti reversibili. C'era un altro elemento che era anche nella relazione che si rese all'epoca, che era quello: cioè, di fronte alla possibilità di impatti in un sistema acquifero che aveva in gran parte la caratteristica di un sistema per permeabilità secondaria, cioè per fratturazione, anche l'area di monitoraggio che doveva essere... che doveva essere prevista a garanzia di questo, non ci sembrava sufficiente quella che era stata prevista nei documenti presentati. Perché l'area di monitoraggio va estesa in funzione dei punti fisici che, come dire, che possono essere in relazione per quei processi. E non tanto geometricamente”.

Insomma per la Sargentini nel ’94-’95, nonostante le prescrizioni, “c'è una continuità con il '92”.

Si rimanda ad un monitoraggio che si farà. Per le opere di mitigazione si dice che si farà quel che risulterà che ci sarà da fare. Per la fascia a rischio di impatto, indicazioni generiche, astratte. Basate su modelli e simmetrie avulse da ogni contesto. La Sargentini dice: “Sì, c’era un maggior dettaglio nell’opera, ma dal punto di vista delle valutazioni di carattere idrogeologico, le differenze non erano così enormi e rimangono - dice lei – ancora una serie di perplessità”.

Eppure questa volta siamo in presenza di un progetto esecutivo. Con quello si va a costruire. Eppure...

 

In termini sempre critici si era già espresso Micheli (1).

Micheli ce l’ho un po’ a cuore perché chi avrà voglia di leggersi il parere di Micheli del 23 gennaio ’95, delle due l’una: o lo fanno Premio Nobel e quegli altri li mandano a fare altri lavori, o se no non si capisce. Viene sentito Micheli. Micheli il 23 gennaio prende la sua pennina, scrive e ritrova tutto quello di cui dopo tredici anni stiamo parlando noi.

Pubblico Ministero: “Faccio riferimento al documento da lei redatto in data 23 gennaio '95. In particolare è quello che ha riferimento alla relazione istruttoria sull'Alta Velocità relativa alla variante Mugello-Carza-Terzolle. Ecco, se vuole raccontare al Giudice qual è il tratto interessato, quali erano i documenti a lei rappresentati, le valutazioni che ha espresso in relazione a quanto le era stato sottoposto”.

Teste Micheli Luigi: [...] È risaputo che  [...] il modo migliore per prelevare l'acqua da sotto terra è quella di fare una galleria, in Toscana ne abbiamo molti esempi. Ecco, questo aspetto non veniva affrontato in modo adeguato. Ripeto, c'era dal punto di vista della carta, ad esempio, idrogeologica, c'era solo una fascia di due chilometri in superficie, rispetto al tracciato. E venivano fatte delle considerazioni... in alcuni elaborati descrittivi c'erano, venivano ipotizzate delle possibilità di intercettazioni delle falde acquifere; ma non venivano poi, in sede di conclusione, considerati gli impatti dell'opera sulle falde, il possibile abbassamento... Praticamente veniva trascurato questo aspetto”.

 

Quindi, per quello che ci interessa ora: superficialità. Ma c’è un elemento in più. Questa volta nel ’95 alla superficialità si accompagna un elemento nuovo, che è quello della fretta. C’è una scadenza: 27 luglio 1995. Bisogna approvare questo progetto. Senza dilungarci in commenti o valutazioni, e rimanendo solo su una base rigorosamente oggettiva, ciò che si può rilevare è come nella primavera-estate del 1995 siano maturate le condizioni politico-economiche per cui si è ritenuto di dover chiudere in tempi rapidissimi la conferenza dei servizi per l’approvazione dell’opera.

Lo testimoniano tutti i tecnici che sono stati chiamati ad esprimere i pareri per le loro Amministrazioni. Basta andare a rileggersi le testimonianze di Micheli e della Sargentini che affermano come, a ridosso della conferenza dei servizi già fissata, la documentazione arrivasse a getto continuo e come i tempi loro assegnati per l’esame della stessa fossero ristrettissimi.

La Sargentini esprime il suo parere in data 13 luglio ‘95 e dice: “Mah, insomma, i documenti arrivavano, addirittura il 13 luglio non erano ancora arrivati tutti, perché fra l’altro c’era scritto nella lettera di trasmissione...”.

Per cui lei si cautela e fa una postilla, dice: “Io faccio il parere il 13 luglio, ma mi hanno detto che mi devono portare ancora dei fogli, ma siccome bisogna chiudere...”.

Pubblico Ministero: ”Ma c’era un po’ di pressione?”

Sargentini: “C’era una Conferenza convocata e quindi c’era da mandare un parere”..

Pubblico Ministero: “Bene, chi c'è c'è, bisogna per il 28...”.

Teste Sargentini Maria: “Sì, per quello che c'era, si rimetteva un parere”.

Gli uffici regionali sono stati messi in queste condizioni di lavorare. [...] C’è la Conferenza il 28, bastava che ci fosse un parere, pare a questo punto più o meno qualunque. Cosa dicessero questi pareri, si guarderà, bisognava chiudere.

Conferma di ciò la dà anche chi ha partecipato personalmente e fisicamente alla conferenza dei servizi.

È sufficiente riandare a ciò che ha detto il sindaco Mascherini di Firenzuola davanti alla VI Commissione Regionale nel 2000. Concetti che, di fatto, ha ribadito in quest’aula: "In conferenza dei servizi nel luglio del 1995 a me è sembrato che il comportamento della Regione fosse più teso a sbloccare e a iniziare i lavori più che a verificare e a chiedere che cosa la realizzazione di quest’opera avrebbe comportato in riferimento all'impatto ambientale e sociale che questa opera avrebbe portato nel territorio rispetto alla qualità del progetto che lì andavamo ad approvare, rispetto alla qualità degli studi di impatto ambientale che in quella sede furono portati ed approvati”.

 

E questo qui è un dato che poi abbiamo riscontrato nel processo. Da una lettura degli atti, dire ‘impressione’ è minimizzante, perché, direi, è un fatto. Quello che si comprende è che viene approvata la volontà di realizzare questo opera e non il dettaglio. Si approva una tratta di 78 chilometri di cui 70 in galleria, ma il dettaglio di essa si rimanda. Perché dico questo? Lo dicono quegli stessi che lo approvano. Già da una mera delibazione degli atti era possibile rilevare eclatanti insufficienze nel procedimento di valutazione degli impatti ambientali, in particolare di quello idrogeologico. Abbiamo un progetto esecutivo che però di fatto è poco esecutivo. I tecnici della Regione ci dicono che nel ’95 siamo ancora a livello del ’92. Praticamente nel ’95 eravamo ancora al livello del 1992 e di fatto nulla era stato fatto per ottemperare alla prescrizioni imposte dal SIA di quell’anno. Che il progetto esecutivo portato in Conferenza dei Servizi fosse di fatto “poco esecutivo” è evidente sol che si pensi che erano esclusi alcuni “piccoli dettagli” quali i nodi di Bologna e di Firenze ed il tracciato finale della linea verso Firenze non essendo stato ancora deciso se passare per la valle del Terzolle o da Castello.

Le circostanze che hanno accompagnato, nei mesi successivi alla chiusura della Conferenza dei servizi, l'avanzamento dell'opera ivi approvata suffragano ampiamente le valutazioni negative di quelli che già ritenevano inidonei gli elaborati a suo tempo esaminati.

L'attraversamento del nodo ferroviario fiorentino è stato approvato solo successivamente e parzialmente, ed è ancora oggi oggetto di trattative sia per le modalità esecutive che per l’individuazione dei finanziamenti, e ciò nonostante il patto siglato tra Regione Toscana, Provincia di Firenze, Ferrovie dello Stato e TAV S.p.A. il 27.7.'95 prevedesse l'impegno da parte dell'Amministrazione Comunale di Firenze "a comunicare, congiuntamente all'Ente Regione, entro l'inizio di ottobre" (del 1995: ndr) "la propria scelta di massima" e nonostante che al punto 9) del citato "Accordo preliminare" i soggetti che lo siglarono concordassero (in data 27.7.'95) "su una precisa, sollecita e garantita definizione di tutti i tempi del complesso degli interventi sul nodo fiorentino, modulata sull'urgenza della razionalizzazione di tutte le infrastrutture cittadine in vista del Giubileo del 2000".

Siamo nel 2008. Il Giubileo è stato otto anni fa.

Quindi abbiamo una fretta, vogliamo dire col senno di poi (ma col senno di poi sono tutti bravi), degna di miglior causa? Non c’era tempo? Forse questa fretta ha portato risultati? No. Quindi, patto clamorosamente sconfessato dagli stessi soggetti che l’hanno sottoscritto.

E per capire quanto sia vero tutto questo oggi sfido a trovare chi ci possa dire con certezza come e quando questa opera sarà completata e funzionante.

Se solo si pensa che ancora oggi non è cominciato né il sottoattraversamento di Firenze, né la nuova stazione ... Stiamo ancora discutendo di dove il tracciato passerà, di quali immobili corrono rischi di stabilità e quali no. [...] E i  soldi? Ci sono?  Sì, no, forse…

E qui abbiamo sentito l’ingegner Polazzo, TAV. Al quale abbiamo fatto alcune domandine. [...] Gli abbiamo chiesto se si sa quanto costerà questa opera, e quando l’opera sarà davvero e, ripetiamo, davvero funzionante. E soprattutto se qualcuno crede alle date indicate. Prima si è detto 2003, poi 2006, poi 2009, ora siamo al 2010 al netto del sottoattraversamento di Firenze. In concreto chissà quando. Costi? Originariamente 5.800 miliardi di lire senza il nodo di Firenze, ed ora siamo già a 4,8 miliardi di euro con le riserve da definire, di cui una cosiddetta “cautelativa” di uno o due miliardi di euro, secondo come va questo processo.

 

Allora, perché dico questi fatti? Non sono numeri e dati fine a se stessi. Questo per dire da subito quale possa essere il valore che si può dare ad affermazioni lette nei documenti e risuonate in questa aula, anche da pubblici amministratori, quali “opera grandiosa realizzata dai migliori specialisti e tecnici”, “tecniche innovative a livello mondale”, “un’opera di primaria importanza”, “abbiamo le migliori professionalità”. Anche da pubblici amministratori. Chiunque vorrà usare questi argomenti dovrebbe prima spiegare perché in questa opera pubblica (purtroppo certo non l’unica) l’indicazione e fissazione dei tempi e dei costi di realizzazione abbiano avuto una affidabilità pari a quella della lettura di un mazzo di tarocchi da parte di una cartomante.

Mi sbaglierò, ma se qualcuno mi dice che quest’opera è stata fatta al più alto livello possibile delle capacità tecniche e professionali disponibili in Italia, mi aspetto che si cominci a rispettare l’ABC di ogni opera, l’ABC di quanto ogni committente avveduto chiede al suo artigiano, fosse anche per ristrutturare il bagno di casa.  All’idraulico si chiede quanto costa e quanto tempo ci mette.  E se l’idraulico non rispetta né l’uno, né l’altro, sono litigi e discussioni a non finire e, soprattutto, non lo si paga subito e per l’intero come se nulla fosse successo o, addirittura, gli si anticipano al suo posto i pagamenti per i danni commessi a terzi. Non si fanno “addendum” in favore degli altri condomini per i danni prodotti dal nostro idraulico.

Nel nostro caso è successo anche di questo. Con l’addendum TAV [...] e Ministero dell’Ambiente senza batter ciglio tirano fuori 52 milioni di euro per riparare ai danni dell’opera. Sentito il dr. Ingravalle, responsabile TAV, sul perché TAV, che è il committente, si sia assunta tale onere invece che scaricare le responsabilità e caricare le spese o sul progettista, se il progetto era stato fatto male, o sull’esecutore, se era sbagliata l’esecuzione, dice: “Per un impegno morale”. Si diventa signori. Con i soldi pubblici si diventa signori. Vorremmo vedere quale privato, quale società, quale multinazionale, sentisse di avere impegni morali con eventuali terzi danneggiati da opere progettate da asseriti illustri professionisti ed eseguite da imprese di assoluto rilievo nazionale. Solo quando i soldi sono pubblici, si diventa signorili e ci si assumono spontaneamente onerosi “impegni morali”.

 

Ma torniamo a noi.

Quindi, nel luglio 1995, in conferenza dei servizi si approva perché si doveva approvare. Ma cosa si approva? Tutto e nulla, a seconda da che parte la si voglia guardare. Tutto, se si pensa alla volontà di realizzare a qualsiasi costo la tratta Firenze-Bologna. Poco o nulla, se si va al particolare.

Ripetiamo: qui non si intende assolutamente sindacare la decisione di realizzare l’opera (...). Il problema non è “cosa si è deciso di fare”, ma “come è stato fatto ciò che si è deciso di fare” e, soprattutto, se poteva essere fatto così.

 

 

(1) Il dr. Luigi Micheli è geologo alla Regione Toscana.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 4]

 

 

 “QUESTA OPERA È STATA APPROVATA CON UNA LOGICA VECCHIA: SI FA QUELLO CHE SI DEVE FARE E POI I COSTI CADRANNO SU CHI, SU CHISSÀ QUANDO, CHISSÀ PER QUANTO, NON CI INTERESSANO: ANDIAMO AVANTI ED A DIRITTO COMUNQUE. [...] LE PERSONE OFFESE, LE PARTI CIVILI OGGI, INSOMMA, NON SONO PATRIOTI, SONO DISFATTISTI. SONO QUA PERCHÉ SONO DISFATTISTI. PERCHÉ SE SI SACRIFICASSERO PER IL PAESE, STAVANO A CASA LORO TENENDOSI CIÒ CHE ERA SUCCESSO”.

 

 

A noi qui interessa solo e soltanto vedere come è stato realizzato ciò che è stato realizzato e se così si poteva fare. E la nostra verifica è puntuale, doverosa.

[...] Già nel ’98 [...], 16 settembre ’98 ore 15.00, quindi dieci anni fa, si impattano le sorgenti di Castelvecchio, che servono un acquedotto con un ristorante, famiglie, e quant’altro. È stato approvato un progetto nel quale, per espressa testimonianza del presidente dell’Osservatorio Ambientale Nazionale (OAN), Trezzini, nella riunione del 16.9.98 ore 15.00 presso il Comune di Firenzuola [...] per l’impatto di Castelvecchio, alla presenza di Castellani, Belloni, Calcerano e Bertoldi per CAVET, Vallino per Fiat Engineering ed arch. Biagi (1) per la Regione, risultava che:

-        andava previsto l’accaduto e la previsione è risultata errata;

-        andava fatto il monitoraggio che invece non era stato fatto (ed uno si potrebbe già ricordare Micheli che l’aveva detto tre anni prima).

Inoltre Cavet, sempre per Trezzini e l’OAN:

-        non avrebbe dovuto fare il rivestimento della galleria come se non fossero accadute le interferenze accertate;

-        doveva far prima i rimedi alternativi;

-        doveva prendere atto del fallimento del modello matematico;

-        doveva fornire in tempo reale i dati del monitoraggio e non dopo mesi.

Io direi un bel macigno, questo. 1998.

Quindi già dal 1998 per lo stesso Osservatorio Ambientale Nazionale (ma già dal 1995 per altri, come ad esempio per Micheli) erano sul tavolo chiare e precise tutte le questioni in gioco.

 

Pertanto tutti i danni successivi a quella data sono semplicemente certi, accettati e, quindi, voluti.

 

[...] È interessante la progressione dei fatti, perché ci dà conto della consapevolezza, ci dà conto della pervicacia, ci dà conto di tanti elementi per cui la storia ha il suo peso [...]. E quindi partiamo dal ’98.

 

LA CRONOLOGIA DELLA REALIZZAZIONE DELL’OPERA

Riportiamo per sintesi, in ordine cronologico, la successione degli eventi più significativi che si sono verificati fino ad oggi nel corso dei lavori per la realizzazione della Ferrovia AV.

 

I lavori per la realizzazione dell’opera iniziarono nel 1996 con l’impianto dei cantieri.

 

GALLERIA RATICOSA

-        Maggio 1998 (ante): viene realizzata la finestra Castelvecchio

-        Maggio 1998: inizia lo scavo della galleria nel tratto dalla finestra Castelvecchio verso nord

-        Giugno 1998: inizia lo scavo della galleria nel tratto dalla finestra Castelvecchio verso sud

-        Estate 1998: si verifica il grave impatto sulla sorgente Castelvecchio, che alimentava l’acquedotto della frazione

-        Ottobre 2002: inizia lo scavo della galleria da alveo Diaterna verso Bologna, e si conclude nel luglio 2004 con il ricongiungimento con il tratto scavato dalla finestra Castelvecchio.

 

GALLERIA SCHEGGIANICO

-        Maggio 1998: inizio dello scavo da finestra Brentana

-        Marzo 1999: inizio dello scavo da finestra Brenzone

-        Maggio 1999: termine dello scavo.

GALLERIA FIRENZUOLA

-        Gennaio 1997: inizia lo scavo della finestra S. Giorgio

-        Febbraio 1997: inizia lo scavo della finestra Rovigo

-        Primavera 1997: primo impatto a carico della sorgente Ca’ di Sotto, in prossimità dell’imbocco della finestra Rovigo

-        Ottobre 1997: la quota della galleria di linea viene raggiunta da finestra S. Giorgio; lo scavo procede verso Bologna e Firenze

-        Dicembre 1997: la quota della galleria di linea viene raggiunta da finestra Rovigo; lo scavo procede verso Firenze e Bologna

-        Maggio 1998: inizia lo scavo da finestra Rovigo verso Firenze

-        Giugno 1998: inizia lo scavo da finestra Rovigo verso Bologna

-        Primavera 1998: si verifica un fenomeno di subsidenza in località “Il Grillo” presso S. Giorgio (Comune di Borgo San Lorenzo); si rende necessaria l’esecuzione di un campo pozzi per abbassare il livello della falda e consentire l’avanzamento; qualche giorno dopo si verifica uno sprofondamento localizzato a circa 70 m a est dell’asse della galleria

-        Marzo 1998: inizia lo scavo della finestra Marzano

-        Maggio 1998: inizia lo scavo della finestra Osteto

-        Luglio 1998: inizia lo scavo dall’ imbocco nord (Camerone di S. Pellegrino)

-        25 Aprile ’99: la sorgente Marzano è la prima ad essere impattata nella zona (primo semestre 1999); il tratto verso nord provoca il primo forte e significativo impatto a carico della galleria Firenzuola. Il giorno 25/4/99 nel corso del realizzazione della finestra S. Giorgio, durante una sosta delle operazioni di scavo del fronte, a circa 2 m dalla base del fronte di scavo, in prossimità del piedritto destro, si manifestava una concentrata e consistente venuta di acqua torbida e sabbia, con una portata stimata intorno ai 50 l/sec

-        Luglio 1999: lo scavo della finestra Osteto viene interrotto per l’intercettazione di una cospicua venuta d’acqua; i lavori vengono sospesi

-        Ottobre 1999: terminata la difficoltosa realizzazione della finestra Marzano, iniziano gli scavi dei tratti di galleria da Marzano verso sud e da Marzano verso nord

-        Ottobre 1999 - Marzo 2000: si verificano ulteriori impatti significativi tra i quali Casa d’Erci (alla progressiva 54+112) che approvvigionava l’acquedotto Luco-Grezzano; fenomeni di subsidenza e apertura di crateri in loc. “S. Giorgio” per il rilascio di 120 m/c di materiale alla progressiva 56+960

-        Agosto 2000: viene impattata anche l’importante sorgente “La Rocca”, captata da tempo per l’acquedotto di Scarperia

-        Agosto 2000: il torrente Veccione inizia a presentare i primi segnali di diminuzione di portata

-        Estate 2000: grave impatto progressivo sulla sorgente Frassineta

-        Maggio-Giugno 2001: esaurimento completo della sorgente Frassineta con venute di 200 l/s in galleria alla progressiva 53+826

-        Tarda primavera 2001: il torrente Rampolli fa registrare una significativa perdita di portata a valle delle sorgenti Capannone

-        Luglio 2001: impatto sulla sorgente Badia di Moscheta 2

-        Estate 2001: esaurimento delle sorgenti “I Guazzini” e “Alicelle-Largignana”

-        Novembre 2001: riprende la realizzazione della finestra Osteto secondo un nuovo tracciato che evita l’intercettazione della venuta d’acqua

-        Dicembre 2001: impatto sulla sorgente Badia di Moscheta

-        Giugno 2002: una ulteriore grave intercettazione si verifica con l’approssimarsi della progressiva 53+275: la portata in galleria passa da 130 litri/secondo del maggio 2002 ai 207 litri/secondo di giugno, ai 345 di luglio per poi toccare il massimo assoluto in agosto, quando arriva a toccare i 390 litri/secondo

-        Maggio 2003: la sorgente sulfurea in località “Madonna dei Tre Fiumi” risulta esaurita

-        Maggio 2005: aggravamento impatto fosso Fiorentino (Luco)

 

GALLERIA VAGLIA

-        Primavera 1997: inizio dello scavo della finestra Carlone

-        Giugno 1997: primi impatti sui pozzi Carlone 1 e Carlone 2

-        Marzo 1998: termine della finestra Carlone e inizio dello scavo della galleria da imbocco nord (Casaccia – S. Piero a Sieve) verso Firenze; inizio dello scavo della galleria da finestra Carlone verso Firenze

-        Maggio 1998: inizio dello scavo della galleria da finestra Carlone verso Bologna

-        Primavera-estate 1999: impatti a carico delle sorgenti Pozza, Case Frilli e Mozzete nella zona di Tagliaferro (Comune di San Piero a Sieve); risultano perdite totali di deflusso a carico del torrente Cardetole

-        Agosto 2000: inizio dello scavo del cunicolo di servizio da Sesto Fiorentino

-        Dicembre 2000: impatto sulla sorgente Ginori a Sesto Fiorentino

-        Febbraio 2001: impatto sulla sorgente Fontemezzina a Sesto Fiorentino

-        Febbraio 2001: alla presenza del Presidente Ciampi viene abbattuto il diaframma che separava le due direzioni di scavo; è così realizzato il primo tratto della galleria Vaglia, dall’imbocco nord al Carlone

 

21 Ottobre 2005:  è stato abbattuto l’ultimo diaframma di roccia nella galleria di Vaglia e pertanto lo scavo delle gallerie dell’intera tratta Firenze-Bologna è stato ultimato.

 

 

I PRIMI DANNI

 

Vediamo [...] in dettaglio i primi casi di danno.

Particolare rilievo assumono le essiccazioni delle sorgenti di Bisignano e Castelvecchio, risalenti addirittura al maggio-giugno ’98. Sono significative perché da esse l'Osservatorio Ambientale nazionale istituito presso il Ministero dell'Ambiente ribadisce il dato già acquisito dal Trezzini nel 1998. Infatti nel documento “Interferenze idrogeologiche causate dallo scavo delle gallerie: valutazioni e prescrizioni dell'Osservatorio Ambientale”, del 2.8.'00, si riporta che “... il modello matematico utilizzato da CAVET (2) fino all'aprile 2000 per la previsione degli impatti, si è dimostrato non affidabile alla verifica sul campo (il primo caso è stato quello della sorgente di Castelvecchio, impattata nonostante fosse ben al di fuori della fascia d'influenza ipotizzata)”.

 

Vediamo dunque come gli imputati hanno reagito al fallimento delle loro “non-previsioni”.

Hanno risposto nel peggiore dei modi, ovvero con la fuga dalle loro responsabilità. Cioè con la negazione dell’evento, come fa l’ing. Silva (3) nella nota del 27.1.’99 relativamente all’acquedotto di Castelvecchio e Visignano [...]. Dicendo che non era vero che avevano seccato le sorgenti. Che i monitoraggi (poi vedremo quali), a dispetto dei residenti che dicevano di essere senz’acqua, dicevano che l’acqua c’era ancora (e pare essere ancora una delle tesi difensive). Che le sorgenti ancora buttavano. Comunque se c’era una diminuzione della portata era colpa della siccità (tema anche questo ricorrente questo, da cui si dovrebbe desumere che il Mugello, dal 1998 ad oggi, è stato interessato da una unica perdurante siccità iniziata contestualmente con i lavori Cavet e pare destinata a non interrompersi mai più).

Quindi si nega l’evento, si negano le responsabilità, e passa una logica - vogliamo dire ideologica? - di andare avanti comunque: nel non fornire informazioni, nel non procedere ad una sospensione lavori, nel non fermarsi per un ripensamento generale.

Solo, di riserva, si gioca la carta della transitorietà dell’impatto, come fanno l’ing. Calcerano e Belloni nella riunione presso il Comune di Firenzuola il 16.9.98, laddove affermano senza pudore che tra cinque anni (chissà poi perché cinque, e non tre o sei) la sorgente avrebbe ripreso a buttare. Dal che il sindaco Mascherini, relativamente preveggente, ma soprattutto ironico, risponde secco “Mettiamolo a verbale” [...]. Se lo ricorda anche Micheli.

Teste Micheli Luigi: Salvo in quella occasione prima, appunto, in quella occasione di Castelvecchio, dell'essiccamento delle sorgenti, dove mi chiamò Biagi per...

Pubblico Ministero: Senta una cosa, e visto che lei era presente, non si ricorda mica se era presente qualcuno di Tav, di Cavet, oppure...

Teste Micheli Luigi: Sì, sì, c'erano due tecnici, sicuramente. Ora non ricordo assolutamente il nome. Mi sembra fosse un ingegnere e un geologo, qualcosa... che riproposero un modello, così, di nuovo il modello matematico in quella sede di discussione. Credo, credo, ma non sono sicuro purtroppo, che sarebbe stato un impatto temporaneo. Poi non le ho più viste queste persone.

Si è visto come è andata a finire.

Quindi CAVET si nega anche a provvedere alle opere di mitigazione. Neppure se richiesti ed obbligati dagli eventi. Sempre nella nota citata dell’ing. Silva, da parte di Cavet si respinge ogni accollo per il nuovo acquedotto di Castelvecchio.

Si va dunque avanti con l’arroganza e nel farsi forti di mettere tutti di fronte ad un fatto compiuto e poi si vedrà.

 

L’EVENTO

I DANNI MATERIALI

 

E con questa logica, con questo modo di fare, di danni se ne fanno. Si continuano a fare.

I danni agli equilibri idrogeologici, alle risorse ambientali e alle attività economiche dei territori interessati dalla cantierizzazione TAV per il cosiddetto "quadruplicamento veloce" della tratta ferroviaria Bologna-Firenze nel Mugello e nell'Alto Mugello risultano ampiamente documentati nell'ambito delle attività di sopralluogo, monitoraggio e controllo svolte dall'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT), dall'Azienda Sanitaria Locale, dall'Osservatorio Ambientale nazionale istituito presso il Ministero dell'Ambiente sulla cantierizzazione della tratta TAV Bologna-Firenze, dall’OAL, dalle persone offese escusse, dalle associazioni ambientaliste, dai comitati spontanei, dalle Polizie Municipali locali, dalle consulenze tecniche in atti e, fatto di particolare pregnanza, anche da quelle redatte dai ct nominati dalla difesa e redatte per conto di Cavet.

Tutti danni concreti e materiali. Questi sì, però. dovuti ad una “ideologia”.

L’ideologia che al “progresso” si debba pagare “dazio”. Peccato sia un “dazio” che deve essere pagato dal singolo cittadino e dalla collettività solo per la superficialità di chi dovrebbe invece tutelare cittadini ed ambiente.

Che sia un’ideologia lo si apprezza dai colloqui tra l’imputato dr. Guagnozzi ed il dr. Bechelli (4), responsabile TAV. Il dr. Guagnozzi ed il dr. Bechelli nel corso delle telefonate intercettate bollavano l’attività dei pubblici ministeri, ed in particolare la “questione delle gallerie”, come “ideologica” [...]. Allora siccome Bechelli abbiamo avuto la fortuna, per modo di dire, di averlo qua, io gli domando: “L’ideologia ce la spiega?”. Glissa. Il dottor Bechelli però, laureato in filosofia, di ideologie se ne intende, tant’è vero che non si esime dall’andare all’Università a fare lezioni, raccapriccianti. Abbiamo agli atti la trascrizione della lezione tenuta agli studenti del corso di Politica Economica del Turismo. Uno se la sente e dice: ma in che mondo siamo! Dichiarazioni che fanno accapponare la pelle. Affermazioni che si caratterizzano per il basso livello di consapevolezza, di rispetto istituzionale, di responsabilità di quello che si è, del ruolo di rilievo che si ricopre. Il dr. Bechelli lamenta infatti che i problemi che hanno incontrato nella realizzazione della Firenze-Bologna sono dovuti al fatto che “nessuno oggi si sacrifica per il paese”.

Affermazione quantomeno improvvida. Cioè, secoli di evoluzione degli istituti giuridici e delle forme di governo per creare uno stato di diritto, diritti, doveri, ed il Bechelli svilisce il tutto sostenendo che nessuno è più disposto a dire “Mi sacrifico per il paese”. Non si capisce di cosa parli. E il principio di legalità? Ovvero il principio per il quale la pubblica amministrazione può avvalersi, sì, di poteri di supremazia, ma solo nell’ambito del rispetto della legge, che fine ha fatto? Cioè, domani arriva la terza corsia d’autostrada e mi sfracella il giardino, e non mi sacrifico per il Paese? Forse si ritiene ancora che nei rapporti con lo Stato il cittadino assuma la qualifica di suddito? [...] Il signor Bechelli, ora manager TAV [...], è stato prima consigliere amministrazione dell’ATAF (5), sindaco di un Comune. Sindaco di un Comune. Però forse era al passo coi tempi lui, ed ha un’ideologia moderna. E non so se lo sa, ma glielo spieghiamo, glielo raccontiamo, perché lui applica un principio dell’economia moderna, oggetto degli studi di diritti amministrativo. Lui applica le cosiddette “esternalità negative”. Ce le ricordiamo, le abbiamo accennate. Non sono idee mie: ci mancherebbe che portassi un’idea mia che fosse una in questo processo. È un concetto giuridico-economico. Su questo sono costretto a fare una miserrima lezioncina, ma ha cominciato Bechelli ad andare dagli studenti. Le esternalità negative in generale si verificano quando l’azione di un soggetto causa delle conseguenze positive o negative nella sfera di altri soggetti, senza che a questo corrisponda una compensazione in termini monetari, ovvero venga pagato un prezzo definito attraverso una libera contrattazione di mercato. L’esternalità è quindi l’effetto di una transazione fra due parti, questo ci interessa, che ricade verso una terza persona (soggetto esterno), che però non ha avuto alcun ruolo decisionale nella trattazione stessa, cioè la subisce. Esempio classico di esternalità negativa, proprio di scuola, sono le condotte di chi inquina.

Ed infatti gli economisti ed i giuristi hanno da tempo individuato come per una corretta ed equa allocazione delle risorse economiche sia fondamentale per lo Stato l’esigenza di correggere gli effetti esterni, non solo per considerazioni di “equità” (del tipo “non è giusto che chi inquina non sopporti un costo per i danni provocati”, il che richiede solo un’etica, una morale che lo Stato deve perseguire, ma che a noi non interessa), ma anche e proprio per salvaguardare l’efficienza economica. In altre parole, l’esigenza, il fondamento giustificativo di un intervento pubblico correttivo nei vari settori del mercato, a correzione di eventuali distorsioni nel mercato stesso, deriva da considerazioni di efficienza economica. Questa è la definizione del concetto di esternalità negative. [...] Chi vuole l’efficienza economica, chi vuole stare nel mercato, deve annientare le esternalità negative, non può aspettarsi che altri portino il sacrificio, supportino i costi per un’attività di cui lui è responsabile.

Quindi, non si sa di che cosa si parla. E questo, non perché il Pubblico Ministero si sveglia ed è nervoso, ma perché c’è un intervento pubblico correttivo nei vari settori del mercato a correzione di eventuali distorsioni per considerazioni di efficienza economica.

Ed allora ci ricorderemo che abbiamo detto di uno Stato moderno. Se uno Stato moderno deve essere efficiente, efficace, ma rispettoso anche dei diritti dei cittadini, quindi democratico e trasparente, è compito dello Stato e di ognuno di noi eliminare queste esternalità per conseguire una migliore allocazione.

Quindi, andiamo un pochino sul brutale. Quindi, il vetero-ambientalismo non c’entra niente.

Questo per dire che stiamo parlando di teorie economiche e di diritto attuali.

Ed è successo questo nel nostro caso? No. È successo proprio l’opposto.

E’ una logica vecchia. Questa opera è stata approvata con una logica vecchia: si fa quello che si deve fare e poi i costi cadranno su chi, su chissà quando, chissà per quanto, non ci interessano: andiamo avanti ed a diritto comunque. Ed infatti il dottor Bechelli cerca di creare un alibi ideologico al perché sia giusto scaricare sui cittadini gli effetti negativi delle scelte fatte da altri predeterminati soggetti, tipo Cavet, Tav, Regione, Ministero, senza che questi debbano assumersene la responsabilità e subirne le dovute e necessarie conseguenze. E’ quello del “sacrificarsi per il Paese”. Alibi scarso, in verità. E comunque la dice lunga sul rispetto che si è riservato e si è inteso riconoscere ai diritti dei cittadini, visto che li si accusa di non volersi “sacrificare per il paese”. Insomma, per il Bechelli io direi che le persone offese, le parti civili oggi, insomma, non sono patrioti, sono disfattisti. Sono qua perché sono disfattisti. Perché se si sacrificassero per il Paese, stavano a casa loro tenendosi ciò che era successo.

 

 

(1) L’arch. Gianni Biagi è stato, dal 1994 al 1999, dirigente presso il Dipartimento Trasporti della Regione Toscana, e ha firmato in qualità di responsabile del Servizio Infrastrutture della Regione Toscana la deliberazione di approvazione del progetto esecutivo TAV Firenze-Bologna (Deliberazione N. 03884 del 24/07/1995). Fino al 2000 è stato anche rappresentante della Regione Toscana nell’Osservatorio Ambientale Nazionale sulla tratta TAV Bologna-Firenze. Dal 1 luglio del ’99 è assessore all’Urbanistica (DS) del Comune di Firenze.

(2) CAVET è acronimo di “Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana”, e raggruppa Impregilo S.p.A., CMC-Cooperativa Muratori e Cementisti, FIAT Engineering S.p.A., CRPL-Consorzio Ravennate di Produzione e Lavoro.

(3) L’ing. Carlo Silva è stato Direttore Generale del Consorzio CAVET dal ’98 fino al 28/9/2001, e successivamente consigliere  delegato del  Consorzio CAVET.

(4) Il dr. Gianni Bechelli, dirigente d’azienda, responsabile della TAV SpA di Firenze, è stato sindaco PCI-PDS del Comune di Scandicci (FI) dal 1990 al 1995.

(5) ATAF è oggi acronimo di “Azienda Trasporti dell'Area Fiorentina”, società per azioni dall'inizio del 2001, che gestisce il trasporto pubblico locale a Firenze ed in parte della sua provincia.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 5]

 

 

“RICORDO BENE CHE ERA UN GIORNO FESTIVO PERCHÉ NON VADO MAI MA ERO ANDATO A MANGIARE UNA PIZZA INSIEME AI PARENTI, MI TELEFONA MIO FRATELLO ALLE DIECI DI SERA, UN GIORNO FESTIVO, DICENDOMI DI STARE ATTENTO A TORNARE A CASA PERCHÉ SI ERANO VERIFICATE DELLE PERDITE D’ACQUA DOVE SI COSTRUIVA LA GALLERIA E ESSENDO LA SERA TARDI, NON SAPENDO ESATTAMENTE DOVE FOSSE RIPORTATO SOPRA IL FRONTE DI SCAVO, CI AVEVANO AVVISATO DI FARE ATTENZIONE PERCHÉ POTEVA MANIFESTARSI QUALCOSA IN SUPERFICIE”...

 

 

Siamo partiti da che cosa è stato approvato. La verità è che una volta decisa la compatibilità economica-politica della tratta Firenze-Bologna, il livello di attenzione ai diritti propri di ciascun privato ed a quelli della intera collettività sotto il profilo ambientale è stato men che basso, diremmo quasi inesistente. Si è fatta una riga su una mappa e si è andati a diritto, con poco rispetto per chi e per quel che c’era prima.

Ovviamente noi qui ci occupiamo solo di ciò che è reato e nel nostro caso quindi dei danni al tessuto idrogeologico.

La risorsa acqua è stata poco o niente considerata. Nei documenti di approvazione in sede di conferenza dei servizi del 1995 si è esplicitamente richiamata solo necessità di salvaguardare gli approvvigionamenti idrici degli acquedotti pubblici. Si è considerata quindi la risorsa acqua solo come “bene economico”. Vedremo poi che non si è riusciti a salvaguardare neppure questo, ma così è. Di tutto il resto, pare questa la filosofia di fondo, in astratto si poteva fare “tabula rasa”.

Dopo oltre tre anni indagini e tre anni di dibattimento non si è ancora capito se CAVET ritenga di essere stata autorizzata in conferenza dei servizi a desertificare il Mugello per un’ampiezza di quattro chilometri a cavallo del tracciato della linea ferroviaria, ovvero due chilometri per parte, e quindi se nel Mugello devono considerarsi fortunati se è successo solo quello che è successo, perché poteva andare anche peggio.

Perché nel momento in cui non elenchi, non indichi, non dici nulla, fai una fascia di possibile impatto e te, con quel foglio, pensi di essere stato autorizzato, noi potevamo prendere una riga di 73 chilometri e moltiplicarla per 4 e ci potevi mettere le palme: eravamo a posto.

[...] Quale fosse il generale livello di attenzione, di sensibilità, di responsabilità degli esecutori dell’opera, lo si ravvisa nel ridicolo depliant tratto dal sito internet della TAV ancora in rete sino al 2004. È quello che indica, tra i miglioramenti ambientali da realizzarsi a corredo delle opere di Alta Velocità, 5 casi specifici tra cui Moscheta, Camaggiore e Moraduccio. A Moscheta, dove hanno seccato la sorgente, gli interventi previsti sono due parcheggi, un sentiero ed un ponticello, servizi igienici ed altri ammennicoli. Per Moraduccio e Camaggiore è prevista in entrambi i casi l’attivazione di un “punto ristoro”.

Facciamo vedere questo documento a Bechelli, per cui gli domandiamo, visto che nessuno si sacrifica per il Paese: che è questa roba? Dice: “No, è un documento quanto meno datato”. Ineffabile!

 

Ed eccoci allora all’elenco dei danni.

Partiamo da questi perché, sennò, non ci sarebbe stato il processo.

Abbiamo detto: diritto penale. Soggetti, condotte, evento, elemento soggettivo. In verità il danno è uno, a formazione progressiva ed ancora in atto. Ora abbiamo l’imputazione che è fino al 2006, ma è in atto: perché è uno solo, perché è il danno alla circolazione idrica superficiale e profonda del Mugello. Tutti quei numeri, tutti quei punti, quelle singole sorgenti, quei singoli fiumi, quei singoli pozzi, quei singoli punti acqua, ogni singolo evento indicato nei capi di imputazione, di fatto non sono altro che un dato sintomatologico. Ma il danno è uno, è comprensivo, è il dissesto complessivamente unitario, dove ogni punto poi ha una sua storia, ma è un sintomo di ciò che sta accadendo. Di fatto l’evento-danno è unico, non ancora giunto ad un nuovo grado di equilibrio e quindi ancora in atto e purtroppo destinato ad aggravarsi. [...] Avremmo potuto parcellizzare, atomizzare questo processo, ma non avrebbe avuto senso. Basti ricordare che il Carza si è definitivamente seccato – ed è in atto - nell’agosto 2007.

Tutt’al più, se vogliamo, possiamo a sua volta suddividere il danno in quattro parti facendo riferimento ai quattro bacini idrografici interessati ovvero:

1)      il bacino del Santerno (sul versante adriatico) di cui fanno parte:

a)      Torrente Diaterna con i suoi affluenti (Diaterna di Castelvecchio, Diaterna di Caburaccia e Diaterna di Valica);

b)     Torrente Rovigo (con il Veccione ed affluenti minori);

c)      Fiume Santerno (con i suoi affluenti Violla e Rio Frena);

2)      il bacino della sinistra della Sieve (sul versante tirrenico)  di cui fanno parte:

a)      Torrente Levisone di Molinuccio;

b)     Torrente Bagnone con i suoi affluenti (Fosso del Mandrio, Bagnoncino, e Fiorentino);

c)      Torrente Bosso (con il Fosso Cannaticce, Fosso Rampolli e Fosso Risolaia);

d)      Torrente Le Cale;

e)      Torrente Ensa (con il Farfereta);

3)      il bacino della destra della Sieve (sul versante tirrenico)  di cui fanno parte:

a)      Torrente Carza con i suoi affluenti (Torrente Carlone, Torrente Carzola e Fosso Cerretana);

b)     Fosso di Cardetole ;

4)      il bacino dell’Arno (sul versante tirrenico)  di cui fanno parte:

a)      Torrente Zambra;

b)     Torrente Rimaggio;

c)      Torrente Terzolle.

Scelga il Giudice.

Però, dico, poco cambia. In questo caso ogni danno sarà il danno alla circolazione idrica superficiale e profonda limitata a quel bacino; ma, anche in questo caso, ogni singolo evento indicato nei capi di imputazione sarà solo una parte di un dissesto più ampio e che va al di là del singolo fatto. Dico questo intanto perché è vero, e poi per la sua valenza in termini di prescrizione. Sarebbe errato giuridicamente, e non corrispondente a quanto emerso nel dibattimento circa la causazione dell’evento di cui stiamo parlando, se volessimo valutare ogni singolo fatto come una monade a sé stante.

Dimostreremo poi, via via, come in effetti i danni e le condotte che li causano siano di fatto ancora in atto e mai cessate dall’inizio della realizzazione di quest’opera.

Parleremo più in dettaglio solo dei principali impatti, anche se ogni punto acqua meriterebbe un capitolo perché racconta sempre una sua storia propria ed umana, e ciò proprio perché l’acqua è un bene prezioso e, soprattutto vitale nel senso termine più proprio della parola. Vitale perché permette, alimenta e sviluppa la vita intorno a sé. Per cui ogni punto veramente meriterebbe una storia, perché abbiamo sentito ogni testimone che aveva una storia personale, familiare. Ma qui dobbiamo andare un po’ per sintesi. Ed il dato di sintesi, comunque, è impressionante.

Secondo i consulenti del Pubblico Ministero sono stati impattati direttamente dai lavori significative aste fluviali con assenza di afflusso nel periodo arido per uno sviluppo di 57,65 chilometri. Tradotto, 57 chilometri di fiumi che d’estate non ci sono. E, voglio dire, che non siano chiacchiere basta vedere quelle fotografie dove c’è l’erba al posto dell’acqua. Sono in atti. Altri 24,35 chilometri di corsi d’acqua presentano un minor afflusso di acque come conseguenza di un impatto indiretto. A questi si devono aggiungere sorgenti impattate in numero non inferiore a 67, a cui si aggiungono  37 pozzi e 5 acquedotti privati.

 

Questi sono i danni. E verifichiamo i più significativi, sempre con quell’ottica che dicevamo prima della cronologia, che segue l’andamento dei lavori, perché ha una doppia valenza: da una parte perché prova l’evento, dall’altra perché ci dà prova della consapevolezza che si è acquisita di volta in volta in relazione ai singoli fatti.

 

 

1) ACQUEDOTTO PRIVATO DI CASTELVECCHIO E VISIGNANO; FOSSO CASTELVECCHIO (LUGLIO 1998) (GALLERIA RATICOSA); SORGENTI CASTELVECCHIO, ESTATE 1998, LE SPUGNE LOC. FOSSA CATERINA.

 

Abbiamo già detto della significatività dell’essiccazione dell’acquedotto di Castelvecchio. L’area è interessata dalle opere del Cantiere T17 relativamente alla galleria Raticosa. Su tali fatti testimoniano il Sindaco Mascherini (1), il geom. Micheli, il dr. Trezzini, A. B. e C. D., E. F., G. I., L. M., N. O., P. Q., R. S. e T. U.. Nello stesso periodo in cui si è seccata la sorgente si sono seccati anche il fosso di Castelvecchio, la sorgente “Le Spugne” in località Fosso Catilina, la sorgente denominata "Fonte del Rullo" posta sul versante opposto al Fosso Catilina sul monte denominato "Monte la Fine", e la sorgente denominata "Valtrosa", ed altra denominata “Valparpano”.

Allo stato, grazie a CAVET, al posto dell’acquedotto privato e delle sorgenti, c’è un acquedotto gestito all'AMI (2) di Imola, con buona pace di chi - da tempo immemore - aveva acqua buona e quasi gratis.

Abbiamo già detto dell’importanza di questo impatto. In verità c’era già stato un impatto serio a Ca’ di Sotto, ma sicuramente quello di Castelvecchio è il primo serio e vero campanello d’allarme. E l’impatto che, anche a voler tutto concedere alla buona fede degli esecutori, dimostrava sin da subito l’inaffidabilità dei progetti, degli studi e delle previsioni.

Teste Micheli Luigi - Cioè, nel senso se, appunto, se quello che stava avvenendo, con i lavori in corso, metteva in evidenza come lo studio d'impatto ambientale all'epoca non aveva previsto questi impatti che poi si sono avverati.

È l’impatto che in ogni caso dimostra come da quel momento non ci potesse più essere la buona fede, visto che non era mai stato esplicitato come possibile e, una volta che comunque si era manifestato, CAVET, a seconda delle evenienze, lo ha negato, minimizzato, quando poi non ha addirittura deciso di contrattaccare con arroganza.  In ogni caso sempre si è fuggiti dalla proprie responsabilità.

[...] Questo impatto [...] coinvolge proprio una delle specifiche caratteristiche, quella indicazione della Conferenza dei Servizi: acque di interesse acquedottistico, acque potabili. Quindi qui non c’è discorsi, spetta nella competenza di CAVET. Era una cosa da evitare, non era il pozzo di uno messo in cima [...]. E’ un acquedotto. Quindi siamo proprio nella previsione. Per questo si muovono tutti: Biagi, Trezzini... Ed il teste Micheli, poveraccio, si trova di fronte ad una cosa che (...) metteva in evidenza come lo studio, l’impatto ambientale all’epoca non aveva previsto questi impatti che poi si sono avverati. E quindi il primo impatto da cui proprio il fallimento delle previsioni era conclamato.

L’impatto a Castelvecchio lo documenta ARPAT (3). Sulla base delle ispezioni condotte dall'ARPAT nel primo semestre del '98, è risultato come i maggiori impatti ambientali sulle acque sotterranee del Mugello connessi all’AV "si sono avuti nel Comune di Firenzuola in prossimità della finestra Rovigo con abbassamento di falda di 13 metri rispetto all'ante-operam e scomparsa di alcune piccole sorgenti”. Sempre nel Comune di Firenzuola, presso la finestra di Castelvecchio, sono state registrate dall'ARPAT venute d'acqua con portate fino a 25 litri al secondo "correlabili al marcato abbassamento della falda (50 metri rispetto all'ante operam - piezometro di controllo) e ad una significativa diminuzione della portata di una sorgente di controllo".

Già nel ‘98 ARPAT e Comune di Firenzuola attestano dunque l’emergenza ambientale nell'area di Castelvecchio, con l’essiccazione di una sorgente privata che alimentava gli abbeveraggi del bestiame al pascolo e, soprattutto, il totale prosciugamento anche della sorgente (da lt. 44/minuto) che alimentava l'acquedotto comunale di Visignano e l'acquedotto privato di Castelvecchio, località che da quel momento si è dovuta rifornire con autobotti non senza difficoltà.

L'ARPAT infine costatava che in alcuni casi la portata delle acque di aggottamento risulta superiore a quanto ipotizzato nello Studio di Impatto Ambientale. E ravvisava la necessità che venisse effettuato un aggiornamento dello studio specifico relativo alle interferenze delle gallerie sulla risorsa idrica sotterranea.

E’ stato fatto qualcosa? No. E siamo nel ’98.

 

 

2) S. GIORGIO

 

Continuiamo, cambiamo zona. Passiamo dunque a S. Giorgio.

La gente comincia a preoccuparsi. Si attivano il Comune di Scarperia, Rodolfi (4), l’OAL. Comincia tutto uno scambio di corrispondenza. Ci sono segnalazioni. Insomma, mandano alla fine Rodolfi (4)a controllare [...]. Dalla "Relazione geologico-ambientale sul movimento franoso verificatosi in data 27.04.'98 in località Pianacci - San Giorgio nel Comune di Scarperia", a firma del prof. Giuliano Rodolfi, si desume che con una lettera del 28.4.’98, il Sindaco del Comune di Scarperia aveva segnalato all’OAL la “presenza di una frana in atto di notevoli proporzioni nel territorio di questo Comune in corrispondenza della finestra denominata S. Giorgio che presuntivamente può essere stata causata dalla perforazione della finestra stessa”. Facendo seguito a tale segnalazione, il prof. Rodolfi effettuava in data 29.4.'98 un sopralluogo preliminare nella località denominata Pianacci -San Giorgio al fine di "verificare le cause dello smottamento che potrebbe anche interessare l'alveo del Torrente Bagnone". Il giorno stesso, il prof. Rodolfi "denunciava al Sindaco lo stato di pericolosità del fenomeno e richiedeva nel contempo che gli fosse messa a disposizione tutta la documentazione progettuale della "finestra". Un secondo sopralluogo, finalizzato ad un rilevamento di dettaglio della situazione, fu effettuato in data 2.05.98. La documentazione richiesta, completa di planimetrie, sezioni e dati stratigrafici e geotecnici, si rese disponibile" soltanto "ai primi di Giugno e fu oggetto di un esame collegiale del Comitato Tecnico-Scientifico (CTS) dell'OAL nella seduta del 9.6.98. Nel frattempo era pervenuta all'OAL la relazione sulla stessa frana (prot. 10526 II HA1) redatta dal Dott. Geol. Stefano Mirri dell'Ufficio del Genio Civile di Firenze. Il CTS ne prese atto e sospese ogni iniziativa in merito, nell'attesa di essere autorizzato dal Sindaco di Scarperia a superare il parere espresso da tale Ufficio, istituzionalmente competente in materia".

Una ulteriore richiesta del Sindaco all'OAL (lettera raccomandata del 23.07.98, prot. 9361) autorizzava definitivamente il dott. Rodolfi nella sua qualità di geologo e di Presidente del CTS a formulare le considerazioni che seguono e che si basavano sulla documentazione messa a disposizione da CAVET e al rilevamento topografico appositamente eseguito dalla struttura tecnica di supporto dell'OAL. Secondo il prof. Rodolfi, “il movimento franoso ha interessato un breve tratto dell’orlo della scarpata, allungata in direzione Nord-Sud, che sovrasta il corso del Torrente Bagnone all’altezza dell’abitato di San Giorgio (…) Nel corso del sopralluogo è stato intervistato il pensionato che curava più o meno giornalmente l’orticello sul ripiano sul quale si è depositato il corpo di frana. A suo dire, da tempo si avvertivano vibrazioni del suolo (…) Si ritiene che la principale causa che ha innescato l’evento franoso risieda nelle sollecitazioni trasmesse a terreni in già precario stato di stabilità, in un primo momento dalle operazioni di scavo della galleria e, poi, dal continuo transito in essa di macchine operatrici o di automezzi pesanti”.

Perché tutta questa attività su S. Giorgio?

Perché il Sindaco e l'OAL si erano attivati sulla base dell'apprensione manifestata da alcuni di agricoltori della zona, dopo le perforazioni eseguite dal CAVET. Si temeva che lo scavo della galleria potesse causare dissesti suscettibili di danneggiare gli immobili, e che con i drenaggi dell'acqua nel sottosuolo i terreni potessero perdere la fertilità dovuta alla presenza dell'acqua anche durante l'estate. Timore confermato dopo un sopralluogo svolto il 28.9.'98 in Località Campagna, all’esito del quale si evidenziava che l’escavazione per il tracciato AV potesse drenare “l’acqua da una grossa sacca dove si trova mista a sabbia, sacca trovata durante le perforazioni effettuate per conto della CAVET”, e che essa potesse “causare dissesti geologici che danneggino gli immobili”.

A S. Giorgio eravamo – perché non lo siamo più  - in presenza di terreni dotati di una particolare fertilità, “dovuta alla presenza del livello della falda d’acqua a poca profondità, condizione che aggiunta alla presenza di un terreno con un’importante percentuale di sabbia nella sua struttura permette di coltivare il mais durante il periodo estivo senza ricorrere a nessun tipo d’irrigazione di soccorso”. Qui, nonostante lo stato di calamità e siccità riconosciuta dalla Regione Toscana per la carenza di pioggia durante il 1998, il mais era rigoglioso e non manifestava di aver subito nessuna crisi idrica. Ci si riferisce, tanto per chiarirsi, al mais del sig. A. C..

Credo che tutti si ricordino la testimonianza del sig. A. C., particolarmente toccante. Nella nostra ignoranza ed insensibilità dovuta al fatto di fare un lavoro diverso da quello dell’agricoltore, noi pubblici ministeri mai avremmo potuto immaginare un amore tale per la terra, per ogni singola zolla.

Teste A. C. - All’inizio del ’99, in particolare intorno ad aprile ’99, noi siamo stati avvisati… ricordo bene che era un giorno festivo perché non vado mai ma ero andato a mangiare una pizza insieme ai parenti, mi telefona mio fratello alle dieci di sera, un giorno festivo, dicendomi di stare attento a tornare a casa perché si erano verificate delle perdite d’acqua dove si costruiva la galleria e essendo la sera tardi, non sapendo esattamente dove fosse riportato sopra il fronte di scavo, ci avevano avvisato di fare attenzione perché poteva manifestarsi qualcosa in superficie.

Cioè, vorrei che ognuno facesse - sennò diventa una litania, diventa veramente una noia - vorrei che ognuno facesse un esercizio di stile, provasse a pensare se fosse successo a lui. Quello sta lì, non so da quanti anni, poi vedremo. A. C. è quello che si va riprendere i primi dieci centimetri della terra, del suo terreno, perché gli voleva tanto bene. Quello sta lì, ti telefonano: “Forse succede qualcosa. Stai a mangiare una pizza? Stai attento quando torni a casa, potresti cadere in una buca”. Non si sa dove, potrebbe succedere qualcosa. È tutto più o meno così. Abbiamo sentito cento testimoni: il livello di informazioni, il livello di attenzione è questo, non è che è un caso eccezionale. Anzi. Ed ormai la gente è abituata a tutto, sostanzialmente quasi sempre se la tiene, è rassegnata. Dice: “Stai attento”.

Teste A. C. - La mattina dopo prontamente subito arrivarono dei tecnici, individuarono dov’era il fronte di scavo, ma successivamente, circa sette giorni dopo, si verificò anche il crollo del terreno, però molto più avanti della strada da dove magari pensavano di essere.

Pubblico Ministero - E’ vostro il terreno?

Teste A. C. - Sì.

Pubblico Ministero - Il vostro terreno è quello coltivato a mais?

Teste A. C. - Quello coltivato a mais.

Pubblico Ministero - Ecco, mi dice che cosa è successo a questo terreno coltivato a mais?

Teste A. C. - Io non sono sufficientemente edotto a dire che cosa è successo sotto il terreno…

Pubblico Ministero - No, cosa ha visto.

Giudice - Sopra, ci dica sopra, che si vedeva.

Teste A. C. -  Sopra il terreno praticamente si è verificato, la prima volta mi pare agli inizi di maggio del ’99, un piccolo buco, cedimento di un terreno, che man mano si è allargato e poi immediatamente c’è stato l’intervento da parte della Cavet che ha provveduto a mettere in sicurezza; poi è passato un po’ di tempo perché hanno dovuto… non so che cosa sia successo però è stato recintato tutta un’area che più o meno aveva una superficie inizialmente di circa tre ettari e su questa area hanno costruito dei pozzi artesiani per prosciugare il terreno perché dicevano che altrimenti non potevano costruire la galleria.

Pubblico Ministero - Ecco, ma questo terreno è calato?

Teste A. C. - Sì, è calato, cioè si è sgonfiato praticamente, ha cambiato la conformazione, le pendenze che c’erano inizialmente.

Pubblico Ministero - Ce lo spieghi. Prima che cos’era, era pari?

Teste A. C. - No, una zona che comunque era sull’asse galleria si è creato come una buca.

Pubblico Ministero - Profonda quanto?

Teste A. C. - Allora, anche qui bisogna differenziare fra quelli che sono stati degli assestamenti e quindi degli avvallamenti che potevano essere di circa da un metro a due metri in quella zona dove s’era verificata la prima rottura del terreno…

Pubblico Ministero - Il buco.

Teste A. C. - … il primo buco e subito chiuso; mentre nel secondo caso, quando è venuto il buco che io ho visto era un buco più profondo che è stato richiuso immediatamente e quello sarà stato circa una decina di metri profondo; e così anche nel terzo caso.

Pubblico Ministero - Voi lo usate questo terreno ora?

Teste A. C. - Attualmente sì, c’abbiamo già rilavorato su questi terreni, sono stati rimessi a posto.

Pubblico Ministero -  ‘Rimessi a posto’ in che senso?

Teste A. C. -  È stato chiuso i pozzi, ne sono stati lasciati solo due perché uno ancora alimenta la sorgente se no altrimenti attualmente non è stata fatta una soluzione diversa, è stato ripristinato i campi in piano e poi dopo è stato rimesso il terreno e poi abbiamo rilavorato.

Pubblico Ministero - Questi lavori tutti chi li ha fatti?

Teste A. C. - La Cavet ha fatto sempre il ripristino di tutte le cose che erano di loro competenza, io ho rimesso solo l’ultima parte della terra perché avevo piacere di togliere quella che era la mia su cui avevo sempre lavorato quindi me la sono voluta togliere da solo e rimettere a posto da solo, l’ultima parte superficiale, perché mi premeva in quanto era terra buona e non volevo che venisse mescolata a un’altra.

Pubblico Ministero - Senta, di queste cose lei è stato avvisato nell’immediatezza di quando sono avvenuti i fatti, non è che quando si parlava dei lavori dell’Alta Velocità lei ha avuto qualche ordinanza, qualche provvedimento dell’amministrazione, qualcuno che le ha detto ‘guardi, succederà questo’.

Teste A. C. - Allora, io su questo devo dire che l’anno precedente siccome mi sono informato su quali erano le strutture a cui ci dovevamo rivolgere mi sono rivolto all’Osservatorio Ambientale Locale un anno prima insieme alla signora D. preoccupati visto il passaggio di questo progetto abbastanza grosso della costruzione dell’Alta Velocità… preoccupati per le strutture, gli immobili, credendo che potevano subire dei danni. Quindi siamo andati all’Osservatorio Ambientale Locale, abbiamo chiesto un sopralluogo, è venuto il tecnico dell’Osservatorio Ambientale e ha ritenuto necessario fare dei testimoniali di stato e c’ha fatto la richiesta per avere i testimoniali di stato che sono stati immediatamente fatti… questo era luglio, credo che nel settembre ‘99 furono fatti i testimoniali di stato. Nei testimoniali di stato fra le osservazioni avevo indicato la preoccupazione per la fertilità dei terreni, perché se per le strutture immobili si potevano fare i testimoniali di stato, Cavet non prevedeva niente per quella che era la fertilità dei terreni; io comunque nei testimoniali di stato feci verbalizzare questa mia richiesta di un geologo che verificasse anche queste cose qua. Successivamente feci anche, sempre all’Osservatorio Ambientale, una richiesta preoccupato per la fertilità dei terreni in quanto era emerso da un sondaggio che sembrava che ci fosse qualche problema… parlavano che ci sarebbero state delle difficoltà perché c’era una sacca di acqua… questo avevo sentito dire.

Pubblico Ministero - Sotto il suo terreno.

Teste A. C. - Più a monte però, vicino al bosco, questo fu individuato vicino al bosco, però ovviamente non distante né dalle strutture né tanto meno dai terreni che erano lavorabili, e comunque sia nella zona della sorgente; per esperienza io sapevo che comunque questi terreni son freschi perché questa era un’esperienza indotta in quanto sono anni che io lavoravo su questi terreni quindi avevo fatto un sacco di drenaggi dove c’era molta acqua ma soprattutto, a volte, anche facendo arature con poco si trovava l’acqua.

Pubblico Ministero - Ecco, questa cosa era buona per il mais?

Teste A. C. - Certamente, infatti io quello che ho sempre detto è che la mia azienda riusciva in questi terreni a fare dei raccolti come irrigui, tant’è che io anche nel ‘99 feci fare anche una perizia da un tecnico sulla mia produzione rispetto alla produzione di un’altra zona.

Pubblico Ministero - E’ esatto dire che lei non c’aveva bisogno neanche di annaffiare?

Teste A. C. - Esatto, esatto, non solo la mia azienda ma anche quelle degli altri agricoltori che erano lì in quella valletta.

Pubblico Ministero - Per questo lei dice ‘io ci tenevo a questa terra’…

Teste A. C. - Esatto, esatto.

Pubblico Ministero - … cioè tutto il discorso sulla qualità e quant’altro perché il mais che assorbe molta acqua in quel caso a lei praticamente gli veniva quasi naturale perché c’era già l’acqua.

Teste A. C. - Certo, certo, io non avevo bisogno di fare l’irrigazione, anche se là da noi la portata del fiume più vicino - che era il Bagnone - non era sufficiente per fare l’irrigazione, comunque sia non avevo necessità di fare irrigazione.

Pubblico Ministero - Quindi addirittura un allacciamento col fiume Bagnone non sarebbe bastato per ottenere gli stessi risultati.

Teste A. C. - No, non si poteva ottenere lo stesso risultato.

Pubblico Ministero - E ad oggi?

Teste A. C. - Dunque, ad oggi la mia azienda irriga, cioè ha avuto una licenza di attingimento temporaneo d’irrigazione in quanto la Cavet ha immesso acqua nel Bagnone e quindi c’era sufficiente acqua per chiedere un permesso di irrigazione; essendo stata impattata in modo abbastanza importante quindi io ho dovuto effettuare l’irrigazione, quindi oggi se voglio ottenere lo stesso prodotto devo fare l’irrigazione.

Pubblico Ministero - Paga per quest’acqua?

Teste A. C. - Il canone annuo.

Pubblico Ministero - Quindi lo paga.

Teste A. C. - Sì sì.

Pubblico Ministero - Quindi lei per ottenere lo stesso risultato paga un canone che è questo dell’allaccio al Bagnone e poi deve annaffiare.

Teste A. C. - Devo annaffiare altrimenti non ottengo lo stesso risultato.

Pubblico Ministero - Mentre prima questa cosa andava di suo. E in più c’ha questo avvallamento, se ho capito bene, il terreno è più basso di prima?

Teste A. C. - Fuori anche dalle zone interessate, perché anche dove ha attraversato tutta la galleria si notano un po’ di assestamento io direi, non eccessivamente però…

Pubblico Ministero - Ma non capita più di ritrovare quest’acqua affiorante?

Teste A. C. - No, situazione come prima… ora non lo so, è poco tempo che rilavoro, può darsi che ancora sia passato poco tempo dalla costruzione della galleria e quindi fra qualche anno… io non lo so se fra qualche anno ritornerà a no lo stesso.

(...)
Pubblico Ministero - Lei ha sempre detto che comunque è stato avvisato da Cavet, Cavet è venuta, Cavet ha fatto… quindi è stato lei ha interpellarli o sono anche venuti di suo? O lei si è limitato ai rapporti con l’OAL?

Teste A. C. - No, il Cavet è stato costretto a intervenire d’urgenza sui nostri terreni quindi è venuto Cavet a cercarci chiedendoci il consenso di entrare sui terreni per rimettere in sicurezza la galleria perché c’era un problema di sicurezza della galleria.

Pubblico Ministero - Quindi dal problema di galleria è arrivato che è venuto lui da voi insomma, è venuto Cavet da voi.

Teste A. C. - No, dipende in che situazioni, per esempio c’è stata una situazione prima ancora che si verificassero questi fatti che siccome noi sentivamo delle vibrazioni in certi momenti, soprattutto la notte e poi anche in altri momenti, capitò che una volta di domenica mattina… che se non ricordo male doveva essere il 18 aprile ‘99… capitò che queste vibrazioni erano talmente forti lì vicino alla stalla, e s’erano verificate anche delle crepe alla stalla nei giorni precedenti, si sentiva talmente forte vibrare che a quel punto io chiamai anche la signora D., c’era la mamma, venne e sentì anche lei, e insieme decidemmo di chiamare l’Osservatorio Ambientale per far sentire anche a qualcun altro… cioè non era noi che ci si sognava, perché a volte l’avevo anche detto in altre occasioni ma sembrava fossi io perché gli altri non le sentivano… quindi si chiamò l’Osservatorio Ambientale il quale si accertò di queste vibrazioni e ci invitò a contattare immediatamente il cantiere CAVET che di domenica venne il responsabile che era di turno e anche lui verificò queste vibrazioni e quindi ci volle portare a vedere che cos’era che causa questa vibrazioni, perché loro stavano lavorando in galleria e quindi ci fece vedere…

 

Dunque A. C. è quell’agricoltore cui sprofonda il terreno. Quel terreno che il vicino dice sembrava essere diventato una piscina vuota.

E cosa fa A. C. dopo che gli si sprofonda il terreno? Si mette lì e raschia il primo strato di terra per riportarla su un altro terreno perché “era terra tanto buona”.

Teste A. C. - La CAVET ha fatto sempre il ripristino di tutte le cose che erano di loro competenza, io ho rimesso solo l’ultima parte della terra perché avevo piacere di togliere quella che era la mia su cui avevo sempre lavorato quindi me la sono voluta togliere da solo e rimettere a posto da solo, l’ultima parte superficiale, perché mi premeva in quanto era terra buona e non volevo che venisse mescolata a un’altra.

Ecco cosa temevano gli agricoltori. Conoscendo le loro ottime terre temevano di perderle. E purtroppo non sbagliavano.

 

Torniamo un passo indietro.

 

Il 6.10.'98 l'Osservatorio Ambientale Locale (O.A.L.) del Mugello segnalava al sindaco di Borgo San Lorenzo "la presenza di una grossa sacca composta da sabbia e acqua" sulla traiettoria della galleria A.V., aggiungendo che "tutta l'area ai piedi della collina è storicamente ricchissima di acqua". Il tecnico dell'OAL terminava la propria segnalazione al sindaco di Borgo San Lorenzo con questa frase: "Ritengo che la situazione, per le implicazioni che potrebbero manifestarsi in caso di una eventuale modifica della "sacca di acqua e sabbia", debba essere valutata urgentemente, responsabilmente e seriamente, dal punto di vista geologico".

Il 20.10.'98 il sindaco di Borgo San Lorenzo, Antonio Margheri, rispondeva chiedendo al presidente dell'OAL, prof. Giuliano Rodolfi, un approfondimento della problematica evidenziata. All'OAL il sindaco chiedeva inoltre "di coinvolgere anche l'ARPAT e il CONSIAG, qualora si ritenga, come sembra, che il fenomeno abbia implicazioni anche sulla risorsa idrica".

Il 6.11.'98 il prof. Rodolfi, dopo il sopralluogo, rispondeva al sindaco Margheri, e per conoscenza al presidente della Comunità Montana del Mugello Giuseppe Notaro: “In mancanza di dati sulla distribuzione in superficie e in profondità della granulometria dei depositi suddetti, non risulta possibile ricostruire, nemmeno approssimativamente, né la struttura della falda né le sue relazioni con il corso del Torrente Bagnone. Altrettanto arduo è stabilire se il tracciato della galleria interesserà, nel suo tratto che corrisponde in superficie all’attraversamento della piana del Bagnone, i sedimenti lacustri o i depositi alluvionali che li sovrastano e, quindi, se questo si troverà a interferire o meno con gli acquiferi presenti. Risultano pertanto fondati i timori dei residenti, che potrebbero rimanere privi di una risorsa alla quale la loro attività è strettamente vincolata. Pertanto, lo scrivente ritiene indispensabile e di estrema urgenza, prima che il progredire dei lavori di scavo possa creare situazioni irreversibili, l’organizzazione di una campagna geognostica, ad integrazione di quella che risulta già svolta da CAVET, volta ad accertare le relazioni sopra illustrate. Tale campagna, consistente in un raffittimento dei sondaggi già eseguiti, dovrebbe servire anche per porre in opera una rete di monitoraggio continuo, mediante piezometri, del comportamento della falda durante la progressione dei lavori in galleria”.

Quanto ai soggetti da coinvolgere, il prof. Rodolfi aggiungeva: "Lo scrivente concorda pienamente nel porre il problema all'attenzione degli Enti preposti al controllo dell'ambiente (ARPAT) e delle acqua (CONSIAG); si domanda, però, se tale iniziativa non spetti, piuttosto che all'OAL, ad una delle Amministrazioni competenti per territorio".

Cosa hanno deciso di fare al riguardo CAVET, le Amministrazioni Locali, l'Osservatorio Ambientale nazionale?

E’ stato fatto qualcosa di queste indicazioni?

La risposta è nei fatti. No.

Qualcuno ha avvisato A. C. che non fosse il giorno in cui è avvenuto il fatto?

No.

Qualcuno ha tutelato A. C.?

No.

E’ uno Stato di diritto?

Non credo. Uno Stato di diritto queste cose non le permette. E se non le permette, come credo che nessuno le abbia potute permettere, vanno sanzionate. Perché sennò vorrebbe dire che hanno fatto bene a fare quello che hanno fatto. E per questo c’è il processo. Dobbiamo spiegare agli imputati perché sono in questo processo, questo è un caso per cui si giustifica questo processo.

Quindi non è stato fatto nulla, tant’è vero che sei mesi dopo A. C. torna a casa e deve stare attento perché se no cade in una buca.

Risulta che sei mesi dopo il primo allarme tecnico, il danno ambientale preannunciato si è verificato.

Si verifica quello che A. C. ha testimoniato aver visto. Si verifica quello che risulta dal rapporto dell'ARPAT sui lavori per l'Alta Velocità e datato 20.5.'99 e che attesta la nuova emergenza ambientale di una galleria invasa dall'acqua e precipitosamente evacuata; una perdita di almeno 300.000 ettolitri di risorsa idrica; con danno non solo per l'economia agricola del Mugello, ma anche per l'approvvigionamento idrico del paese di Luco e degli insediamenti prossimi alla galleria.

Il tutto attribuibile a quella che l'ARPAT definisce una "fase di progettazione esecutiva" che "non ha probabilmente raggiunto il dettaglio necessario". Sempre prudente ARPAT. Dopo lo sfacelo dubita ancora che la progettazione esecutiva “non ha probabilmente raggiunto il dettaglio necessario”.

Vediamo i dettagli del rapporto del 20.5.'99 dell'ARPAT, a firma Dr. S. Rossi, Dr. P. Biancalani, e Direttore Generale Dr. A. Lippi. "Il giorno 25/4/99, durante una sosta delle operazioni di scavo del fronte, in maniera del tutto inaspettata, a circa 2 m dalla base del fronte di scavo, in prossimità del piedritto destro, si manifestava una concentrata e consistente venuta di acqua torbida e sabbia, con una portata stimata intorno ai 50 l/sec.. La presenza di una considerevole quantità di sabbia ha messo fuori uso il sistema di decantazione depurazione, intasando le pompe, causando il fluire dell'acqua in galleria che, data la pendenza lato Firenze, ha iniziato ad allagare la zona del fronte di scavo opposto impregnando i limi e mettendo in crisi il sistema di centine utilizzate per il sostegno ed il contenimento provvisorio nelle zone della calotta e dei profili estradosso".

Tre giorni dopo, è ancora l'ARPAT a farlo sapere, "la venuta di acqua torbida, pur con una portata inferiore (25/30 l/sec.) ed un minore carico solido, era sempre attiva".

Dieci giorni dopo, cominciano a essere apprezzati anche gli effetti in superficie: "a circa 100 m a NNE del fronte di scavo si era creato un avvallamento del terreno con un diametro approssimato di quasi 20 m ed una profondità massima di 40 cm, certamente legato al dislocamento del materiale solido in galleria". Da notare che la galleria corre a ben 40 m al di sotto del piano campagna! "L'area della depressione, informa l'ARPAT, è stata sottoposta a monitoraggio per verificare l'evolversi dell'avvallamento". E "allo stato attuale (14 maggio) la venuta di acqua non é cessata, anche se si è ulteriormente ridotta passando a circa 10 l/sec.".

Una stima molto cauta, ricavata moltiplicando i dati forniti dall'ARPAT per il tempo trascorso, permette di stabilire che la fuoriuscita di acqua e sabbia dalla galleria di S. Giorgio è stata, nei primi 19 giorni registrati nel rapporto ARPAT, di oltre 300.000 ettolitri. Un'enorme risorsa gettata via. Diventata anzi un grave fattore di inquinamento. È ancora l'ARPAT a scrivere che "l'immissione di notevoli quantità di acqua con un elevato contenuto di materiali solidi nel torrente Bagnone ha determinato il deposito di una notevole quantità fango nell'alveo con un indubbio danno biologico". Che si tratti di una vera e propria emergenza lo attesta l'ammissione che "allo stato attuale è impossibile, per motivi di sicurezza, interrompere l'emungimento delle acque della galleria".

Nel paragrafo dedicato alle "considerazioni", l'ARPAT scrive di ritenere, come abbiamo sopra evidenziato, "che, alla ripresa della escavazione, l'avanzamento dei fronti debba procedere di pari passo con una ricostruzione dettagliata della stratigrafia e dei rapporti geometrici fra le varie formazioni geologiche che, in fase di progettazione esecutiva, non ha probabilmente raggiunto il dettaglio necessario".

 

Nei mesi successivi le intercettazioni della falda, in quella stessa località (Luco di Mugello), ha provocato cedimenti di terreno profondi fino a 7 metri a distanze anche di 70 metri dal fronte di scavo del tunnel.

 

 

1)     Renzo Mascherini, allora sindaco del Comune di Firenzuola (FI).

2)     AMI, acronimo di “Azienda Multiservizi Intercomunale” di Imola,  dal 1 gennaio del 1996 si è trasformata in Consorzio Pubblico di cui sono soci 23 Comuni serviti e TE.AM. di Lugo. I comparti di attività dell’azienda sono: energia, acqua, igiene ambientale, farmacie comunali (dal sito web http://www.ami-consorzio.it/cea.htm).

3)     ARPAT è acronimo di “Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana”.

4)     Il prof. Giuliano Rodolfi, ordinario di Geografia fisica presso l'Università di Firenze, è presidente del Comitato Tecnico-Scientifico (d’ora in poi anche “CTS”) dell'Osservatorio Ambientale Locale (d’ora in poi anche “OAL”) sui lavori per l'Alta Velocità ferroviaria, istituito dalla Comunità Montana del Mugello.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 6]

 

 

“E IL FATTO CHE IL SUBAPPALTATORE SE NE VADA SIGNIFICA MOLTE COSE. VUOL DIRE CHE È EVIDENTE CHE IL PROGETTO NON FUNZIONAVA. VUOL DIRE CHE È EVIDENTE CHE NON CI SI RIENTRAVA NEI COSTI PREFISSATI. VUOL DIRE CHE È EVIDENTE CHE NON CI STAVA NEI TEMPI PREVISTI. VUOL DIRE CHE SI STAVA REALIZZANDO QUALCOSA DI DIVERSO DI QUELLO CHE SI ERA DETTO SI SAREBBE FATTO E – ANCHE A VOLER TUTTO CONCEDERE – CERTAMENTE QUALCOSA DI DIVERSO DA QUELLO CUI SI ERA STATI AUTORIZZATI”.

 

 

Quindi, abbiamo detto, Castelvecchio e San Giorgio. E siamo già a due eventi che dir significativi pare riduttivo.

 

Ma si è saputo fare di meglio con una nuova emergenza idrogeologica.

 

Questa volta è interessato il cantiere di Osteto (Comune di Firenzuola), dove si era verificata a partire dal 9 giugno '99 una rilevante intercettazione della falda acquifera. [...] Ci dirà il teste di Italstrade (1): questa venuta fa una cosa molto semplice, riempie la galleria. Ma non riempie tipo acqua alta a Venezia, due metri. Hanno fatto una galleria, si riempie il cavo della galleria fino in cima, [...] è un tubo d’acqua grosso come una galleria. [...] Tant’è vero che sbaraccano tutto e vengono via. Non ci rimettono più piede.

Nella relazione dell'ARPAT si legge che la fuoriuscita d'acqua a Osteto è stata valutata dell'ordine dei 250/300 metri cubi l'ora (il che vorrebbe dire oltre 6 milioni e mezzo di litri al giorno!). "In un successivo sopralluogo del giorno 11 giugno - si legge nella relazione - è stato constatato che la parte terminale della galleria era allagata fino in calotta in quanto il giorno precedente l'allontanamento delle acque era stato interrotto e quindi non è stato possibile verificare le caratteristiche (portata, posizione) della venuta. Alla data odierna (15 giugno) il pompaggio risulta essere in corso ed è presumibile che l'acqua venga completamente allontanata dalla galleria nei prossimi giorni, permettendo una verifica della situazione". L'ARPAT riconosce "la necessità che i lavori siano riattivati solo quando saranno stati effettuati approfondimenti idrogeologici con una più precisa identificazione delle discontinuità". [...] Nella nota si legge ancora che "dall'esame della documentazione in nostro possesso la galleria (scavata per circa 900 m) sta drenando una quantità di acqua decisamente superiore a quanto ipotizzato in sede di studio di impatto ambientale". L'ARPAT aggiunge che "sono state verificate delle semplificazioni nello studio idrogeologico della galleria". Si arriva da parte dell'ARPAT a rivalutare persino le tecniche di scavo adottate sotto l'Appennino. Col Presidente dell'Osservatorio Ambientale l'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana ha concordato la necessità che gli approfondimenti idrogeologici ritenuti necessari e propedeutici alla riattivazione dei lavori siano accompagnati dalla definizione di un nuovo codice di scavo che elimini il drenaggio "incontrollato".

Lo stesso Osservatorio Ambientale nazionale istituito presso il Ministero dell'Ambiente adotta il 17 giugno '99 un provvedimento nel quale sostiene di ritenere che "i lavori di scavo, che attualmente risultano sospesi, possano riprendere solo sulla base di attendibili approfondimenti tecnici in merito alle previsioni relative ad eventuali ulteriori interferenze con le risorse idriche e solo in presenza di adeguate misure preventive relative alle modalità di avanzamento e di impermeabilizzazione, al fine di limitare al massimo i danni al sistema idrogeologico e al sistema ecologico nel suo complesso" (Ministero dell'Ambiente, Provvedimento del 17 giugno '99, con oggetto "Emergenze idrogeologiche causate dallo scavo delle gallerie nella tratta Bologna-Firenze").

 

A questo punto ci sarebbe sembrato normale che qualcuno di CAVET potesse aver anche pensato che stavano diventando ormai troppo evidenti i danni ambientali che si andavano procurando visto peraltro che ARPAT considerava che "la galleria Firenzuola Nord insiste in prossimità (e per alcuni tratti all'interno) di un sito di interesse comunitario, e quindi l'eccessivo drenaggio potrebbe comportare eventuali danni ai corsi d'acqua superficiali con ripercussioni negative sull'ecosistema".

E invece si va avanti come se finora non fosse successo nulla.

 

E siamo a tre eventi eclatanti: Castelvecchio, San Giorgio, Osteto.

 

Marzano. Ce lo ricordiamo Marzano. Marzano, altro punto d’acqua. Quindi non è il pozzo del tizietto che ci sta dal 1800, di cui non ci importa, considerato meno che nulla. No, quello che  [...] la Conferenza dei Servizi ha detto: perlomeno all’acqua potabile stiamo attenti! Insomma, si cominciano tutti a preoccupare [...].

Nel dibattimento scopriamo una cosa carina: non è che non si sapesse, ma si pensava che ci volesse un anno e mezzo. [...] Ci avrebbe messo tanto tempo: cioè il tempo di chiudere i lavori ed andare via. Hanno avuto sfortuna. Perché in due ore si è seccato tutto. E’ stato un problema anche per loro, perché gli ha invaso la galleria e quindi i lavori si sono fermati. Quindi non è che non si sapesse. E CONSIAG (2) diceva: non solo succederà, ma poi sarà un problema anche andare a trovare l’acqua intorno, perché con quella se la portano via tutta.

Sempre nel 1999, ARPAT prevede la possibilità di intercettazione di falde idriche significative connesse con le sorgenti Casa d’Erci. In questo periodo ARPAT ipotizza anche altri possibili impatti sull’area circostante (fosso Cannaticce, approvvigionamenti idrici di Scarperia ecc.). Con nota del 15.2.2000 Italferr dà conto di aver rilevato la fascia fratturata ma sbaglia la previsione sui tempi dell’impatto. Con nota del 15.03.2000 ARPAT comunica all’Osservatorio Ambientale che sul lato nord della galleria di Marzano, alla progressiva km 54+120 e 54+116, nelle giornate di sabato 11 e di domenica 12 marzo 2000 è stata intercettata una venuta d'acqua stimata in 5 Litri/secondo; le venute d'acqua sono risultate attive anche sui fronti di scavo del 14 e 15 marzo (rispettivamente km 54+112 e 54+108): la portata complessiva è di 11 Litri/secondo. In particolare in data 11.03.2000, durante i lavori di scavo della galleria Firenzuola da Marzano, cantiere T 11, si verificò quanto paventato e previsto da ARPAT già dal novembre 1999, ossia che a cominciare dalla progressiva 54+100 lo scavo avrebbe attraversato una zona molto fratturata e, quindi, intercettato una importante falda acquifera, con probabili influenze negative sull'acquifero alimentante le sorgenti Case d'Erci (in altre parole si è verificata la temuta interferenza fra lo scavo della galleria e le sorgenti di Case d'Erci ).

Il 15.03.2000 l’Osservatorio Ambientale raccomanda a TAV la sospensione dei lavori di scavo della galleria di Firenzuola alla progressiva 54+100.

Con nota n. 3724 del 22.03.2000 il CONSIAG comunica al Ministero Ambiente, all’Osservatorio Ambientale, all'ARPAT, al Sindaco di Borgo San Lorenzo, a TAV ed altri che le sorgenti di Case d'Erci, che alimentano gli acquedotti di Luco di Mugello, Grezzano e frazioni limitrofe, mostrano una diminuzione della portata sin dallo scorso 16 marzo e che tale portata ha raggiunto livelli preoccupanti negli ultimi 3 giorni. La sorgente di Frassineta non mostrava il medesimo fenomeno. A parere del CONSIAG il fenomeno non poteva che derivare direttamente dall'interferenza idrogeologica dello scavo della galleria di Firenzuola: "il fenomeno ha evidenziato una rapidità di interferenza tra il drenaggio della galleria e il regime delle sorgenti di alcuni ordini di grandezza superiore a quella ipotizzata da CAVET e dai suoi consulenti in ogni sede”.

Dalle "Relazioni di sopralluogo" eseguiti da tecnici ARPAT fra il 23 e il 30.03.2000 al cantiere della galleria ed alle sorgenti Case d'Erci, risulta che sono stati eseguiti i due sondaggi orizzontali richiesti con nota ARPAT del 09/03/2000, che le portate delle sorgenti Case d'Erci (1 e 2) continuavano a diminuire, nonostante le piogge copiose, che la quantità d'acqua intercettata in galleria alla progressiva 54+102 continuava ad essere sensibile: la portata di acqua media trattata dall'impianto di depurazione era di circa 50 litri/secondo.

Alla fine le sorgenti di Case d’Erci si seccano definitivamente.

E’ la cronaca di una morte annunciata. L’ennesima.

E nel 2000, insomma. Ricordiamoci che tutte queste cose le diciamo perché qualcuno avrà cominciato a pensare che forse andando avanti a quel modo si facevano danni, o no? Tant’è vero che addirittura si muove la Regione, insomma, con quell’inerzia, nel 2000.

Castelvecchio, S. Giorgio, Osteto, Case d’Erci.  Ognuno di questi singoli eventi poteva e doveva bastare per una riflessione su cosa si stava facendo. Per riconsiderare il tutto.  Ed invece non sono bastati quattro rilevanti impatti con gravi conseguenze ambientali per fermarsi.  Ed eppure ormai l’allarme era scoppiato e l’impatto emergenza evidente.

Se si muove addirittura la VI Commissione della Regione Toscana per ricevere tutti i Sindaci interessati vuol dire che era non solo evidente, ma addirittura conclamato, che si fosse oltrepassato il limite giungendo ad un punto di non ritorno.

Riassuntivo l’intervento di Margheri, Sindaco di Borgo S. Lorenzo davanti alla VI Commissione.

ANTONIO MARGHERI - Sindaco di Borgo San Lorenzo.

"(…) circa un anno fa quando dopo un bilancio e dopo anche il verificarsi di eventi che si erano manifestati, soprattutto riguardanti le risorse idriche in maniera o inaspettata o comunque in maniera più pesante di quella che era stata prevista, avvertimmo tutti la necessità di richiedere approfondimenti, studi più seri e meglio impostati rispetto a quelli che avevano accompagnato il progetto esecutivo dell'opera.  (…) ormai è dato per acquisito che il modello idrogeologico che era stato redatto e che accompagnava il progetto esecutivo dell'opera si è dimostrato, soprattutto per alcuni tratti, in maniera particolare i tratti di galleria che attraversano l'Appennino, inadeguato. (…) Nella fattispecie noi abbiamo parlato anche di comportamento irresponsabile da parte di CAVET in quanto dopo la realizzazione di un tratto di galleria che non aveva avuto intercettazione di acquiferi, i lavori sono continuati per due o tre giorni prima che ci fosse la sospensione nonostante che l'intercettazione sia avvenuta 13-14 metri prima del punto stabilito come inizio del rischio.

Il passaggio della tratta nell'Appennino è cosa molto complicata e molto delicata in quanto si incontrano strati di roccia fratturati e attraverso le fratture della roccia la galleria drena le risorse idriche. Questa situazione era stata parzialmente prevista ma si sta manifestando in modi e in quantità che non erano stati previsti in quanto il modello idrogeologico adottato faceva riferimento ad uno strato molto più compatto dell'ammasso roccioso, cosa che non c'è. (…) Potrei leggere questi passaggi degli accordi procedimentali testualmente però ne faccio a meno, ci sono passaggi che consentono di rivedere anche il progetto qualora ce ne sia la necessità, però ancora questi approfondimenti tecnici e queste proposte non hanno raggiunto un livello tale da poter ancora oggi essere valutato attentamente. (…) Noi vogliamo uscire da questa situazione, non siamo interessati a tenerci a vita questa servitù di cantieri che ci sono nel nostro territori però la ripresa dei lavori deve avvenire all'interno di un quadro di certezze e di valutazioni attente, di assoluta non sottovalutazione dei problemi da tutti i punti di vista della salvaguardia delle acque superficiali perché i fossi e i torrenti devono rimanere, da un punto di vista igienico sanitario perché per esempio a Luco e a Grezzano ci sono 2.000 abitanti che non hanno al momento un servizio di depurazione e, quindi, se l'acqua nei fossi manca ci sono poi anche emergenze di carattere igienico sanitario".

E qui è bellino un po’ alleggerire, perché questo processo ha avuto anche effetti stupendi, esilaranti. Qui arriviamo al paradossale. Sapete qual è la risposta di CAVET al Sindaco Margheri che denuncia l’emergenza di carattere igienico-sanitario per i duemila abitanti di Luco?

Non è quella che si uno si potrebbe aspettare, ovvero un risposta nello stesso anno 2000 per cui CAVET avrebbe dovuto prender atto del fallimento nel progetto e attivarsi di conseguenza.

No, la risposta di CAVET è datata 2007 ed è quella che dà tramite il CT Celico a pg. 445 della sua consulenza nel commentare il teste Piera Ballabio.

La Ballabio conferma ciò che aveva già detto Margheri. Ha testimoniato in aula che “noi abbiamo avuto, per interi periodi, cittadini di Luco che andavano a vedere ……se erano aperte le pompe” di CAVET che consentivano di “far defluire meglio i reflui del Bosso”; e ciò perché “le case di Luco buttavano tutti i reflui nel Bosso; quindi, non essendo più l’acqua presente ... diventava una cloaca a cielo aperto”; infatti, “per mesi, qualcuno passava tutti i giorni …, qualcuno del nostro comitato, … per vedere se le pompe funzionavano”, e, “quando non funzionavano, o si chiamava ARPAT o si chiamava il Comune” (cfr. pag. 2945 del verbale dell’udienza del 12 maggio 2006).

Ci pare una dichiarazione lineare di denuncia di un fatto, grave, subito dalla popolazione di Luco, guarda caso un danno provocato proprio da CAVET.

E’ invece ecco cosa ne deduce, inopinatamente, il CT Celico.

Testuale:

“In altri termini, il Presidente del Circolo del Mugello di Lega Ambiente, nonché Responsabile dell’Ufficio Turismo della Comunità Montana del Mugello, nonché Consigliere di maggioranza del Comune di Borgo S. Lorenzo, ha detto che, pur essendo a conoscenza dell’esistenza di un importante inquinamento nel Bosso (“cloaca a cielo aperto”) e pur conoscendone la provenienza (“le case di Luco”), non ha sporto denuncia. Si è invece preoccupato che le acque inquinate fossero costantemente diluite (operazione, questa, vietata dalla legislazione vigente) dallo scarico della galleria TAV e, per raggiungere questo scopo, ha fatto controllare, “tutti i giorni”, “per mesi”, attraverso persone di propria fiducia (“qualcuno del nostro comitato”) e attingendo notizie dagli stessi inquinatori (i “cittadini di Luco”), che CAVET scaricasse le acque della galleria nel Bosso. E, per conseguire fino in fondo il suo disegno, non ha esitato a denunciare l’inconscio “diluitore” (CAVET) ad ARPAT (“si chiamava ARPAT”) ed al Comune (“si chiamava il Comune”). Se ora si considera che la stessa notizia di reato è stata data, sia dai CTP del PM Gisotti, Sanna e Riva (cfr. par. 5.1.1.3) sia dall’altro CTP del PM Rodolfi (cfr. par. 5.2.2.26) sia dal teste Dario Collini (3) (cfr. par. 5.5.10), è evidente che debba trattarsi di un fatto noto a cittadini ed Autorità. Quindi, è quanto meno strano che nessuno sia intervenuto sugli inquinatori di monte e si sia ritenuto che la colpa di un presunto inquinamento fosse di chi, magari per un guasto alla pompa, non avrebbe consentito, per qualche giorno, la diluizione (peraltro vietata dalla legislazione vigente) dell’inquinamento a valle”.

Forse non capiamo o leggiamo male.

Per il CT di CAVET, prof. Celico, la Procura avrebbe dovuto indagare i cittadini di Luco? Ci mancava anche questa.

Comunque questa è la risposta di CAVET al Sindaco Margheri per i disagi di Luco. Si secca Case d’Erci, metto in ginocchio una frazione, non faccio nulla. Nel 2007 dico che i cittadini di Luco sono inquinatori. La Procura non ha mandato a giudizio i cittadini di Luco. Non so se siamo in tempo, duemila persone, li manderemo a un processetto, vediamo che fine fa. Questa è la risposta di CAVET al Margheri, che diceva: abbiamo problemi anche igienico-sanitari.

 

Sorgente La Rocca. Quinto evento significativo.

Che dire?

Gli argomenti sono gli stessi. Notare: sono tutte sorgenti che hanno rilevanza per gli impianti acquedottistici, unica indicazione specifica [...] nella Conferenza dei Servizi. Quindi, tutti fatti da evitare. La Rocca non è una sorgentella: alimenta l’acquedotto di Scarperia.

Sul punto [...] rimandiamo alle dichiarazioni dei testi e persone offese [...].

Ormai il grado di attenzione cala, mi annoio anch’io, figuriamoci.

Però qui, mi dispiace, mi accorgo che tra i danneggiati c’è anche Bechelli. Bechelli infatti ci rimane tanto male per l’essicamento de La Rocca, ci rimane malissimo. A lui i tecnici CAVET avevano detto “tutto a posto” per La Rocca e così lui aveva a sua volta rassicurato il Sindaco di Scarperia di star tranquillo. E invece La Rocca si secca e CAVET gli ha fatto fare una figuraccia e lui c’è rimasto male, ed a noi ci dispiace.

 

Moscheta. Anche Moscheta è stata impattata. Era stata dichiarata Sito di Interesse Comunitario. Bazzecole. Erano stati investiti denari della Regione, Consiglio Comunale, 6 mila ettari. Mascherini era andato nel 2000 a dire... Insomma, non ce ne importa: tanto si facevano i parcheggi! TAV ha detto che gli faceva i parcheggi, il sentierino. E quindi si è seccata. Se ci vogliamo divertire, ci ricordiamo che la gente andava ancora a prendere l’acqua pensando fosse l’acqua della sorgente, invece era arrivato l’acquedotto dell’AMI. Per cui uno andava a Moscheta, e prendeva le taniche... dell’acquedotto dell’AMI.

Per Moscheta rimandiamo a Mascherini, il Sindaco di Firenzuola. “...Per quanto riguarda il Comune di Firenzuola da indagini che loro hanno affinato in questi 5 anni, viene fuori non solo che si è seccata la sorgente di Castelvecchio, quindi è andata a secco e hanno costruito l'acquedotto alternativo, ma che tra due anni si impatteranno le sorgenti di tutta la vallata di Moscheta. Ora il Mugello, il Consiglio Comunale di Firenzuola, ha fatto una battaglia aspra per evitare di toccare quella valle dove ci sono 6.000 ettari di demanio accorpato della Regione dove la Regione ci ha investito tanti soldi, è di fatto un parco naturale dove c'è una azienda agrituristica della Regione gestita da una cooperativa, è una zona di grande pregio ambientale, un patrimonio pubblico. Avevamo cercato di evitare di costruire li una finestra, ci è stato detto che non era possibile rispetto ai tempi, è stata iniziata la costruzione di una finestra, questa finestra era lunga un chilometro e 200 metri, a 900 metri hanno imbattuto in una puntuale venuta d'acqua di 70 litri al secondo, si è allagata la galleria e hanno abbandonato la finestra. Quindi probabilmente quella finestra non si finirà più, si dovrà costruirla partendo dalla galleria sotto, quindi la galleria principale ricostruire la finestra perché dovrà servire sempre come entrata di emergenza per la sicurezza in galleria ma sarà realizzata solo alla fine, quindi non diminuirà minimamente i tempi dì costruzione della galleria, si è voluta fare lo stesso ma è stato annunciato da studi più precisi che le sorgenti di quella valle saranno seccate e quindi si sta verificando la possibilità di portare in quella valle risorse idriche da Firenzuola, quindi dovremmo costruire diversi chilometri di acquedotto per portare l'acqua eccetera. Per realizzare questa opera ci vorrà più di un anno e quindi il Consiglio Comunale di Firenzuola ha detto: non riprendete i lavori di quella finestra, costruiamo altri acquedotti, portiamo l'acqua da fuori e poi seguitiamo a costruire questa galleria in maniera che quando si arriva sotto la valle di Moscheta già la valle sia già approvvigionata da acqua portata da fuori”.

 

Ed allora cominciamo un po’ a stringere, un po’ a concludere, a mettere le cose insieme.

Pigliamo questa prima parte: Castelvecchio, Osteto, Marzano, La Rocca, Moscheta, sono fatti – direi - gravissimi.

Solo colpa? No.

Non era il caso fermarsi già nel ’98 come detto da Trezzini, e riconsiderare tutto? C’erano dubbi su ciò a cui si sarebbe andati incontro? Non si è preso atto di ciò che era successo? Era tutto a posto? Era tutto regolare? No, non lo era.

E questa non è la valutazione malevola inquisitrice di un PM qualunque. È la valutazione propria anche di alcuni di quelli che stavano costruendo l’opera. E’ la valutazione di Italstrade, che aveva vinto uno dei subappalti concessi da CAVET.

Basta leggersi la testimonianza Lodico.

Teste – Beh, Italstrade ha vinto delle gare di appalto dove praticamente fungeva da appaltatore, il CAVET aveva fatto i progetti e interloquiva con i vari enti, diciamo, preposti, sia la Regione, sia l'Osservatorio Ambientale e sia tutti gli altri enti, per cui il mero ruolo della Italstrade era quello di eseguire le opere che erano state progettate ed approvate nelle varie sedi competenti dal CAVET e dagli altri organi.

Avv. De Napoli – Quindi Italstrade non partecipava o non aveva partecipato ad alcuna progettazione, mi pare di aver capito – o no? – degli... del cantiere?

Teste – No, aveva solamente fatto un'offerta prezzi per quanto riguarda un progetto già redatto dal CAVET. …

Teste – Sì. Noi avevamo vinto appunto due appalti: uno che era quello denominato Osteto e che consisteva praticamente in una discenderia di circa millecinquecento metri, con poi un tratto di galleria da dover realizzare verso nord e verso sud; un altro appalto, che era quello di Marzano, che era anche qui una discenderia di circa mille e cento metri, con una pendenza un po' minore di quella di Osteto, e anche qui c'era da realizzare poi un tratto di galleria sia a nord che a sud. Per quanto riguarda quello di Osteto però non è stato eseguito, se non parzialmente, solo per circa otto-novecento metri e dopodiché ci siamo fermati, in quanto è stato fermato l'avanzamento, è stata allagata del tutto la finestra perché c'era stata un'enorme venuta d'acqua e praticamente i lavori lì sono stati interrotti.

La ditta sub-appaltatrice dell’opera per conto di CAVET, prende atto dell’insufficienza del progetto, fa due conti, si rende conto del fallimento dell’intervento, prende baracca e burattini, chiude e se ne va. 

Pubblico Ministero - Buongiorno. Senta, quindi T11 e T12?

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - E T12. Periodo? Ha detto galleria Osteto sino al '98?

Teste – Galleria... scusi... '98, sì, credo...

Pubblico Ministero - '98. Marzano? 2001?

Teste – Sì, esatto.

Pubblico Ministero – 2001.

Teste – A marzo 2001 siamo andati definitivamente via.

Pubblico Ministero - Perfetto. Benissimo. Corretto. Quindi, per quanto riguarda l'attività di scavo dentro la galleria, solo e soltanto personale Italstrade.

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - Responsabilità Italstrade.

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - L'unica cosa che diceva è che voi, ovviamente, avendo avuto un appalto, il progetto non era vostro, quindi dovevate eseguire quel progetto.

Teste – Sì, esatto.

Pubblico Ministero - Senta, tutti e due i contratti sono stati rescissi?

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - Quindi non sono arrivati a scadenza naturale, se in qualche modo...

Teste – No.

Pubblico Ministero - E' esatto quello che dico?

Teste – E' esatto.

Pubblico Ministero - Ha seguito lei? Ci sa dire come mai?

Teste – Perché praticamente c'erano state queste sorprese geologiche dovute a delle venute di acqua abbastanza considerevoli, sia su Osteto sia per quanto riguarda poi Marzano, e per cui, diciamo, non eravamo in condizioni noi di eseguirle direttamente, se è fatto carico CAVET e c'è stata una rescissione consensuale dei contratti.

Pubblico Ministero - Quindi, le faccio una domanda sciocca: non erano contrattualizzate le venute d'acqua?

Teste – Erano previste, ma molto più avanti come, diciamo, previsione, non in quella misura certamente.

Pubblico Ministero - Ecco, quindi – lei mi corregga sempre se sbaglio, perché chiaramente è il suo pensiero che deve emergere – quindi lei mi dice due dati differenziali: uno temporale, previsto più avanti nel tempo, e uno quantitativo, non in quella misura. E' esatto ciò che... che ho capito? Per il verbale, se dice...

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - Ragione per cui, di fronte a queste emergenze, evenienze non previste nella loro quantità, voi avete fatto una valutazione che non c'entravate, che non eravate più nei costi o nelle capacità tecniche – non lo so, lo dica lei – tanto da arrivare alla rescissione del contratto.

Teste – Esatto.

Pubblico Ministero - Esatto. Perché voi vi siete fatti tutti e due gli allagamenti?

Teste – No. Uno...

Pubblico Ministero - E mi spiego: uno a Osteto, ha detto avete allagato la galleria.

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - È esatto?

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - Le venute di Marzano?

Teste – Le venute di Marzano le abbiamo incontrate all'inizio e poi lì c'è stata praticamente la rescissione, quando abbiamo incontrato... ora non mi ricordo se era a fine anno 2000 e poi agli inizi del 2001 siamo andati via; mi pare settembre-ottobre, vado a memoria, eh?

Pubblico Ministero - Eh. Perché mi diceva di no? Non l'avete avuto l'allagamento a Marzano?

Teste – No, no... dipende cosa intende lei per allagamento. Io allagamento intendo che per quanto riguarda Osteto abbiamo riempito tutta la galleria per novecento metri, quant'era scavata, di acqua.

Pubblico Ministero - Ecco...

Teste – A Marzano non è successo questo.

Pubblico Ministero - Ho capito.

Teste – Ecco.

Pubblico Ministero - Quindi per lei allagamento è totale, cioè proprio un tubo d'acqua... dappertutto.

Teste – Esatto, sì.

Pubblico Ministero - Mentre a Marzano che è successo?

Teste – Ci sono state delle venute d'acqua considerevoli, ma non c'è stato un allagamento vero e proprio.

Pubblico Ministero - Bene. In quel senso lì, va bene. Però c'è stata la sospensione dei lavori.

Teste – Ci sono state delle sospensioni dei lavori da parte dell'Osservatorio Ambientale e via dicendo.

Pubblico Ministero - Anche in Marzano?

Teste – Certo.

Pubblico Ministero – È arrivata un'ordinanza del Sindaco?

Teste – Certo.

Pubblico Ministero - Quindi lei è preciso, nel senso di dire che ‘per me non è allagamento’, nel senso che non si è riempito tutto il cavo...

Teste – Esatto.

Pubblico Ministero - ...ma c'è stata una venuta d'acqua in relazione alla quale il Sindaco ha imposto uno stop.

Teste – Io, guardi, col Sindaco non... non le so essere preciso perché i rapporti li aveva... li teneva – giustamente, contrattualmente era così – il CAVET.

Pubblico Ministero - Ah.

Teste – Per cui io non le so dire il Sindaco o meno.

Pubblico Ministero - Però lo stop lo possiamo dire.

Teste – Lo stop c'è stato, certamente sì.

Pubblico Ministero - Nella sua... per la sua... per come le è arrivato a lei, le lo collega all'Osservatorio Ambientale – non le domando i documenti, tanto li abbiamo noi – però c'è stato uno stop che vi ha...

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - ...imposto... diciamo, non è stato una scelta...

Teste – Un fermo cantiere.

Pubblico Ministero - Ecco.

Teste – Sì.

Pubblico Ministero - Non è stato una scelta vostra.

Teste – No, no, imprenditoriale nostra no.

Pubblico Ministero - Ecco. Allora, lei ha parlato di "sorprese". Ci può specificare? Perché, che cos'era... voi avete fatto il subappalto, quindi avrete fatto un capitolato, Avrete fatto anche un prezzo, in relazione a delle previsioni di lavori. In che rapporto stavano questi scavi con l'acqua, nella vostra previsione, nel vostro contratto?

Teste – Beh, erano previste appunto di incontrarle quando avevamo già fatto parecchi metri di galleria. A Osteto anche in fondo alla discenderia, se ricordo bene, in fondo ai millecinquecento metri era previsto che si trovasse un qualche arrivo d'acqua. Ora, sui metri cubi... se lei mi dice... non penso che questi sia possibile stimarli o era scritto ben chiaro in qualche documento quant'era, ma sicuramente non in quell'entità che trovammo poi a Osteto. Tanto per dirle, a Osteto avevamo scavato ottantamila metri cubi e abbiamo trovato ottocentomila metri cubi d'acqua, per cui, insomma...

Pubblico Ministero - C'è una bella sproporzione.

Teste – Eh, sì.

Pubblico Ministero - Ma io infatti non le chiedevo la precisione sui numeri, perché non credo neanche sia possibile. Le chiedevo una cosa un po' diversa: che tipo di presidi, come andavano gestite le acque? Cioè, nel senso: si prevede una venuta, in relazione a quella voi vi fate carico di instaurare una sede di presidi.

Teste – Noi avevamo degli impianti di sollevamento che nella particolarità poi erano degli impianti di sollevamento antideflagranti, in quanto avevamo... era prevista la presenza di grisù nell'ambito dello scavo, per cui erano equipaggiati in un certo modo e avevamo questi, diciamo, impianti di sollevamento con più rilanci lungo tutta la discenderia, sia di Marzano sia di Osteto, che erano dimensionati con un certo volume di acqua.

Pubblico Ministero - Ecco. Questo lo può dire?

Teste – Eh, non me lo ricordo esattamente.

Pubblico Ministero - Ah, OK.

Teste – Le direi una bugia.

Pubblico Ministero - Allora possiamo dire così: voi, in relazione alle vostre informazioni, vi eravate...

Teste – Dimensionati i nostri impianti di sollevamento.

Pubblico Ministero - Esatto. Dopodiché sono risultati in entrambi i casi inefficienti.

Teste – Non...

Pubblico Ministero - Inefficienti entrambi.

Teste – Non sufficienti.

Pubblico Ministero - Non sufficienti.

Teste – Ecco, la parola esatta è non sufficienti.

Pubblico Ministero - Sì, sì, non sufficienti. Senta, ma siete stati anche destinatari, incolpevolmente, cioè, o comunque, insomma... per il solo fatto di essere lì, che qualcuno vi è venuto a cercare dicendo "Oh, ma a me mi s'è seccato un pozzo, mi si è seccato un fiume, mi si è seccato"...

Teste – Per quanto ci riguarda noi direttamente no. Il CAVET, che sappia io, sì. Ma non noi direttamente come ente... diciamo come impresa esecutrice.

Pubblico Ministero - Sì. Ma io le domandavo come vita vissuta, cioè nel senso...

Teste – Come vita vissuta sì.

Pubblico Ministero - Ecco.

Teste – Sì, certo.

Pubblico Ministero - Poi, dico, al di là delle... dice "no, a noi non ci interessa, andate dal CAVET".

Teste – No, anche perché le opere compensative che dovevano essere realizzate erano da realizzarsi a cura del CAVET, non a cura nostra. Non facevano parte dello scopo dell'appalto.

Pubblico Ministero - Benissimo. Ma io infatti non le sto chiedendo aspetti giuridici e cose... Le domandavo di vita vissuta. In cantiere arriva uno, dice...

Teste – Certo. Si era seccata la sorgente Tal dei Tali o...

Pubblico Ministero - Ecco...

Teste – ...o mancava l'acqua all'acquedotto Tal dei Tali.

Pubblico Ministero - Quindi...

Teste – Si leggeva sul giornale, si sapeva in cantiere, ma non è che avevamo una conoscenza diretta in quanto destinatari di una richiesta del genere, ecco.

Pubblico Ministero - Ecco. Quindi richieste formali no. Ma io dicevo se arrivava l'ometto, dice: "Scusate, ma"...

Teste – Ma, l'ometto no. A noi in cantiere no.

Pubblico Ministero - Bene.

Teste – Non arrivava mai nessun ometto.

Pubblico Ministero - Però leggevate sul giornale...

Teste – Leggevamo sul giornale, certo.

Pubblico Ministero - A posto. Grazie mille.

Teste – Prego.

 

E il fatto che il subappaltatore se ne vada significa molte cose.

Vuol dire che è evidente che il progetto non funzionava.

Vuol dire che è evidente che non ci si rientrava nei costi prefissati.

Vuol dire che è evidente che non ci stava nei tempi previsti.

Vuol dire che si stava realizzando qualcosa di diverso di quello che si era detto si sarebbe fatto e – anche a voler tutto concedere – certamente qualcosa di diverso da quello cui si era stati autorizzati.

 

 

(1) Italstrade: società vincitrice di uno dei subappalti concessi da CAVET.

(2) CONSIAG: acronimo di “Consorzio toscano per i servizi di acqua e gas”.

(3) Dario Collini: consulente dell'Osservatorio Ambientale Locale sui lavori per l'Alta Velocità ferroviaria, istituito dalla Comunità Montana del Mugello.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 7]

 

 

“UNO DEI COLTELLI CHE SI GIRANO NELLO STOMACO È VEDERE I CARTELLI CON SCRITTO ‘ACQUE CLASSIFICATE A SALMONIDI’. E UNO SI DOMANDA QUALI ACQUE”.

 

 

Ed allora, fossero finiti qua, i danni, non mi sembrerebbe poco. Ma non sono questi e basta. Proseguono.  Ed ognuno di questi danni, come detto, investe storie di comunità locali intere e storie strettamente personali. Abbiamo già visto la storia del sig. A.C. a cui stravolgono la vita, e che si porta via la terra del suo campo, terra alla quale è tanto affezionato, per rimetterla in un altro terreno.

 

Prendiamo ora ad esempio la zona di Paterno.

Si seccano il Fiume Carza, il torrente Carzola, il Fosso Cerretana, la sorgente Sala, le sorgenti di Case Carzola di sopra, due pozzi in località Casaccia, il pozzo Cerreto Maggio 1 e altri ubicati in zona Paterno-Le Panche, l’acquedotto privato di Ceppeto-Starniano che copriva i bisogni di 135 famiglie, regolarmente autorizzato.

L’area è interessata dal Cantiere T5 e dalla realizzazione della Galleria Vaglia, dal Carlone, verso sud.

Nelle sempre più che prudenti informative ARPAT, si legge: “Nella zona vi è, inoltre, la problematica delle portate dei corsi d'acqua. Il Torrente Cerretana è risultato privo di acqua a monte di Paterno dal giugno 2001 al febbraio 2002. Nel periodo autunnale sino al febbraio 2002 non si è manifestata alcuna riattivazione della portata in alveo di tale torrente a conferma di un probabile impatto in atto”.

Di un “probabile”? Si è seccato! Un probabile...

Poi c’è il Carzola. [...] Fa tutta una disamina dove dice cosa si è seccato e cosa no. E ne dice tanti. Però nel finale addolcisce: “Alcune sorgenti hanno mostrato un calo di portata, ma non è certa la connessione con il drenaggio operato dallo scavo della galleria Vaglia”. Fa la bipartizan. Peccato non ci dica con cos’altro sono connessi questi danni. [...]

La prudenza di ARPAT si scontra però con lo studio prodotto proprio per TAV in data 30.6.’95 dal Dipartimento di Scienze geologiche. Ritorniamo, scaviamo: sembra di fare i minatori. Nel ’95 il Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Bologna, in riferimento all’area che qui interessa, esplicita: “Gli indizi di carsismo non mancano né in superficie (v. p.e. le forme di dissoluzione superficiale della zona di Case Starniano, la profonda incisione dell'alta valle del T.Carzola, ....), né in profondità (v. stratigrafie del sondaggio E66 bis e altri, l'abbondanza di deposizioni travertinose, ... ). A questi indizi di carsismo sono da aggiungere l'abbondanza di pozzi che risultano perforati nella zona a Nord di Firenze (Serpiolle, Cercina, Castiglione) e la portata relativamente elevata di pozzi e sorgenti nell'arca del T. Carlone e del T. Carzola anche in periodo estivo”.

Si scontra anche con l’escussione in aula dei testi B. D., Rubellini, C. E., E. G., D. F., Piera Ballabio, F. I., e G. L.. E tutti dicono: c’erano i lavori e siamo rimasti senza acqua. Anche qui, qual è la prima risposta di CAVET a questi impatti? La siccità! [...] Comunque ci sono alcuni interventi di sostituzione, portano delle autobotti, si farà un acquedotto, chi pagherà, perché, chi ha deciso, qualcuno ha detto qualcosa? Niente. Altro esempio di esternalità negative: io arrivo, faccio, secco poi tutto vedremo e faremo. Ed intanto quelli senza acqua stanno là. Tant’è vero, solo nei documenti più recenti CAVET si indicano come possibili interventi di mitigazione per i corsi d’acqua Carzola e Cerretana, con la reimmissione in alveo di alcune parti delle acque emunte dai pozzi scavati presso la cava di Paterno e Cerreto Maggio. Fatto sta che Cerretana e Carzola si sono essiccati. E meno male - perché a rileggere questi fogli veramente ci sarebbe da fare un libro – che si doveva stare attenti alla zona del Carzola e del Cerretana. E non lo dico io. Perché nell’integrazione del 28 luglio 1998 all’accordo procedimentale del 28 luglio 1995, al punto a. 19 dell’allegato 2, descrizione degli interventi di tutela ambientale, si legge espressamente: “Per il valore paesaggistico ambientale della zona, dovrà essere previsto una rinaturazione del sito interessato dal cantiere industriale T4 Cardini, compatibile con la destinazione d'uso finale. In ogni caso si dovrà realizzare una barriera arborea tra il sito e il torrente Carzola”.  Per farsene che, di questa barriera arborea? Il Carzola non c’è più.

 

[...] Ora qui c’è un problema da affrontare. Molti impatti risultano condivisi sia dai Ct (1) del PM che dai Ct della difesa. Ricordiamo che per le sorgenti anche in via di approssimazione il Ct di CAVET concorda impatti alle sorgenti pari all’80% del volume delle acque ritenute drenate dall’accusa. Altri impatti risultano concordemente esclusi sia dai Ct del PM che dai Ct della difesa. Pertanto ai fini della valutazione della responsabilità degli imputati per la Procura non cambia molto se alla fine di questo processo si valuterà come impattato un punto d’acqua in più o in meno. Fa differenza però per chi utilizzava quel punto d’acqua. Nel suo caso la differenza è del 100%

Gli impatti contestati non condivisi dei punti d’acqua di maggior rilievo sono circa 25. Un dato particolare è che mentre quasi nulle sono le contestazioni da parte di CAVET circa i corsi d’acqua, maggiori sono per sorgenti e pozzi, specialmente se utilizzati da soggetti che si sono costituititi parti civili. [...]

 

DANNI FUTURI

E questo per i danni ad oggi accertati.

Il che, però, non vuol purtroppo dire che non ne siano in atto altri allo stato non perfettamente conosciuti.  Le attuali venute di acqua a Marzano infatti evidenziano chiaramente che sono ancora in atto drenaggi di falde non compiutamente identificate.

Abbiamo già visto come vi siano già indizi concreti di interferenze che giungono financo alla Madonna Tre Fiumi e sul fiume Ensa, ma non sappiamo se anche altri corsi d’acqua o falde stiano subendo la stessa sorte.  Gli emungimenti sono in atto.

 

DANNI PERMANENTI

E purtroppo non si può neanche dire che i danni sopra indicati abbiano natura temporanea.

Abbiamo già visto come questa della temporaneità fosse una carta giocata da CAVET, ma qui in dibattimento abbiamo visto come tale tesi fosse solo di una tesi di parte e di comodo smentita dai fatti, e dalla quale lo stesso Bollettinari (2) ha preso nettamente le distanze nel corso dell’esposizione della sua consulenza tecnica.

In modo empirico, ma non per questo meno oggettivo, lo hanno testimoniato tutte le persone offese danneggiate che hanno precisato come la situazione, una volta verificatasi, abbia assunto - a distanza ormai di anni - una chiara connotazione di irreversibilità, in quanto da fiumi, fossi, sorgenti, pozzi tutti perenni si è passati a punti d’acqua che sussistono solo in ragione ed in conseguenza delle nevicate o delle piogge, ovvero che si alimentano solo da acque meteoriche e non più da acqua di falda. Lo stesso Celico dà atto che un nuovo equilibrio della falda si avrà sicuramente ma ad una quota più bassa che è cosa ben diversa da “l’acqua tornerà”. Ed allora qualcuno dovrà spiegare perché l’ing. Calcerano in rappresentanza di CAVET è andato in giro a dire alla gente in riunioni pubbliche che l’acqua sarebbe tornata in cinque anni.

Perché la stessa cosa sia stata detta in Conferenza dei Servizi, e comunque la ricordino i Sindaci Margheri e Mascherini, ed anche Notaro della Comunità Montana. In modo più scientifico i tecnici ARPAT [...]  hanno spiegato come di fatto operino i drenaggi di galleria. E’ come se si togliesse un tappo in fondo ad una vasca, che pertanto si svuota e, una volta svuotata, anche se rimetti il tappo resta vuota lo stesso.

Perché CAVET allora non ha mai smentito questa leggenda creata dai suoi tecnici?

 

ALTRI DANNI

Ovviamente ci sono anche altri danni connessi all’essiccamento dei corsi d’acqua. Tra questi i danni alla flora ed alla fauna.

 

FLORA

Nell'estate 2000 i tecnici della Comunità montana del Mugello hanno lanciato un allarme circa il pericolo che i danni idrogeologici accertati in Mugello potessero produrre conseguenze anche sulla flora dell'Appennino. Sono state seguite perizie con moderne tecnologie all'infrarosso che sono state trasfuse anche nel progetto TRIMM (3) prodotto in atti. Pertanto rimando agli esiti di quel lavoro e, soprattutto, all’esito della Ct Aprile che indica puntualmente il danno alle piante igrofile.

È però da evidenziarsi la notevole sensibilità di CAVET per tale tipo di danno.

Al teste L. N., che certo non si era costituito parte civile per i danni agli alberi del bosco, ma che, abitando lì, segnalava tra l’altro come in seguito ai lavori dell’alta velocità si rendessero visibili anche danni alle piante ed al bosco, la difesa CAVET dà una bella rispostina.

Avvocato Difesa - ... Senta, non ho capito questa storia delle piante e della montagna. Cioè, lei vede delle piante seccarsi?

Teste L. N. - Sì.

Avvocato Difesa -  É sua la montagna?

Teste L. N. -  No, non è mia.

Avvocato Difesa - Ecco.

Come a dire “Ed allora? Che ti importa? Di che ti impicci?”.

E il teste, poverino, infatti ci rimane male e si sente quasi in obbligo di scusarsi e giustificarsi, pur essendosi limitato solo a raccontare ciò che era successo, ciò che vedeva, come stavano cambiando i luoghi dove abitava, dove viveva sin da prima che arrivasse CAVET a fare quel che ha fatto.

Teste L. N. - Io parlo, ho parlato... Siccome confino con il fiume, il fosso, chiamato il Fosso a Granchi, o Cerretana, e vedo che io... in termine di due-tre anni, ho due-tre piante di frutti secchi. E poi si vede che la montagna ha cambiato aspetto. Non è più rigogliosa com'era prima. Ci sono dei ciuffi di piante che si stanno seccando.

Ma la difesa taglia corto:

Avvocato Difesa - Ho capito. La ringrazio.

A questo gli rispondono così, ad altri su cose più serie risponderanno di peggio. C’è chi è stato ripreso perché si è costituito parte civile. Vedremo.

 

FAUNA

Dopo la flora c’è la fauna. Ma ora, al di là della battuta, ci interessa sotto due aspetti, perché è il dato che fa uscire un po’ dalle carte. Perché le carte, a saperle leggere, interpretare, a volerle sentire, in qualche modo esprimono una sensibilità, danno delle emozioni, danno delle prove, che però poi si tramutano in vita.

Ovvie le considerazioni sulla fauna ittica o quella fauna che comunque viveva grazie all’esistenza dei corsi di acqua. È chiaro che pesci, crostacei etc., nei fiumi “intermittenti”, ovvero che ci sono solo quando piove, non ci possono vivere.

 

PESCI

Riportiamo alcune testimonianze non solo per documentare la perdita della fauna, ma per descrivere l’impatto sui fiumi e cosa ciò ha significato in termini di degrado ambientale e scadimento della qualità della vita per chi aveva la fortuna di poter frequentare quei posti, prima dei lavori dell’Alta Velocità.

 

 

BAGNONE

 

Teste I. M. - Eh, noi siamo proprio sul Bagnone.

Pubblico Ministero - Senta, poi lei... Non so se... lei pesca? Non lo so che...

Teste I. M. - I miei figli pescavano. Ma sa, il Bagnone era una... era un torrente pulitissimo, perché a monte della mia proprietà non c'erano case. Ce n'era una sola, ma insomma, in alto, sul torrente non c'era nessuno. Quindi era un'acqua molto viva, diciamo. C'erano parecchi pesci... insomma, girini e tutto il resto, insomma. Era molto vivo. Io l'ho anche bevuta l'acqua di Bagnone.

Pubblico Ministero - E ora?

Teste I. M. - Eh, dopo da quando hanno cominciato a pompare l'acqua dentro, era acqua tutta diversa, ecco. Era acqua... faccia conto, biancastra, lattiginosa. E ha portato un deposito di fanghi grigi che non c'erano prima. Cioè, sono spariti tutti... quello che riguarda girini, pesci...

 

Teste C. E. - No, abbiamo constatato. Per esempio, sul torrente Bagnone e su altri torrenti che là sono... non sono prosciugati, ma sono biologicamente estinti.

Pubblico Ministero - Ecco, cosa vorrebbe dire biologicamente estinti?

Teste C. E. - Vorrebbe dire che non ci sono più forme di vita.

 

 

FOSSO FIORENTINO O CAMPORA

 

Avvocato parte civile - Un'unica domanda: nel fosso Fiorentino, prima si pescava?
Teste S. U. - Sì.
Avvocato parte civile - Ora?
Teste S. U. - No.

 

BOSSO

 

Teste M. O. - Volendo limitarmi alle specie più importanti, anche come indicatori biologici, quindi trote gamberi e granchi d’acqua dolce, era presente questa numerosa fauna ittica almeno fino ai primi mesi del 2000 quando c’era acqua nel torrente Bosso e quando l’acqua aveva una certa qualità,  perché, ovviamente, venendo a mancare acqua…

 

Pubblico Ministero - Senta una cosa, ci si pescava anche nel Bosso?

Teste N. P. - Assolutamente sì. A maggior ragione, lì non solo trote, ma c'erano lasche, barbi, anguille qualche volta, anche...

 

Teste O. Q. - Io ero tecnico ospedaliero.

Pubblico Ministero - Quindi non aveva nessuna attività economica lì, ha preso, è andato in pensione e ha scelto… ha comprato casa là.

Teste O. Q. - Ha detto la parola giusta, ho ‘scelto’ di vivere in quel posto.

Pubblico Ministero - Ecco, ci può dire… visto che uno che sceglie si va a vedere i posti, se li guarda, se gli piacciono… com’era? cioè, cos’è che l’ha convinta ad andare lì.

Teste O. Q. - Allora, al di là delle caratteristiche della casa in cui abito, una delle scelte determinanti per quel posto riguardava proprio l’ambiente che circondava la casa; deve sapere che casa mia dista cinquanta metri dal torrente Bosso e io essendo un appassionato della pesca sportiva questa presenza del torrente è stata non dico determinante ma insomma ha avuto una grossa importante nella scelta del luogo dove finire i miei giorni.

Pubblico Ministero - Eh, dico, ha trovato il momento giusto per arrivare là!

Teste O. Q. - Davvero.

Pubblico Ministero - Era in quel senso il ‘preciso’. Dico, a gennaio ’98 quindi lei dice ‘io sono pescatore sportivo’, c’era il Bosso … ci può dire visto che lei è un pescatore … cos’erano, acque pregiate?

Teste O. Q. - Ci sono tuttora i cartelli - anche se adesso possono essere l’espressione della massima ironia perché determinano quel torrente come ‘acqua per salmonidi’.

Pubblico Ministero - ‘Salmonidi’ le trote.

Teste O. Q. - Trote. Quindi i torrenti vengono classificati con questa dicitura soltanto quando hanno determinate caratteristiche sufficienti alla sopravvivenza di queste specie ittiche.

Pubblico Ministero - Per la sua esperienza ci sa dare dei punti da dove si può desumere se l’acqua è di qualità o no?

Teste O. Q. - Uno degli elementi biologici che determinano la qualità dell’acqua è la presenza dei gamberi di fiume.

Pubblico Ministero - E c’erano?

Teste O. Q. - C’erano, era pieno, c’era la presenza di gamberi di fiume, trote… io stesso per due anni, nel ’98 e nel ’99 … e ci sono i verbali della polizia provinciale... ho fatto il ripopolamento di quel tratto di torrente lì.

Pubblico Ministero - Ah, quindi lei lo viveva proprio il fiume … al di là del fatto di andare a pescare era proprio vissuto, nel senso che c’era una sorta di attività … non commerciale, non economica … ma lei lo viveva perché l’ha ripopolato.

Teste O. Q. - A livello di hobby io andavo tutti gli anni quindici giorni prima dell’apertura alle trote, e quindi all’inizio di febbraio, a Borgo San Lorenzo, la polizia provinciale ci forniva per tutti i torrenti presenti nel Mugello un quantitativo determinato di trote fario, e queste venivano immesse nel torrente in attesa poi dell’apertura; e io per due anni sono andato in volontariato a prendere queste trote e ripopolare il torrente sotto casa mia per una semplice passione.

Pubblico Ministero - Quindi era un ambiente idoneo e qualificato per mantenere le trote, aveva tutte le caratteristiche…

Teste O. Q. - Certamente, le dico che tuttora ci sono i cartelli.

Pubblico Ministero - Oh, cosa è successo? E’ ancora quella situazione che lei ha trovato nel gennaio ’98 o no?

Teste O. Q. - Magari! Se io avessi saputo nel ’98 che sarebbe andata a finire così probabilmente avrei scelto un altro posto dove andare ad abitare.

Pubblico Ministero - Quindi, ad oggi l’acqua dove andava lei a pescare, dove ci ributtava i pesci…

Teste O. Q. - C’è soltanto in presenza di pioggia o neve come quest’anno.

Pubblico Ministero - Qualunque sia la ragione però ora c’è solo in questi periodi qui.

Teste O. Q. - Esatto.

Pubblico Ministero - Bene. Pesci?

Teste O. Q. - Zero.

Pubblico Ministero - Gamberi?

Teste O. Q. - Zero.

 

 

FOSSO DI CARDETOLE E FOSSO DELLE TRE GINE

 

Avvocato parte civile - Lei ha parlato di pesci prima, mi può dire se in questi fossi vi era fauna ittica?

Teste P. R. - Guardi, mi ricordo bene perché avevo il figlio mio che c’aveva dieci anni e si divertiva a pescare questi pesciolini, le anguille… nel fosso di Cardetole non c’erano le trote, per intendersi, però c’erano tanti pesciolini… ma a centinaia io direi… c’erano le anguille che storicamente i contadini andavano a cercare nel fosso, mentre invece le trote erano nel fosso delle Tre Gine, molto più a est dei tre fossi dell’azienda nostra è quello più a est, quello che ha mantenuto un discreto approvvigionamento idrico ma che però ha perso … e questo non so per quale motivo … ogni forma di vita ittica.

Avvocato parte civile - Quindi, ad oggi non vi sono più pesci.

Teste P. R. - Secondo me non ci sono più pesci, sì.

Avvocato parte civile - Secondo lei o …

Teste P. R.  Senta, ho passato una vita a vedere i pescatori lungo questi tre fossi, ora non si vedano più, quindi …

 

 

CAPANNACCIA

 

Pubblico Ministero - Senta, ma lì nella sua zona c’è anche un fosso detto di Capannaccia?

Teste Q. S. - Sì, sì, è proprio quello che il pozzo era vicino, e  quello ha cominciato ad asciugarsi.

Pubblico Ministero - Questo quando?

Teste Q. S. - Come ripeto, intorno al ’99 si è cominciato a vedere le prime avvisaglie, poi sempre meno, sempre meno, attualmente porta acqua solo quando piove e nemmeno … perché io m’ero un po’ informato… lì a memoria d’uomo c’è sempre stato l’acqua in questo fosso … questo ruscello, chiamiamolo come …

Pubblico Ministero - Aspetti … ‘a memoria d’uomo’ … anche sua dal ’71.

Teste Q. S. - Anche mia dal ’71, sì, questo sicuramente, però io  ho cercato…

Pubblico Ministero - Le è stato detto ‘ancora prima’.

Teste Q. S. - Sì, e tutti m’hanno detto ‘qui c’è sempre stato acqua’.

Pubblico Ministero - C’è sempre stata acqua.

Teste Q. S. - Sì, d’estate e inverno.

Pubblico Ministero - E ora c’è?... lei ha detto che c’è solo quando piove.

Teste Q. S. - Sì, praticamente sì … che c’entra, se piove parecchio la ci può stare anche dieci giorni e poi si risecca.

Pubblico Ministero - Senta, sa se era un fosso dove ci si andava a pescare?

Teste Q. S. - Sì, sì, sì sì sì, lì c’andavano a pescare le trote  addirittura, prima, nell’estate.

Pubblico Ministero - Le trote se lo ricorda.

Teste Q. S. - Le trote sì, c’andava il mio cognato a pescarle, questo sono sicuro.

 

 

CANNATICCE O FOSSO D’ERCI

 

Pubblico Ministero - Senta una cosa, lei conosce il fosso denominato Cannaticce?

Teste N. P. - Lo conosco molto bene.

Pubblico Ministero - Perché?

Teste N. P. - Eh, io sono un fruitore del bosco, un fruitore della natura. Sono nato lì, vivo lì. E sono sempre in giro per quelle montagne a fare passeggiate e... Quindi lo conosco praticamente da quando sono ragazzino. Il fosso di Cannaticce è quello che poi chiamiamo fosso d'Erci, diciamo così.

Pubblico Ministero - Senta una cosa, era un fosso con acqua, con portate d'acqua?

Teste N. P. - Quello era un fosso che non ha mai conosciuto secca, neanche nelle estati più siccitose. É sempre stato un fosso che fra l'altro era classificato a salmonidi. Ci sono ancora i cartelli paradossalmente rimasti affissi sulle piante. Acqua classificata a salmonidi.

Pubblico Ministero - Perché ci dice "paradossalmente"? perché c'è il fosso?

Teste N. P. - Paradossalmente, perché il fosso praticamente, escluso che nei periodi di piovosità, quindi autunno-inverno, durante i quali c'è un minimo di corso d'acqua, appena smette di piovere, appena smette di nevicare, 10-15 giorni dopo dell'evento meteorico, diciamo, il fosso rimane completamente secco.

Pubblico Ministero - Senta, salmonidi, quindi trote?

Teste N. P. - Sì.

 

 

RAMPOLLI O FRASSINETA

 

Pubblico Ministero - Senta, anche nel fosso Rampolli si pescava?

Teste N. P. - Sicuramente.

Pubblico Ministero - No, lì ha fatto un riferimento ai salmonidi, cartelli...

Teste N. P. - Sì, sì, sì. No, c'erano anche i gamberi, di questo sono sicuro, perché da ragazzi, insomma, ci si andava su questi fossi,  ecco. Anche i gamberi.

Pubblico Ministero - Era stagionale il fosso Rampolli?

Teste N. P. - No, era perenne come... come il Cannaticce. Fra  l'altro c'è un fenomeno... cioè, lì c'è un fenomeno tuttora in atto. Cioè, lì c'erano due livelli di sorgenti. La sorgente più bassa denominata Rampolli che forniva acqua all'acquedotto; e più in alto ci sono ancora delle sorgenti chiamate proprio Frassineta, Faggione uno, Faggione due, eccetera, che sono ancora attive. Perché quelle fanno parte evidentemente di un livello superiore. Il decorso del fiume, fino ad un certo punto esiste, diciamo; poi, ad un certo punto c'è una frattura beante. I geologi la chiamano così....

Pubblico Ministero - Ecco...

Teste N. P. - Quest'acqua si infila in questa frattura e infila in galleria. Sono state fatte anche delle prove con dei coloranti, quindi... Saranno agli atti, penso, queste cose. Da lì in giù il fosso è completamente secco.

 

 

VECCIONE

 

Pubblico Ministero - Lei vicino alla sua proprietà c’ha il torrente Veccione?

Teste R. T. - Veccione, preciso.

Pubblico Ministero - Ci può fare un po’ la storia, per quello che si ricorda, dal ’98 ad oggi del corso d’acqua? Visto che lei va per funghi in zona.

Teste R. T. - È due anni che si è seccato.

Pubblico Ministero - Eh, quindi da due anni non c’è più, c’è solo il letto.

Teste R. T. - Nell’estate. Anno di là proprio completamente, che anzi c’era trote morte, quest’anno è rimasto qualche pozzettina nei posti un  po’ più fondi ...

 

 

FOSSO CATERINA

 

Teste  A. B. - Fosso Caterina.

Pubblico Ministero - Perenne?

Teste A. B. - Sempre, sempre esistita.

Pubblico Ministero - Estate e inverno?

Teste A. B. - Certo.

Pubblico Ministero - Dava acqua a tutto il paese?

Teste A. B. - Dava all’orto … si faceva tutto.

Pubblico Ministero - Tutto quello che c’era bisogno, e il fosso Caterina …

Teste A. B. - C’era i gamberi, c’era i pesci … son morti tutti, via.

Pubblico Ministero - Com’è oggi la situazione? C’è ancora questo fosso?

Teste A. B. - Il fosso c’è ma l’acqua … però l’inverno un po’ ritorna, quando arriva a maggio, giugno, specialmente quando c’è gli inverni secchi smette.

Pubblico Ministero - E’ diventata stagionale insomma?

Teste A. B. - Eh, sì.

Pubblico Ministero - Ma siccome penso ci sia una differenza tra uno stagionale e uno perenne, lei ha fatto riferimento ... non so se lei pescasse ... a gamberi e pesci?

Teste A. B. - Sì.

Pubblico Ministero - Ci sono ancora?

Teste A. B. - No, sono spariti.

Pubblico Ministero - Eh, andando via l’acqua …

Teste A. B. - Andando via l’acqua sono morti.

 

 

FOSSO CASTELVECCHIO

 

Pubblico Ministero - Senta, ci sa spiegare se esiste anche un fosso Castelvecchio o è lo stesso che è il fosso Caterina?

Teste C. D. - No, esiste un fosso, esisteva anche un torrente dove addirittura c’erano i pesci… guardi, è morto mio marito nel ’98, aveva portato nel ’97 trote, gamberi… perché lui era appassionato di pesca… e s’è seccato il fosso, sono morti tutti i pesci, insomma c’è proprio una mancanza di acqua anche nei fiumi, nei torrenti.

 

 

CERRETANA E RAMACCIA

 

Teste B. D. - Totale estinzione. Noi avevamo anche due torrenti, uno al confine della proprietà e uno anche all’interno della proprietà, tutti e due classificati al genio civile, scomparsi.

Pubblico Ministero - I nomi.

Teste B. D. - Cerretana e Ramaccia.

Pubblico Ministero - ‘Classificati’ che cosa vuol dire?

Teste B. D. - Quando un torrente è classificato al Genio Civile significa che è considerato un corso d’acqua perenne.

Pubblico Ministero - Quindi, allora, classificato sotto il punto di vista del Genio Civile, perché poi ci sono le classificazioni per i pesci, per le acque, per la qualità…

Teste B. D. - Anche sotto l’aspetto dei pesci, tant’è vero che uno dei coltelli che si girano nello stomaco è vedere i cartelli con scritto ‘Acque classificate a salmonidi’. E uno si domanda quali acque.

 

 

ERCI

 

Teste C. E. - Ma voglio dire, piccolo aneddoto, visto che era presente anche l'assessore provinciale, perché la provincia mi risulta che abbia delle competenze specifiche in materia di tutela biologica delle acque, gli feci osservare che sul torrente Erci prosciugato completamente, c'erano ancora i cartelli della provincia che dicevano: 'acque per la pesca dei salmonidi', ecco.

Pubblico Ministero - E non c'era più il fiume.

Teste C. E. - Non c'era più il fiume. Ma i cartelli erano rimasti.

Pubblico Ministero - Eh, e che risposte ha avuto?

Teste C. E. - Non ebbi risposta.

 

 

ENSA

 

Teste C. E. - Sì. Ora non tutte. Io ci vivo sul territorio e vivo tra l'altro direttamente su uno dei torrenti che sono stati  impattati.

Pubblico Ministero -Che sarebbe quale, scusi?

Teste C. E. - Che sarebbe il torrente Ensa che è l'unico che, sia pure con metà delle acque che aveva prima, ancora sopravvive. [...]  La mia diretta conoscenza è la scomparsa del torrente Erci, la scomparsa del torrente Farfereta e l'impoverimento grave con gli effetti sulla fauna. Per esempio, nell'Ensa era ricchissima di gamberi di fiume. Il gambero di fiume ora con l'attuale portata non sopravvive più.

 

 

(1) Consulente tecnico.

(2) Guido Bollettinari, consulente tecnico di CAVET.

(3) Acronimo del progetto “Tutela delle Risorse Idriche nella Montagna Mugellana” (Istituto Nazionale per la Ricerca sulla Montagna, Comunità Montana del Mugello, Università degli Studi di Firenze, Istituto di Agrometeorologia e Telerilevamento applicati all’Agricoltura).

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 8]

 

 

SI È POSTA LA QUESTIONE DEL DIRITTO DELLE ASSOCIAZIONI A COSTITUIRSI COME PARTI CIVILI. [...] LORO, CHE NELLE SEDI COMPETENTI HANNO FATTO VALERE I LORO DIRITTI, SONO RIMBALZATI. [...] IL MANCATO RICONOSCIMENTO DI UN LORO PROPRIO DANNO MORALE VORREBBE DIRE AVALLARE LE PREVARICAZIONI”.

 

 

I DANNI PER I TERZI

 

La conseguenza di tutto quanto detto finora non può che essere la produzione di ingentissimi danni economici e morali per i terzi.

Sui danni economici non ci dilunghiamo lasciando alle parti civili di esplicitarli e quantificarli.

Qualcosa crediamo però vada detta sui danni morali in quanto conseguenza del reato.

E i danni morali credo che, per tutte le motivazioni dette in premessa, debbano interessare la Procura, perché i processi si fanno anche perché ce n’è una necessità per chiamare ognuno alle proprie responsabilità.

E allora i danni morali sono importanti. Ci sono due categorie di danni morali: quelli subìti dalle associazioni ambientaliste e quelli dei privati, e penso si debba distinguere.

 

I danni morali per le associazioni ambientaliste.

 

Già nel corso dell’udienza preliminare, e poi quando abbiamo trattato delle eccezioni preliminari dibattimentali, si è posta la questione del diritto delle associazioni a costituirsi come parti civili. Già in quelle sedi abbiamo rappresentato perché si ritenga che queste potessero e dovessero essere ammesse come tali, ovvero per un diritto proprio e non come semplici intervenienti.

All’esito del dibattimento non possiamo che confermare quanto detto avendo dato prova di ciò.

È bene infatti ricordare che siamo in presenza di un’opera pubblica. Non è che c’è un pazzo, un piromane, brucia un bosco e va via. Quindi, di fronte ad un interesse pubblico, sappiamo qual è l’iter per l’approvazione di un’opera pubblica. Non vi è dubbio che quando ci sia un interesse pubblico che lo esiga, si dà anche il caso che si possano cagionare danni a terzi e che questi danni siano, appunto, danni da attività lecita e quindi al di fuori di ogni ipotesi di reato, e quindi solamente passibili di indennizzo. Anche perché, a fronte di questo, però, c’è un iter procedurale rafforzato. Nessuno può mettere in dubbio che in tale iter procedurale amministrativo - o meglio nel corretto iter procedimentale che si sarebbe dovuto seguire - avrebbero dovuto trovare cittadinanza anche i così detti interessi diffusi e collettivi e che gli stessi ben potessero esser tutelati da associazioni come quelle che qui oggi si sono costituite parti civili.

Che vuol dire questo?

Se il procedimento dell'iter amministrativo è corretto, da cui si desume esattamente cosa si farà, con quali modalità, ed emergono tutti i fatti di rilevanza, io che ho accesso agli atti potrò fare le mie considerazioni.

Cosa è successo invece nel nostro caso? E’ successo un qualcosa di diverso.

Associazioni il cui compito, non solo per statuto, ma anche ormai per il ruolo loro riconosciuto dal sistema giuridico attraverso la consolidatissima giurisprudenza dei TAR e Consiglio di Stato, è quello di partecipare alla emersione degli interessi in gioco onde pervenire alla sintesi degli stessi per mezzo della corretta e giusta decisione dell’organo pubblico demandato a decidere: sfidiamo a sostenere che tali associazioni non abbiano o avessero legittimazione ad agire in sede amministrativa per la tutela degli interessi cui sono preposte, come pure hanno provato a fare nel caso dell’Alta Velocità.

È in atti il ricorso al TAR di Idra il cui esito è stato però nullo.

E non poteva essere diversamente.

Nel caso di specie infatti le armi della associazioni ambientaliste erano del tutto spuntate. Avendo scelto gli esecutori dell’opera la scorciatoia di non rappresentare i danni che si sarebbero realizzati, avendo omesso di produrre le relazioni geologiche di dettaglio, di indicare con precisione le possibili interferenze sul tessuto idrogeologico, ecco che le associazioni hanno avuto lo sgradevole ruolo di cassandre, ovvero di visionari che per preconcetta ideologia erano contrari all’opera, ma con nessun appiglio giuridico o in fatto cui aggrapparsi, il che, in un processo di legittimità e non di merito qual è il processo amministrativo, li votava al fallimento, all’inesorabile fallimento com’è stato.

In numerose occasioni il Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni contro i progetti di Alta Velocità di Firenze, Terzolle, Mugnone e Mugello prima, e Idra poi, hanno segnalato circostanziatamente alle autorità amministrative e politiche attraverso lettere, memorie e audizioni le apparenti carenze, inadempienze, omissioni e sintomatologie di danno ambientale in atto o prevedibile per effetto dei progetti approvati nelle Conferenze di servizi per la tratta Bologna-Firenze, per la Variante di Firenze Castello e per il Nodo di Firenze. Solo i documenti prodotti da Idra alla Procura, rappresentano un faldone degli atti di questo processo.

Ora non è che quantità fa qualità. Voglio dire: ce ne potevano essere due, dieci, venti, non importa. Questo serve per dire che però sono stati il Coordinamento dei comitati, le associazioni contro il progetto dell’Alta Velocità, tutti, istanze, richieste a Ministero, Regione, quant’altro, tutto lettera morta. Ed allora, se è lettera morta, oggi che è accaduto ciò che dicevano, ciò che prevedevano che sarebbe accaduto, come si fa a dire oggi che le associazioni non potessero e non dovessero intervenire proprio in questo processo? Perché mi interessa? Io non è che mi sto sostituendo agli avvocati. Non mi importa nulla. Però è un dato fondamentale, questo. [...] Mi interessa sull’iter, perché quando arriveremo alle autorizzazioni, a ciò che è stato autorizzato, ciò che è stato rilasciato, ciò che era legittimato a fare CAVET, qui ne abbiamo una prova. Se fossero stati autorizzati a tutto, avrebbero forse avuto un esito diverso gli interventi delle associazioni ambientaliste. Ma se si dice che non succedeva nulla, non accadeva nulla, tutti i ricorsi sono bocciati, e poi succede quello che succede, qualcosa non torna. Ed ecco allora perché mi interessa, ai miei fini, anche il ruolo delle associazioni. Perché loro, che nelle sedi competenti hanno fatto valere i loro diritti, sono rimbalzati.

E allora come si fa a negare che le associazioni non potessero - e dal loro punto di vista anche non dovessero - intervenire in proprio in questo processo e non solo come mere intervenienti?

Riteniamo infatti che proprio in questo processo - ripetiamo, a maggior ragione trattandosi di opera pubblica - le associazioni avessero ed abbiano diritto ad un intervento in proprio quantomeno per il danno morale connesso alla “estromissione di fatto” dall’iter procedimentale amministrativo delle loro ragioni e dalla conseguente lesione del diritto all’immagine dovuta al fatto che si sono proprio verificati dei danni all’ambiente che esse avrebbero dovuto tutelare prevenendo fatti proprio come quelli accaduti e provati.

Ripetiamo. Come si fa a dire che le associazioni non hanno avuto un danno proprio? Non sono state arbitrariamente spossessate dei loro diritti e facoltà? Non devono rendere forse conto ai loro associati dei negativi risultati del loro operato con rischio di perdita di credibilità? Diremmo di sì. È riportato negli atti di Idra la protesta di una cittadina al consiglio comunale aperto di Luco che ad un certo punto sbotta e urla il rimprovero: “Ma dove sono le associazioni ambientaliste?”. Il mancato riconoscimento di un loro proprio danno morale vorrebbe dire avallare le prevaricazioni. Lascio ai difensori delle associazioni il dettaglio del loro vano tentativo di prevenire e scongiurare i danni che poi si sono verificati. Lascio a loro di evidenziare come - nonostante i loro numerosi appelli, inviti, sollecitazioni ad approfondimenti - si sia andati invece avanti a diritto senza nulla voler sentire, trattando le associazioni ed i loro appartenenti come catastrofisti menagrami a cui concedere, al massimo, il contentino dell’Osservatorio Ambientale Nazionale. Organismo, vedremo, con poteri pari autoritativi pari a zero.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 9]

 

 

“IO CREDO CHE SUBIRE LA DEGRADAZIONE DI UN DIRITTO IN UN FAVORE, PER ME CHE HO LAVORATO ANCHE NEL MERIDIONE, E QUANT’ALTRO, HO UNA INENARRABILE SERIE DI ESEMPI, È UN GRAVE DANNO MORALE. È UN QUALCOSA CHE GIUSTIFICA IL PRESENTE PROCESSO”.

 

 

I DANNI MORALI AI PRIVATI ED ALLA COLLETTIVITÀ

 

Ho provato a leggere proprio le testimonianze sui pesci, e così via, proprio per far capire che si parla di vita vissuta. Ribadisco, se si riesce ad avere un minimo di sensibilità e di immedesimazione, ci si rende conto come si parli [...] della vita proprio di tantissime persone. Oltre ai danni economici vogliamo negare i danni ai privati ed alla collettività per tutto quello che riguarda l’interesse a vivere in un ambiente incontaminato?

Senza essere patetici, e per stare sul basso e pratico, basta che ognuno provi a pensare di tornare oggi a casa e sentirsi dire che non c’è l’acqua corrente.

È tutta gente che ha perso l’acqua, l’acqua corrente in casa. Abbiamo storie a non finire. Se uno pensa oggi, ora, piglia, va a casa, e non trova l’acqua. Ma nessuno glielo ha detto prima. E non subito, ma piano, piano, sempre senza acqua. Comincia. Aspetta. Forse torna. Telefona. Si informa. Sa che ci sono i lavori dell’Alta Velocità, prova ad andare al cantiere. Nessuno che ti venga a cercare per spiegarti cosa è successo. E poi scopri, piano, piano, piano, ma sempre senza acqua, che l’acqua non tornerà. Non tornerà, ma non per un’ora, non per un giorno. Non tornerà mai più. Testimonianze a gogò. E poi a protestare. Urlare. Minacciare. Se sei bravo, ed hai fortuna, ti portano le autobotti. Ma all’inizio, perché poi tutte le cose che durano annoiano. Fornitura che dovrai sollecitare, chiamare, organizzare te. Perché una volta salta il turno, una volta il cantiere è in ferie, una volta è Natale, etc. etc.

 

Trattiamo di queste circostanze nell’ambito dei danni morali perché le testimonianze delle persone offese, oltre a dare innegabile prova di un importantissimo danno concreto, economico e di ordine pratico per loro, a noi hanno provocato uno sgradevole senso di disagio e di umiliazione nell’immaginarsi e nell’immedesimarsi di dover essere noi a chiedere, ad attivarsi, se necessario pietire, per riavere un surrogato di un qualcosa che avevamo e chi ci è stato portato via con la forza.

E lasciamo perdere se poi dopo, e chissà quanto dopo, e se mai, arriverà l‘acqua dell’acquedotto e con che costi. Questo è un danno economico che avrà le sue sedi di più esatta valutazione.

Qui si parla del disagio e delle umiliazioni che sono lo stesso disagio e la stessa umiliazione che proviamo ogni qualvolta vediamo qualcuno costretto a chiedere come favore qualcosa che gli spetta invece di diritto.

Io credo che subire la degradazione di un diritto in un favore, per me che ho lavorato anche nel Meridione, e quant’altro, ho una inenarrabile serie di esempi, è un grave danno morale. È un qualcosa che giustifica il presente processo.

E siccome riteniamo che un pubblico ministero debba sempre render conto, e per primo proprio ai suoi imputati, dei fatti e delle ragioni per cui sono stati tratti a giudizio, ecco che diciamo che lo svilire i diritti degli altri in graziose concessioni è proprio una di quelle ragioni necessarie e sufficienti per imporre che si instauri un processo quale quello che stiamo qui celebrando: è proprio perché ciò non può essere tollerato e per contribuire ad evitare che casi analoghi riaccadano ancora.

 

Che non riaccada ancora quel che è accaduto al sig. T. V. dopo l’impatto di Casa d’Erci che ha messo in ginocchio Luco e Grezzano. Che non riaccada che l’ing. Cece (1) gli abbia potuto rispondere, con l’arroganza di chi sa di avere le spalle coperte, dicendogli “e chi ha detto che si debba portare noi l’acqua?”.

 

O che la sig.ra U. Z. sia dovuta diventare Cavet–dipendente.

Pubblico Ministero -Ne avete usufruito di queste autobotti?

Teste U. Z. - Sì, ne abbiamo usufruito.

Pubblico Ministero - Tuttora?

Teste U. Z. - Tuttora. Chiaramente non l'inverno, perché quando piove un pochina d'acqua arriva. Il momento che non  piove più, l'acqua non arriva.

Pubblico Ministero - Sempre a richiesta vostra?

Teste U. Z. - Sempre a richiesta nostra. Noi dobbiamo controllare che le cisterne siano vuote, si telefona. E, bontà loro, ci portano l'acqua.

 

O al sig. V. A., che si prende una partaccia da A. E. (2) perché si è costituito parte civile.

Avvocato Parte Civile - Ecco, no, ma lei quindi ha avuto più colloqui con queste persone.

Teste V. A. - Guardi, io è quattro anni che faccio il viottolo e ora mi cominciano a sbattere le porte in faccia. L'ultimo è per esempio l'ingegner A. E. che... l'ultima volta in maniera veramente scortese mi ha detto, dice: 'mi dovrebbe ringraziare perché le ho portato l'acqua per quattro anni'. Va be'. Mi ha fatto notare che io aderivo a questo processo come parte civile. E secondo lui non dovevo aderire. Ma insomma, ora mi sembra francamente... siamo un pochino al linciaggio. Nel senso, ma... dopo quattro anni uno da chi può avere delle certezze? insomma...

Giudice – Bene.

Teste V. A. - Io ho sempre detto all'ingegner A. E. che se mi fa l'impianto e mi garantisce un po' di spese, io... voglio dire, non ce l'ho mica con lui personalmente. Io... è una situazione che non avendo altre fonti di approvvigionamento, o si fa così, o la casa... Io è quattro anni, se la dovevo vendere questa casa, ma chi me la compra? Cioè, non so... Questo... credo siete tutte persone ragionevoli, quindi...

 

Oppure come al sig. Z. B. Il sig. Z. B. si era trasferito in campagna, poi gli seccano il pozzo e cominciano a portargli l’acqua con un’autobotte. Addirittura per non perdere tempo – siamo all’efficienza massima, per dire, insomma, non siamo neanche all’improvvisazione - per non perdere tempo gli lasciano un camion lì. Un camion: tu hai l’acquedotto, vai lì, camion parcheggiato davanti. Quando non c’era più, telefonava a Miola (3). È chiaro che non poteva durare. Ed infatti CAVET ad un certo punto dice: ma quanta acqua consumi? Cioè gli manda a fare i conti in casa. Ovvie quindi anche le discussioni. E come è finita? Prevedibile. Z. B., che da Firenze era andato al Mugello, dal Mugello torna a Firenze. Torna dove era prima.

 

Quindi il diritto soccombe e si degrada in favore. Favore secondo i tempi e i modi di CAVET. E allora cosa accade per le feste? A Natale per esempio? A Natale è ovvio gli operai vanno quasi tutti a casa ed al cantiere si ferma tutto, si fa il minimo.

 

E infatti L. N. a Cerreto Maggio resta senz’acqua per Natale ed è costretto ad attaccarsi al telefono. Sembra una sciocchezza, detta così in un processo. Chiediamo che tutti facciano mente locale al loro ultimo Natale ed immaginarlo senz’acqua. Crediamo che un Natale senz’acqua uno se lo ricordi per tutta la vita.

 

Continuando, ci domandiamo.

Non sono danni quelli di chi, per scelta di vita, si è trasferito in campagna sulla riva di un fiume o di un mulino con il piacere di sentire scorrere l’acqua e si ritrova un fosso in secca?

Non è un danno subito quello di chi poteva scegliere di fare un bagno in una polla d’acqua fresca in una domenica d’estate vicino casa o comunque nel meno trafficato Mugello, invece di essere obbligato, ad esempio, a mettersi in macchina sulla Firenze-Mare e ritrovarsi in coda in uno dei mille “esodi” annuali, documentati da tanti telegiornali?

C’è gente che aveva la piscina di acqua minerale. Una cosa incredibile nel 2000. Bruciata.

Non sono danni il non poter più pescare, fare una passeggiata e bere a una sorgente, un bagno nel Bosso che aveva polle di acqua purissima profonda anche quattro di metri e dove ci si poteva tuffare di testa?

Non è un danno, per chi lo faceva, non poter più fare una gita a Moscheta usando il gradevole pretesto di prendere l’acqua di montagna che ora invece, è banalmente quella dell’acquedotto di Imola? Un danno – e qui poi arriveremo alla sentenza della Corte Costituzionale - di perdita di identità, di storia, di civiltà non poter più bere ad una fonte che esisteva dal 1.200. O una gora come quella del sig. T. V. con origini risalenti al 1000 perché già usata dai frati Camaldolesi di Luco. In questo processo abbiamo prove, testimonianze, documenti, pietre, lapidi. [...] Lapidi a gogò del 1.800. A memoria d’uomo tutti posti d’acqua. Niente. Tutti, non ci sono più.

 

L’elenco potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui.

 

Poi – voglio dire - secondo la sensibilità di ognuno, se ad uno gli piace stare in coda, in centro, dentro un Suv, è un discorso. Ma ci sono anche i danni di chi per scelta di vita si è trasferito in campagna, sulla riva di un fiume, di un mulino, perché gli piace sentire scorrere l’acqua, non stare nello smog, chi voleva fare un bagno in una polla d’acqua fresca una domenica d’estate.

 

Ed allora, l’alternativa... Ripeto, si potevano fare questi danni: segui l’iter! Ma non se dovuti all’ignavia di chi non ha avuto il coraggio di dichiarare che questi danni si sarebbero verificati, evitando di assumersi le responsabilità e realizzandoli.

E poco importa [...] ricorrere allo schermo dei soliti vuoti luoghi comuni usando a vanvera parole come ‘progresso’ e ‘modernità’, dietro le quali si nascondono invece solo ordinari esercizi di potere ed arroganza, come testimoniato nel colloquio Cece – T. V., dove di modernità e di progresso c’è ben poco, mentre c’è solo la prova di un’ordinaria manifestazione dell’utilizzo delle prerogative di una posizione di potere usata dal forte contro il debole:

 

Teste T. V. - Sì, con Cece ho avuto modo di parlarci anche in seguito. No, loro sostenevano che... Insomma, nessuno mai... dove era scritto che si doveva riportare l'acqua nei fossi, nelle sorgenti, tutti i lavori... i discorsi che comunemente venivano fatti erano questi. Comunque, dice: 'ovunque noi si va, questo succede. Dove è scritto che noi si deve restituire l'acqua ai pozzi, portare...eccetera?'. Questa era un po' la strafottenza anche, scusatemi il termine, che veniva fuori in queste riunioni quando venivano pressati un po' dagli agricoltori e dalla popolazione. Per cui, l'impressione che si aveva è che questi andavano a diritto, diciamo, senza... così, proprio con un'altra mentalità. Come dire: 'ma voi vi preoccupate dell'Appennino, delle castagne, dei laghetti, delle cose, ma noi si deve fare quest'opera. Chi ve l'ha detto che...?'. Questa era la sensazione a pelle, nettissima, che si aveva parlando anche con l'ingegnere Longo (4), per esempio, mi viene in mente un altro nome però successivo, che è subentrato, credo, al Cece.

 

Lo ripeto, tecnicamente non sono né progresso né modernità. Ma, per gli economisti e i giuristi, solo casi di “esternalità negative” non ammissibili in uno Stato di diritto ed efficiente.

 

 

(1) Ing. Massimo Cece, imputato CAVET

(2) A. E., responsabile di cantiere CAVET

(3) Dr. Antonio Miola, imputato CAVET

(4) Ing. Michele Longo, imputato CAVET

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 10]

 

 

“IL DANNO MERAMENTE ECONOMICO PROVOCATO SULLE RISORSE IDRICHE È DI OLTRE 110 MILIONI DI EURO. 220 MILIARDI DI VECCHIE LIRE. IL DANNO AMBIENTALE VIENE INDIVIDUATO NEL SUO VALORE PIÙ ATTENDIBILE IN MISURA PARI A CIRCA 741 MILIONI DI EURO. CIRCA 1.500 MILIARDI DI VECCHIE LIRE”.

 

 

LA VALUTAZIONE DEI DANNI

 

Ed allora valutiamoli questi danni: la Procura li ha fatti calcolare. Lasciamo perdere un attimo quelli economici ed arriviamo proprio all’impatto. La Procura li ha calcolati facendo la lista degli effetti delle interferenze sugli acquiferi, dello scarico dei rifiuti, la perdita di produttività delle aziende agricole, i danni alla flora igrofila.

E già di per sé non sono certo somme irrisorie, e non lo potrebbero certo essere sol che si pensi che lo stesso dr. Celico con un certo aplomb ammette che tra i danni vi è l’abbassamento della quota di disponibilità della risorsa idrica. Dal che, per ripristinare lo status quo ante, si dovrebbe ripristinare lo stesso potenziale, il che significherebbe fare tanti di quegli impianti di sollevamento ed usare tanta di quell’energia che pare ridicolo solo immaginarlo. Tradotto: l’acqua era in cima. Si è stappato. Si trova giù. Il danno sarebbe di riportare con un ponte, non so con che cosa, alla stessa quota. Ridicolo solo pensarlo che ci voglia tanta di quell’energia e tanti di quegli impianti che è assurdo. Quindi un danno che non è che ce lo siamo inventati: c’è.

Ma si è fatto calcolare anche il danno ambientale tout court.

E come si è fatto?

Si è fatto come si può fare in un processo. Si è fatta un consulenza, si è cercato di capire quali fossero i professori che si occupano della materia, vedere i loro curriculum, cosa hanno fatto, che tipo di attività, vedere se proprio sono pazzi. Si sono individuati professori universitari della materia che hanno usato la procedura già utilizzata in sede internazionale per valutare il danno di altre catastrofi ambientali quali quella del naufragio della Exxon Valdes, e si è conferita una Ct collegiale.

Non crediamo che il codice di procedura preveda, contempli, richieda o permetta qualcosa di meglio.

Insomma tutto questo per cercare di fare una cosa fatta nel modo migliore possibile.

I risultati sono quelli a suo tempo discussi.

Il danno meramente economico provocato sulle risorse idriche è di oltre 110 milioni di euro. 220 miliardi di vecchie lire.

Il danno ambientale viene individuato nel suo valore più attendibile in misura pari a circa 741 milioni di euro. Circa 1.500 miliardi di vecchie lire.

Sembra un dato esagerato?

Ricordiamocelo questo dato. 1.500 miliardi di vecchie lire.

E le prove a controprova della difesa?

 

 

La Ct (1) del prof. Segale (2)

 

Il Ct Segale in udienza si presenta per confutare la Ct Romano (3). [...] Chiaramente cosa ti aspetti? Che ci dica che Romano ha preso lucciole per lanterne. Quindi siamo moderatamente tranquilli. Vediamo come ce lo dice.

E Segale parte male, malissimo, si brucia subito al terzo minuto. Saluta, si presenta come docente all’Università degli Studi di Milano e attualmente titolare della cattedra di Fondamenti di valutazione di impatto ambientale; espone il suo curriculum e poi si ferma, perché, parole sue, “se no diventa poi esagerato”. Fa quindi una premessa sull’estimo precisando che esiste un estimo ambientale, che è la sua materia, ma “anche un estimo legale dove l’estimatore deve far riferimento non a criteri e dogmi estimativi, ma a ciò che dice la legge”.

Ed ecco il passaggio rilevante della Ct Segale espresso subito sin dall’inizio.

Ct Segale: “Quindi, da questa definizione si evince, almeno a mio avviso, chiaramente, che TAV ha provveduto attraverso la (incompr.), la Conferenza dei servizi e il monitoraggio – e sottolineo il monitoraggio – e successivamente l’azienda, un Master Plan (4), ha messo in essere una serie di misure mitigatorie compensative – poi dirò meglio cosa intendiamo noi per mitigazione e compensazione, perché sono due cose diverse – che ad oggi non sono state completate. E quindi io credo di poter dire che nessun esperto può in questo momento affermare se ai fini di tali interventi di bonifica e di ripristino residuerà una parte irreversibile e permanente alle risorse ambientali.

Quindi il dr. Segale inizia e conclude subito dicendo in pratica che al momento in cui siamo, non si può sapere nulla sul danno ambientale.

Detto ciò, se secondo il dr. Segale nulla si può dire oggi sui danni, pareva lecito aspettarsi che il dr. Segale chiudesse lì la sua Ct e se andasse, o per lo meno se ne andasse subito dopo aver fatto, come ha in effetti fatto, la sua viva raccomandazione di prendere la Ct Romano, Stefani (3), Rocchi (5) e buttarla via. Il che poteva anche andar bene visto che come Ct della difesa il prof. Segale era venuto apposta e aveva questo compito da svolgere ...

Il problema è che il dr. Segale, invece di chiudere lì, ha proseguito nell’esposizione.

Se la prende a più riprese anche con il Ct Rodolfi, un geologo che è andato a vedere se c’era l’acqua o meno nei fiumi, al quale nessuno ha chiesto una stima dei danni essendo un geologo. Ma poi si capisce perché: perché secondo lui una stima la può fare più o meno chiunque, e non ha torto se in concreto si tratta di fare ciò che ha fatto lui.

Ct difesa Segale: “Sì. … e sono arrivato a definire, facendo un attento esame dell’Addendum, del Master plan… - andando a telefonare, a capire i vari passaggi, eccetera eccetera -, che attualmente TAV ha concordato attraverso un metodo che è semplicemente… non so se riesco a farmi capire… ma comunque viene chiamato… è una stima, diciamo è semplicemente un computo metrico estimativo, computo metrico estimativo delle cose fatte, in corso d’opera e da farsi”.

Al che c’è da rimanere un po’ perplessi visto che si era appena venuti a conoscenza dell’istituzione di una importante cattedra di Fondamenti di valutazione di impatto ambientale che, a questo punto, non si capisce più cosa insegni. Ed infatti l’accusa prova ad obiettare timidamente:

PM - Pensavo fosse una cosa da geometri, ma comunque mi insegni lei in materia cosa c’entra il computo metrico estimativo.

E il dr. Segale risponde:

Ct difesa Segale - A parte che i geometri sanno l’estimo molto meglio di altri professionisti, non c’è differenza se lo faccia un geometra o se lo faccia un dottore...

Ed ha ragione il dr. Segale. Non c’è differenza. Almeno per lui. Quindi la cattedra si può buttare via, basta andare a geometri. Infatti la stima del dr. Segale non è altro che la sommatoria delle opere compensative conseguenti la Conferenza dei Servizi, le somme dell’Addendum e quelle del redigendo Master Plan, riconosciute da TAV come somme da pagare. Gli effetti dell’opera dell’alta velocità sono solo e soltanto questi, e quindi questo è il danno ambientale.

Quando ha detto questa cosa mi ha fatto sorridere, mi sembrava l’allenatore Bo?kov: “Rigore è quando arbitro fischia”. Qui “danno è quando TAV paga”. Non ho capito. Cioè, che cosa è questa cosa? Non c’è nulla di più. Fa la somma di ciò che è stato pagato o si pagherà. La somma. Non c’è una valutazione: è una somma.

Allora voglio dire, siccome il Giudice è perito dei periti, il Pubblico Ministero no, cerca di capire. Siccome bisogna capire la razionalità. Quegli altri si sono sbattuti, hanno fatto interviste. Si butterà via tutto, ma Romano non mi interessa, è agli atti. Ognuno gli dà quello che vuole: ma hanno fatto un lavoro, spiegato. Questo fa una somma.

Allora vediamo questa somma su che basi logiche si basa. [...] Non è che ci si può acquietare su questa conclusione venuta buona per l’occasione. Corre l’obbligo di verificare seriamente e criticamente come il dr. Segale sia pervenuto alle sue conclusioni. Si deve verificare la congruità dei passaggi dell’iter logico tramite il quale il prof. Segale è giunto a tali determinazioni finali.

E ce la leggiamo, perché ci tocca leggerla questa roba a noi, non è che poi... Ce la leggiamo e vediamo la congruità.

E il risultato, alla verifica, non regge.

All’esito del controesame del PM restano infatti apodittiche, assiomatiche, oscure, indimostrate le seguenti affermazioni del prof. Segale:

Pg. 4: “Obiettivo della stima è dimostrare, tramite l’analisi puntuale di tutta la documentazione disponibile, tra cui sono ricompresi sia i documenti prodotti dai Ct dei PM, sia i documenti prodotti dai Ct di CAVET, che non esiste alcun impatto ambientale diverso da quello presumibile dall’esecuzione dell’opera”.

Domanda del PM - Qual è questo impatto presumibile visto che è dal ’99 che lo andiamo chiedendo a tutti?

Risposta - Quello che risulta dai documenti.

Domanda - Va bene, ma quali documenti, ce li indichi che noi li cerchiamo da sei anni?

Risposta - Dai documenti.

Punto.

E allora andiamo avanti.

Pg. 6: “… Lo scavo di una galleria drenante, realizzato da TAV, appartiene a quelle opere programmate e pianificate a livello europeo e nazionale, che per essere realizzate devono seguire un preciso iter autorizzatorio, che nel caso in esame è stato puntualmente seguito in fase di progettazione (VIA), di realizzazione, di monitoraggio, e che ha provocato danni previsti e prevedibili, temporanei, reversibili e ripristinabili…”.

Affermazione importante, risolutoria ed esaustiva. E non poteva venire a darcela prima il prof. Segale questa notizia? Perché ha fatto perdere a tutti noi, ­o almeno lo ha fatto perdere all’Ufficio di Procura, così tanto tempo se aveva la risposta decisiva in tasca? Il processo poteva finire lì e potevamo andarcene tutti a casa, bastava non avere la maleducazione di chiedere quali fossero nel dettaglio i danni previsti, dando un nome e cognome a quelli prevedibili, a quelli temporanei, a quelli reversibili e a quelli ripristinabili, tanto per farsene una ragione.

La risposta del prof. Segale è ancora da venire.

Pg. 16: “In particolare l’acqua, essendo una risorsa rinnovabile, non può essere definita un bene raro.”

Così, categorica, senza precisazioni o un pur lieve distinguo. L‘acqua non è un bene raro. Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, dalla Groenlandia al Sahara. Affermazione perentoria senza il beneficio di alcun dubbio. E poco importa se l’altro consulente di CAVET, il dr. Zerbi seduto a suo fianco, aveva appena detto cinque minuti prima, con tanto di slide, l’unica cosa interessante della sua Ct, ovvero che dal 1950 al 2000 la portata del fiume Arno è diminuita del 50%.

Invece il prof. Segale, oltre Romano e C., snobba anche il suo collega di consulenza e tira diritto.

E siccome il Pubblico Ministero va avanti: “Scusi, ma l’acqua non è un bene raro da tutte le parti?”, unica concessione alle contestazioni del PM è che se l’acqua non c’è proprio in un posto preciso, come per esempio in un deserto, poco male, si trasporta.

Dobbiamo concludere quindi che non c’è nessun problema?

Non crediamo.

Un dato utile però lo possiamo trarre dalla Ct di Segale.

Nelle sue conclusioni egli mischia dati non omogenei mettendo insieme le opere compensative approvate in conseguenza della conferenza dei servizi (opere tra le quali ci piace sempre ricordare gli interventi di qualificazione ambientale quali i muretti a secco di Moscheta ed i punti ristoro di Moraduccio e Camaggiore), le opere dell’Addendum e del mitico Master Plan.

Apriamo un parentesi sul Master Plan. Diciamo “mitico MP” perché il bello è che al momento della Ct del prof. Segale [...]  il MP non esiste, non è carta bollata, ma un’idea, una bozza di ipotesi.

La cosa è particolare perché ricordiamoci come il prof. Segale nella sua deposizione abbia dato prova di rifiutare qualsiasi fuga in avanti nel futuro, avendo detto che nessuno, oggi, può sapere quali saranno i danni irreversibili. E lui che, fa? Pone a base di una sua valutazione un accordo ancora di là da venire.

Ma non importa, in ogni caso per il prof. Segale il MP è la panacea di tutti mali perché a pg. 95 della Ct, addirittura in neretto, afferma: “Essendo ormai ampiamente dimostrato che il danno alla risorsa idrica è reversibile e ripristinabile, il MP ne rappresenta di fatto la quantificazione e il risarcimento”.

Quindi il Master Plan farà il miracolo di far tornare l’acqua e chi ha diritto a essere risarcito lo sarà [...].

Chiudo la parentesi e torno ai numeri utili del prof. Segale. Il dr. Segale dà i seguenti numeri:

·         Conferenza servizi opere per un valore di euro 749.836.729,73;

·         Addendum per un valore di euro 53.155.000,00;

·         MP per un valore di euro 92.778.728,00.

Lucro cessante per le aziende: euro 1.935.634,00.

La cosa è interessante perché da ciò si desume - che pur sempre mischiando dati non omogenei, ma ha cominciato il prof. Segale - gli effetti dell’alta velocità per lo stesso Ct di CAVET sono comunque nell’ordine di circa 900 milioni di euro, 1.800 miliardi di vecchie lire.

Al netto del danno morale che ovviamente non ci aspettavamo fosse conteggiato dai Ct della difesa.

Ed allora concludiamo sul punto.

Ricordiamoci che il danno ambientale calcolato dai Ct del pubblico ministero è di circa 1.500 miliardi di lire, quindi meno degli effetti indicati dal dr. Segale.

Da ciò si desume che i dati del prof. Segale e quelli dei CC.tt. del PM sono dello stesso ordine di grandezza.

900 milioni di euro per il prof. Segale, 741 milioni per il dr. Romano e gli altri. 1.800 miliardi di lire per il prof. Segale, circa 1.500 miliardi di lire per il dr. Romano ed altri.

Quindi pare elemento acquisito in questo processo che un‘opera quale quella di cui si sta trattando produce effetti calcolabili nell’ordine di centinaia di milioni di euro e delle migliaia di miliardi di vecchie lire.

Perciò è dato acquisito al processo che la somma di 751 milioni di euro non è una somma fantascientifica, ma aderente alla realtà dei fatti per cui si sta procedendo.

Ed allora, vista la qualità del lavoro del prof. Segale, visto che alla fine egli deve comunque ammettere l’ordine di grandezza degli effetti della Firenze-Bologna, visto che a questi vanno aggiunti il danno morale ed il danno ambientale vero e proprio, torniamo a valutare la qualità della Ct di Romano e Stefani. Siamo sicuri che la Ct Romano sia da buttare via come ha detto Segale? Noi crediamo sia piuttosto un ottimo lavoro ed un buon punto di riferimento per ancorare una seria valutazione dei danni. Sicuramente una Ct più attendibile di quella del prof. Segale.

 

 

(1)  Qui, e a seguire, si intende per “Ct”, a seconda dei casi, “Consulenza tecnica” o “Consulente tecnico”. Per “CC.tt.” si intende “Consulenze tecniche”.

(2)  Prof. Alessandro Segale, Consulente della difesa.

(3)  Donato Romano e Gianluca Stefani, autori della Consulenza tecnica per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze “Valutazione economica del danno ambientale per la società”, Firenze, aprile 2006.

(4)  Ci si riferisce qui al cosiddetto “Master Plan degli Interventi di Mitigazione e Valorizzazione Ambientale delle aree attraversate dalla linea ferroviaria AV/AC Bologna-Firenze di cui all’Addendum 2002” (testo all’indirizzo http://servizi.rete.toscana.it/tav/directory.php?idCartella=11923&mostra=all&cartelle=Y).

(5)  B. Rocchi, autore della Consulenza tecnica per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze “Valutazione economica del danno alle risorse idriche”, Firenze, marzo 2006.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 11]

 

 

“SI PUÒ LEDERE ANCHE LA PROPRIETÀ PRIVATA, MA SI DEVONO SEGUIRE LE PROCEDURE DOVUTE. CIÒ CHE NON È AMMESSO, NEPPURE IN CASO DI OPERA PUBBLICA, È DI METTERE I TERZI DI FRONTE AL “FATTO COMPIUTO”. QUESTO ASSUNTO NON È UN TEOREMA, UNA IDEOLOGIA, MA È PURO DIRITTO”.

 

 

LA CONDOTTA

 

Visti i danni passiamo alla condotta. La condotta attribuita agli imputati è quella di aver provocato ingenti danni all’ambiente ed alle proprietà di persone fisiche nel corso di un’attività non legittimata ed autorizzata fino a tal punto. È questo l’aspetto che interessa. È  un po’ il nocciolo del processo.

Perché parliamo di attività non autorizzata? Perché solo nel caso di un’attività debitamente e puntualmente autorizzata sarebbero scriminati i danni realizzati.

Dall’inizio delle indagini è proseguita nei tre anni di dibattimento la ricerca da parte della Procura di un eventuale provvedimento autorizzatorio di tutto quanto è successo.

Già durante le indagini, nei primi interrogatori della Sargentini e del Trezzini - nella loro veste di rappresentanti dell’Osservatorio Ambientale – fu chiesta l’esibizione degli atti da cui si potesse desumere la lista dei danni che CAVET era stata autorizzata a cagionare in relazione all’esecuzione della tratta FI-BO. E ricordiamo la sorpresa di apprendere il fatto che non esistesse niente in tal senso, e di come i lavori di scavo andassero avanti così, ad occhio, con una modalità che, se la vogliamo definire con benevolo termine eufemistico, potremmo definire di “work in progress”.  Peccato che l’ordinamento italiano non ammetta però il calpestare i diritti dei privati, lo sconquasso del territorio, anche se cagionato da un “work in progress”. La pubblica amministrazione deve sottostare al rispetto delle leggi e può esercitare la supremazia concessale e cagionare danni (o farli cagionare a chi opera per suo conto) solo se adotta provvedimenti conformi alle leggi. Maggiormente laddove per raggiungere i suoi scopi, ha necessità di sacrificare il paesaggio da una parte ed i diritti soggettivi o interessi legittimi di privati dall’altra, dovendo adottare provvedimenti ablatori nei loro confronti.

Ricordiamo solo di passaggio gli artt. 9, II comma e 42, II comma, della Costituzione. Il primo afferma la tutela del paesaggio della nazione, il secondo la proprietà privata anche nei casi in cui debba soccombere a motivi di interesse generale.

Solo nel rispetto del principio di legalità non si producono danni penalmente rilevanti, ma danni conseguenti da attività lecita e quindi meramente indennizzabili.

Per esemplificare, tutti sanno cosa si deve fare per espropriare un metro quadrato di terra ad un privato per realizzare una strada pubblica, una scuola, della case popolari.  Lo sa CAVET che, come ricorda Longo, ha un apposito ufficio espropri.

IMPUTATO LONGO – Sì, ne sono a conoscenza anche se, anche qui, diciamo, la struttura era organizzata, la struttura Cavet, era organizzata con un ufficio competente a monte del cantiere...

PM DR. TEI – Quale è?

IMPUTATO LONGO – ...che era un ufficio espropri che curava tutte le procedure necessarie per avere, arrivare alla disponibilità dell’area, e in quel momento lì il cantiere entrava nella disponibilità dell’area e realizzava l’opera.

PM DR. TEI – Perfetto. Quindi le davano il via?

IMPUTATO LONGO – Sì.

PM DR. TEI – Quindi, allora, possiamo concordare su questo. Che un progetto esecutivo che va avanti per fasi, però secondo le esigenze di volta in volta vuoi su un esproprio, vuoi su una cosa [inc.] voi acquisivate, i vostri uffici più competenti acquisivano le varie autorizzazioni, le varie nulla osta [inc.], e voi, avuto il via, procedevate esecutivamente?

IMPUTATO LONGO – Sì.

PM DR. TEI – Questo è esatto. Se c’era qualcosa che esulava, voi dovevate scrivere e segnalare la vostra esigenza?

IMPUTATO LONGO – Sì, certo. Evidentemente nel momento in cui potevano nascere problemi. Però normalmente il costruttivo nel momento in cui veniva redatto c’era anche una relazione sulla conformità rispetto all’esecutivo, e veniva verificato anche a livello di occupazione delle aree. Per cui si verificava se l’occupazione delle aree era quella prevista in esecutivo...

PM DR. TEI – Ecco. Con tutti gli aggiustamenti sul campo.

IMPUTATO LONGO - ...e poi l’ufficio espropri si tarava su quella situazione per procedere.

PM DR. TEI – Perfetto. Un work in progress secondo. C’era una visione di massima, e poi in concreto si andava a verificare?

IMPUTATO LONGO – Bene.

Niente di tutto questo esiste per i danni alla risorsa acqua di cui si occupa questo processo.

Lasciamo ai difensori l’improbo compito di dimostrare come i danni contestati rientrino nell’alveo dei danni autorizzati e quindi dimostrare come siano danni da attività lecita autorizzata.

Diciamo questo collegandoci anche al secondo aspetto richiamato ovvero quello di OPERA PUBBLICA. Non vi è dubbio che qualora l’interesse pubblico lo esiga si possano cagionare danni a terzi, e che questi danni siano appunto danni da attività lecita e quindi al di fuori di ogni ipotesi di reato e solamente passibili di indennizzo.  In altre parole le opere pubbliche possono comportare anche danni, ma nel caso devono essere seguite tutte le opportune procedure. Si può ledere anche la proprietà privata, ma si devono seguire le procedure dovute. Ciò che non è ammesso, neppure in caso di opera pubblica, è di mettere i terzi di fronte al “fatto compiuto”.

Questo assunto non è un teorema, una ideologia, ma è puro diritto.

Se io privato subisco una occupazione d’urgenza per pubblica utilità potrò infatti ricorrere al TAR. Se viene redatta una variante al piano regolatore e di fronte a casa mia, al posto del parco che c’è, è previsto l’insediamento di una zona industriale, potrò presentare osservazioni. Se il progetto di un’opera di interesse generale viene pubblicato ed io vengo così a conoscenza, ad esempio, che è previsto che mi seccheranno la fonte, la sorgente che utilizzo abitualmente o che sarò costretto ad allacciarmi ad un acquedotto pubblico pur avendo avuto fino a quel momento un pozzo privato, o che l’acquedotto fino a quel momento in funzione verrà meno e sarò servito da autobotti – si badi bene, sono tutte fattispecie che si sono verificate nel caso di cui ci occupiamo - potrò presentare osservazioni, fare opposizione, chiedere tutela alle amministrazioni e giurisdizioni competenti.

Ma se tutto questo non viene esplicitato, io non sono tenuto a tenermi i danni che subisco.

D. F. [...] prova a fare osservazioni anche al Ministero, in Comune, ma rimbalza. Visto che ha un acquedotto che serve 135 famiglie, informandosi ha visto che il tracciato della linea ferroviaria intersecava il Carzola. Chiede di avere chiarimenti e rassicurazioni. Nessuna risposta. Anzi no, gli mandano uno del consorzio Saturno a misurare la compatibilità elettromagnetica.

Pubblico Ministero - Oh, era questo. Quindi voi praticamente da dei fogli avevate visto che il percorso dell’alta velocità avrebbe intersecato (perché siamo su una pianta) il Carzola, quindi dice, cosa succede? c’è qualcuno che ci sa dire cosa succederà? Una cosa di questo tipo?

Teste D. F. - Esatto; temiamo che questo possa provocarci qualche danno, chiediamo… questo era il senso della nostra osservazione… che venga meglio specificata la questione e che noi veniamo presi in considerazione.

Pubblico Ministero - Ecco, siete stati presi in considerazione?

Teste D. F. - Ufficialmente, direttamente dal Ministero no, l’unica cosa che è successa è quella che citavo prima di questo Consorzio Saturno che tre anni dopo mi chiamò per fare lo studio di compatibilità elettromagnetica.

Pubblico Ministero - Che però è un cosa…

Teste D. F. - È tutta un’altra cosa.

Pubblico Ministero - Quindi lasciamo perdere un attimo Saturno.

Teste D. F. - È stato l’unico evento.

Pubblico Ministero - Bene, però dico, voi fate un’osservazione specifica, puntuale su un rilevamento di un fatto di una intersecazione del tracciato con un fiume, dico, su questo fatto qua…

Teste D. F. - Non c’è stato contatto.

[...]

Teste D. F. - Sì; cioè, nel senso, vedendo che non c’era nessun ritorno di nessuno tipo e parlando… gli unici nostri contatti, gli unici nostri interlocutori sul luogo erano i Comuni, gli uffici ambiente dei Comuni, anche da loro non ottenevamo niente, dico andiamo all’origine del problema e chiediamo che siano loro stessi, gli operatori che vanno sul territorio a fare il lavoro, a prendere conoscenza della nostra esistenza.

Ora se è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, pare però giusto anche l’opposto, ovvero togliere a Cesare quel che non è di Cesare.

Non si può usare la scorciatoia di dire che l’opera pubblica non provocherà danni per evitare tali possibili “intralci” e giustificare dopo i danni stessi, dicendo che comunque sono stati realizzati nel corso dell’esecuzione di opera pubblica.

In quest’ultimo caso siamo fuori dal caso di danni leciti. I danni sono illeciti e nel nostro caso costituiscono anche reato.

Diciamolo con le semplici, ma efficaci parole dei cittadini danneggiati come il sig. L. M..

Al sig, L. M. seccano la sorgente I Sorcelli. È un coltivatore diretto, ma pare conoscere i suoi diritti ed i suoi doveri meglio di tanti soggetti pseudoqualificati transitati in quest’aula. L. M. sa benissimo la differenza tra cosa è giusto e cosa è ingiusto, cosa si deve tenere e cosa no.

Nei terreni del sig. L. M. ci hanno fatto due depositi e lui se li è tenuti perché sa che se li deve tenere e non perché ne fosse contento. Infatti L. M. finisce con l’affittare a Cavet il terreno per allocarvi i depositi. Controvoglia, ma lo affitta.

Teste L. M. - Sì, sì, ma lo stoccaggio che ho fatto io, se sapevo così non lo facevo, però lo sa come mi dicono? ‘Non lo vuoi dare, caro? Ti facciamo l’esproprio e poi prendi meno che dell’affitto’. Ecco. E allora a questo punto io cosa faccio io? Cosa faccio? Eh?

Avvocato - Mi scusi signor L. M., l’esproprio glielo fa l’ente pubblico eh, mica glielo fanno…

Teste L. M. - Però ti vengono a dire queste ragioni qui e allora… allora cosa facciamo? Il mio terreno, pago le tasse, non sono più padrone io perché ti vengono a dire ‘O così, o cosà, il terreno te lo prendiamo’.

Quindi il sig. L. M. sa che la pubblica amministrazione può provocargli dei danni, ma in questo caso leciti, e infatti se li tiene e di questi non si lamenta e non si costituisce parte civile per questi danni. E per cosa si costituisce parte civile? Per l’acqua. E perché? Perché sa di aver ragione. Sa di aver subito un torto.

Pubblico Ministero, sulla essiccazione della sorgente del sig. L. M. - Quindi è stata una cosa all’improvviso?

Teste L. M. - All’improvviso, io non pensavo mai di trovarmi in quelle condizioni lì, se no altrimenti penso che come me si facesse altri passi, se era possibile farli, per vedere se non avevamo questi danni.

Ecco lo stato di diritto nella sintesi popolare. L’esproprio sì, il fatto compiuto no. La logica del “fatto compiuto” ha privato i cittadini “di fare i loro passi, se era possibile farli”, di tutelarsi, prima del danno. Ed il principio di legalità prevede che ci si possa tutelare prima del danno, non dopo. Se la tua tutela la puoi esercitare prima del danno, siamo nell’ambito delle attività lecite indennizzabili. Se dopo, siamo nel campo dell’illecito civile e, nel nostro caso, anche dell’illecito penale.

Non è difficile. Ce lo ha spiegato benissimo una persona semplice. Basta volerlo capire.

Verifichiamo se diciamo il vero e dunque se ci siano o no queste autorizzazioni.

Tra le migliaia di pagine di cui si forma questo fascicolo l’unico passaggio degno di nota in materia, si ritrova nell’Accordo procedimentale siglato nell'anno 1995, il giorno 28 del mese di luglio in Roma tra il Ministro dell'Ambiente pro­tempore ing. Paolo Baratta, il Ministro dei Trasporti pro-tempore prof. Giovanni Caravale, le Ferrovie dello Stato, rappresentate dal prof. Lorenzo Necci, la Treno Alta Velocità rappresentata dall'ing. Ercole Incalza, dalla Regione Emilia Romagna, nella persona del presidente pro-tempore dott. Pierluigi Bersani e la Regione Toscana, nella persona del presidente pro-tempore dott. Vannino Chiti.

Al punto c), denominato “interferenze idrogeologiche” si legge:

“II progetto esecutivo è stato predisposto secondo le indicazioni del Ministero dell’Ambiente e delle Regioni Emilia Romagna e Toscana, avendo riguardo specifico alle numerose emergenze idriche, a libero deflusso o captate, nonché dei numerosi pozzi per 1'approvvigionamento idrico presenti, nelle aree interessate dai lavori.

c.1. In rapporto alle risorse idriche elencate, di importanza ed utilizzazione diversa (alimentazioni acquedotti pubblici o privati) dovrà essere assicurato il monitoraggio sia di quelle superficiali che di quelle sotterranee.

I punti di osservazione riportati nelle cartografie "Monitoraggio idrogeologico" del Progetto Esecutivo (cifra appendice 2) saranno incrementati per evitare che la loro discontinuità non permetta una esauriente valutazione delle possibili interferenze con gli acquiferi.

Ulteriori punti di osservazione, anche in relazione all'andamento del lavori, potranno essere individuate dall'Osservatorio Ambientale che valuterà anche la adeguatezza delle informazioni rese disponibili.

II monitoraggio dovrà essere realizzato secondo quanto indicato al punto 4.5.2 dell'allegato 3.

Per quanta riguarda il monitoraggio delle acque superficiali il monitoraggio dovrà essere realizzato secondo quanta indicato al punto 4.5.1 dell'allegato 3. In relazione all'andamento dei lavori l’Osservatorio ambientale potrà individuare ulteriori punti di misura e prelievo.

c.2. In ogni caso, qualora il monitoraggio manifestasse l'insorgenza di fenomeni significativi dovrà essere garantito il livello di servizio di fornitura idropotabile per quantità e qualità attualmente erogata. A garanzia dei suddetti eventuali interventi e prestata la polizza fideiussoria di cui all'art, 3, comma 2, lettera b).

Con riferimento alle interferenze idrogeologiche sopra descritte si rende inoltre necessario:

- per i lavori di scavo delle gallerie e di coltivazione delle cave.

L'obiettivo fondamentale di tutela delle risorse idriche naturali, in fase di realizzazione dell'opera, mediante il contenimento degli emungimenti accidentali delle falde sotterranee nel corso dell'avanzamento dei fronti di scavo, deve essere conseguito con l'adozione di iniziative di rapido intervento, di provvedimenti tempestivi di tamponatura delle acque affluenti, nonché di impermeabilizzazione e rivestimento solleciti del cavo.

c.3. I controlli freatimetrici nei pozzi individuati nella mappa di cui al precedente punto c1), saranno integrati con l'installazione di strumentazioni di misura per l'accertamento in continuo delle portate idriche rinvenute ed emunte in fase di scavo.

c.4. Entro sei mesi dalla stipula dell'atto integrativo e comunque non oltre il 28 febbraio 1996 il proponente predisporrà un codice di esecuzione e comportamento nei lavori di scavo da approvarsi da parte dell'Osservatorio per assicurare che tutte le acque defluenti siano convogliate fino all'imbocco delle gallerie in canali idoneamente rivestiti, con pendenza e sezione costanti e sufficiente lunghezza, opportunamente dimensionati in rapporto ai deflussi massimi prevedibili ed attrezzati con apparecchiature per la registrazione automatica delle portate, entro i valori massimi e minimi di interesse.

I dispositivi di misura per ciascuna galleria o tratto di essa dovranno essere progettati ed ubicati in funzione delle modalità di attacco degli scavi, del numero e della posizione dei fronti di avanzamento, dei sistemi di allontanamento delle acque dal cavo, delle direzioni di deflusso delle stesse e della possibilità di convogliamento in sezioni di misura uniche o frazionate.

L 'adozione del predetto codice farà parte integrante dei documenti che regolano i rapporti con le imprese esecutrici dei lavori.

c.5. Al fine di prevenire eventuali interruzioni all'approvvigionamento idrico dei comuni di:

Vaglia, Sesto Fiorentino, Borgo S. Lorenzo e Firenzuola in funzione dell'intercettamento. degli acquiferi durante i lavori di costruzione della galleria e di coltivazione delle cave, entro tre mesi dalla stipula dell'atto integrativo e comunque non oltre il 30 novembre 1995 dovranno essere consegnati i progetti di approvvigionamento idrico alternativo per i suddetti Comuni, la cui realizzazione deve essere disposta, prima dell'inizio dei lavori di scavo della galleria e di coltivazione delle cave, a spese del proponente. Detti approvvigionamenti sono garantiti dalla apposita polizza fideiussoria indicata all'art. 3, comma 2, lettera a).

Nelle aree di seguito indicate con riferimento alle precedenti categorie a), b), e c) e a quant'altro riportato, si rende necessario integrare il progetto esecutivo.

Omissis

c.8. definizione con diversi piezometri dell'area di influenza dei pozzi di Borgo San Lorenzo; monitoraggio periodico dei pozzi per verificare l'effettiva assenza di interferenze tra la cava-deposito progettata e l'area di alimentazione dei pozzi. II controllo ed il monitoraggio dovranno riferirsi alla qualità chimica, alle sue variazioni ed alle oscillazioni della falda nonché al livello idrometrico della Sieve in prossimità dei pozzi.” 

 

Tutto qui.

È l’unico documento ufficiale da cui si desume che qualcosa accadrà (anche se non si dice cosa) e, nel caso che questo qualcosa accada, si dovrà far qualcosa.

Qualora dovessero succedere altre cose (anche queste non si sa quali), si dovrà fare qualcos’altro.

Di sicuro si dovranno controllare i pozzi di Borgo S. Lorenzo.

E questa sarebbe un’autorizzazione?

Rilasciata da chi a chi?

E in forza di quali leggi e competenze?

E con quale oggetto?

Quest’atto pur riletto cento volte ha sempre portato alla medesima conclusione: non è, né può esserlo, un atto autorizzatorio, perché, se no, verrebbero meno tutti i principi in materia a tutela del cittadino nei confronti dello Stato.

 

E quando abbiamo sentito l’arch. Costanza Pera, allora Direttore generale per la Valutazione dell’Impatto Ambientale e l’Informazione ai Cittadini del Ministero dell’Ambiente, ed oggi Dirigente generale del Ministero delle Infrastrutture, da una parte ci siamo tranquillizzati, ma dall’altra preoccupati.

Tranquillizzati perché si è avuta la conferma che quel parere non autorizzava alcunché. Preoccupati perché c’è da domandarsi quale sia il livello dell’amministrazione preposta a tale competenze.

Per stessa ammissione del Direttore generale Pera le procedure dell’epoca erano assolutamente inadeguate all’approvazione di un’opera quale la tratta dell’A.V. Firenze Bologna e l’operato del Ministero dell’Ambiente era un “tentativo” di tutelare l’interesse ambientale

Un tentativo? Si approva un’opera come la Firenze-Bologna e si va a tentativi?

Ma leggiamole, le dichiarazioni dell’arch. Pera.

TESTE PERA – Devo confessare che il mio ricordo è abbastanza… non preciso, però diciamo che quello che è successo, le analisi, gli approfondimenti cui si è dato luogo sono ottimamente sintetizzati in un documento ufficiale, preparato dai miei uffici, che è l’accordo procedimentale sottoscritto il 28 di luglio del 1995 dai Presidenti delle regioni Toscana e Emilia-Romagna e dai Ministri interessati. L’accordo fu scritto a seguito di una istruttoria estremamente prolungata, che durò alcuni anni, sul progetto e, diciamo, ci si rese conto che la procedura di valutazione di impatto ambientale non era in condizione di sciogliere tutti i nodi di un progetto di enorme complessità e di grande anche protrazione nel tempo, per cui noi saremmo intervenuti con un parere e un giudizio di compatibilità rispetto a un’opera che aveva poi uno sviluppo temporale molto lungo in un ambiente fisico in parte da… le cui caratteristiche andavano precisate in corso d’opera. Quindi fu, per la prima volta in Italia, instaurato questo concetto dell’accordo procedimentale e dell’osservatorio, che doveva servire ad accompagnare l’esecuzione dell’opera e a risolvere in corso d’opera i problemi che, anche soprattutto sotto il profilo idrogeologico, si sarebbero potuto presentare.

Quindi leggi non ce ne sono. Cominciamo a mettere i puntini sulle i: è un tentativo. E nel principio di legalità tentativi non se ne fanno. Quindi fu per la prima volta in Italia, sembra un titolo di merito, una stelletta. Cioè, voglio dire: oggi abbiamo visto dove siamo, speriamo sia l’ultima, vorrei dire. Fu per la prima volta in Italia instaurato questo concetto dell’accordo procedimentale e dell’Osservatorio - sull’Osservatorio capitolo a parte, e ci torneremo – che doveva servire ad accompagnare l’esecuzione dell’opera ed a risolvere in corso d’opera i problemi che anche soprattutto sotto il profilo idrogeologico si sarebbero dovuti presentare. Non è un’autorizzazione, è un “vedremo”. “Vedendo, facendo”, dicono in Calabria.

TESTE PERA – Se era una cosa… allora, noi, dal nostro punti di vista di allora ovviamente, molto importante, non so che rilievo abbia per il Pubblico ministero, la procedura di VIA, disciplinata dalla legge, prevedeva che si facesse uno studio di impatto ambientale allegato al progetto a cura del proponente l’opera e che il Ministero dell’ambiente avesse 90 giorni di tempo per esprimersi di concerto col Ministro dei beni culturali. Ora, questa procedura poteva andare bene per, non so, un inceneritore di rifiuti piuttosto che… che poi non andava bene nemmeno in quel caso, non per un’opera di questo genere.

Quindi ci dicono che c’è una procedura, l’Italia è dotata di una procedura che non va bene neanche per un inceneritore. Però l’applicano, così, per l’Alta Velocità, e fanno un tentativo. Ricordiamoci: non mi interessa, se la sbrigherà la Corte dei Conti se questa roba è regolare, ci sono danni, non mi interessa. Mi interessa ai nostri fini, riportiamolo sempre ai nostri fini, se questa è un’attività lecita, legittimamente autorizzata. Questo ci interessa: se questa è un’autorizzazione.

TESTE PERA – Cioè, noi ci siamo trovati a doverci occupare ed esprimere su un progetto di enorme complessità con delle procedure assolutamente inadeguate, quindi abbiamo, diciamo, insieme alle Regioni, perché poi le Regioni avevano una competenza e un interesse su quest’opera assolutamente straordinaria, perché stiamo parlando perlopiù tra l’altro di materie già di competenza regionale in termini operativi e quotidiani, insieme alle Regioni abbiamo costruito questo sistema di accordo procedimentale e di costituzione dell’osservatorio nonché delle garanzie fidejussorie...

(basta pagare l’assicurazione, poi ci arriveremo)

TESTE PERA – ...del realizzatore  nei confronti del Ministero dell’ambiente, che era la prima volta in Italia e vorrei dire in Europa che si realizzava.

(certo in Europa se ne guardano bene da fare una cosa del genere)

TESTE PERA - Quindi abbiamo fatto qualcosa di assolutamente eccezionale...

(se lo dice da sola, ma forse non ha letto i giornali)

TESTE PERA - ... sotto il profilo del tentativo di assicurare la tutela dell’interesse ambientale. E qui c’è la risposta alla sua domanda, nel senso che il parere della Commissione che io al momento non ho e se mi viene fornito posso commentare, e il successivo accordo procedimentale tra i soggetti istituzionali interessati, si collocano in un preciso momento temporale, quel luglio del 1995, ma intendevano accompagnare la realizzazione dell’opera, quindi man mano… Alcune delle definizioni scritte, alcune delle affermazioni contenute nell’accordo procedimentale sono… a me paiono decisamente rilevanti in termini anche di novità di quello che si andava a fare. Se lei ha letto o legge la parte per i lavori di scavo delle galleria e di coltivazione delle cave, tutte quelle pagine sono il tentativo di delineare, a montagna chiusa ovviamente, un modo di comportarsi, di agire, che garantisse quanto più possibile l’interesse ambientale.

 

Quindi per espressa affermazione di chi ha predisposto il parere per il Ministero dell’Ambiente poi trasfuso nella conferenza dei servizi, questo parere è figlio di una procedura inadeguata per opere del tipo la Firenze-Bologna, per cui si è inteso inventare un qualcosa di nuovo non disciplinato dalle leggi allora vigenti.

Per espressa affermazione di chi ha predisposto il parere si è fatto un tentativo per assicurare la tutela dell’ambiente. Un tentativo? Cioè: si tenta? Si approva la Firenze-Bologna a tentativi?

E visto che era un tentativo, allora viene da pensare che non c’è da sorprendersi che sia fallito. È il destino di tanti tentativi, il fallimento, e si dà il caso che questo sia proprio uno di quelli falliti.

Ma se siamo di fronte ad un tentativo, come si può definire quel parere del Ministero dell’Ambiente un’autorizzazione? Come può essere qualificata un’autorizzazione un provvedimento privo di una espressa base normativa di diritto positivo vigente che ne legittimi l’adozione?

Esiste nel nostro ordinamento il concetto di “tentativo di autorizzazione”? No, non crediamo.

Ecco perché diciamo che siamo di fronte a danni provocati in seguito ad un’attività non debitamente autorizzata.  Perché il parere del Ministero non è un’autorizzazione e non è stata rilasciata in forza ad una legge specifica che legittimasse la causazione di tali danni.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 12]

 

 

“DI CHI È L’ACQUA? DI TUTTI? DI NESSUNO?

[...] GLI IMPUTATI [...] DEVONO AVER PENSATO CHE L’ACQUA FOSSE LORO. E SE NON LORO, ALLORA CHE L’ACQUA NON FOSSE DI NESSUNO, SECONDO IL PRINCIPIO ABBASTANZA IN USO NEL NOSTRO PAESE PER IL QUALE I BENI PUBBLICI NON SONO CONSIDERATI BENI DI TUTTI, MA DI NESSUNO PER L’APPUNTO, E QUINDI ALLA FINE SONO DI CHI SE LI PRENDE”.

 

 

Tra i pareri allegati alla Conferenza di servizi [...] ve n’è uno, non considerato, quasi periferico, un parere di aspetto dimesso per la sua apparente modestia e laconicità. È il parere allegato alla deliberazione della Giunta Regionale della Regione Toscana n. 03884 del 24/07/1995 [...] avente per oggetto “Approvazione del progetto esecutivo del quadruplicamento ferroviario veloce Milano-Napoli tratta Firenze-Bologna, e dei connessi schemi di accordo quadro, programma, direttore e accordo procedimentale”.

Dopo vari “considerato” si dà atto “che l'istruttoria degli elaborati sopracitati è stata effettuata dai competenti uffici regionali che hanno predisposto i pareri di seguito elencati e che vengono allegati alla presente Deliberazione”.

Tra questi si trova il “…parere concernente le autorizzazioni…di uso delle acque e linee elettriche inferiori a 150 KW (R.D. 1775/1933) (Allegato C - composto da sub allegati A e B)”. [...] Notare come la deliberazione sia stata predisposta dal Dirigente Responsabile dal Servizio Infrastrutture, arch. Gianni Biagi, che poi ritroveremo come membro dell’Osservatorio Ambientale per conto della Regione Toscana e poi come assessore all’Urbanistica del Comune di Firenze, dove risulta tuttora in carica.

E che diceva il parere concernente le autorizzazioni “di uso delle acque e linee elettriche inferiori a 150 KW (R.D. 1775/1933)”?

Riportiamo per intero la parte sulle acque, tanto è corto il parere: “Nella documentazione presentata non risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche superficiali e sotterranee che potranno essere attivate al momento della realizzazione delle opere e pertanto va indicata nella Conferenza dei Servizi che sono escluse autorizzazioni all’uso dell’acqua”.

Chiuso qua.

Nelle migliaia di carte di questo processo questo è l’unico foglio che rinvia ad una specifica competenza pubblica in materia di acque superficiali e sotterranee e vi si legge la oggi paradossale affermazione che nella documentazione presentata dal soggetto proponente l’opera “non risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche superficiali e sotterranee”!

Ora si obietterà: ma che c’entra? È chiaro che qui si intende la richiesta per usare l’acqua per i cantieri.

Intanto, c’entra, perché CAVET non si è disturbata neppure per chiedere quelle, di autorizzazioni, tanto è vero che in questo processo si procede anche per il furto di acqua da parte di CAVET.

E poi, chi l’ha detto che CAVET non avrebbe dovuto munirsi dell’autorizzazione ex R.D. 775/33 e L. n. 75/95? Non foss’altro per chiedere la revoca di quelle in atto e già concesse ai privati ed incompatibili con la realizzazione dell’opera. Quei privati che non usavano già da tempo immemore punti d’acqua storici (ricordiamo che nel corso del processo abbiamo trovato fonti di cui vi è traccia che fossero utilizzate sin dal 1200, sin dal ‘500, oppure sorgenti con lapidi dell’800 oltre a tutte quelle altre ricordate da sempre a memoria d’uomo), quando in tempi più recenti hanno voluto battere nuovi pozzi o attingere dai fiumi e dalle sorgenti hanno presentato la loro bella domandina ed hanno avuto la loro concessione, quella che, [...] se finalizzata a usi domestici, con la legge del ’94 sarebbe divenuto addirittura un diritto quesito.

CAVET ha richiesto le revoca delle concessioni dei privati concesse? No.

Qualche ente Pubblico, Ministero, Regione, Provincia le ha revocate d’ufficio? No.

Ricordiamoci che per due chilometri CAVET ha detto: avremo impatti forse per due chilometri da una parte e da quell’altra del tracciato. Tutte le fonti d’acqua che erano là allora tu me le togli? Ed allora si comincia a capire cosa sarebbe successo. Si sarebbe cominciato a capire quale sarebbe stato il rischio a cui si sarebbe andati incontro. Forse qualcuno non si voleva prendere la responsabilità. Forse la valutazione tra interesse pubblico dell’opera e diritti dei cittadini, forse, sarebbe emersa in quella sede. Forse non erano sbagliati i rilievi delle associazioni ambientaliste. Forse il parere del Micheli e dalla Sargentini aveva un senso. Forse sarebbe emerso qualcosa.

No. Nessuno ha chiesto nulla, nessuno ha dato nulla. La mattina te ti svegli e non ti trovi l’acqua. E non è reato?

[...]

Allora ecco che viene la domanda: di chi è l’acqua?

Di tutti? Di nessuno?

Dai fatti acclarati viene un dubbio.

Che l’acqua sia di CAVET che ne dispone tranquillamente senza chiedere nulla a nessuno?

Eppure deve essere quello, hanno pensato gli imputati quando hanno seccato la sorgente di Visignano, l’acquedotto di Luco, hanno allagato le gallerie di Osteto e di Marzano, hanno impattato la sorgente La Rocca e di Moscheta, hanno seccato il Carza, ecc. ecc. Devono aver pensato che l’acqua fosse loro. E se non loro, allora che l’acqua non fosse di nessuno, secondo il principio abbastanza in uso nel nostro Paese per il quale i beni pubblici non sono considerati beni di tutti ma di nessuno per l’appunto, e quindi alla fine sono di chi se li prende.

Dico questo anche perché nel corso del dibattimento ogni tanto pare essersi affacciata la tesi che i ladri d’acqua fossero invece i privati con il pozzo autorizzato e che loro sarebbero addirittura causa di una situazione idrogeologica già degradata ante-lavori CAVET. Lo dice Celico a pg. 248 della sua CT. Il che sembra davvero troppo. Prima di CAVET nel Mugello c’era una situazione così degradata che quasi tutti i corsi d’acqua seccati da CAVET erano perenni, classificati a salmonidi ed ospitavano le trote ed i gamberi di fiume.

Noi ritenevamo invece, quando abbiamo esercitato l’azione penale, e lo riteniamo ancora oggi, che l’acqua non solo non sia di CAVET, ma nemmeno della Regione o di quelli che hanno approvato il progetto dell’Alta Velocità in conferenza dei servizi nel 1995, ma che sia un bene pubblico di cui qualunque soggetto, sia pubblico o privato, può disporre solo nei modi e nei limiti di legge. Avrebbero dovuto revocare tutte le concessioni. Non è che uno ne può disporre come se fosse cosa sua. Non è una mela che ho in casa. È un bene pubblico, e quindi soggetto al principio di legalità. Le leggi erano quelle che ho riferito [...].

Ed allora se è vero che:

-        in Conferenza di servizi non si indicano le interferenze idrogeologiche che si provocheranno se non in del modo del tutto generico, eventuale e comunque con carattere di transitorietà legato solamente all’andamento dei lavori tant’è che si rimanda il tutto ad fumoso monitoraggio in corso d’opera;

-        il proponente non richiede alcuna autorizzazione per l’uso di acque;

-        non si revocano le autorizzazioni delle concessione in essere;

possiamo dunque dire di essere in presenza di un’attività di CAVET autorizzata?

La domanda è retorica, e la risposta è “no”.

Certo, comprendiamo quale avrebbe potuto essere l’imbarazzo da parte di CAVET di chiedere di poter seccare l’acquedotto di Castelvecchio, di Luco, la sorgente La Rocca, Moscheta, il Carza e Carzola, e quale l’imbarazzo della Regione prima, e della Provincia poi, a revocare le concessioni in essere e rilasciare quelle per seccare i fiumi.

Ho capito. Capisco l’imbarazzo, ma anch’io mi imbarazzo a volte, ma mi astengo. Non è che mi è permesso di bypassare il principio di legalità e lo stato di diritto; se no si viene meno a tutto, credo, proprio alle basi della convivenza civile.

Facciamo la controprova.

Visto che le indicazioni del SIA, del Ministero dell’Ambiente, della Conferenza dei servizi, almeno a parole, erano quella della salvaguardia ­diciamo per “quanto possibile”, “compatibilmente” con la realizzazione dell’opera, siamo sicuri che il quadro dei danni oggi realizzati fosse quello esplicitato sul tavolo della Conferenza di servizi?

La risposta è “no”, tant’è che non lo sostiene nessuno, neppure i CT di CAVET.

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 3 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 13]

 

 

“SOTTOSTIMANDO, MINIMIZZANDO, ANDANDO A DRITTO DI BRUTTO, CI SAREMMO ASPETTATI ALMENO CHE L’OPERA SAREBBE FINITA PRIMA E CHE IL TUTTO, ALLA FINE, SAREBBE DOVUTO COSTAR MENO. SE PRESTO E BENE NON STANNO INSIEME, CI SI ASPETTA CHE POSSANO INVECE COMBINARSI ALMENO PRESTO E MALE. OPPURE, CATTIVA QUALITÀ, MA COSTI MINORI. NO, QUI SI RIESCE NELLA SINTESI, NELLA SUMMA: MALE, TEMPI INFINITI. QUINDI CON TUTTI I DANNI E BASTA. OPERA NON FINITA, PREZZI RADDOPPIATI, CATTIVA QUALITÀ, COSTI ENORMI”.

 

 

Ma non basta provare gli eventi e la condotta.

La Procura deve provare ancora di più, deve provare il dolo. La consapevolezza e la volontà degli imputati di cagionare i danni  provocati. Deve provare la prevedibilità e la previsione dei danni e la esigibilità di una condotta diversa da quella tenuta.

Ora non saremmo qui se i danni realizzati fossero stati assolutamente imprevedibili e non fosse esigibile dagli imputati un comportamento diverso da quello in concreto tenuto.

Sennonché non solo si poteva e si doveva esigere che gli imputati tenessero una condotta alternativa, ma i danni non solo erano prevedibili, ma molti sono stati addirittura previsti, accettati e quindi volontariamente determinati.

È dall’analisi diacronica degli eventi che emerge palese la prova del dolo da parte degli imputati.

 

I PRODROMI DEI DANNI

Numerosi gravi indizi suggerivano, già prima dell'approvazione dell'opera e dell'apertura dei cantieri, gli scenari dei quali siamo adesso, nostro malgrado, tardivissimi testimoni.

Già nel luglio 1992 nell’elaborato allegato alla delibera 315/92 della Giunta Regionale, gli uffici di quell’Ente da pg. 29 a pg. 32 descrivono quelli che sono risultate le lacune evidenziate nel corso delle indagini e causa dei danni accertati.

Similmente il Servizio Geologico della Presidenza del Consiglio dei Ministri del ‘92.

Di quest’ultima citiamo alcune parti dal testo della relazione:

"Dati frammentari, scarsamente confrontabili", "soggettiva la sintesi dei dati e la conseguente valutazione ai fini della stabilità dei versanti". Uno studio ricco di "discrepanze", "lacune o non corrispondenze dei dati" nella cartografia. Mancanza di "riferimenti toponomastici e tettonici" nel profilo geologico della tratta, "suggerimenti geologico-tecnici generici e vaghi". Trascurate "le qualità geo-meccaniche dei terreni" nonostante esse siano "cause che predispongono alla instabilità degli stessi". Sottostimate "le modifiche geo-ambientali apportate dall'intervento sul territorio"; "non individuate le evoluzioni geodinamiche esogene e endogene". "Notevole frammentarietà delle informazioni territoriali cartografate" e "diversità delle scale di rappresentazione". Non tenuto "in debita considerazione quanto disposto dal D.P.C.M. 27.12.1988 specie per quanto concerne le informazioni di carattere geognostico e geotecnico". Assente "la considerazione dei geotopi e dei beni culturali a carattere geologico meritevoli di protezione". "Estrema genericità sia nella previsione degli impatti che nelle proposte di misure di mitigazione, per quanto riguarda sia la fase di cantiere che quella di esercizio dell'opera".

Dopo quel parere, nessun nuovo parere è stato richiesto al Servizio geologico della Presidenza del Consiglio dei Ministri sul progetto esecutivo poi approvato nella Conferenza dei servizi del 28 luglio 1995. Forse proprio a causa del tenore delle censure espresse nel 1992?

Fatto sta che nulla cambia nel 1995.

Infatti i servizi tecnici della Regione Toscana (Ufficio del Genio Civile, Servizio Difesa del Suolo, Nucleo di valutazione dei siti di cava di prestito), nei loro pareri espressi pochi giorni prima della chiusura della Conferenza di servizi sulla scorta degli elaborati tecnici del progetto esecutivo per la tratta AV Bologna-Firenze, evidenziano enormi carenze progettuali sotto l'aspetto idrogeologico, geomorfologico e idraulico, o segnalano che "gran parte delle difficoltà nell'esame del materiale prodotto derivano dal fatto che lo stesso nasce in assenza di una preventiva valutazione di impatto ambientale. Valutazione che avrebbe permesso di evidenziare problematiche di larga scala preliminarmente alla redazione del progetto esecutivo in modo da poterne tener conto nella scelta delle specifiche soluzioni tecniche".

Ancora il 23.1.1995 vengono ribadite analoghe riserve allo studio di impatto ambientale (S.I.A.) dal Dipartimento Ambiente Regione Toscana a firma del geologo Micheli (pg. 1154/10), che, dopo aver premesso che in “ … un settore come quello Appenninico dove sussiste una generale carenza di risorse idriche anche falde di modeste dimensioni e capacità possono acquisire grande importanza locale", evidenzia come gli elaborati cartografici contengano informazioni per soli due chilometri, e manchino indicazioni puntuali sugli interventi di mitigazione, tanto più necessari visto che il sicuro effetto drenante causato dalle gallerie “rischia di avere ripercussioni negative sull’ecosistema, di superficie per la riduzione della portata di base di corsi d’acqua anche in zone lontane dal tracciato ferroviario”.  Elementi tutti che fanno sì che lo stesso Dipartimento esprimesse parere negativo “per evidenti carenze per quanto riguarda l’approfondimento delle indagini, il mancato riconoscimento di importanti acquiferi, la mancanza di interventi di mitigazione”.

Riportiamo per esteso le “Conclusioni”:

“Sulla base delle considerazioni sopra svolte si ritiene di esprimere parere negativo sullo studio di impatto ambientale per evidenti carenze per quanto riguarda 1’approfondimento delle indagini, il mancato riconoscimento di importanti acquiferi, la mancanza di interventi di mitigazione. In particolare si motiva il parere negativo nel modo seguente: 1) mancanza di valutazione di ordine sismico in funzione soprattutto ella stabilità delle pendici naturali o artificiali; 2) assenza dì indagini geomorfologiche (forme carsiche, frane, deformazioni gravitative profonde ecc.); 3) non riconoscimento dell’importanza dell’acquifero carsico della formazione di Monte Morello; 4) mancanza di valutazione di ordine idraulico soprattutto per i siti di cantiere e di discarica in zone di naturale espansione delle acque; 5) non valutazione dell’ "effetto drenante” delle gallerie in acquiferi o in zona dì intensa fratturazione e probabile circolazione idrica; 6) non valutazione delle ripercussioni dell’effetto drenante delle gallerie in funzione degli ecosistemi superficiali; 7} ristrettezza delle indagini geologiche ed idrogeologiche limitate ad una fascia dì solo due chilometri intorno al tracciato ferroviario che non consentono adeguate ricostruzioni stratigrafiche e strutturali; 8) non indicazione degli interventi di mitigazione”.

Diremmo che c’è tutto quello che ci doveva essere. Era il 23.1.1995. Bastava leggere ed aver voglia di capire.

Ma non c’è solo questo parere della Regione.

È addirittura dagli stessi atti nella disponibilità e commissionati dai proponenti che emergono le stesse lacune. Si fa riferimento alla "Relazione geologica e idrogeologica per la istruttoria della Variante del Progetto esecutivo (tratto Toscano: Mugello-Vaglia-Careggi)", datata 30 giugno 1995 e redatta dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università di Bologna sulla base di una convenzione con la TPL - AV (società legata alla TAV Spa). Nella relazione appaiono esplicitate gravi e puntuali perplessità circa i rischi di natura idrogeologica connessi con la costruzione dell'opera, e circa l’attendibilità della documentazione fornita per lo studio richiesto. Appare evidente il quadro di preoccupazione che l'analisi del Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università di Bologna aveva tempestivamente fornito ai proponenti dell'opera anche se con riferimento all’originario tracciato che non prevedeva la variante Castello, ma identico sino a Vaglia.

E questo per dire che già stato dell’arte al momento della approvazione del progetto, era palese non solo la astratta prevedibilità, ma addirittura la previsione in concreto di ciò che poteva succedere e che, di fatto, è successo.

Ed a questo punto è del tutto conseguente ed esigibile pretendere che gli imputati prendessero atto di tali documenti ed emergenze e si attivassero di conseguenza [...].

Da notare che nessuno degli imputati - e non ce l’aspettavamo di certo - ha detto “siamo una impresa di incompetenti per cui non sappiamo fare il nostro lavoro”. No. Abbiamo sentito anzi tutti rivendicare la loro estrema professionalità.

E allora cosa dobbiamo pensare? Perché un funzionario regionale che avrà avuto uno stipendio di 1.500 euro in Regione è stato in grado di vedere ciò che altri mirabili e chiarissimi professionisti privati, luminari della consulenza e top manager non hanno visto?

Ci limitiamo a constatare:

1.      che si poteva e si doveva prevedere quanto accaduto;

2.      una volta che comunque lo avevano previsto altri, ne avrebbero dovuto necessariamente tener conto. Non fosse altro per attivare conseguentemente e doverosamente le procedure in base alle quali realizzare le opere ancorché dannose, ma solo previo puntuale rilascio da parte della amministrazioni preposte delle necessarie autorizzazioni e solo una volta che queste avessero verificato, nei modi di legge, la sussistenza di un superiore interesse pubblico alla realizzazione della tratta Firenze-Bologna pur con quei determinati effetti negativi.

Niente di tutto ciò invece è accaduto.

 

Ma non è finita.

Ancor peggio se ci ricordiamo cosa è successo in corso d’opera e di cui abbiamo già trattato.

Nel corso della cantierizzazione, è stato istituito dalla Comunità Montana del Mugello-Alto Mugello-Val di Sievee, con delibera n. 175 del 28.06.1996, l’Osservatorio Ambeintale Locale (OAL) sui lavori dell’Alta velocità, dotato di un Comitato tecnico-scientifico presieduto dal geologo prof. Giuliano Rodolfi. L'OAL ha ammonito a più riprese circa i rischi che si sarebbero corsi in ambito idrogeologico con le procedure di attuazione delle cantierizzazioni e degli scavi. Ma non risulta che l'azione delle autorità di controllo (sindaci, Osservatorio Ambientale, ARPAT, ecc.) sia stata sufficientemente efficace da evitare i danni ambientali preconizzati.

E CAVET, diretto interessato ed autore di tali danni, non ha fatto certo complimenti nell’andare avanti diritto alla meta costasse quel che costasse, e “meta” si fa per dire, visto che i lavori non sono oggi neppur finiti.

Eppure sottostimando, minimizzando, andando a dritto di brutto, ci saremmo aspettati almeno che l’opera sarebbe finita prima e che il tutto, alla fine, sarebbe dovuto costar meno. Se presto e bene non stanno insieme, ci si aspetta che possano invece combinarsi almeno presto e male. Oppure, cattiva qualità, ma costi minori. No, qui si riesce nella sintesi, nella summa: male, tempi infiniti. Quindi con tutti i danni e basta. Opera non finita, prezzi raddoppiati, cattiva qualità, costi enormi.

Infatti le censure all’operato degli imputati CAVET si appuntano soprattutto al momento in cui cominciano a costruire e vengono al pettine tutte le magagne ed i nodi di una progettazione esecutiva quantomeno da valutarsi scadente se non addirittura preordinata a minimizzare scientemente gli effetti negativi cui si sarebbe andati in corso nella fase di realizzazione.

E infatti come si comincia a costruire ecco che non tornano più i conti.

Abbiamo già anticipato dell’importante segnale di quanto avvenuto a Castelvecchio.

Abbiamo già detto che Trezzini nel 1998 arriva a dire a CAVET, in una riunione pubblica a Firenzuola, le seguenti testuali parole:

“Penso che abbiate trascurato qualcosa in questo periodo. Su questo tema occorre intendersi bene. Andavano fatte quattro cose e non sono state fatte:

1)     andava previsto l'accaduto, e la previsione è risultata errata;

2)     poteva essere fatto il monitoraggio;

3)     poteva essere fatto il rivestimento alla galleria, senza fare come se nulla fosse avvenuto;

4)     potevano esser fatti prima gli interventi alternativi.

Dobbiamo puntualizzare che i modelli matematici devono avere una tolleranza minima. Verifichiamo se è il caso di intensificare i dati dei monitoraggi. I dati di monitoraggio, devono arrivare in tempo reale e non dopo mesi. FIAT e CAVET devono provvedere con tempestività”.

Questo, Trezzini.

Stessi concetti ribaditi nel settembre '99, in un articolo pubblicato sulla rivista Net dell'ARPAT, laddove il responsabile Piero Biancalani scrive, a proposito dei problemi insorti nell'ambito delle acque sotterranee: "Nel modello utilizzato per definire la fascia d'influenza delle gallerie si sono assunte in partenza condizioni di omogeneità ed isotropia del mezzo assolutamente lontane dalla realtà, comportando errori di valutazione dell'effettiva estensione della fascia d'influenza dell'escavazione. Su tali "ipotesi" si è basata anche la definizione preventiva dei codici di scavo e quindi delle sezioni tipo da utilizzare nei differenti tratti, nonché la stima del drenaggio stesso, con ripercussioni sul valore reale dell'abbassamento del livello piezometrico. Il monitoraggio idrogeologico che è stato predisposto è in grado di segnalare situazioni critiche solo quando queste sono in qualche modo già in atto e di concedere, perciò, tempi assai ridotti per gli interventi di emergenza tali da renderne spesso molto limitata l'efficacia. Inoltre, il piano di monitoraggio era stato impostato sulla importanza socio-economica dell'acquifero, e non risulta collegato con uno studio che si ponga degli obiettivi più generali di tutela della risorsa idrica sotterranea, sia in fase di costruzione che in fase di esercizio" (Net, n. 12, settembre 1999) (pg. 200232).

 

Ed allora vediamo che anche in corso d’opera - nonostante fossero ormai chiari, noti, non solo conoscibili, ma addirittura conosciuti i danni che si andranno a provocare - non si fa niente per porvi rimedio.

Ricordiamo al riguardo dei danni alle sorgenti che approvvigionavano le frazioni di Luco di Mugello e di Grezzano, nel Comune di Borgo S. Lorenzo, che gli imputati, nonostante l'OAL avesse previsto ed ammonito degli eventi, non si sono affatto preoccupati di prevenire.

Ecco cosa risulta aver scritto il prof. Giuliano Rodolfi il 18.1.'00 (pg. 200251) a un nutrito elenco di destinatari (fra cui il sindaco di Borgo San Lorenzo, il presidente della Comunità Montana del Mugello, il rappresentante della Regione Toscana nell'Osservatorio Ambientale Nazionale, i sindaci di Vaglia, San Piero a Sieve, Scarperia e Firenzuola, e per conoscenza il CONSIAG e l'ARPAT):

"I lavori per la realizzazione della tratta appenninica della Ferrovia AV stanno sempre più pesantemente interessando le risorse idriche (superficiali e profonde) del bacino della Sieve (territori dei Comuni di Vaglia, San Piero a Sieve, Scarperia, Borgo San Lorenzo), e dell'adiacente bacino del Santerno (Comune di Firenzuola). Del progressivo aggravarsi della situazione sono testimoni le segnalazioni che provengono a questo Osservatorio sia dalle suddette Amministrazioni Comunali che da singoli cittadini.

Oltre a episodi di una certa gravità, come il recente sprofondamento verificatosi in località Il Grillo, conseguente al drenaggio di acque sotterranee intercettate nel corso dello scavo della galleria di Firenzuola, si lamentano casi di diminuzione di portata o, addirittura, di sparizione più o meno improvvisa di sorgenti prossime agli scavi. In alcuni casi si segnalano sensibili alterazioni, sempre in senso negativo, nelle portate dei corsi d'acqua superficiali.

È certo che i tratti di galleria finora scavati hanno intercettato acquiferi produttivi liberando volumi d'acqua molto superiori alle previsioni di progetto, dimostrando la relativa attendibilità delle indagini idrogeologiche ante operam. D'altro canto, risulta particolarmente difficile, in carenza di dati, stabilire relazioni di causa-effetto fra le acque drenate e i fenomeni riscontrati; si può solo, al momento, parlare di "rischio generico" per le acque, senza nessuna possibilità di quantificare il fenomeno. Anche la ricerca di eventuali approvvigionamenti alternativi è tutt'altro che basata su di un piano organico d'indagini.

Nell'ineluttabile prospettiva di un avanzamento dei lavori, che comporterà maggiori volumi di acque intercettate, l'adozione di criteri realmente scientifici non può essere ulteriormente procrastinata. Considerato che, in ogni caso, le opere progettate incideranno negativamente sulla qualità e sulla quantità delle risorse idriche disponibili sia per usi civili che industriali o agricoli, è indispensabile la messa a punto di un oculato sistema di gestione.

Il primo passo, che avrebbe dovuto essere compiuto, con il dovuto rigore, all'indomani dell'approvazione dell'opera è, e rimane, un attento quanto assiduo monitoraggio delle acque sotterranee e superficiali. E' anche vero che i dati raccolti in due o tre anni di osservazione non sarebbero stati statisticamente significativi, ma avrebbero comunque, e non poco, aiutato a capire la dinamica degli acquiferi e a porre in relazione la loro variabilità con quella degli afflussi meteorici.

Purtroppo, siamo nelle condizioni di usare, nella quantificazione dei parametri idrologici, gli aggettivi o gli avverbi al posto dei numeri, o a rifarsi alle testimonianze di qualche vecchio idraulico di qualsiasi comune o del solito anziano mezzadro. In queste condizioni, se è già difficile stimare un danno presunto alle risorse finora disponibili, figuriamoci quanto lo sia quantificare eventuali forme alternative di approvvigionamento. Certo, in situazioni d'emergenza, come quella che stiamo vivendo, qualunque dato, anche se riferito ad un solo anno di osservazioni, avrebbe fatto comodo; ma quale livello di attendibilità attribuirgli? L'esecutore (o il progettista, o il tutore) dei lavori AV ha eseguito il monitoraggio di sorgenti, piezometri o pozzi significativi con mezzi adeguati e con frequenza accettabile? A questo proposito, quale deduzione sulla dinamica di una falda idrica o di una sorgente può essere azzardata sulla base di verifiche solo trimestrali, come quelle che risultano essere state effettuate, o anche mensili, qualora si tratti di punti particolarmente significativi?

Per sommi capi, una nuova indagine, sia pure tardiva, dovrebbe almeno prevedere:

-        la verifica della funzionalità dei piezometri e dei pozzi esistenti,

-        la posa in opera di nuovi piezometri sia nei tratti più problematici, che in quelli ancora non esplorati;

-        l'allestimento delle sorgenti più significative mediante stramazzi tarati o, comunque, di qualsiasi apparato che consenta rapide misure di portata (per "sorgenti significative" non si devono intendere solo quelle che alimentano le utenze più numerose o importanti, ma anche quelle minori, che possono fornire più utili informazioni sulla circolazione sotterranea);

-        l'adozione di una frequenza almeno quindicinale nelle verifiche;

-        la tempestiva comunicazione dei dati alle Amministrazioni competenti per territorio e agli Organi preposti alla tutela ambientale".

 

Questo il chiaro quadro a tre anni dall’inizio dei lavori, ma non si cambia.

 

Per capire il clima si rimanda al Consiglio Comunale aperto del 22.2.00 a Luco di Mugello nel corso del quale quasi si accetta un destino annunciato: dopo le sorgenti seccate a Castelvecchio e a Marzano, il tunnel TAV si avvicina pericolosamente a quelle di Case d'Erci, di cui come detto il geologo presidente dell'Osservatorio Ambientale Locale del Mugello, prof. Giuliano Rodolfi, e il responsabile ambiente del CONSIAG, Filippo Landini, annunciano che sono da considerare ormai "condannate".

A chi chiedeva di cercare altre possibili fonti pulite di approvvigionamento, il rappresentante del CONSIAG replicava che purtroppo c'era poco da fare in quella direzione: fino ad almeno 2 o 3 km sia destra sia sinistra del tunnel l'impatto sulla falda può rendere non più disponibile l'acqua attualmente esistente: inutile cercare lì altre sorgenti, che potrebbero anch'esse sparire.

E CAVET? Che fa? Niente. Non si ferma.

Nella sua comunicazione alla VI Commissione consiliare della Regione Toscana "Territorio e Ambiente", avvenuta il 20.7.'00 (ALLEGATO 29), l'assessore all'Ambiente della Regione Toscana Tommaso Franci riferisce alcuni particolari importanti a proposito dell'intercettazione nel marzo 2000 delle sorgenti di Casa d'Erci, destinate all'alimentazione dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco e Grezzano.

"Il 14 marzo l'Osservatorio prescriveva (con nota indirizzata a TAV, Italferr, FIAT e CAVET) i monitoraggi da svolgere, accogliendo anche le specifiche proposte dell'ARPAT. In particolare confermava la progressiva 54+100 quale limite massimo di scavo in attesa di ulteriori elementi conoscitivi. A conclusione della stessa nota veniva infine comunicato: "Nella giornata odierna è giunta comunicazione, da parte del Supporto Tecnico, in merito al riscontro di una venuta d'acqua stimabile in circa 9 l/sec., al fronte della galleria in argomento. Tale accadimento, in relazione all'ormai prossimo raggiungimento della progressiva di probabile inizio drenaggio, fa ritenere che la sospensione dei lavori di scavo debba essere immediata, che debbano essere avviati e conclusi nel più breve tempo possibile gli approfondimenti di cui sopra e che in merito alla prosecuzione l'Osservatorio esaminerà gli esiti delle attività richieste, non appena disponibili".

Sulla base dei sopralluoghi effettuati dall'ARPAT il 14 marzo i lavori di scavo avevano raggiunto la progressiva 54+112 (si tenga presente che con l'avanzamento verso Bologna la progressiva è decrescente). I lavori risultano essere proseguiti per ulteriori 1-2 giorni fino al raggiungimento della progressiva 54+102. In tale periodo si è incrementata la venuta di acqua al fronte della galleria fino a raggiungere 16 l/sec.

Quasi contemporaneamente ha iniziato a manifestarsi un decremento consistente delle portate delle sorgenti Casa d'Erci 1 e Casa d'Erci 2 destinate all'alimentazione dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco e Grezzano, tanto che, in data 26.3.2000, è stata attivata l'integrazione degli approvvigionamenti mediante autocisterne".

Come volevasi dimostrare.

Ma non si farà nulla neanche per altre importanti sorgenti, come La Rocca che serve il capoluogo di Scarperia.

Nonostante ciò non ci si ferma. Si va avanti.

Lo stesso per il cantiere di San Giorgio, dove si verifica una serie di sprofondamenti di terreni agricoli, l'ultimo dei quali di ben 7 metri a 70 metri di distanza dal fronte di scavo.

La domanda è sempre quella. Perché non fermarsi già dall'estate del 1998 quando era evidente il fallimento del progetto in corso d’esecuzione dopo che si erano registrate conseguenze analoghe della cantierizzazione TAV a Castelvecchio, nel Comune di Firenzuola?

Ed allora come si fa a sostenere l’imprevedibilità dell’accaduto?

Ciò che è accaduto era non solo prevedibile, ma in concreto previsto [...]. Ed allora se era prevedibile e previsto ciò che è accaduto, perché non sarebbe esigibile che si fosse operato diversamente? Dunque prevedibile, previsto e comunque accettato ed infine, dunque, voluto. Comunque sicuramente accettato da quando si sono manifestati gli eventi di Castelvecchio e dal quel momento chiaramente voluto.

L’assunto è confermato dal Documento del 2.8.'00 prodotto dall'Osservatorio Ambientale Nazionale. Vi si leggono espressioni come "le sorgenti Badia di Moscheta e Felciaione sono destinate ad essere prosciugate dal drenaggio della galleria Firenzuola e della Finestra Osteto (…) La sorgente Badia di Moscheta ha un notevole interesse dal punto di vista turistico-ambientale; infatti si tratta di una captazione fatta dai monaci di Moscheta e si trova nel cortile della Badia, meta di numerosi turisti. La sorgente potrebbe essere impattata a partire dall'agosto 2001 (…) La Galleria Firenzuola dalla finestra Rovigo verso sud drena attualmente circa 200 l/s".

Ormai la fine è nota. Impattata anche Moscheta.

 

Ed allora come concludere?

a) CAVET doveva e poteva conoscere i danni ambientali che avrebbe provocato con la sua condotta ed in parte già li conosceva, ma non se ne cura.

b) In ogni caso ne è chiaramente edotta appena iniziano le opere di scavo e si provocano i primi impatti asseritamente non previsti.

c) Volontariamente e consapevolmente CAVET prosegue nell’attuazione del suo programma conoscendone perfettamente gli effetti.

d) Alla proteste dei danneggiati, degli enti locali, degli ambientalisti, si sottrae negando i fatti, le proprie responsabilità o garantendo che tutto sarebbe tornato come prima.

Il punto a) prova il dolo eventuale.

I punti b) e c) sono sufficienti a dimostrare il dolo diretto degli eventi provocati.

Il punto d) prova la consapevolezza e la malafede per sottrarsi alle conseguenze dei danni provocati.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 14]

 

 

“CAVET HA AVUTO QUESTO AFFIDAMENTO [...], IN QUELLO CHE ERA IL PIANO [...] DEL ’92, DOVE C’ERA DA REALIZZARE QUESTE GRANDI INFRASTRUTTURE FONDAMENTALI PER IL PIANO DI TRASPORTI NAZIONALE. E SI ARROVELLARONO LA TESTA PER DIRE: MA CHI PUÒ FARE QUESTE STRUTTURE NEI TEMPI? LA COSA IMPORTANTE ERA TROVARE IL SOGGETTO CHE DAVA GARANZIA DI TEMPI E COSTI. NON DETTO, ERANO LORO. QUINDI SILVA RIVENDICA CHE CAVET È STATA SCELTA PERCHÉ SOGGETTO CAPACE DI GARANTIRE TEMPI E COSTI, ED È QUESTO CHE GIUSTIFICAVA LA LORO SCELTA COME GENERAL CONTRACTOR. [...] CERTO, OGGI, NEL 2008, AD OPERA ANCORA DA FINIRE E CON COSTI FINALI INDETERMINATI QUESTE AFFERMAZIONI RISULTANO UN PO’ PARADOSSALI E FANNO QUANTO MENO DUBITARE SULLA BONTÀ DELLA SCELTA DI CAVET COME ESECUTORE DELL’OPERA. MA TANT’È”. 

 

 

Abbiamo provato i danni, la condotta, l’elemento soggettivo.  Bisogna passare a valutare le singole posizioni soggettive.

All’esito del dibattimento pare si debba necessariamente operare un parziale distinguo tra l’operato dei soggetti CAVET dai soggetti non CAVET.

Come detto, è CAVET il soggetto cui viene appaltata l’opera “chiavi in mano”, che redige il progetto esecutivo, che esegue materialmente l’opera.

È chiaro che siamo nell’ambito di una logica d’impresa per cui al di là della responsabilità dei singoli sarebbe risultata assai opportuna una legislazione quale quella sulla responsabilità delle società di cui alla legge n. 231/2001, che recentemente ha esteso il suo campo di applicazione anche ai reati connessi alla violazione delle norme sulla prevenzione infortuni sul lavoro. È infatti ovvio che non siamo in presenza di soggetti che commettono reati in proprio, ma che, evidentemente, li commettono nell’ambito di un programma comune e di una strategia aziendale prefissati.

CAVET si fa forte del fatto di non aver scelto il tracciato, di non aver redatto il progetto di massima, che le specifiche del progetto esecutivo erano fortemente condizionate dal progetto di massima già approvato, di non aver avuto nessun potere decisionale alla luce del contratto stipulato con TAV, di non aver avuto alcuna autonomia progettuale ed operativa, di essere in buona sostanza un mero esecutore materiale di scelte operato da altri. Celico ci spende una trentina di pagine su questo argomento, da pg. 120 in poi.

A parte il fatto che in questo modo CAVET svilisce un po’ troppo il suo ruolo, direi che lo fa in anche modo contraddittorio, sol che si ricordi che proprio alcuni dei suoi massimi dirigenti quali Silva, Guagnozzi in questa aula, ma anche Celico nella sua CT, quando gli si è contestato di aver agito come hanno agito, si sono giustificati dicendo di aver operato come si doveva, secondo le migliori e più razionali valutazioni di costi-benefici attinenti la realizzazione di questa opera pubblica, senza però che si sia ben compreso chi gli avesse conferito tale potere decisionale, che invece è proprio ed esclusivo degli organi esponenziali della pubblica amministrazione, e non certo di un appaltatore.

Ma questo la dice lunga sul vero ruolo svolto da CAVET che non è stato certo un mero esecutore materiale come vuole oggi apparire. Il mero esecutore materiale si mette un paraocchi e va a diritto, qualunque cosa gli dicano la fa. No, loro rivendicano di aver operato nel modo più razionale. E quindi questo la dice lunga sul vero ruolo di CAVET. [...] Qui viene la battuta: cioè, voglio dire, come quando le mamme qui a Firenze dicono “me l'ha detto lui di fare una cosa”, e la risposta è “ma se t’avesse detto di buttarti in Arno?”. Perché Celico ad un certo punto dice “ah, ma siamo stati costretti a redigere un progetto esecutivo in sei mesi”. Ma ti hanno messo una pistola alla tempia, chi ti ha obbligato? È colpa dei danneggiati se hanno avuto sei mesi? Cioè, non si comprende quale sia l’argomento. E quindi CAVET ha fatto ciò che ha voluto fare perché ha potuto e voluto farlo.

E non ultimo... e non ultimo, perché poi riportiamo le cose sempre su un piano strettamente giuridico, CAVET non è un appaltatore qualunque, è un general contractor o, se vogliamo essere proprio più precisi, il braccio operativo del general contractor, ma la sostanza non cambia.

E il general contractor di che cosa risponde? Qual è il compito del general contractor? Il general contractor stipula e si obbliga per opere chiavi in mano, cioè chi ti commissiona l’opera se ne disinteressa. (...) Chiavi in mano vuol dire: portami l’opera finita, dimmi quale pulsante pigiare, dimmi cosa fare, dimmi con quale chiave aprire la porta e siamo a posto, io non voglio sapere niente. E vorrà dire qualcosa se tu ti obblighi per opere chiavi in mano. Il general contractor ancor più dell’appaltatore è responsabile del risultato. Ha un’obbligazione di risultato, non di mezzi. Il general contractor stipula contratti per opere “chiavi in mano”. Se no, che general contractor è? È general contractor solo per evitare di essere messo in concorrenza con altri in gare ad evidenza pubblica magari a gara europea?

E CAVET è l’alter ego del general contractor, e come tale si è assunta una obbligazione di risultato e non di mezzi. CAVET ha fatto dunque ciò che ha fatto perché ha voluto farlo. È sua responsabilità se ha scelto di fare quello che dice Celico a pg. 147, se CAVET ovvero ha accettato di redigere il progetto esecutivo in poco più di sei mesi, mentre per il progetto di massima ci sono voluti sei anni.

Peraltro il fatto di essere stati prescelti come general contractor è circostanza rivendicata con orgoglio dall’ing. Silva quando autoqualifica CAVET come soggetto prescelto perché uno dei pochi capaci di eseguire quell’infrastruttura fondamentale per il piano dei trasporti nazionale dando garanzia di rispetto di tempi e costi. Silva interrogato dà una spiegazione su come mai... rivendica con orgoglio come mai secondo lui è stata scelta CAVET: CAVET ha avuto questo affidamento, sono parole dell’imputato Silva, in quello che era il piano che è ancora del ’92, dove c’era da realizzare queste grandi infrastrutture fondamentali per il piano di trasporti nazionale. E si arrovellarono la testa per dire: ma chi può fare queste strutture nei tempi? La cosa importante era trovare il soggetto che dava garanzia di tempi e costi. Non detto, erano loro. Quindi Silva rivendica che CAVET è stata scelta perché soggetto capace di garantire tempi e costi, ed è questo che giustificava la loro scelta come general contractor. [...] Certo, oggi, nel 2008, ad opera ancora da finire e con costi finali indeterminati queste affermazioni risultano un po’ paradossali e fanno quanto meno dubitare sulla bontà della scelta di CAVET come esecutore dell’opera. Ma tant’è.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 15]

 

 

ITALSTRADE DOPO I FATTI DI MARZANO ED OSTETO RESCINDE IL CONTRATTO E LASCIA PERDERE. SI RITIRA. ESCE DI SCENA. NON SI INTESTARDISCE NELL’ESECUZIONE DI UN’OPERA BASATA SU UN PROGETTO ESECUTIVO RISULTATO FALLIMENTARE, E NON SOLO DAL PUNTO DI VISTA AMBIENTALE, MA ANCHE DAL PUNTO DI VISTA COSTRUTTIVO [...].

QUESTA CIRCOSTANZA CI DÀ PROVA ANCHE DI UN ALTRO FATTO IMPORTANTE, OVVERO DEL FATTO CHE CI SI POTEVA COMPORTARE ANCHE IN MODO DIVERSO DA COME SI È COMPORTATO CAVET. [...]  SI POTEVA E CI SI DOVEVA FERMARE PER PRENDERE ATTO DI QUELLO CHE ERA SUCCESSO E RICONSIDERARE IL TUTTO”.

 

 

E allora passiamo come abbiamo detto alle posizioni soggettive. Lasciamo [...] perdere ora [...] un attimo i soggetti CAVET e concentriamoci sugli imputati “non CAVET” di questo capo di imputazione.

[...] L’Italstrade ha avuto in sub-appalto da Cavet la realizzazione degli scavi per le gallerie di Marzano e Osteto nel cantiere T11. Quelle che hanno avuto tra gli impatti maggiori. Basti pensare alla venuta del 25.4.’99 a Marzano ed a quella di Osteto il 9.6.’99 con conseguenze drammatiche. Ricordiamoci che per Osteto si è avuto l’allagamento completo, ripeto completo, del cavo di galleria. Quindi indubitabile il fatto che Italstrade abbia materialmente provocato dei danni con la sua condotta.

E allora però qual è l’elemento distintivo che ci fa diversamente qualificare la sua condotta?

Italstrade è un sub-appaltante. Italstrade non ha redatto il progetto esecutivo. Italstrade non è incaricata dello scavo dell’intero tratto. Italstrade non è stato scelto come General Contractor da TAV. Quindi Italstrade, davvero, a differenza di CAVET, è davvero mero esecutore materiale dello scavo. È poco più che manovalanza. Tecnica e qualificata, ma manovalanza.

Poteva dunque prevedere Italstrade cosa sarebbe successo? È lei che ha redatto il progetto esecutivo? No. Aveva la cognizione complessiva di tutto quello che stava accadendo anche su tutti gli altri cantieri? No. CAVET le aveva forniti i dati per poter prevedere gli eventi cui sarebbe andata incontro? No. Perché diciamo no? Non è un assioma, non è un’affermazione apodittica, no, perché Italstrade sulla base delle informazioni CAVET si attrezza, si attrezza in un certo modo, [...] prepara le strutture necessarie a ciò che si attende che avverrà, macchinari, impianti di smaltimento, e questi non sono inefficienti, ma - ce lo dice il teste - non è che sono inefficienti: quando arrivano le venute sono insufficienti, cioè vanno incontro a eventi non previsti di cui non hanno notizia. Tanto è vero che abbandonano il cantiere, lo chiudono, sono costretti ad interrompere proprio dagli eventi [...]. Ma non solo si fermano: prendono atto del fallimento del progetto che dovevano eseguire e lasciano perdere, abbandonano, chiudono, rescindono il contratto, se ne vanno.

CAVET invece imperterrita resta e prosegue [...]  tant’è che al momento dei sequestri da parte della Procura i lavori sono sì ripresi, ma non da Italstrade, ma in diretto affidamento CAVET.

Ripetiamo, Italstrade dopo i fatti di Marzano ed Osteto rescinde il contratto e lascia perdere. Si ritira. Esce di scena. Non si intestardisce nell’esecuzione di un’opera basata su un progetto esecutivo risultato fallimentare, e non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista costruttivo, se è vero che il subappaltatore Italstrade è costretto a prendere atto che non è realizzabile e abbandona l’esecuzione dell’opera. Prende atto che il progetto così com’è è una cosa diversa, c’è bisogno di cose diverse, e abbandona l’esecuzione delle opere.

Questa circostanza ci dà prova anche di un altro fatto importante, ovvero del fatto che ci si poteva comportare anche in modo diverso da come si è comportato CAVET. Si poteva fare come ha fatto Italstrade. In ogni caso si poteva e ci si doveva fermare per prendere atto di quello che era successo e riconsiderare il tutto. Segno che era ed è esigibile che CAVET si comportasse in modo diverso.

In ogni caso [...] già nell’ottobre del 2000 il cantiere Italstrade è fermo e quindi il reato per loro è quantomeno prescritto cessando loro a tale data la loro condotta, abbandonando l’opera e quindi non essendo più nelle condizioni per cui fosse da loro esigibile una condotta diversa da quella tenuta.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 16]

 

 

“CAVET INVOCA SPESSO LA SICCITÀ [...].  LA SICCITÀ È SEMPLICEMENTE UNA GIUSTIFICAZIONE POSTICCIA. I DATI ATTESTANO CHE NEL TRENTENNIO PASSATO, IL QUINQUENNIO PIÙ SICCITOSO FU QUELLO ‘89-‘93, OLTRE AL FAMOSO 1985 [...]. E NESSUN TESTIMONE HA DETTO CHE I POZZI, LE FONTI ED I TORRENTI DEL MUGELLO SI SIANO SECCATI IN QUEGLI ANNI. NEPPURE NEL 1985. [...]

IRONIZZANDO, SE VOLESSIMO CREDERE ALLA TESI CAVET DELLA “SICCITÀ”, SI DOVREBBE CONCLUDERE CHE, QUANTO MENO, CAVET “PORTI MALE” ALLE ZONE CHE SONO INTERESSATE DAI LORO INTERVENTI, VISTO CHE DOVE PASSANO LORO, ARRIVA LA SICCITÀ: L’ACQUA SPARISCE ANCHE IN AREE COME IL MUGELLO RICCHE DI FIUMI, SORGENTI E POZZI PERENNI. PIÙ SERIAMENTE, INVECE, È DA RAVVISARSI CHE NEL TRIENNIO 1999-2001 C’È STATA UNA SICURA CARENZA DI AFFLUSSI METEORICI. PIÙ IN GENERALE C’È MENO ACQUA. [...]

L’ACQUA DIVENTA UN BENE SEMPRE PIÙ SCARSO, DAVVERO PIÙ RARO E QUINDI PIÙ PREZIOSO. [...] COSA NE DOBBIAMO DEDURRE? QUESTA MINOR DISPONIBILITÀ D’ACQUA, È UNA PROVA A DIFESA O NON È PIUTTOSTO UN’AGGRAVANTE? NON SI DOVREBBE OPERARE SEMPRE E COMUNQUE PER IL MEGLIO, NEL MASSIMO RISPETTO DELLE GENERAZIONI FUTURE, SPECIALMENTE QUANDO IN GIOCO CI SONO BENI VITALI E PREZIOSI COME L’ACQUA?”.

 

 

Questa dunque l’accusa. Eventi, condotta, elemento soggettivo, individuazione delle responsabilità personali dei soggetti individuati come autori dei fatti.

Ma un lavoro serio impone che si verifichino anche le prove addotte dalle difese per vedere quali falle, quali lacune possano eventualmente aver viziato le tesi dell’accusa.

Ed abbiamo fatto questa verifica . E, all’esito, sono risultate confermate più di un buona ragione non solo per aver incardinato questo processo ma anche per affermare la responsabilità penale dei soggetti sopra indicati.

È parso di capire che la difesa a seconda dei casi, abbia inteso muoversi sulle seguenti dieci direttrici.

1)      È colpa della siccità.

2)      L’acqua tornerà.

3)      Non siamo stati noi.

4)      Era tutto previsto...

5)      … comunque monitorato ...

6)      … comunque mitigato …

7)      ovviamente salvo l’imprevedibile, perché la geologia non è una scienza esatta.

8)      Comunque c’è l’assicurazione di Bologna.

9)      Comunque gli interventi CAVET sono migliorativi della situazione  preesistente.

10)   E poi, alla fin fine, che volete da noi, visto che “tutti sapevano tutto”?

 

 

1)      LA SICCITÀ

 

CAVET invoca spesso la Siccità.

Lo dice CAVET a M. O. per il calo della portata del Bosso, e lo conferma anche l’ottima Arpat nel 2000, ma M. O. non la prende come una risposta seria ed infatti detta tesi è sconfessato dai tabulati CONSIAG (ud. 23.2.05).

[...] Lo dice Longo a B. F. per l’essiccamento dalla sera alla mattina della sua sorgente a Paterno.

Lo dicono l’ing. Vellani e Marcheselli a D. F. nel luglio 2003.

Teste D. F. - Noi come Consorzio e come privati siamo stati tranquilli perché in quel momento l’acqua c’era e questo fino ad arrivare al luglio 2003; nel luglio del 2003, quindi un anno dopo, poco più di un anno dopo, improvvisamente la fonte… insomma, la presa sul Carzola si è completamente essiccata. Noi abbiamo un impianto con delle autonomie, nel senso, abbiamo un 500 metri cubi di accumulo, quindi siamo stati in grado di andare avanti poco più di una settimana perché il momento effettivo di secca del fiume è partito verso la metà di luglio del 2003. Io, fra l’altro, in quel momento ero in vacanza addirittura anche all’estero, mi chiamarono dei miei vicini, insomma dei miei soci, dei miei consoci, e mi dissero ‘qui non arriva più acqua al rubinetto’. La prima cosa che pensai di fare fu chiamare il CAVET, chiamai al numero che avevo in agenda e parlai con l’ingegner Vellani; l’ingegner Vellani mi disse ‘Ma, non piove… la siccità…’, insomma, facemmo una telefonata così un po’ generica e mi disse anche ‘il cantiere sta per chiudere’, chiudere per le vacanze probabilmente, ‘non possiamo intervenire’. In realtà non sono intervenuti e fra l’altro non è intervenuto neanche nessun ente pubblico perché poi ci siamo cercati di attivare presso Comune di Sesto e di Vaglia - i nostri due Comuni perché il nostro Consorzio sta su due Comuni appunto come dicevo all’inizio – e nessuno è intervenuto, tanto è vero che circa il 20 di luglio abbiamo dovuto cominciare a farci portare dell’acqua tramite autocisterne da una ditta privata. Questa operazione di trasporto di acqua con autocisterne è andata avanti purtroppo… dico purtroppo perché ha avuto un costo notevole, oltre 70.000 euro solo per la questione di trasporto… è andata avanti fino al 15 di ottobre. Durante l’estate è piovuto un paio di volte e le piogge hanno riportato una certa quantità d’acqua nel torrente Carzola per la ruscellazione superficiale, cioè come quando piove… ora i dettagli geologici forse non è il caso né io sono qualificato per darne, però comunque quando ci sono delle piogge il torrente Carzola ruscella in superficie, l’acqua superficiale si riconvoglia nel letto e anche in una fase di secca com’era quella di quell’estate 2003 arrivava un po’ d’acqua la mattina dopo della pioggia, però questa a noi non ci faceva altro che danno perché ci costringeva addirittura a sostituire le pompe che abbiamo nella presa…

Teste D. F. - Chiaramente; perché, appunto, dai contatti avuti con CAVET, sia con l’ingegner Vellani che con l’ingegner Marcheselli che ci dicevano tutto sommato la vostra problematica dipende dalla siccità e non dalle opere eseguite, notavamo una certa resistenza a venirci incontro perlomeno da un punto di vista economico.

Lo dice Bollettinari a D. I. per la sorgente di Campomigliaio, dopo che gli si è seccata all’improvviso la sorgente perenne, peraltro immortalata da una lapide del 1800 .

Teste D. I. - Allora, dopo la prima lettera per primo è venuto il professor Rodolfi che è dell’OAL, Osservatorio Ambientale Locale, poi sono venuti due tecnici dell’ARPAT, poi è venuto personale dell’Italfer però non ricordo il nome, un geologo che si presentò della Fiat Engineering… se ricordo bene il nome è Bollettinari o qualcosa di simile…questo geologo Bollettinari della situazione diceva che probabilmente era una questione meteorologica perché in quell’anno era nevicato poco, c’era poca pioggia, e quindi probabilmente imputava il disseccamento della sorgente a un problema meteorologico.

E a domanda difesa:

Teste D. I. -  Io di questo riferimento alla situazione meteorologica lo ricordo perfettamente anche perché l’anno successivo ho riscritto nuovamente dicendo ‘L’anno scorso la situazione meteorologica poteva anche essere così, nel 2001 adesso è piovuto…’.

Non risultano risposte se non il fatto che di lì a poco il D. I. riceverà una telefonata dall’assicurazione Ausonia di Milano.

Lo dicono anche a C. G. per “I Guazzini”. [...] Che la siccità sia una mera scusa, basta leggere la testimonianza di C. G.

Teste C. G. - Un dato interessante, se vuole glielo dico, è estate '98. Estate '98 è stata riconosciuta come calamità naturale, con sgravi fiscali in agricoltura, lo potete verificare in Regione Toscana. A fine estate, senza ricarica e a metà ottobre, quindi niente acqua tutta l'estate e metà primavera, “I Guazzini” avevano 47 litri al minuto. Ora, un mese fa, si era a 1 litro virgola 23 il minuto.

Abbiamo prodotto il bollettino della Regione Toscana tratto dal BURT per dimostrare che è vero quel che dice C. G.

C. G. è riscontrato anche da A. C. ed S. U.. Anche nel ‘98 loro coltivavano mais senza aver bisogno di irrigare.

C. G., per chi se lo vuole ricordare, è quello della sorgente “I Guazzini” debitamente autorizzata con concessione permanente della Regione Toscana. Quello per cui CAVET nega di avergliela seccata, la sorgente, dando la colpa ai pozzi del Bagnone, senza darne prova. Io vorrei ci si rileggesse la sua testimonianza per ricordarsi come C. G. fosse quello che aveva fatto una scelta di vita e che aveva messo su un pescheto biologico, morto. Quello che ha avuto la casa lesionata dalle esplosioni dallo scavo della galleria che passava proprio sotto la sua proprietà. È quello che vicino a casa ha avuto una frana. È  quello che quando pensava di aver finito con le mine in galleria che non lo facevano dormire, hanno ricominciato da capo perché la galleria si era ammalorata, per cui hanno dovuto sminare il cemento per rifarlo nuovo.  Quello che pur avendo scelto di andare a vivere lì alla prima domanda del PM che gli chiede se abita a Scarperia...

Pubblico Ministero - Ho capito. Senta, lei abita anche lì?

... è costretto a rispondere ...

Teste C. G. -  Sì. Purtroppo sì.

Chi non ha voglia di leggere si riveda il filmato tratto dalla trasmissione delle Iene già prodotto a suo  tempo in atti.

Riportiamo qui una parte della testimonianza.

Pubblico Ministero - Per capirsi, si chiama “I Guazzini” perché i vecchi proprietari erano i Guazzini...

Teste C. G. - No, “I Guazzini” è il posto della località. Cioè, proprio... rende bene l'idea in che ambiente eravamo: “I Guazzini”. Cioè, pieno di acqua.

Pubblico Ministero - Guazza acqua...

Teste C. G. - Sì, sì, perfetto. C'erano anche i pesci, se le può interessare.

Pubblico Ministero - No, ecco. Sì, ce lo dica, perché...

Teste C. G. - Sì, lì c'era una presenza di barbi, i vecchi proprietari dell'epoca ve lo potrebbero riferire. E granchi e  gamberetti.

Pubblico Ministero - Ecco, di tutta questa roba non c'è più nulla?

Teste C. G. - No. Tutto secco. I Guazzini sono a tutt'oggi  d'inverno secchi. Anche se qualcuno questa estate ha trovato l'acqua per conto di CAVET.

Al sig. C. G. che ha avuto sempre acqua prima dei lavori dell’alta Velocità dicono che la sua sorgente si è seccata per la siccità e per i pozzi del Bagnone.

A volte poi la siccità arriva solo dopo l’assicurazione, come nel caso di F. M. che rifiuta l’offerta dell’assicurazione per comporre bonariamente la questione e, dopo il rifiuto, gli arriva la lettera della CAVET che gli dice che è colpa della siccità.

Pubblico Ministero - ... nessuno di CAVET è venuto per questa sorgente che lei dice non c'è più?

Teste F. M. - Ma mi sembra sia venuto un... un signore che rappresentava la CAVET per conto di una società assicuratrice.

Pubblico Ministero - Ecco.

Teste F. M. - Mi sembra che m'abbia detto che era, che rappresentava la CAVET. Chiedendomi se volevo sistemare la cosa bonariamente, cioè, diciamo così con dei soldi. Io gli ho detto. ”No, io non voglio dei soldi, voglio l'acqua, se è riconducibile all'impatto avuto tramite... per questa galleria “. Tutto qui.

Pubblico Ministero - Ho capito. E poi questa cosa, questa sua controproposta, ha avuto un seguito, c'è stata corrispondenza, ha avuto risposte?

Teste F. M. - Mi sembra c'è stata corrispondenza tramite un mio avvocato il quale ha scritto alla CAVET. E la CAVET ha risposto che, secondo loro, questo essiccamento era dovuto a una estate particolarmente siccitosa del 2001. Mi sembra sia questo...

Pubblico Ministero - Ad oggi com'è la situazione? É ritornata l'acqua?

Teste F. M. - No.

 

Insomma, la siccità è semplicemente una giustificazione posticcia. I dati attestano che nel trentennio passato, il quinquennio più siccitoso fu quello ‘89-‘93, oltre al famoso 1985 (quell’anno, per chi è di Firenze, quell’anno in cui non piovve mai da aprile a novembre e per cui fu ritenuto necessario da parte della Protezione Civile realizzare il famoso “tubone Zamberletti”, una condotta lunga sedici chilometri che esiste ancora e che venne realizzata per allacciare l’acquedotto asciutto di Firenze con le acque dei laghetti Renai di Signa).

E nessun testimone ha detto che i pozzi, le fonti ed i torrenti del Mugello si siano seccati in quegli anni. Neppure nel 1985.

In ogni caso, per tornare ad anni più recenti, abbiamo prodotto il decreto pubblicato sulla Gazzetta della Regione Toscana che dimostra come nel 1998 fu dichiarato lo stato di calamità per la siccità nel Mugello, e non risulta nessun punto d’acqua seccato quell’anno. Ed anzi, il sig. A. C., a S. Giorgio, anche quell’anno ebbe un rigoglioso raccolto di mais senza annaffiare.

 

Ironizzando, se volessimo credere alla tesi CAVET della “siccità”, si dovrebbe concludere che, quanto meno, CAVET “porti male” alle zone che sono interessate dai loro interventi, visto che dove passano loro, arriva la siccità: l’acqua sparisce anche in aree come il Mugello ricche di fiumi, sorgenti e pozzi perenni.

 

Più seriamente, invece, è da ravvisarsi che nel triennio 1999-2001 c’è stata una sicura carenza di afflussi meteorici. Più in generale c’è meno acqua. Vuoi che ciò sia per i cambiamenti climatici, vuoi sia per fare un dispetto al prof. Segale, quello che afferma che “l’acqua non è un bene raro”, l’acqua diventa un bene sempre più scarso, davvero più raro e quindi più prezioso. E allora la siccità, diamola paradossalmente per provata; non certo come causa di essiccamento dei fiumi e delle sorgenti del Mugello, ma come tendenza in atto all’inaridimento di quella come di altre zone. Cosa ne dobbiamo dedurre? Questa minor disponibilità d’acqua, è una prova a difesa o non è piuttosto un’aggravante? Non si dovrebbe operare sempre e comunque per il meglio, nel massimo rispetto delle generazioni future, specialmente quando in gioco ci sono beni vitali e preziosi come l’acqua?

 

Noi abbiamo cominciato queste indagini nel 1999, quando il problema dei mutamenti climatici era certo meno sentito e dibattuto di oggi. Ciò nondimeno appariva già allora evidente come non fosse tollerabile uno spreco quale quello che si stava verificando, se non giustificato e legittimato da valutazioni di ordine superiore adottate dagli organi competenti nel pieno rispetto della legalità. Il che non però non è avvenuto nel nostro caso.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 17]

 

 

“E LUI M'HA DETTO: 'NO, MA VEDRÀ CHE L'ACQUA RITORNA...'.

PERCHÉ AVEVAMO PERSO ANCHE DELLE SORGENTI.

E LUI M'HA SPIEGATO CHE SCAVANDO IL TUNNEL L'ACQUA ANDAVA IN DIVERSI RIVOLI E CHE PROBABILMENTE LE SORGENTI SAREBBERO RITORNATE, MAGARI NON NELLO STESSO POSTO. E COSÌ SAREBBE SUCCESSO ANCHE PER IL FOSSO.

PERÒ PER IL FOSSO NON... NON SI È ANCORA PRODOTTO NIENTE”.

 

 

2) L’ACQUA TORNERÀ

 

L’acqua, finiti  i lavori, tornerà.

È una delle prime carte giocate da CAVET, già in fase di progettazione, e fa parte di una logica che è quella di minimizzare sempre e comunque quelli che saranno gli impatti di questa opera.

Versione criticata da subito nella fase istruttoria da Micheli nel suo parere del 23.1.’95.

Pubblico Ministero - Senta un'altra cosa: si ricorda invece se per caso c'erano alcune ipotesi di valutazione sulla... come si può dire in qualche modo... sulla permanenza o meno del danno? Se i danni erano previsti, se...

Teste Micheli Luigi - Su quell'altro, sull'elaborato successivo, sulla tratta, l'ultimo parere che ho dato, invece, c'erano considerazioni sull'impatto, però considerato assolutamente permanente, una volta realizzata l'opera, si sarebbe ripristinato la situazione idrogeologica ante operam.

Pubblico Ministero - Allora forse non permanente.

Teste Micheli Luigi - Era considerato, sì, temporaneo durante la fase di scavo, l'abbassamento...

Pubblico Ministero - Ah, contestuale col..

Teste Micheli Luigi - Con l'opera. Finita l'opera, finite le opere di impermeabilizzazione, eccetera eccetera, sarebbe ritornata la situazione antecedente. Però tutto su valutazioni molto teoriche, eh. Molto... modellazioni numeriche dove mettere, dare un valore a un parametro cambia moltissimo il risultato finale, insomma.

La progenitura pare sia dell’ing. Lunardi che in conferenza dei servizi, per come testimoniato dal Presidente della Comunità Montana Notaro, avrebbe detto che tutti gli interventi erano in qualche modo reversibili.

Ciò che l’ing. Lunardi dice in conferenza dei Servizi, l’ing. Calcerano lo dice a Castelvecchio. Entrambi dicono che l’acqua sarebbe tornata.

Nel Mugello Calcerano fu un incompreso, visto che il Sindaco Mascherini fece ironicamente mettere a verbale la dichiarazione.

A Roma no, atteso che Calcerano risulta essere stato nominato Capo della Segreteria tecnica proprio presso il Ministero delle Infrastrutture, di cui anche l’ing. Lunardi ha ricoperto l’incarico di ministro.

 

A rileggere la testimonianza di Trezzini sull’impatto di Castelvecchio viene da rabbrividire a pensare come si sia tentato di gestire questa cosa da parte di CAVET. Non solo gli ingegneri di CAVET hanno sostenuto che l’acqua sarebbe tornata, ma si sono spinti fino a formulare teorie di “geologia creativa” per cui l’impatto provocato dallo scavo sarebbe stato puntuale e coincidente con il cavo della galleria, ed i suoi effetti sarebbero diminuiti allontanandosi da esso, secondo un andamento che potrebbe essere simile a quello rappresentato da un grafico ad ali di gabbiano, per poi ricostituire pressoché lo stesso status quo ante, una volta terminato lo scavo ed il rivestimento della galleria.

Morale, dicono a Trezzini che la falda a Castelvecchio è scesa solo di pochi centimetri e andrà a risalire. Trezzini non si fida, fa fare dei sondaggi e l’acqua non la trova neppure a 40 metri di profondità!

Teste Trezzini Fabio - Sì, certo, io quando avvenne Castelvecchio non ero presidente dell’Osservatorio perché non esisteva neppure l’Osservatorio in quanto era quel periodo…

Pubblico Ministero -  …era quel periodo di vacanza; lei però fece…

Teste Trezzini Fabio - Andai… voglio dire, ritenni che fosse giusto e opportuno occuparsi di questo aspetto e andai a vedere e facemmo anche una riunione [...] con i tecnici di CAVET in cui fu fornita una possibile spiegazione di questa interferenza non prevista, spiegazione che risultò certamente errata… se vuole le spiego perché.

Pubblico Ministero - Sì sì.

Teste Trezzini Fabio - La spiegazione era errata perché il consulente di CAVET che era presente di cui non ricordo il nome e che tra l’altro poi…[...] … questo consulente dette la spiegazione che in sostanza la previsione di interferenza o non interferenza si poggiava sul fatto che lo scavo penetrando nella montagna in cui c’è acqua causa una depressione del livello della falda; questa depressione è molto acuta proprio in prossimità dello scavo e poi tende a riportarsi sul livello iniziale che aveva la falda nell’arco di 100, 200, 300, insomma, qualche centinaio di metri. E questa era la spiegazione concettuale attraverso la quale era stata definita questa fascia di influenza, cioè la fascia di influenza segnava il confine tra la zona di depressione della falda e la sua progressiva risalita e il raggiungimento del livello preesistente.

Pubblico Ministero - Mi scusi, forse non ho capito, dove c’è l’impatto poi il fenomeno decresceva?

Teste Trezzini Fabio - Dovrei darle un disegno ma, diciamo, il concetto è questo…

Pubblico Ministero - Gli effetti si minimizzavano a distanza?

Teste Trezzini Fabio - Sì, perché è chiaro che… almeno, questa era l’interpretazione che fu data, intendiamoci…cioè che lo scavo deprime la falda in corrispondenza di se stesso, questa  falda non scende come se fosse…

Pubblico Ministero - Come se si levasse un tappo e si svuota.

Teste Trezzini Fabio - … come se levassi un tappo dal lavandino che scende tutta giù ma fa una specie di ‘V’, le ali stilizzate di un gabbiano… per cui l’ala tende a risalire gradatamente verso il livello…

Pubblico Ministero - Oh, perfetto. E il risultato di questa geologia creativa era il fatto che sarebbe stato transitorio questo abbassamento di falda? Si ricorda se ci fu un’affermazione in questo senso in quella riunione proprio?

Teste Trezzini Fabio - Diciamo questa è una tesi che si sentiva sostenere, certo, se fosse stato sostenuto in quella riunione no, non saprei dire. [...]  Però di questo noi avemmo immediatamente una conferma negativa perché…

Pubblico Ministero - Perché lei non si fidò.

Teste Trezzini Fabio - Io non mi fidai e dissi ‘facciamo dei saggi’…

Pubblico Ministero - Oh.

Teste Trezzini Fabio - ... e quando si fecero questi saggi si vide che contrariamente a quello che era stato ipotizzato e proposto come spiegazione la falda non era a poche decine di centimetri [...] sì, perché si disse che evidentemente questa risalita era stata un pochino più lenta di quello che si ipotizzava ma che comunque quindi la falda sarebbe stata a poche decine di centimetri; e io dissi ‘ma non sarà il caso di verificarlo?’ e allora chiesi a CAVET… suggerii, perché, appunto, non avevo nessun potere… chiesi di fare questo sondaggio e a quanto ricordo a decine di metri l’acqua non c’era… a 30, 40, qualcosa del genere.

Pubblico Ministero - Può essere 40?

Teste Trezzini Fabio - Sì, un ordine di grandezza era questo, cioè, a 40 ancora non c’era, quindi magari era anche più giù insomma.

Quindi non sappiamo nemmeno a quanto è, perché loro si fermano a 40 ma l’acqua non la trovano più. E a Castelvecchio l’acqua non è più tornata.

 

Pubblico Ministero - L’interpretazione che le veniva proposta diceva no, qui ci sarà l’interferenza, qui ci sarà la perdita d’acqua ma con le ali di gabbiano le interferenze vanno sfumando in distanza. Oltre a questo, le domando se si ricorda, se le fu detto o se fu mai oggetto di discussione, che comunque la perdita d’acqua fosse legata alla temporaneità dell’esecuzione dei lavori perché una volta eseguiti i lavori, una volta fatta la galleria, cioè chiusa, la situazione si sarebbe ripristinata come prima.

Teste Trezzini Fabio - No, in quell’occasione fu detto, se fu detto anche altre volte non lo so, ma certamente nel prosieguo dei lavori e delle discussioni quando poi ripresero in termini più organici e strutturati con il supporto dell’ARPAT questa tesi se mai fu riproposta fu certamente rigettata per più di un motivo; e per il fatto che appunto il modello interpretativo secondo gli esperti dell’ARPAT, secondo lo stesso professor Pranzini (1), non era applicabile in questo caso per cui non ci trovavamo in una spugna…

Pubblico Ministero - No, no, che fu rigettata è un discorso ma che fu posta, che fu affermata.

Teste Trezzini Fabio - Diciamo, la possibilità di ricostituire esattamente… no, questo non me lo ricordo.

Pubblico Ministero - Allora le leggo: “Il fatto di Castelvecchio evidenziava come ci fossero interferenze sulle falde anche in ambito esterno a quella che era stata delimitata come fascia di interferenza nel progetto. Anche nella riunione della Regione i professionisti di CAVET ribadirono la volontà degli studi allegati al progetto minimizzando l’impatto e sostenendo da un lato il poco momento dell’abbassamento della falda segnalata e comunque la sua temporaneità dovendo ritenere che una volta esaurita la fase esecutiva dell’opera il sistema sarebbe tornato in equilibrio.

Teste Trezzini Fabio - Sì.

Pubblico Ministero - Io proposi di fare il sondaggio e invece risultò che…

Teste Trezzini Fabio - Sì sì. Ripeto, feci fare quei sondaggi proprio perché non ero convinto della spiegazione.

 

Ma che l’acqua tornerà non lo dicono solo Lunardi e Calcerano. Lo dice anche Bollettinari. Bollettinari nega, ma lo testimonia L. O..

Teste L. O. - Ma è cominciato nel 2000. Noi abbiamo scritto delle lettere alle quali non c'è stata risposta. E poi ho chiesto a un geologo, ora non mi ricordo... Sì, Bollettinari. Ma così, in modo informale. E lui m'ha detto: 'no, ma vedrà che l'acqua ritorna...'. Perché avevamo perso anche delle sorgenti. E lui m'ha spiegato che scavando il tunnel l'acqua andava in diversi rivoli e che probabilmente le sorgenti sarebbero ritornate, magari non nello stesso posto. E così sarebbe successo anche per il fosso. Però per il fosso non... non si è ancora prodotto niente.

Lo dicono al sig. G. N.. E glielo dice probabilmente Longo, perché parla dell'ingegnere del cantiere [...], comunque glielo dice l’ingegnere, e questo per ritornare al ruolo nell’organigramma di CAVET dove tutti fanno fronte, non è che c’è cedimenti, dicono tutti la stessa cosa, ognuno per il loro grado si va diritto, non ci interessa.

Pubblico Ministero - Ecco, ma come andò il discorso, non le contestarono che loro non ci entravano niente con questo?

Teste G. N. - No, l'ingegnere mi disse: 'stai tranquillo, che noi quando si rincamicia, l'acqua torna...' . Ma ne è tornata una delle sorgenti, quell'altre due non...

Pubblico Ministero - Allora, ci spieghi "si rincamicia"... cosa s'intende...

Teste G. N. - I camion, quando passano con il cemento, diciamo, chiudano, ha capito?

Pubblico Ministero - Cioè, lo scavo della galleria, fatta la galleria, rincamiciato...

Teste G. N. -  Sì, sì...

Pubblico Ministero - ...nel senso... Poi sarebbero ritornate. Le hanno detto questo?

Teste G. N. -  Sì, che sarebbero ritornate. E invece due non sono tornate.

Pubblico Ministero -  Due non sono tornate.

Teste G. N. - No.

 

Ecco allora come è finita: due non sono tornate.

 

In udienza pare sia risultato che a questa “teoria” non ci abbia addirittura creduto neppure l’oggi assessore del Comune di Firenze, arch. Biagi, e se non ci crede l’architetto Biagi... l’architetto Biagi è il dirigente della Regione che approva quella delibera con i pareri parziali [...].

Teste Biagi Gianni - Sicuramente ci sono alcune situazioni dove l’elemento di depauperamento - almeno secondo le nostre valutazioni poi qui c’è anche una valutazione diversa da parte di altri - potrà essere un depauperamento significativo per lungo tempo, dipende questo dalla organizzazione geologica del suolo, è difficile valutarlo in questo momento; lo studio di impatto ambientale ipotizzava, se mi ricordo bene, che la situazione complessiva si ristabilisse ma non identica alla situazione preesistente in un arco di tempo di qualche anno, otto dieci anni, però questa è effettivamente una questione che forse dovrebbe chiedere…

Pubblico Ministero - Allora le faccio un’altra domanda: lei conosce l’ingegner Calcerano?

Teste Biagi Gianni - L’ingegner Calcerano sì che lo conosco.

Pubblico Ministero - Se si ricorda nei vostri confronti, discussioni o quant’altro, vi fosse un’opposizione di CAVET in relazione alla temporaneità o meno di certi impatti.

Teste Biagi Gianni - Sì sì, questa era una delle questioni che le dicevo, cioè ci furono valutazioni molto probabilmente diverse a seconda delle opinioni dei soggetti in funzione di alcune specifiche situazioni, questo può essere accaduto però per quanto riguarda l’Osservatorio a noi interessava che fossero affrontate comunque e risolte le questioni nello specifico e quindi io mi ricordo che comunque per quanto riguarda per esempio la necessità di fornire approvvigionamenti idrici idropotabili o [incompr.] la questione fu affrontata indipendentemente dalla provvisorietà o meno dell’evento che si verificava.

E allora la domanda è: perché Biagi ha adottato, ai sensi della legge 23/93, la delibera della Regione Toscana con cui dava tutti i pareri favorevoli in Conferenza dei Servizi? Perché [...] la Regione Toscana, su una tesi riportata da tutti che l’acqua tornerà, e che non ci credono, approva tutte le delibere da portare per i pareri favorevoli in conferenza di servizi? Ma di questo tratteremo poi, quando parleremo della Corte dei Conti.

 

Quindi abbiamo “siccità” e “l’acqua tornerà”. E siamo a due.

 

 

3) NON SIAMO STATI NOI.

 

La terza è la più semplice, è “non siamo stati noi”, è sempre valida. Si comincia da piccini: “non sono stato io, qualunque cosa non sono stato io”. Difesa sempre valida a qualunque età. (...) E anche se rivesti un ruolo primario in un azienda leader quale CAVET. E infatti la usa anche l’ing. Silva.

Per non sbagliare l’ing. Silva nella nota a sua firma del 27.1.’99 già citata (doc. 196/10), relativamente all’acquedotto di Castelvecchio e Visignano nega che sia stata CAVET ad impattare le sorgenti, e sostiene che, a dispetto dei residenti che dicevano di essere senz’acqua, l’acqua c’era ancora, che le sorgenti ancora buttavano, che era comunque colpa della siccità. Leggiamo alcuni stralci del testo di questa lettera per capire chi sono i nostri imputati, come si sono comportati, cosa hanno fatto, detto e in questo caso, scritto.

Testo della nota del 27.1.1999:

“Oggetto: Sistema Alta Velocità Linea Milano-Napoli -Tratta Bologna-Firenze Problemi ambientali: Sorgente a servizio Comuni Castelvecchio e Visignano Realizzazione nuovo acquedotto .

Con riferimento all’oggetto lo scrivente Consorzio ritiene necessario evidenziare alcune precisazioni che si riportano di seguito. Non riteniamo corretto che si parli di prosciugamento della sorgente a servizio dell’acquedotto di Castelvecchio e Visignano. La suddetta sorgente è monitorata” - ricordiamoci di questi monitoraggi - “con continuità e dopo una notevole diminuzione di portata verificatasi nel periodo estivo, particolarmente siccitoso, ha cominciato nuovamente fornire acqua, seppure non ancora ai livelli registrati ante operam”. Qui abbiamo la summa, c’è tutto: siccità, l’acqua tornerà, non siamo stati noi. “Al riguardo” - prosegue la nota - “non si giustifica tanta preoccupazione. [...] La richiesta di sostenere il costo dell’adeguamento della rete di distribuzione di Castelvecchio è immotivata ed inaccettabile. Distinti saluti, il Direttore Generale”.

 

Abbiamo tutto, questo è il quadro al ’99.

Quindi palese negazione di ogni responsabilità e difesa ad oltranza a dispetto di ogni evidenza.

Nonostante Trezzini avesse detto bisognava monitorare, e il monitoraggio non è stato fatto; bisogna prendere atto del fallimento del progetto, e non è stato fatto; deve essere modificato il codice di scavo, e non è stato fatto; nel ’99 nero su bianco per Castelvecchio che è ancora secco: siccità, non siamo stati noi, non c’è preoccupazione, la richiesta di sostenere i costi di adeguamento della rete di distribuzione è immotivata ed inaccettabile.

 

Ma è una politica aziendale scelta a tavolino che si sostiene anche davanti agli amministratori pubblici, ai Sindaci.

CAVET [...] lo dice anche al sindaco di Borgo S. Lorenzo per Casa d’Erci.

Teste Margheri Antonio - Allora, qui si entra in... cioè, diciamo che quando le sorgenti di Casa d'Erci furono impattate, in un primo momento, diciamo, da parte di CAVET non ci fu un immediato riconoscimento di responsabilità, no? [...] Perché nelle previsioni di Cavet gli effetti si dovevano produrre, diciamo, dopo molti mesi. No? E quindi, ecco, inizialmente fu attribuito a una situazione, diciamo, meteorologica di tipo particolare, ecco.

Pubblico Ministero - Mi scusi, una circostanza... mi pare interessante. Da chi fu riferito questo, dove, in che occasione e perché. Lei lo sta riferendo come un fatto appreso da lei personalmente?

Teste Margheri Antonio - Sì. [...]

Giudice - Al di là delle persone, poi vedremo, lei è certo come sindaco, quindi in veste istituzionale, al momento in cui vi fu un incontro con CAVET, con personale di CAVET, tecnici della CAVET, in cui fu contestata questa circostanza, lei ha riferito prima che CAVET sosteneva in quel momento, all'inizio, che la mancanza, l'essiccamento, il depauperamento delle sorgenti di Casa d'Erci, derivavano, per lo meno in gran parte, da eventi atmosferici stagionali.

Teste Margheri Antonio - Non fosse direttamente riferibile alla galleria.

Giudice - Di questo è certo, però, anche se non sa chi fisicamente, come si chiamava la persona...

Teste Margheri Antonio - Di questo sono certo, ecco. [...] Diciamo che è sempre stato un punto molto difficile. In prima istanza, ecco, lo posso dire tranquillamente, la reazione era sempre quella di rimandare, appunto, a qualcos'altro che non fosse l'impatto della galleria. E ancora oggi, diciamo, ci sono questioni che credo siano come dico in quell'articolo ancora aperte. Dico, il riconoscimento del depauperamento del torrente Farfereta, ecco. Comunque lo confermo, insomma. In quella riunione cui accenno lì, no? del... appunto, fuori dai gangheri... insomma, credo fosse una riunione proprio formale dell'Osservatorio, quindi ci saranno stati sicuramente anche dei miei colleghi, ecco. All'inizio l'atteggiamento, così come è successo anche successivamente, è stato quello molto di minimizzare, ecco.

Questa tesi, oggi abbandonata in parte, residua ancora come estremo baluardo di difesa nei confronti di specifici singoli punti acqua di alcune parti offese o parti civili. È la tesi che residua per i Guazzini, i pozzi di Luco, M. S., l’acquedotto Co.Ge.Mo..

 

 

(1)

Dalle deposizioni del consulente della difesa prof. Pietro Bruno Celico e del presidente dell’Osservatorio Ambientale Nazionale ing. Fabio Trezzini, il prof. Pranzini risulterebbe essere consulente di Italferr SpA.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 18]

 

 

“IN CONFERENZA DEI SERVIZI NEL LUGLIO DEL 1995 A ME È SEMBRATO CHE IL COMPORTAMENTO DELLA REGIONE FOSSE PIÙ TESO A SBLOCCARE E A INIZIARE I LAVORI PIÙ CHE A VERIFICARE E A CHIEDERE CHE COSA LA REALIZZAZIONE DI QUESTA OPERA AVREBBE COMPORTATO IN RIFERIMENTO ALL'IMPATTO AMBIENTALE E SOCIALE CHE QUESTA OPERA AVREBBE PORTATO NEL TERRITORIO RISPETTO ALLA QUALITÀ DEL PROGETTO CHE LÌ ANDAVAMO AD APPROVARE”.

 

 

4) ERA TUTTO PREVISTO E ....

 

 

La difesa CAVET sostiene che tutto era previsto. Poi dice anche di no, che qualcosa era imprevedibile. Ma ora non stiamo a sottilizzare ed a fare i difficili di come si possano conciliare le due cose.

Diamo tutto per buono e restiamo all’“era tutto previsto”.

Su questo punto rimandiamo al CT CAVET, Celico, pg. 89 e ss. della CT ed alle favolose relazioni ISMES e Broili, compendio del visto e previsto da CAVET.

Alla tabella 3 del suo elaborato Broili indica 30 punti acqua passibili di impatto e ne azzecca 5.

Non ci pare un gran risultato sia per il numero degli impatti previsti che per il grado di precisione nell’indovinarli. Però non è un risultato disprezzabile per Broili. 5 previsioni realizzate su 30 non sono poche se è vero che il metodo usato da Broili era così accurato tanto da permettergli di dire che – testuale pag. 15 della relazione (pg. 6 allegati Celico) - “dal km. 52 al km. 73 mancano purtroppo informazioni riguardanti pozzi e sorgenti utilizzati a scopo idropotabile nell’ambito di interesse della presente ricerca, per l’indisponibilità manifestata dagli uffici ed enti locali preposti a fornire indicazioni e dati utili. A questo proposito gli enti pubblici interpellati sono stati i seguenti:

- Comunità montana Zona E via Togliatti, Borgo S. Lorenzo, nella persona del sig. T.;

- Ufficio tecnico del Comune di Borgo S. Lorenzo, nella persona dell’arch. V.;

- Ufficio tecnico  del Comune di Vaglia, nella persona del sig. R. B.”.

Testuale. Quindi Broili, ineffabilmente, afferma e scrive che per 21 chilometri del tracciato non sapeva nulla!!

Ma come, il geologo CAVET preposto ad una delle opere pubbliche di maggior interesse nazionale ha l’impudenza di scrivere candidamente che non ha i dati per 21 chilometri di tracciato e dà la colpa di ciò ai sig.ri T., V. e R. B. perché non gli hanno fornito le informazioni richieste?

Ma stiamo scherzando?

E CAVET permette che queste affermazioni possano essere messe nero su bianco nella “relazione idrogeologica“ prodotta a corredo del progetto esecutivo presentato da Ente Ferrovie dello Stato, TAV Spa, Italferr SIS TAV Spa, FIAT, Spa e Consorzio CAVET e depositato in conferenza dei servizi?

Ci saremmo aspettati che CAVET dovesse licenziare in tronco e citasse per danni uno che scrive cose simili. Invece no. CAVET ancora oggi difende Broili ed addirittura lo indica come perno centrale delle argomentazioni di difesa dicendo che l’elaborato Broli tutto prevedeva e tutto ha previsto. 

E il prof. Celico appoggia Broili e gli dà anche ragione a pg. 95 della sua CT dicendo che è mancata la collaborazione degli Enti locali e che Broili è uno che, “in tempi non sospetti, fa correttamente nomi e cognomi”, dal che si deve ritenere che Celico intenda indicare Broili come fulgido esempio di professionista che non ha paura di mettersi contro nessuno nell’adempiere al suo incarico.

Inoltre il prof. Celico coglie un’altra occasione per dare una bella lezione alla Procura scoprendo, lui, i tre veri colpevoli della gran parte dei danni alle falde acquifere del Mugello che, a questo punto, sarebbero pertanto i sig.ri T., V. e R. B. che non hanno fornito i dati a Broili.

Ma abbiamo già visto come questa non sia l’unica volta che il prof. Celico si inventa PM per arrivare financo ad avanzare vere e proprie precise notizie di reato e clamorosi capi d’accusa. Vi ricordiamo che, fosse stato per Celico, sarebbero imputati tutti gli abitanti della frazione di Luco perché le loro fogne scaricavano a cielo aperto dopo che CAVET aveva seccato il torrente Bosso.

 

Ma andiamo avanti.

Broili non fa tutto da solo. Trova valido conforto nella stessa relazione ISMES, anch’essa presentata come allegato al progetto esecutivo e depositata in conferenza dei servizi.

A pg. 54 della relazione ISMES (n. 27 degli allegati alla CT Celico) si parla delle gallerie, di tutte le gallerie in generale e quella di Firenzuola in particolare. E che si dice?  Testuale: “Da questo risultato si deduce quindi che le gallerie hanno portate di gran lunga inferiori alle disponibilità naturali, quindi il drenaggio da esse operate sugli acquiferi non provocherà un apprezzabile depauperamento degli acquiferi medesimi”.

E conclude:

“Come si vede dall’ultima colonna della tabella:       

- per le gallerie la portata è sempre inferiore a 0.02 l/s paragonabile ad uno stillicidio;

- per le finestre la portata è ancora più bassa, di circa un ordine di grandezza mediamente”.

Sono le famose ... ultime parole.

Lo “stillicidio” lo si vada a raccontare a Italstrade che prima ha avuto la venuta d’acqua del 25 aprile 1999 a Marzano e poi a giugno del ’99 le si è allagata l’intera galleria di Osteto, nel senso che si è completamente riempito d’acqua il cavo della galleria.

Chi vuole una visione più scenografica dello stillicidio si vada a leggere la testimonianza di L. O..

Avvocato Parte Civile - Senta, m'interessava un momento quella cosa che lei ha detto prima, che aveva visitato la galleria.

Teste L. O. - Sì.

Avvocato Parte Civile - Nella galleria di Vaglia, per caso?

Teste L. O. - Sì.

Avvocato Parte Civile - In che periodo ha detto?

Teste L. O. - Senta, ora non mi ricordo. Credo che fosse... febbraio dell'anno scorso.

Avvocato Parte Civile - Ecco, e che cosa ha visto quando è andato...

Teste L. O. - Be', c'era molta acqua. Quello che mi ha colpito era tutta quest'acqua che cadeva a dirotto. Eravamo in una jeep, c'erano i tergicristalli al massimo e si andava a 20 all'ora. E quello mi ha colpito molto.

Un giorno qualunque, in galleria si va a 20 all’ora e con i tergicristalli.

 

Ma torniamo al “tutto previsto”.

Se era tutto previsto, perché non abbiamo mai trovato uno che fosse uno che dal ’99, seppur richiesto, ci abbia fornito un elenco preciso e chiaro, con data precedente all’inizio degli scavi, di cosa sarebbe stato impattato? Perché ancora oggi, a opera fatta, siamo a discutere su cosa sia stato impattato e cosa no?

Comunque sulle previsioni ricordiamo Trezzini presidente dell’O.A.N. per il Ministero dell’Ambiente.

Abbiamo già detto che Trezzini nel 1998 arriva a dire a CAVET, in una riunione pubblica a Firenzuola per Castelvecchio, le seguenti testuali parole: “Penso che abbiate trascurato qualcosa in questo periodo. Su questo tema occorre intendersi bene. Andavano fatte quattro cose e non sono state fatte: 1) andava previsto l'accaduto, e la previsione è risultata errata, 2) poteva essere fatto il monitoraggio, 3) poteva essere fatto il rivestimento alla galleria, senza fare come se nulla fosse avvenuto. 4) potevano esser fatti prima gli interventi alternativi”.

E visto che parliamo delle previsioni, parliamo un po’ della famosa fascia di interferenza dell’opera ed il “modello Federico”.

CAVET nega di aver mai limitato le sue previsioni ed i suoi monitoraggi ad una predeterminata fascia, vuoi fosse di cento metri per parte, vuoi fosse un chilometro per parte, e nega di aver usato modelli matematici tipo il “modello Federico” prima della variante di Castello e solo in via di verifica per la galleria di Vaglia.

Allora non si spiegano le testimonianze e gli scritti di molti soggetti qualificati.

Ad esempio Biancalani, funzionario ARPAT.

Nel settembre '99, Biancalani, a proposito dei problemi insorti nell'ambito delle acque sotterranee scrive: "Nel modello utilizzato per definire la fascia d'influenza delle gallerie si sono assunte in partenza condizioni di omogeneità ed isotropia del mezzo assolutamente lontane dalla realtà, comportando errori di valutazione dell'effettiva estensione della fascia d'influenza dell'escavazione.”

Nello stesso senso Trezzini:

Teste Trezzini Fabio - Premesso che io anche nella fase preliminare non mi occupai degli aspetti geologici e idrogeologici perché nella commissione c’era uno specialista che si occupava di questo, a quanto ricordo il progetto prevedeva una fascia di influenza delle interferenze e cioè ipotizzava che una fascia di cui adesso non ricordo l’ampiezza a cavallo dell’asse della galleria delimitasse appunto la zona di possibile interferenza idrogeologica; quindi le sorgenti, i pozzi, i punti d’acqua entro quella fascia avrebbero nelle previsioni del progetto subito delle interferenze, quindi degli abbassamenti o anche degli abbassamenti tali da eliminarli. [...].

Teste Trezzini Fabio - Questo non me lo ricordo, all’interno di questa fascia non mi ricordo se c’erano delle indicazioni su alcune sì e altre no, mi ricordo il concetto della fascia, non mi ricordo se all’interno della fascia c’erano delle sorgenti di cui veniva esclusa…

Idem Rubellini (1), per cui TAV o chi per essa e quindi CAVET “usava un modello geometrico che normalmente si usa per area a permeabilità primaria”. Roba adatta alla Pianura padana, insomma, e non per i massicci montuosi del Mugello.

Pubblico Ministero - Torniamo alla domanda di prima. Si ricorda se l’approfondimento o lo studio delle varie interferenze era basato su un modello matematico?

Teste Rubellini Pietro - Per quello che riguarda la idrogeologia no, per quello che riguarda le altre componenti d’impatto non glielo so dire perché non l’ho guardata io quella parte.

Pubblico Ministero - Cioè non era basato su modello matematico?

Teste Rubellini Pietro - Era basato su una serie di considerazioni - all’epoca eh - di tipo idrogeologico rispetto alle caratteristiche del sistema di fatturazione… della formazione di Monte Morello, comunque anche delle altre formazioni che è un modello classico concettuale che si utilizza quando si fanno gli studi di prima approssimazione rispetto a questo tipo di interferenza. Comunque devo dire una cosa, perché poi mi sono occupato anche successivamente di questo tipo di problemi per il lavoro che continuo a fare, cioè di geologo: all’epoca non esistevano molti modelli di tipo matematico per descrivere la circolazione dentro acquiferi porosi per permeabilità secondaria.

Pubblico Ministero - Organizziamoci perché non ci siamo proprio. Lei l’ho sentita io personalmente l’8 agosto 2002, le contesto, vediamo se se lo ricorda: “TAV o chi per essa usava un modello geometrico che normalmente si usa per area a permeabilità primaria”.

Teste Rubellini Pietro - Sì, esatto, è quello che ho detto, cioè all’epoca non esistevano dei modelli - e anche ora sono abbastanza embrionali - non esistevano dei modelli matematici per descrivere la circolazione idrica dentro acquiferi permeabili per porosità secondaria, quindi si utilizzavano, e a volte si utilizzano anche adesso, i modelli che si utilizzano per gli acquiferi a permeabilità primaria; è una approssimazione.

Pubblico Ministero - Allora, intanto se vuol spiegare velocemente tra permeabilità primaria e secondaria, un esempio.

Teste Rubellini Pietro - Una sabbia è come una spugna, l’acqua…

Pubblico Ministero - Pianura Padana può andare bene?

Teste Rubellini Pietro - La Pianura Padana è perfetta.

Pubblico Ministero - Grazie. Allora, mentre di permeabilità secondaria?

Teste Rubellini Pietro - Una roccia con delle fratture l’acqua cammina dentro queste fratture.

Pubblico Ministero - Il Mugello?

Teste Rubellini Pietro - Non tutto il Mugello, i massicci montuosi del Mugello.

Quindi quando si parla di permeabilità primaria, Pianura Padana. Siamo nel Mugello. E allora, c’era o non c’era questa astratta fascia previsionale? C’era sì. Perché se non c’è, c’è un complotto, cioè tutti parlano di questa fascia che poi sparisce. [...] A parte, è cronaca di oggi che anche per l’attraversamento di Firenze è ritornata una fascia di 100 metri per gli immobili che possono essere lesionati o meno per il sottoattraversamento...

La fascia infatti la cita anche C. per le verifiche statiche. Lui domanda perché non gli hanno fatto la verifica e i dipendenti CAVET gli rispondono di non averglielo fatta perché casa sua era a 105 metri dal tracciato mentre loro avevano mandato di farlo solo entro 100 metri.

Una cosa simile succede al sig. M.. Il geologo Agnelli va vedere una sorgente in loc. Torricella, il sig. M. gli chiede di vedere anche l’altra che si è seccata e quello gli dice ‘Guardi, io non ci vengo nemmeno, perché non è il mio compito. Le do l'indirizzo della CAVET di Pianoro, dove..., all'attenzione dell'ingegner Piscitelli al quale lei deve fare le sue rimostranze'.

Peggio per il sig. S..

Teste M. S. - In un primo tempo venne un certo ingegnere... Ottaviani. Venne su, mi disse: 'S., state... stai calmo, tanto dipende da noi, si sistema tutto, si mette tutto a posto, si cosa tutto'. Passato due o tre mesi io non vidi più nessuno, ritelefonai, perché mi aveva lasciato il numero di telefono. Mi rispose un altro ingegnere... E quest'altro mi disse: ”io non voglio sapere di nulla. Lei non appartiene alla nostra fascia'”, dice, ”la s'arrangi”.

Allora la fascia esiste e pare che abbia funzionato anche in maniera rigida. Se sei fuori fascia scatta la sanzione: “Ti arrangi”.

 

Se poi era tutto previsto, cosa testimoniano sin dal 2000 i Sindaci dei Comuni di Borgo S. Lorenzo, S. Piero e  Firenzuola?

Illuminanti le dichiarazioni rese dai sindaci di Borgo San Lorenzo Antonio Margheri, di Firenzuola Renzo Mascherini, e di San Piero a Sieve Alessia Ballini, in occasione dell'incontro con i Sindaci e la Comunità Montana della VI Commissione consiliare della Regione Toscana "Territorio e Ambiente", il 29 giugno 2000.

 

ANTONIO MARGHERI - Sindaco di Borgo San Lorenzo.

"[...] circa un anno fa quando dopo un bilancio e dopo anche il verificarsi di eventi che si erano manifestati, soprattutto riguardanti le risorse idriche in maniera o inaspettata o comunque in maniera più pesante di quella che era stata prevista, avvertimmo tutti la necessità di richiedere approfondimenti, studi più seri e meglio impostati rispetto a quelli che avevano accompagnato il progetto esecutivo dell'opera.

[...] ormai è dato per acquisito che il modello idrogeologico che era stato redatto e che accompagnava il progetto esecutivo dell'opera si è dimostrato, soprattutto per alcuni tratti, in maniera particolare i tratti di galleria che attraversano l'Appennino, inadeguato.

[...] Nella fattispecie noi abbiamo parlato anche di comportamento irresponsabile da parte di CAVET in quanto dopo la realizzazione di un tratto di galleria che non aveva avuto intercettazione di acquiferi, i lavori sono continuati per due o tre giorni prima che ci fosse la sospensione nonostante che l'intercettazione sia avvenuta 13-14 metri prima del punto stabilito come inizio del rischio.

Il passaggio della tratta nell'Appennino è cosa molto complicata e molto delicata in quanto si incontrano strati di roccia fratturati e attraverso le fratture della roccia la galleria drena le risorse idriche. Questa situazione era stata parzialmente prevista ma si sta manifestando in modi e in quantità che non erano stati previsti in quanto il modello idrogeologico adottato faceva riferimento ad uno strato molto più compatto dell'ammasso roccioso, cosa che non c'è.

[...] Potrei leggere questi passaggi degli accordi procedimentali testualmente però ne faccio a meno, ci sono passaggi che consentono di rivedere anche il progetto qualora ce ne sia la necessità, però ancora questi approfondimenti tecnici e queste proposte non hanno raggiunto un livello tale da poter ancora oggi essere valutato attentamente.

[...] Noi vogliamo uscire da questa situazione, non siamo interessati a tenerci a vita questa servitù di cantieri che ci sono nel nostro territori però la ripresa dei lavori deve avvenire all'interno di un quadro di certezze e di valutazioni attente, di assoluta non sottovalutazione dei problemi da tutti i punti di vista della salvaguardia delle acque superficiali perché i fossi e i torrenti devono rimanere, da un punto di vista igienico sanitario perché per esempio a Luco e a Grezzano ci sono 2.000 abitanti che non hanno al momento un servizio di depurazione e, quindi, se l'acqua nei fossi manca ci sono poi anche emergenze di carattere igienico sanitario".

 

RENZO MASCHERINI - Sindaco di Firenzuola.

"In conferenza dei servizi nel luglio del 1995 a me è sembrato che il comportamento della Regione fosse più teso a sbloccare e a iniziare i lavori più che a verificare e a chiedere che cosa la realizzazione di questa opera avrebbe comportato in riferimento all'impatto ambientale e sociale che questa opera avrebbe portato nel territorio rispetto alla qualità del progetto che lì andavamo ad approvare, rispetto alla qualità degli studi di impatto ambientale che in quella sede furono portati ed approvati. E nell'esperienza che abbiamo fatto con l'inizio dei lavori dopo la conferenza dei servizi, abbiamo potuto verificare che i timori che la popolazione del Mugello, gli enti locali del Mugello avevano manifestato, erano dei timori reali. Cioè oggi possiamo sicuramente dire che questi studi erano inadeguati, che i progetti erano del tutto carenti, nel senso che l'indagine sul territorio, indagine sulla composizione del territorio che si sarebbe dovuto attraversare con queste gallerie, era una indagine inadeguata, il modello che si era assunto di composizione della roccia era un modello del tutto astratto pensando che la roccia dell'Appennino avesse una composizione isotropa omogenea per cui si sarebbe, costruendo la galleria, determinato un drenaggio di acqua nell'arco di 200 metri e che quindi in conseguenza di questo si sarebbero interferite solo alcune sorgenti. Difatti in conferenza dei servizi per esempio nel Comune di Firenzuola era prevista la costruzione di un acquedotto che avrebbe dovuto sopperire al fatto che la costruzione della galleria avrebbe potuto seccare alcune sorgenti e quindi preventivamente si portava l'acqua in una zona del Comune. Poi, invece, abbiamo verificato che durante la costruzione dell'opera, la prima frazione nella tratta Firenze-Bologna è rimasta senz'acqua è quella di Castelvecchio perché si trattava di una sorgente che non era a 200 metri dalla galleria ma una sorgente che era ad un chilometro e 100 metri dalla galleria. Allora il modello che era stato assunto in conferenza dei servizi e che prevedeva che si sarebbero solo intaccate le sorgenti nell'arco di 200 metri dalla galleria non era idoneo e che la fratturazione della roccia e la composizione della roccia che è eterogenea, avrebbe potuto comportare di seccare sorgenti anche a più di un chilometro dalla galleria e quindi corse a recuperare, portare acqua con le autobotti, far costruire in via di emergenza acquedotti alternativi. Questo è avvenuto molto tempo fa. Poi è arrivato Casa d'Erci: 2.000 persone sono rimaste senz'acqua e anche lì non era previsto perché le sorgenti erano a 250 metri, non erano nemmeno ad un chilometro.

Quindi c'è una carenza di indagine, una carenza di conoscenza, una carenza dei codici di scavo; nonostante che i codici di scavo siano inadeguati, nonostante che la conoscenza e quindi la previsione di quello che può succedere si è manifestata inadeguata perché stanno succedendo continuamente queste situazioni impreviste, possiamo anche dire che c'è un mancato rispetto del codice di scavo anche se inadeguato in conferenza dei servizi, nel senso che il codice di scavo approvato in conferenza dei servizi prevedeva che si facesse l'escavazione ma che costantemente si sarebbe dovuto fare il rivestimento e la impermeabilizzazione per tutela le risorse idriche, invece quello che si è verificato è che si fanno le escavazioni delle gallerie, si fanno chilometri di galleria e poi si va dopo un anno a rivestire e invece di stare a 200 metri dal fronte si sta ad un chilometro perché così nel frattempo le sorgenti si sono drenate e quindi il battente d'acqua sopra le gallerie si è abbassato e quindi queste acque non danno più fastidio rispetto alla realizzazione dell'opera. (…) Possiamo dire che c'è non so se un comportamento irresponsabile è la parola giusta ma sicuramente un mancato rispetto dei codici di scavo su tutta la tratta. Quindi il problema di chi paga questo danno ambientale credo che si ponga anche in riferimento alla legge nazionale di tutela delle risorse idriche. Questo è un problema che penso se la Regione lo vuole affrontare, non lo può affrontare solo per Casa d'Erci ma lo dovrebbe affrontare su tutta la tratta perché cosi si è verificato su tutta la tratta. Ora per quanto riguarda il Comune di Firenzuola da indagini che loro hanno affinato in questi 5 anni, viene fuori non solo che si è seccata la sorgente di Castelvecchio, quindi è andata a secco e hanno costruito l'acquedotto alternativo, ma che tra due anni si impatteranno le sorgenti di tutta la vallata di Moscheta. Ora il Mugello, il Consiglio Comunale di Firenzuola, ha fatto una battaglia aspra per evitare di toccare quella valle dove ci sono 6.000 ettari di demanio accorpato della Regione dove la Regione ci ha investito tanti soldi, è di fatto un parco naturale dove c'è una azienda agrituristica della Regione gestita da una cooperativa, è una zona di grande pregio ambientale, un patrimonio pubblico. Avevamo cercato di evitare di costruire lì una finestra, ci è stato detto che non era possibile rispetto ai tempi, è stata iniziata la costruzione di una finestra, questa finestra era lunga un chilometro e 200 metri, a 900 metri hanno imbattuto in una puntuale venuta d'acqua di 70 litri al secondo, si è allagata la galleria e hanno abbandonato la finestra. Quindi probabilmente quella finestra non si finirà più, si dovrà costruirla partendo dalla galleria sotto, quindi la galleria principale ricostruire la finestra perché dovrà servire sempre come entrata di emergenza per la sicurezza in galleria ma sarà realizzata solo alla fine, quindi non diminuirà minimamente i tempi di costruzione della galleria, si è voluta fare lo stesso ma è stato annunciato da studi più precisi che le sorgenti di quella valle saranno seccate e quindi si sta verificando la possibilità di portare in quella valle risorse idriche da Firenzuola, quindi dovremmo costruire diversi chilometri di acquedotto per portare l'acqua eccetera. Per realizzare questa opera ci vorrà più di un anno e quindi il Consiglio Comunale di Firenzuola ha detto: non riprendete i lavori di quella finestra, costruiamo altri acquedotti, portiamo l'acqua da fuori e poi seguitiamo a costruire questa galleria in maniera che quando si arriva sotto la valle di Moscheta già la valle sia già approvvigionata da acqua portata da fuori.”

 

ALESSIA BALLINI - Sindaco di San Piero a Sieve.

"[...] una sostanziale ingovernabilità degli eventi. Perché si dice questo? Si dice questo innanzitutto perché questa opera inizia con un enorme e terribile difetto di origine che è quello a cui si è già fatto riferimento in precedenza di una sostanziale inattendibilità e inconsistenza di uno studio di impatto ambientale che in una fase precedente di realizzazione dell'opera avesse potuto permettere una valutazione non soltanto dei costi economici che l'opera si portava dietro ma anche di quelli ambientali che poi è l'unico modo moderno e corretto di trasformare i territori. Ora non siamo più nel 1995 quando si è chiusa una fase, siamo nel 2000, non si può tornare indietro ma di fatto l'assenza di questa seria valutazione di impatto ambientale costituisce qualcosa di importante.

[...] è saltata per questa opera una sana logica di consequenzialità, per cui prima si conosce, poi si valuta, poi si progetta e poi si realizza.

[...] crisi di un sistema idrogeologico di un intero territorio che attualmente non siamo nelle condizioni di sapere quali ripercussioni reali avrà nei prossimi anni.

[...] Il fatto che questo si sia verificato al Carlone nel 2000, cioè non prima, quando addirittura stavano peggio sicuramente gli abitanti del Carlone o a San Pellegrino o da altre parti, non è legato ad altre cose se non al fatto che il controllo è avvenuto in maniera casuale.

[...] senza un supporto tecnico, senza un sistema di controlli che sia puntuale, che sia certo, che sia razionale, noi non abbiamo nessuno strumento per agire, nessuno strumento anche per poter far fronte a questi problemi.

[...] Brevemente le ultime due questioni: la Regione Toscana ha, all'interno di un organismo che è stato più volte citato stamani, cioè dell'Osservatorio Ambientale Nazionale, un rappresentante, un ruolo che negli ultimi anni ha svolto l'ingegner Biagi che sembra di aver capito non abbia, avendo assunto altri impegni, la possibilità di seguire questo ruolo, questa funzione nei prossimi anni. Io solleciterei la Regione a definire al più presto possibile, se di sostituzione si deve parlare, la sostituzione perché siamo tra l'altro in una fase delicata nella quale c'è un bisogno impellente della presenza della Regione in questo organismo ed io, questa è una opinione personale, inviterei la Regione anche a valutare l'opportunità di una presenza, di una partecipazione più politica a questo organismo che non è un organismo che abbia semplicemente una funzione tecnica o che prenda decisioni semplicemente da un punto di vista tecnico e neutrale, ma di fatto credo che invece se la Regione ci partecipasse con una presenza più politica, questo potrebbe essere uno dei passi verso un maggior coinvolgimento della Regione nei problemi di cui si sta parlando stamani e che mi sembra appunto la Regione abbia imboccato questa strada".

 

Quindi, no, non era tutto previsto. E anche per la parte prevista, sicuramente questa, non era stata resa esplicita. Il che, ai nostri fini, non è uguale, è peggio. Prova la malafede.

 

 

(1)

Il dott. Pietro Rubellini, geologo, è attualmente responsabile del “Servizio attività geologiche e VIA, Controllo attuazione accordi di programma Alta Velocità e Terza corsia A1” del Comune di Firenze e presidente dell’Osservatorio Ambientale Nazionale sul Nodo AV di Firenze. Si è occupato del progetto Alta Velocità nel 1995 come funzionario del Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Toscana. Successivamente, per due mandati, è stato assessore nella giunta del Comune di Sesto Fiorentino (FI), all’Ambiente e ai Lavori Pubblici (primo mandato) e all’Urbanistica e all’Ambiente (secondo mandato).

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 19]

 

 

“SI AFFIDA AL CONTROLLATO STESSO DI AUTOMONITORARE E CONTROLLARE CIÒ CHE FA. [...]

CAVET, NONOSTANTE MOLTI TESTIMONINO COME I MONITORAGGI SIANO INIZIATI SOLO DOPO AVER SUBITO GLI IMPATTI, CERCA DI USARE QUEI MONITORAGGI TARDIVI E INEFFICIENTI A DIFESA, CON EFFETTI PERVERSI, IL CHE, PER LE PERSONE OFFESE, SAREBBE VERAMENTE AGGIUNGERE AL DANNO LA BEFFA.

[...] LA FUNZIONE DEL MONITORAGGIO CAVET È QUELLA DI FARE IL MIRACOLO DI FAR TORNARE L’ACQUA DOVE NON C’È PIÙ.”.

 

 

5)  ERA TUTTO PREVISTO E .... E COMUNQUE MONITORATO...

 

 

Comunque anche se non tutto era previsto, tutto era ugualmente e sotto controllo. Tutto monitorato da CAVET.

Vediamolo, questo monitoraggio.

In prima battuta ci dicono che il monitoraggio ante-progettazione non è stato fatto, non c’era. Lo dicono Rubellini, Sargentini, Micheli e soprattutto lo dice anche CAVET.

Viene male, capirlo. La logica parrebbe aver dovuto imporre il seguente iter: prima monitoro, conosco la situazione, faccio dei test, e poi redigo il progetto esecutivo. Ma pare così non sia per gli addetti ai lavori o, quantomeno, per i CC.TT. di CAVET. Infatti il prof. Celico a pg. 538 della sua CT afferma: “Non è stato effettuato alcun monitoraggio ante progettazione perché rappresenta un falso problema”. Uno potrebbe anche voler dar fede al prof. Celico se poi però non riscontrasse che CAVET, a sua volta, ha invece creato problemi, e questa volta veri e non falsi, a tanta gente.

Vediamo come.

Nella conferenza di servizi il monitoraggio diventa una prescrizione specifica per CAVET.

Avvocato Parte Civile - Chi faceva i monitoraggi…

Teste Trezzini Fabio - I monitoraggi li faceva CAVET.

Avvocato Parte Civile - CAVET, ARPAT…

Teste Trezzini Fabio - ARPAT faceva dei controlli. Faceva dei controlli… la consistenza, la frequenza, eccetera.

Avvocato Parte Civile - … dal CAVET?

Teste Trezzini Fabio - Sì. Un monitoraggio previsto dall’accordo era un monitoraggio a cura di CAVET.

E già questo non torna tanto. Si affida al controllato stesso di automonitorare e controllare ciò che fa. Ma la cosa peggiore è che la prescrizione imposta appare di fatto monca. Si dice: “CAVET, fai un monitoraggio preciso”. Ammettiamo, anche se non risulta, che CAVET l’abbia fatto davvero un monitoraggio preciso. Ma poi? Perché il Ministero, la Regione, il deliberato della conferenza dei servizi, non conclude il discorso sulla prescrizione imposta? CAVET deve fare il monitoraggio ma a che fine? E quando l’ha fatto e si leggono i risultati, cosa dovrebbe succedere? Non è dato sapere. Non è dato sapere perché intanto CAVET, finché ha potuto, i risultati del monitoraggio se li è tenuti per sé. Non li mandava nemmeno all’Osservatorio, o meglio li mandava così in ritardo che a quel punto erano inutili.

Pubblico Ministero - Senta, si ricorda per esempio che c’era una contestazione sua molto puntuale sul fatto che i dati del monitoraggio da parte di FIAT e CAVET arrivavano con un ritardo notevole?

Teste Trezzini Fabio - Certo, certo.

Pubblico Ministero - Questa situazione è mutata, è migliorata o…

Teste Trezzini Fabio - Eh, col tempo certo, col tempo è migliorata perché poi piano piano abbiamo…

Pubblico Ministero - Ma questi dati come arrivavano, arrivavano un po’ così alla spicciolata, con una cadenza regolare…

Teste Trezzini Fabio - Adesso non ricordo ovviamente i dettagli ma, insomma, certamente arrivavano i dati delle portate drenate, quindi sull’entità delle interferenze idrogeologiche che erano appunto previste dal progetto di monitoraggio, arrivavano certamente con settimane se non mesi di ritardo per cui quando il fenomeno si era giù svolto da tempo, o comunque da un tempo relativamente alto nel caso in questione, e quindi difficilmente poi potevano essere utilizzate per proporre delle correzioni.

Pubblico Ministero - Cioè, arrivando troppo tardi era quasi inutile, cioè arrivavano a cose un po’ fatte.

Teste Trezzini Fabio - Sì sì, questo sì.

Perché CAVET mandava i risultati in ritardo?

La verità pare essere molto semplice. Alla storia che il monitoraggio dovesse avere una reale e concreta funzione a fini di tutela ambientale non ci ha creduto mai nessuno, e certo non ci ha mai creduto CAVET.  Siamo certi e sicuri che CAVET abbia fatto un monitoraggio, ma solo e soltanto quello strettamente necessario alla necessità connesse alla progressione dei lavori in galleria.

Solo così si spiegano, non solo il ritardo nell’inoltrare i dati, ma anche le modalità con cui è stato fatto il monitoraggio e la scelta da parte di CAVET dei punti da monitorare.

Solo così si può rispondere al Sindaco Margheri di Borgo S. Lorenzo che domanda - se qualcuno ha previsto l’impatto di Casa d’Erci - perché nessuno ha presentato ai Comuni un progetto d’approvvigionamento idrico alternativo visto - aggiungiamo noi - che l’unica prescrizione certa data in conferenza dei servizi era quella di salvaguardare i livelli di approvvigionamento di acqua potabile.

Teste Margheri Antonio - No, per quanto ne so, anche per quanto riguarda le, appunto, le sorgenti di Casa d'Erci ribadisco che nella documentazione di conferenze dei servizi del '95, questo diciamo non era evidenziato. Cioè, se... Allora, molti, diciamo, e non solo il Comune, ma tanti soggetti presero visione di questo, del materiale che poi era depositato in Regione a Firenze. Se ci fosse stato una evidenziazione diciamo specifica di Casa d'Erci, ci sarebbe stato sicuramente una grande attenzione, sensibilità. E sia da parte delle istituzioni, ma anche da parte dei realizzatori dell'opera, se qualcuno fosse stato a conoscenza preventivamente di questo impatto, perché si arriva all'impatto senza che nessun progetto d'approvvigionamento idrico alternativo sia stato presentato ai Comuni?

Solo così si può spiegare come, ancora nel 2002, non risultassero essere state attivate procedure attendibili di monitoraggio e di controllo degli effetti delle interferenze dei lavori con le falde acquifere. Incredibile. I lavori sono iniziati da anni ed il 28.2.’02, quando eppure molti danni sono già stati fatti, con riferimento alla galleria di Vaglia, ARPAT può ancora scrivere, senza scomporsi però più di tanto, che ancora il monitoraggio non è a punto. Si legge infatti: “Nel capitolo relativo al monitoraggio idrogeologico si riportano alcune sorgenti e pozzi da monitorare, molti di questi sono inclusi nell'elenco dei punti attualmente monitorati altri no e viceversa. Per quanto riguarda il monitoraggio delle sorgenti, quindi, si rileva una incongruenza tra quanto scritto nel Programma operativo e quanto riportato nelle schede di monitoraggio (file pervenuto al S.T. in data 20.02.02), in particolare per quanto riguarda le frequenze di monitoraggio (...)”. Questi alcuni passaggi della relazione ARPAT del 2002.

E tutto questo, quando si aspettava a farlo?

È evidente che CAVET del monitoraggio a fini ambientali se n’è occupata solo quando è stata obbligata a farlo, se no avrebbe fatto di meglio e questo sin da  subito, dal 1997. Ma ancora dal 2000, se CAVET avesse voluto, avrebbe potuto fare di meglio. Bastava prendere atto delle rimostranze di Mascherini alla data del 22.6.’00.

Mascherini, Sindaco di Firenzuola -  [...] Poi l'ultima questione, e chiudo, è quella della vigilanza e della sorveglianza, cioè il monitoraggio delle risorse idriche, il monitoraggio della qualità dell'aria, il monitoraggio del rumore. Anche rispetto a questo noi dobbiamo cambiare perché molto è stato fatto ma sicuramente del tutto insufficiente perché se un lavoro è stato fatto, è stato fatto unicamente, quasi unicamente, per monitorare la qualità delle acque, e non del tutto, perché il professor Rodolfi mi sta dicendo che da Casa d'Erci ad andare a Firenzuola galleria i piezometri che misurano i battenti d'acqua non esistono ancora. Cioè effettivamente monitorare che cosa succede alle risorse idriche, le sorgenti se diminuiscono eccetera, non esiste un reticolo di monitoraggio sufficiente per capire che cosa esiste prima della galleria e dopo la galleria, le portate delle sorgenti prima e dopo. Tutto questo credo che deve essere fatto con maggiore attenzione perché altrimenti uno non capisce nemmeno che cosa comporta. Si va solo dietro alle sorgenti che alimentano gli acquedotti dei centri abitati, ma non si capisce niente delle sorgenti che alimentano i corsi d'acqua e quindi non si capisce lo scombussolamento ambientale che questo determina. Quindi occorre mettere a punto un monitoraggio della qualità dell'acqua e della quantità di acqua delle sorgenti, e su questo qualcosa è stato fatto, ma del tutto proprio che non si è fatto minimamente è il monitoraggio della qualità dell'aria, del rumore e delle polveri. Tutto questo che era nel programma dell'Osservatorio Nazionale Ambientale, è rimasto nella mente di chi lo voleva fare e quindi questo va recuperato. [...] L'Osservatorio Nazionale Ambientale stanzia tutti gli anni non so quanti soldi, centinaia di milioni che dà ARPAT per fare questo monitoraggio ma ARPAT è uno strumento della Regione che deve svolgere due compiti: quello istituzionale di verificare la qualità dell'acqua e del rumore, più deve svolgere il ruolo di supporto tecnico dell'Osservatorio Nazionale Ambientale per cui c'erano tutte le condizioni perché ci fossero le risorse perché il monitoraggio fosse fatto; in effetti questo monitoraggio è del tutto insufficiente".

 

Comunque, ancora oggi, CAVET difende i suoi studi geologici ed il suo monitoraggio che, per quanto va sostenendo, parrebbe ottimo ed abbondante.

Sulla bontà degli studi a disposizione dei geologi CAVET testimoniano però M., V. ed altri con verbali dagli effetti surreali.

Ricordiamoci cha già il Servizio Geologico nel ’92 aveva sottolineato come gli studi disponessero di “dati frammentari, scarsamente confrontabili", Uno studio ricco di "discrepanze", "lacune o non corrispondenze dei dati" nella cartografia. Mancanza di "riferimenti toponomastici e tettonici" nel profilo geologico della tratta.

E come ancora nel ’95 Broili, a progetto esecutivo redatto, ammettesse di non aver dati per pozzi e sorgenti per ben 21 chilometri di tracciato.

 

Nonostante questa scarsità di dati CAVET cerca di forgiare la realtà secondo i suoi desiderata.

 

A L. M. cercano di convincerlo che la sorgente che gli si è seccata non si chiama “I Sorcelli”, ma in un altro modo. Il perché è semplice, ne hanno monitorata un’altra che non c’entra nulla con la sua.

Avvocato Difesa - Signor L. M., senta, torniamo alla sua sorgente, quella che lei dice essere la sorgente “Sorcelli”.

Teste L. M. - Sì.

Avvocato Difesa - Ha anche un altro nome? Si chiama “Castagneto del maestro”?

Teste L. M. - Che sappia io no.

E questo, fino a prova contraria, che non c’è, dovrebbe bastare a tagliare la testa al toro. Lui abita e vive lì ed usava la sorgente “I Sorcelli“ che si chiama così. Punto. Ma la scienza non guarda in faccia a nessuno e travolge le credenze popolari tipo quella di cui sembrerebbe vittima L. M..

E il difensore lo spiega al giudice:

Avvocato Difesa - Noi abbiamo un problema, signor Giudice, la ragione di queste domande è evidente… noi abbiamo dei monitoraggi, abbiamo dei controlli che sono stati eseguiti, ed abbiamo una certa mappa… quindi la ricerca di queste informazioni serve poi per dire…

E al teste:

Avvocato Difesa - Ora glielo chiedo. Allora, senta, lei sa se la sua sorgente, la sorgente che lei chiama “Sorcelli”, è stata controllata? Se venivano a vedere quanto buttava?

Teste L. M. - Sono venuti dopo il mio intervento in Comune una volta.

Giudice - Dopo che s’era seccata?

Teste L. M. - Sì.

Giudice - No, credo che la domanda fosse prima, no?

E la difesa:

Avvocato Difesa - Prima e dopo, perché c’abbiamo anche i monitoraggi dopo.

“Abbiamo i monitoraggio prima e dopo”. Ma di quali monitoraggi parliamo?

La difesa CAVET indica il nome della sorgente in modo diverso dal proprietario, L. M. dice che l’hanno controllata, non monitorata, solo una volta dopo che si era seccata e ci si ostina a dire di disporre dei dati dei monitoraggi prima e dopo... E si cerca lo stesso di convincere L. M. che invece, ovviamente non si fa convincere di cose che conosce meglio di loro.

Teste L. M. - Prima che si fosse seccata? No.

Avvocato Difesa - Dopo?

Teste L. M. - Dopo son venuti a vedere che c’ero io presente e li portai sul posto e dico ‘Venite un po’ a vedere cosa  succede qui’, poi dopo per l’appunto il giorno mi trovavo su vicino alla sorgente, ecco che sono arrivati due giovani che venivano a fare il controllo dell’acqua, e io gli dissi ‘Ah, venite ora?! dopo cinque o sei anni venite a controllare ora la sorgente?!’, perché c’era già in corso questa causa e allora è arrivato… non so se era l’ARPAT o chi fosse a controllare.

Avvocato Difesa - Ci sta che fossero incaricati del CAVET? Perché erano incaricati del CAVET, a noi risulta.

Ancora. Ma risulta cosa? Comunque …

Teste L. M. - Può darsi, può darsi, non mi dissero niente quindi…

Giudice - Viaggiavano su un’autovettura che aveva dei segni, delle scritte, qualcosa?

Teste L. M. - No, vennero a piedi, l’autovettura lassù non ci va.

E già questo potrebbe spiegare abbondantemente perché non c’era il monitoraggio. A camminare si fa fatica... in autunno poi piove e c’è fango, d’inverno fa freddo e nevica, d’estate si suda… In ogni caso:

Giudice - Va beh, ho capito, non saranno arrivati a piedi lì, da qualche parte saranno scesi dalla macchina.

Teste L. M. - Sì, ma io l’autovettura non l’ho vista.

Giudice - Quindi lei fece fare il controllo sull’acqua da persone che non sapeva chi fossero?

Teste L. M. - Loro passarono che io… ci dico la verità, io ero lì che facevo legna a 200 metri dalla sorgente, passarono e dice ‘noi dobbiamo andare a controllare l’acqua di questa sorgente’…

Giudice - Gli dettero un nome loro alla sorgente?

Teste L. M. - No. Dissero: ‘Dobbiamo andare a controllare’, siccome io sapevo che in giro c’era questo problema dico: ‘Andate’. Ci dico anche questo: quando tornarono indietro dico: ‘L’acqua c’è ora?’, dice:‘Ce n’è, ce n’è’, dico: ‘Quanto fa al minuto?’ ‘Trentatré litri’.

Giudice - Quando è successo questo fatto?

Teste L. M. - Anno scorso.

Giudice - Quindi si riferisce al periodo in cui lei dice è tornata l’acqua.

Teste L. M. - Sì. Anno scorso proprio da questi giorni qui perché mi ricordo che ero su a far legna vicino alla sorgente.

Avvocato Difesa - Era il periodo di Natale, è possibile?

Teste L. M. - No, dopo, dopo Natale.

Ed ecco però che il monitoraggio compie finalmente il miracolo tanto atteso.

Avvocato Difesa - Perché verso marzo sembrava che avesse una maggiore portata.

La fonte di cui non si sa il nome, che il teste dice che gliel’hanno seccata e l’hanno controllata una volta solo dopo l’impatto, secondo il miracolo compiuto dal monitoraggio CAVET, a marzo, si riprende ed ha addirittura anche una maggiore portata! Non si sa rispetto a cosa, ma ha una portata maggiore.

 

Ma il fatto, purtroppo non è isolato.

 

Teste C. V. - Quando vennero questi geologi restai sinceramente sconcertato. Perché, pur geologi, non avevano chiara la situazione delle fonti locali. E abbiamo avuto una piccola...

Pubblico Ministero - Ci fu un equivoco?

Teste C. V. - Un equivoco, sì. Un equivoco secondo me antipatico. Niente di che, per carità di Dio. Loro attribuivano il mio deposito, la mia sorgente che io ho fatto, nel senso bambino ho visto costruire ... pensavano che fosse la fonte di approvvigionamento del podere Il pozzo. Altra casa a distanza, sì, di 400 metri, in tutt'altra direzione. Per cui scoprii in quella occasione, anche che pensando loro che quel tubo che era lungostrada fosse quello che da quella fonte andava al pozzo, lo avevano, in occasione dei lavori TAV, per sbaglio troncato e non lo avevano ripristinato, perché tanto sapevano che non c'era acqua. Con questo tagliarono definitivamente l'acqua mia, cioè di Marzano, quella comunale, che veniva di scorta a casa mia.

Pubblico Ministero - Ah, quindi doppio. Lei ebbe sia la sorgente, sia anche l'acquedotto...

Teste C. V. - Sì, perché loro... L'acquedotto fu tagliato brutalmente per errore. E pensando che fosse secco, va bene?, non ripristinarono...

Pubblico Ministero - Quindi...

Teste C. V. - Quindi io restai totalmente... Non avevo neanche la possibilità di agganciarmi all'acquedotto di Marzano per un  certo periodo.

Ed infatti ancora oggi Bollettinari e Rodolfi collocano le sorgenti di C. V. in modo diverso tra loro.

 

Questo per dire l’affidabilità degli studi su cui si fonda il monitoraggio.

 

Vediamo poi la tempestività di questo salvifico monitoraggio.

 

Abbiamo già visto come ARPAT, nel 2002, dicesse che il monitoraggio ancora non fosse ancora a punto.

Ma qui ci interessano i monitoraggi dei punti d’acqua usati dai privati. Infatti non basta che i monitoraggi non siano stati fatti, siano stati fatti male o, comunque, se fatti e fatti bene, non siano serviti a nulla visto che gli impatti si sono provocati lo stesso. CAVET, nonostante molti testimonino come i monitoraggi siano iniziati solo dopo aver subito gli impatti, cerca di usare quei monitoraggi tardivi e inefficienti a difesa, con effetti perversi, il che, per le persone offese, sarebbe veramente aggiungere al danno la beffa.

Abbiamo già detto di L. M. al quale vanno a controllare la sorgente solo dopo che gli si è seccata.

Così D. U. del podere “Monacale” che testimonia come il monitoraggio sia iniziato solo dopo che la sorgente si è già seccata. Idem per il pozzo “La Campora” dei sigg.ri T..

Eppure si cerca di usare il monitoraggio per dimostrare ciò che non è. Si fa riferimento a quelle domande della difesa ai danneggiati i quali avevano già risposto per mezz’ora al PM di come, prima dei lavori CAVET, disponessero di punti acqua che buttavano per tutto l’arco dell’anno e di come, dopo i lavori di scavo, non li avessero più. A quelle domande mediante le quali la difesa chiedeva alle persone offese se fossero proprio sicuri di non avere più l’acqua, perché a CAVET risultava una cosa diversa, risultava che dai monitoraggi fatti da CAVET stessa, l’acqua ci fosse. E i danneggiati rispondevano stupiti: “Come c’è l’acqua? L’acqua non c’è più”. E la difesa “Vedremo, vedremo…”. Vedremo cosa? Vedremo quando? Quello sta lì da anni di casa lì, ti dice che prima aveva acqua a sfare, ora va avanti da anni ad autobotti e gli si domanda se è sicuro che l’acqua non c’è, perché i monitoraggi fatti da CAVET stessa dicono di sì?

Torniamo dunque al teste L. M..

Avvocato - Senta, nell’estate del 2003 che è stata un’estate caldissima… lei se la ricorda, no?

Teste L. M. - Sì.

Avvocato - … questa fonte ce l’aveva acqua?

Teste L. M. - No.

Avvocato - E’ sicuro? Lei è sicuro di questo dato, che la sua fonte quell’estate lì non avesse acqua? Perché noi abbiamo la prova con i monitoraggi che l’acqua c’era.

Teste L. M. - Eh, se c’era … esserci ci poteva essere però con la pressione a casa mia l’acqua non arrivava nel 2003. Avevo l’acquedotto del Comune però l’altro era aperto, se arrivava l’acqua la vedevo.

Banale, ma efficace no? Se c’è l’acqua chi abita lì, la vede. Ma i dati dei monitoraggi sono una fede incrollabile...

 

Una per tutti, andiamo a leggere la testimonianza di B. F. il 23.2.’05 in riferimento alla sua sorgente seccata a Paterno di Vaglia.

Avvocato Difesa - Mi scusi signora B. F., la sorgente è sicura che oggi non ci sia più, che non vi sia nessuna portata d’acqua?

E già la domanda è ardita visto che era mezz’ora che B. F. aveva detto che aveva la sorgente che serviva anche gli altri abitanti della zona, che gliel’avevano seccata e che ora andava avanti ad autobotti e si sarebbe dovuta allacciare per forza all’acquedotto, dovendo poi pagare ciò che fino ad allora aveva sempre avuto gratis.

Comunque la teste risponde.

Teste B. F. - Sì, c’è solamente se piove o se nevica come può nevicare adesso, allora forse ricomincia a buttare un po’ di acqua, sono le acque di superficie, questo mi spiegavano anche quando venivano a monitorare.

La risposta è chiara, ma la difesa non demorde. Secondo tentativo.

Avvocato Difesa - Sì, ma è sempre secca o a volte c’è dell’acqua?

E la teste, per la seconda volta.

Teste B. F. - Se ci sono delle precipitazioni abbondanti allora per qualche giorno da dove veniva la sorgente arriva un po’ di acqua piovana.

Quindi quando piove dalla sorgente esce un po’ dell’acqua piovuta. Normale, no? Allora si divaga…

Avvocato Difesa - E quest’acqua dove va?

Non si sa cosa c’entri comunque...

Teste B. F. - Va nel ruscello, va a dispersione.

Avvocato Difesa - Non va più nella sua cisterna?

Teste B. F. - Eh no, tanto non basterebbe! E poi è acqua piovana, non è acqua di sorgente quella eh, è acqua di superficie.

Avvocato Difesa - Scusi, ha cambiato il percorso? Perché non va più nella sua cisterna?

Teste B. F. - Perché io ho un’altra cisterna, quella che mi viene dal pozzo.

Avvocato Difesa - Quindi l’ha scollegata quella.

Teste B. F. - Eh, quella non può servire, cioè questa è una vasca che poi sta vuota per sette mesi.

Avvocato Difesa - Quindi non è più collegata.

Teste B. F. - No, no, no, va a dispersione nel ruscello.

Ma ecco che si arriva al punto. Ecco cosa voleva arrivare a dimostrare la difesa.

Avvocato Difesa - Viene monitorata questa sorgente?

Teste B. F. - Viene monitorata, ora è un pezzetto che non vengono questi ragazzi però.

Avvocato Difesa - È possibile dire… ma mi pare che lei dica una cosa diversa da quella che a me risulterebbe, ma volevo capire, ci sono dei mesi dell’anno in cui viene l’acqua e altri mesi in cui viene?

Teste B. F. - L’acqua non viene mai adesso, se però, mettiamo come ora, ci sono queste precipitazioni, nevica per una settimana, allora prima che il terreno si prosciughi un po’ di acqua…

Quindi chiara la risposta. Se piove, la sorgente dà un po’ d’acqua piovana; se nevica, la sorgente dà un po’ d’acqua via via che la neve si scioglie. Ma è acqua precipitata, di superficie, non di falda. Semplice no? E invece no, si va avanti:

Avvocato Difesa - Ma io non vorrei da lei delle spiegazioni tecniche sul terreno…

Teste B. F. - Eh, ma non gli posso dire viene l’acqua di sorgente io.

Avvocato Difesa - No, se lei vede, questo le chiedo.

Teste B. F. - Ogni tanto vedo un po’ di acqua.

Avvocato Difesa - Eh, questo volevo sapere da lei. Questo ‘ogni tanto’…

Teste B. F. - Per due giorni.

Avvocato Difesa - … accade nel periodo invernale, nel periodo estivo, è indifferente il periodo…

Teste B. F. - Accade quando ci sono delle precipitazioni abbondanti.

E tre! Quando piove o nevica c’è l’acqua, quando non piove, no! Ma deve essere un argomento ostico per la difesa o forse non si  vuole intendere.

Avvocato Difesa - Quindi quando ci sono… questo è quello che lei ha osservato e osserva…

E qui la teste un po’ si urta.

Teste B. F. - Sì, ma della serie, può durare un giorno ecco, non è che dura un mese l’acqua per annaffiare l’orto eh, comunque possono monitorare, possono venire a vedere.

Avvocato Difesa - Lei li ha fatti entrare quando sono venuti a fare questi monitoraggi?

Teste B. F. - Sempre, sempre.

Avvocato Difesa - Bene, grazie, non ho altre domande.

Finalmente.

 

Ma come detto, la funzione del monitoraggio CAVET è quella di fare il miracolo di far tornare l’acqua dove non c’è più.

 

G. perde tutta l’acqua, ma CAVET riesce a monitorarne la presenza. Cercano di convincere anche G. che gli è tornato l’acqua nei pozzi, G. che pure sta a S. Giorgio dove è stata una ecatombe, G. che confina con il C. cui è sprofondalo il terreno di sei metri, G. che abita dove tutti i terreni hanno perso l’umidità naturale per cui non possono più coltivare il mais senza innaffiare come prima.

Così anche con S. a cui hanno seccato due pozzi a Cerreto Maggio o per il B. che si era trasferito da Firenze in Mugello cui seccano la sorgente, deve quindi vendere i cavalli che aveva e che alla fine “a malincuore“ come dice lui, se ne deve tornare a Firenze da dove si era trasferito.

Avvocato - Senta, lei ha visto la sorgente di cui abbiamo parlato secca?

Teste Z. B. - Senz’altro, ma non l’ho vista io solo…

Avvocato - Io le ho chiesto se lei l’ha vista perché noi abbiamo dei monitoraggi che dicono che c’è dell’acqua… vedremo.

Ancora questo inquietante “vedremo” e infatti il B. si urta e parte con un:

Teste Z. B. - Allora lei mi dovrebbe spiegare…

Ma il giudice, opportunamente, lo ferma.

 

Ma vediamo il paradossale esame di N.:

Avvocato Difesa - Le chiedo scusa, tutti e due i suoi pozzi erano muniti di motore? o sono muniti di motore?

Teste L. N. - Sì. Di motore.

Avvocato Difesa - E oggi non pesca più questo motore?

Teste L. N. - No, no. No. Addirittura il primo... il pozzo, quello con più portata, mi si è bruciata anche la pompa.

Avvocato Difesa - Sì, ma quello che io vorrei sapere, sono secchi, oppure... a me risulterebbe da alcuni monitoraggi che in realtà un po' d'acqua ci sia.

Teste L. N. - No, sono secchi.

Avvocato Difesa - Non c'è acqua.

Teste L. N. - No.

Avvocato Difesa - Per quello che lei ne sa.

Come sarebbe a dire “per quello che lei ne sa?”. Siamo al surreale. È CAVET a dire a N. di essere lui a non sapere se a casa sua c’è l’acqua o meno.

Ma il fatto non è episodico, è proprio una strategia difensiva.

Ecco le domande che vengono fatte a P. che è uno che ha fatto lo sciopero della fame per i suoi pozzi davanti al Comune di S. Piero.

Avvocato Difesa - Dunque, il pozzo che è nel giardino ... è quello più vicino al Carza? Le risulta questa circostanza?

Teste S. P. - Come mi risulta, ci abito. Certo!

Già si parte male. Si vorrebbe spiegare ad uno com’è fatta casa sua. Ma si va avanti.

Avvocato Difesa - A noi risulterebbe che la galleria, quando è passata di lì, non abbia intercettato acqua. Né dal Carza...

Teste S. P. - Sa, ognuno può dire quello che vuole, eh.

Avvocato Difesa - No, no, ci sono dei dati, per questo...

Teste S. P. - Eh, ma anche i dati possono essere in qualunque modo...

Avvocato Difesa - C'è un monitoraggio...

Teste S. P. - Quello che dite va bene. Cioè, quello che viene detto va bene. Io non sono nessuno. A me è stato detto ... quando iniziarono i lavori in prossimità di casa mia, furono sospesi per tre o quattro giorni, perché io conoscevo degli operai che ci lavoravano, erano a casa fermi, non potevano lavorare, perché in quel preciso momento avevano intercettato delle falde ...

Avvocato Difesa - Va bene, ci sono i monitoraggi, vedremo.

Vedremo cosa? Ricordiamo che P. è quello che ha fatto lo sciopero della fame, che aveva un pozzo con l’acqua a sei metri di profondità e dopo passata la galleria lì l’acqua è a 60 metri. P. è quello che ha litigato con Longo davanti al sindaco perché si sentiva, testuale detto da lui, “melinato”, e cosa finiscono col domandargli?

Avvocato Difesa - Senta, un'altra domanda: successivamente, dopo il passaggio della galleria e quindi il completamento dei lavori, o comunque diciamo l'avanzamento dei lavori in quella zona ... le risulta che poi il pozzo abbia comunque nuovamente avuto acqua?

Teste S. P. - No. No.

Avvocato Difesa - È sicuro anche di questo?

Teste S. P. - Certo che sono sicuro. Se me lo chiede, le dico...

Avvocato Difesa - Anche per questo ci sono i monitoraggi.

Come dire, stia attento a quel che dice… E qui P., giustamente, si arrabbia:

Teste S. P. - Un dipendente CAVET che veniva a fare le misurazioni mi disse che da 8 metri l'acqua era scesa a 26 metri. L'ultima cosa che io ho saputo poco prima che si seccassero i pozzi. Comunque i pozzi sono secchi e sono visibili a tutti, eh.

Giudice - Perfetto. Grazie.

Teste S. P. - E anche la sorgente.

Giudice - Si accomodi pure.

Teste S. P. - Grazie.


Certo se fanno come da M. a Torricella ci sta che i monitoraggi facciano miracoli. Infatti a M., Agnelli monitora solo la sorgente non seccata. Dell’altra non vuol nemmeno sapere.

 

G. che ne ha viste tante comunque resta dell’idea di non fidarsi dei monitoraggi CAVET.

Teste C. G. - No. Tutto secco. “I Guazzini” sono a tutt'oggi d'inverno secchi. Anche se qualcuno questa estate ha trovato l'acqua per conto di CAVET.

Pubblico Ministero - Ho capito. Senta...

Giudice - No, non ho capito, scusi.

Teste C. G. - Sì, questa è un'altra cosa.

Giudice - Sono secchi d'inverno e d'estate...

Teste C. G. - Sì, CAVET... Siccome questa sorgente “I Guazzini” dopo l'anno 2000 io ho cessato di seguire il monitoraggio, in quanto era secca, perché fino al 2000 venivo... l'EGS si metteva in contatto con me per chiedermi di farlo in contraddittorio questo monitoraggio. Io avevo piacere d'esserci. Dopo il 2000 ci congedammo, dicendo: 'tanto è secca, è inutile che mi richiami'. Poi ho scoperto che anche quest'estate 2004 hanno misurato acqua ne “I Guazzini”. Al che io ho fatto tutta una serie di lettere e tuttora sto facendo monitoraggio con ARPAT e con OAL, tutti i mesi. Proprio per fare, per dimostrare che acqua non c'è. Non c'è d'inverno, ditemi come hanno fatto a trovarla questa estate.

Pubblico Ministero - Cioè, lei non è stato fortunato come loro. Lei d'inverno non la trova, loro d'estate sì, questo vuol dire?

Teste C. G. - No, la trovano questi che fanno il monitoraggio, perché...

Pubblico Ministero - Sì, questo, stavo dicendo esattamente la stessa cosa.

Teste C. G. - Sì, sì.

Pubblico Ministero - Nel senso, i suoi accertamenti successivi sono negativi.

Teste C. G. - Sì. Io li sto facendo mese mese, perché a questo punto bisogna stare attenti a tutto.

 

E a dire il vero anche noi siamo portati a propendere per l’opinione di C. G. di non fidarci tanto dei dati del monitoraggio ...

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 20]

 

 

“INTERVENTI DI MITIGAZIONE CHE SONO SPESSO CHIARAMENTE CARATTERIZZATI DALL’IMPROVVISAZIONE ED IMPOSTI SOLO DALLA INEVITABILITÀ DELLA LORO MESSA IN OPERA, PENA IL PERICOLO DI SOLLEVAZIONI POPOLARI. IN MOLTI CASI, COMUNQUE, CON LA CARATTERISTICA DI ESSERE QUASI SOLO UNA PEZZA MESSA PER TAMPONARE UN’EMERGENZA, SPERANDO DI CHIUDERE PRESTO I CANTIERI ED ANDARSENE”.

 

 

5)  ERA TUTTO PREVISTO E .... E COMUNQUE MONITORATO... COMUNQUE MITIGATO …

 

 

Del fatto che non tutti i danni siano stati esplicitati, che i monitoraggi non ci fossero o comunque siano serviti a poco o nulla - salvo dire nel processo che l’acqua persa dalle persone offese invece c’è ancora - è cosa evidente sol che si guardi all’indicazione degli interventi di mitigazione indicati ante-operam, e poi - ancor più - se si guarda quelli effettivamente realizzati, attese peraltro le modalità concrete con cui questi sono stati poi realizzati. Interventi di mitigazione che sono spesso chiaramente caratterizzati dall’improvvisazione ed imposti solo dalla inevitabilità della loro messa in opera, pena il pericolo di sollevazioni popolari. In molti casi, comunque, con la caratteristica di essere quasi solo una pezza messa per tamponare un’emergenza, sperando di chiudere presto i cantieri ed andarsene.

E non c’è da stupirsi se CAVET, per bocca dell’ing. Silva, è convinta di poter seccare le sorgenti e i pozzi di chiunque e far pari e patta con un po’ d’autobotti.

Imputato SILVA - “Noi avevamo ... avevamo l’obbligo di assicurare il livello idropotabile durante l’esecuzione dei lavori a breve termine. In teoria ... in teoria io avrei potuto, per tutto il periodo di esecuzione delle opere, sopperire a quelle che erano le mancanze con delle autobotti. Sarei stato un folle perché è un’operazione sciagurata. Dopo di che... dopo di che quando c’è la fine dei lavori, cara TAV adesso fai tu tutte le opere compensative. Tutto quello che (inc.) serve per risolvere. Chiaramente è un’operazione che, cioè, non può essere supportata dal territorio, e giustamente TAV decise di intervenire. Di intervenire con dei programmi di intervento, con delle opere; con dei protocolli, recentemente. Ma è fuor di dubbio che questo non è un onere ... non è un onere del CAVET. Perché la galleria drenante, è un progetto di galleria drenante, si sa che drena e si sa che causa quegli effetti”.

Più chiaro di così.

[...] A chi è andata bene è successo di aver perso [...] l’acqua “buona, incontaminata, perché in campagna di sorgente” per passare all’“acqua di condotta, medicata”.

Abbiamo ormai una vita così artificiale in città che si deve far mente locale per capire cosa si sono perse certe persone. Si sono perse cose che riesce difficile immaginare che potessero esistere ancora. Che potessero esistere situazioni quali quella di T. N. che addirittura si poteva permettere di avere una piscina alimentata con l’acqua del fiume, acqua di fiume classificata come acqua minerale. Doveva essere uno spettacolo.

Per non parlare dei costi.

Il paradosso qui è che la cosa migliore, l’acqua buona, era gratis e quella peggiore, l’acqua  dell’acquedotto, va invece pagata.

Ma dicono quelli di CAVET che sono stati eseguiti gli interventi di mitigazione nel modo più razionale possibile ovvero in modo di evitare sprechi di denaro pubblico (cfr. pg. 109 Ct Celico).

E allora vediamoli gli interventi di mitigazione. Vediamo la loro consistenza, la loro pronta realizzazione, l’efficienza e vedremo se risultano davvero razionali, ottimi, tempestivi, funzionali, di alta tecnologia. Di alcuni dei quali, anticipiamo, avremo possibilità di valutare in un certo senso anche l’”eleganza”.

 

Partiamo da CASTELVECCHIO-VISIGNANO.

CAVET secca l’acquedotto privato di Visignano a Castelvecchio avendo seccato la sorgente “Spugne” e lasciando senz’acqua 40 famiglie ed un ristorante, che infatti costituiscono un comitato, il comitato della valle del Diaterna. Avevano acqua pura e con 50.000 lire l’anno di spesa se la cavavano.

Poi con l’essiccamento della sorgente Le Spugne tutto cambia.

Vediamolo, l’intervento di mitigazione. Parla il presidente del comitato.

Teste E. F. - “… A questo punto non eravamo più in grado autonomamente, privatamente di gestire un acquedotto con dei grandi danni così… perché prima era una cosa anche molto semplice da fare e dopo invece eravamo di fronte a dei problemi più grandi di noi e quindi abbiamo chiesto al Comune che lo prendesse in gestione lui; di conseguenza il comune ha chiesto a CAVET di costruire un acquedotto nuovo e c’ha allacciato ad un’altra frazione che si chiama Piancaldoli e credo sia andato in funzione nell’estate del ’99, quindi un anno dopo; siamo andati avanti per un anno con le autobotti, siamo rimasti tantissime volte senz’acqua perché nell’inverno le condutture erano all’esterno, quindi ghiacciavano e ci siamo dovuti anche arrangiare per smontare i tubi e scaldarli con delle fiaccole, e dal ’99 ci arriva l’acqua tramite delle pompe da un altro paese”.

Un anno di autobotti e per avere l’acqua d’inverno la gente doveva uscir di casa ed andare a scaldare i tubi con le fiaccole. Soluzione elegante, non c’è che dire. E infatti quelli del comitato del Diaterna hanno lasciato perdere ed ora sono attaccati all’acquedotto comunale e si sono rassegnati a pagare la bolletta.

Ma la difesa cerca di convincere i danneggiati che i danni, grazie agli interventi di mitigazione,  sono stati per loro solo temporanei.

Ma gli risponde bene il sig. L. M..

Avvocato, parlando dell’acquedotto  - C’è una situazione diversa tra durante il periodo in cui venivano con l’autobotte e quando poi è arrivato l’acquedotto, no?

Teste L. M. - Eh, quando è arrivato l’acquedotto si sa, il problema per l’acqua non c’è più stato.

Avvocato - Oh, allora, questa sua situazione di disagio quanto è durata? Quattro anni? Tre anni?

Teste L. M. - È durata sempre perché io la Diaterna la ho inquinata e la mia sorgente non ce l’ho più …e dove mandavo al pascolo il bestiame l’acqua non c’era e io ho dovuto sempre tenere con l’acqua dell’acquedotto il bestiame vicino a casa.

No, purtroppo anche con gli interventi di mitigazione, i danni non sono stati affatto temporanei.

 

ALICELLE.

Non male anche la mitigazione per Alicelle.

Teste V. A. - La CAVET cercò rapidamente buttando tubi di pvc nel bosco e facendo un allacciamento provvisorio che si protrae quindi... perché ancora il problema non è stato risolto, da quattro estati consecutive. C'è questo tubo nel bosco provvisorio, un deposito all'aria, quindi sotto il sole, di 5.000 litri. E poi c'è una stazione di pompaggio con pompa. Poi devono portare il generatore per spingere quest'acqua. Si deve chiamare il camion con l'acqua che la porti. E queste cose le devo fare io... L'anno scorso non potevano portare, come si dice, il motore per la corrente. Io sono stato fra giugno e parte di luglio senz'acqua, perché non potevano portare il motore.

 

BY-PASS BAGNONE - BOSSO

Ma passiamo al by-pass Bagnone- Bosso.

La premessa è d’obbligo, se no non si sa da cosa si parte.

C’erano due fiumi, uno il Bosso ed un altro il Bagnone. Entrambi pulitissimi, entrambi con le trote, la gente ci faceva il bagno ed addirittura – incredibile negli anni 2000 a trenta chilometri da Firenze – l’acqua si poteva bere. Il Bagnone calava in estate, il Bosso no.

Arriva la galleria e cosa succede?

Il Bosso si secca e l’acqua che esce dalla galleria viene recapitata nel Bagnone che così viene a godere di portate d’acqua mai viste da quel fiume. Però visto che non si può avere tutto dalla vita ecco che il Bagnone, grazie all’acqua della galleria, diventa di un bel colore grigio lattiginoso.

Ma visto che ora il Bagnone ha l’acqua di galleria la si usa per rendere un po’ d’acqua al Bosso, e l’opera di mitigazione è dunque il by-pass Bagnone- Bosso.

Al di là dell’altisonante e fuorviante termine inglese il cosiddetto by-pass in pratica è solo un trabiccolo costituito da tubo attaccato ad una pompa e infatti funziona un po’ sì e tanto no,  per come testimoniato dal M. O. ed altri.

Pubblico Ministero - Senta, non è stato fatto un by-pass tra il Bagnone e il Bosso?

Teste M. O. - Sì.

Pubblico Ministero - Chi l’ha fatto? Come mai? A che cosa doveva servire?

Teste M. O. - Questo by-pass doveva servire a travasare l’acqua dal torrente Bagnone rimpinguato dall’acqua di risulta dalle gallerie e trasferirla con un by-pass di circa 1000 metri o poco più dal torrente Bagnone al torrente Bosso a monte dell’abitato di Luco.

Pubblico Ministero - Ecco, questo lei lo sa perché è una delle cose che avete richiesto? Avete parlato con il sindaco? Com’è questa cosa?

Teste M. O. - Questo lo so perché per noi era di vitale importanza.

Pubblico Ministero - Perché è collegato all’approvvigionamento di 12 litri al secondo.

Teste M. O. - Certo, esatto.

Pubblico Ministero - È stato realizzato questo by-pass?

Teste M. O. - Sì.

Pubblico Ministero - In che anno?

Teste M. O. - Penso nel 2001.

Pubblico Ministero - Funziona?

Teste M. O. - Dal 2001 al 2004 funziona qualche volta.

Pubblico Ministero -Cioè, lei ha segnato che c’era un funzionamento di questo by-pass?

Teste M. O. - Io ho anche qui dei verbali di ARPAT e della Polizia Municipale che testimoniano che questo by-pass è spesso inattivo. Allora, guardi, il primo… cito la risposta di ARPAT: “A seguito esposto dell’azienda agricola [...]” che siamo noi “e della Comunità Montana in data 9/7/2001 i tecnici del servizio…” eccetera eccetera.

Pubblico Ministero - Quindi lei ci dice che queste documentazioni sono l’esito di alcune segnalazioni che lei ha fatto a questi organi.

Teste M. O. - Qui leggo ‘da parte nostra e della Comunità Montana’. Ne ho cinque di questi qui.

E poi il sig. M. O. ce lo descrive, il by-pass.

Teste M. O. - Dunque, il by-pass è un tubo di 200 millimetri in metallo che si vede anche dalla strada percorrendo la strada che va verso Luco, chiaramente non si può vedere se corre acqua però ci si accorge quando non c’è acqua nel torrente e soprattutto quando la poca acqua che c’è è maleodorante.

Avvocato Difesa - Ecco, a questo volevo arrivare, cioè le segnalazioni che lei ha fatto erano per che cosa?

Teste M. O. - Per questi motivi, acqua maleodorante e assenza di portata.

Avvocato Difesa Rosso - Quindi sono cinque le sue… cinque, sei…

Teste M. O. - Sono numerose, ecco, dal 2000 al 2004.

Avvocato Difesa Rosso - Ecco, in questi quattro anni vorrei capire in quante occasioni… cinque o sei… lei ha segnalato…

Teste M. O. - Guardi, vi lascio i verbali ARPAT e Polizia Municipale…

Avvocato Difesa Rosso - Ma a me non mi interessano i verbali…

Teste M. O. - Diciamo cinque.

Avvocato Difesa Rosso - … voglio sapere le sue segnalazioni.

Teste M. O. - Benissimo, diciamo cinque.

Avvocato Difesa Rosso - Di queste cinque in quante occasioni si lamentava della omessa portata d’acqua o della poca portata d’acqua del by-pass?

Teste M. O. - In tutte e cinque naturalmente.

Avvocato Difesa Rosso - Quindi in tutte e cinque le occasioni ‘poca acqua e maleodorante’?

Teste M. O. - È chiaro, è collegata la cosa.

Il risultato finale era dunque che il Bosso continuava a ricevere un po’ d’acqua da Frassineta ma a un certo punto l’acqua trovava un fessura - subito chiamata dalla gente del posto “inghiottitoio” - e il rigagnolo d’acqua spariva. Dopo un po’ c’era però il bocchettone del tubo del by-pass che ributtava le acque del Bagnone rinforzato dall’acqua di galleria ed il rigagnolo del Bosso ripartiva.

Così le fantasmagoriche opere di mitigazione CAVET avevano trasformato un fiume incontaminato con le trote in un rigagnolo ad intermittenza.

E non si pensi sia un fatto unico.

Anche il Diaterna è diventato un fiume intermittente. Infatti il ramo di Caburaccia ad un certo punto si interra, si secca e dopo, alla confluenza con il ramo di Castelvecchio, ricompare ma anche questo grazie al contributo dell’acqua di galleria.

Il bello è che il by-pass Bagnone-Bosso non ha neppure assicurato questo scarso risultato perché come i lavori di CAVET in galleria sono finiti, CAVET ha staccato la corrente e se ne è andata con buona pace degli abitanti di Luco che, sparito il Bosso, si sono ritrovati in pratica con le fogne a cielo aperto.

La riuscita di quest’opera di mitigazione pertanto non è solo scarsa, ma neppure duratura eppur digerendo di mala voglia l’assunto che possa essere ritenuta una mitigazione il “travasare” l‘acqua da un fiume ad un altro.

CAVET, quando ha chiuso i cantieri, con quelli ha chiuso anche la pompa di sollevamento e se n’è andata lasciando a secco tutti, con successivi problemi per il Comune di Borgo S. Lorenzo che ha dovuto emettere l’ordinanza n. 210 del 28.6.05 che imponeva a CAVET di riattivare il by-pass, ordinanza poi revocata con la successiva ordinanza n. 233 del 19.7.05, etc. etc. con il finale - ad oggi - di totale inattività di tutte le opere di rilancio sul torrente Bagnone e di conseguenza sul torrente Bosso, e con il paradosso del consulente Celico che vuole denunciare gli abitanti di Luco perché inquinano.

 

Questo è livello delle opere di mitigazione.

 

Ma, incredibile a leggersi, il by pass Bagnone – Bosso a pg. 183 della sua CT è portato dal dr. Celico come esempio di dimostrazione di “sensibilità ed efficienza” da parte del Consorzio Cavet.    “Sensibilità ed efficienza”, scritto in neretto nel testo.

 

Ma possiamo continuare.

 

A Santo Stefano a Cornetole a Campomigliaio, frazione di San Piero a Sieve, [...] alla U. Z. e a D. I. seccano le sorgenti nel 2000. Nel 2005 quando li sentiamo è 5 anni che vanno avanti con autobotti e serbatoi ed aspettano di essere attaccati all’acquedotto.

Teste D. I. - Oltre la mancanza dell’acqua naturalmente si può immaginare cosa vuol dire far passare un’autobotte su una strada vicinale, sterrata, almeno tre o quattro volte al mese e l’attraversamento del giardino che non esiste naturalmente più perché ogni volta che passa l’autobotte lascia il segno; naturalmente il controllo per non rimanere acqua è totalmente a mio carico, cioè non è che c’è una data fissa in cui l’autobotte viene ma bisogna che controlli che il serbatoio finisca o meno; l’anno scorso il serbatoio precedente si è rotto, sono rimasto altri quindici giorni senz’acqua perché prima hanno tentato di ripararlo e naturalmente era irreparabile… un acquedotto con 5000 litri d’acqua la pressione… come si può pensare di risaldare della plastica non lo so, ma insomma hanno tentato di ripararlo, sono rimasto altri quindici giorni senz’acqua prima che si decidessero di riportare un nuovo serbatoio; la strada l’ho già rifatta una volta e probabilmente mi toccherà rifarla nuovamente se voglio passarci con degli autoveicoli. Questo il minimo, senza contare il disagio di avere appunto quattro persone che sono cinque anni…

Prosegue D. I. - …Nel 2003 io sono stato contattato da un ufficio tecnico di una compagnia di assicurazione, l’Ausonia, in Milano mi sembra, per conto del CAVET, in cui mi si diceva che rispetto al danno che avevo subito la cosa faceva parte dell’accordo dell’addendum che era stato fatto tra la Regione Toscana e CAVET o chi per lui e che ci sarebbe stato un intervento di realizzazione di un acquedotto tra il Comune di Vaglia e il Comune di San Piero e che a quel punto ci sarebbe stato un intervento anche per la mia abitazione e che comunque CAVET garantiva fino al momento dell’allacciamento all’acquedotto la fornitura con le autobotti, che sarebbe continuato il servizio. Quindi io, a quel punto, un’assicurazione mi contatta rispetto a quello, ritengo che da parte del CAVET a quel punto ci sia stato il riconoscimento.

Pubblico Ministero - Quindi, cambiando argomento, se capisco bene ora il problema è allacciarsi all’acquedotto… cosa? comunale? che acquedotto sarà?

Teste D. I. - Ritengo che sia un acquedotto comunale.

Pubblico Ministero - Ma è una cosa in prospettiva quindi?

Teste D. I. - In questa lettera mi si parlava di un progetto che doveva essere fatto nel 2003 e l’allacciamento nel 2004, a questo punto…

Pubblico Ministero - Siamo nel 2005.

Teste D. I. - … siamo nel 2005 e i lavori devono ancora iniziare.

 

A Luco nel luglio 2000 seccano la sorgente d’acqua pura e potabile della sig.ra V. D., la vicina del sig. A. C., quello del terreno di mais sgonfiato. CAVET gli batte provvisoriamente un pozzo che va però manutenuto, ha bisogno dei filtri perché viene acqua ferrosa. Il pozzo funziona un po’ così e così, tra quando si rompe la pompa, tra quando va via la luce, e la V. D. resta spesso senz’acqua.

Ma ora lasciamo perdere. Facciamo finta che l’opera di mitigazione sia l’allaccio definitivo all’acquedotto e sentiamo cosa dice la V. D..

Teste V. D. - Sì sì sì, mai mancato l’acqua fino al luglio del 2000.

Pubblico Ministero - E dopo ha detto che un po’ sì un po’ no, però più che altro vi approvvigionate da questo pozzo nuovo.

Teste V. D. - Eh, quella doveva essere una situazione provvisoria perché nel 2001 abbiamo avuto un incontro e lì era stato deciso con accordo che io fossi allacciata all’acquedotto, quindi io sono quattro anni che sto aspettando questo allacciamento all’acquedotto.

Pubblico Ministero - A un acquedotto pubblico?

Teste V. D. - Sì.

Pubblico Ministero - Ma lei prima la pagava?

Teste V. D. - No, io no, io avevo solo la sorgente.

Pubblico Ministero - Per capire la differenza se funziona … non so se è stato pattuito, quali fossero gli accordi, quali fossero le cose che le sono state prospettate, nel senso se il nuovo acquedotto… chi pagherà la bolletta dell’acquedotto?

Teste V. D. - È quello che mi chiedo anch’io.

Pubblico Ministero - Ah, quindi non è stata decisa questa cosa?

Teste V. D. - No, perché dal 2001 in pratica, dopo quell’incontro lì,  io non ho avuto più notizie.

Pubblico Ministero - Ah, siete fermi lì.

Teste V. D. - Sì, siamo fermi lì.

La V. D. è stata sentita nel 2005. Dopo 5 anni.

 

A C. V. tagliano l’acquedotto e gli mettono un tubo volante di acqua sporca di galleria e lo mandano avanti così per sei mesi.

 

Per il torrente Ensa, CAVET dà al sig. F. 260 metri di lamiera zincata per fare un letto del fiume artificiale in grado di passare una fessurazione ed assicurare il funzionamento del Mulino [...].

 

R. dell’azienda [...], visto che non si costituisce parte civile e che fa solo una denuncia per senso civico, rimettendosi all’operato degli organi competenti, non fanno nulla. Eppure con l’acqua del Cardetole dava da bere alle sue mucche dal 1962, da 40 anni e mai si era seccato. Lo seccano nel 2000 e lui come dice testualmente, “si va sul mercato, si è preso un escavatore” e si fa da solo e a sue spese un piccolo invaso.

È triste, ma si deve desumere che il solo senso civico in Italia non solo non paga, ma ti ci fa rimettere.

 

Nulla neanche per la sig.ra M. alla quale seccano un pozzo a S. Piero, loc. Casenuove Taiuti, nonostante Cardu fosse andato a fare un sopralluogo e gli avesse detto di non preoccuparsi che ci avrebbero pensato loro.

 

Questi gli interventi di mitigazione.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 21]

 

 

“È DA PROVARE CHE UN GEOLOGO SI ARRISCHI A VALIDARE UN PROGETTO PER LA COSTRUZIONE DI UNA CASA PRIVATA SE NON È TRANQUILLO SU QUELLO CHE POTRÀ ACCADERE. [...] FORSE DOBBIAMO CONCLUDERE CHE NEL REALIZZARE OPERE PUBBLICHE SI POSSA ESSERE PIÙ “SPORTIVI”, SI POSSA OSARE DI PIÙ?”.

 

 

7) ... SALVO L’IMPREVEDIBILE, PERCHÈ LA GEOLOGIA NON È UNA SCIENZA ESATTA (E IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE?).

 

 

Quindi, secondo CAVET, tutto previsto e comunque mitigato.

Salvo l’imprevisto però, è ovvio.

Gli impatti imprevisti ammessi da CAVET (v. test. Bollettinari) sono:

-        gli impatti sui fiumi (le previsioni, abbiamo visto quanto poi azzeccate, citavano comunque solo il Carza e Carlone);

-        la sorgente Castelvecchio;

-        Casa d’Erci, che si è seccata in due ore invece che in un anno e mezzo;

-        la sorgente La Rocca.

Impatti imprevedibili fino ad un certo punto, diciamo noi … perché, abbiamo già detto, c’è chi li aveva previsti, e rimandiamo a Rubellini. Già il gruppo di lavoro della Regione nel ’95, di cui faceva parte Rubellini, aveva avvisato che doveva essere approfondito il tema degli impatti sui corsi d’acqua. [...] Ma CAVET, per bocca di Celico, ci dice “Che volete da noi. Non sapete che l‘idrogeologia non è una scienza esatta? Che vi è la chiara impossibilità di effettuare previsioni certe?” (Cap. 2.1.2 della CT di Celico).

Ora, se il dr. Celico si fosse fermato qui, si sarebbe potuto anche sorvolare, visto che l’assunto difensivo certo non sconvolge chi di mestiere fa i processi e in mille occasioni si è trovato a valutare fatti non rapportabili a scienze esatte, come la psichiatria, la grafologia, la ricostruzione dinamica di incidenti stradali, la medicina, la psicologia, ecc. ecc. E non avremmo certo perso tempo a spiegare l’ovvio, ovvero che gli imputati non sono stati certamente chiamati in giudizio per non essersi dotati di una sfera di cristallo dell’ultimo tipo.

Ma il dr. Celico si spinge oltre.

Si spinge fino a sostenere la bontà del metodo usato da CAVET nello scavo delle gallerie per, come dice lui, successive approssimazioni, che, dice, “non è un’invenzione di comodo”, ma “...un’accorta ed oculata metodologia di indagine” (pg. 57).

 

Vediamo perché siano giuridicamente inaccettabili gli assunti del dr. Celico.

 

Il dr. Celico introduce il concetto di sorpresa geologica citando l’art. 1664, II comma, del Codice civile richiamato a suo tempo dall’art. 25 della legge n. 109/94, oggi sostituito dall’art. 132 del D.lgs. 163/2006. La cosa è interessante, fa un bell’assist Celico, la sorpresa geologica nella disciplina di settore delle opere pubbliche è citata tra le cause che legittimano le “varianti in corso d’opera”.

“Art. 132. Varianti in corso d’opera (artt. 19, comma 1-ter, e 25, legge n. 109/1994).

1. Le varianti in corso d'opera possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei lavori, esclusivamente qualora ricorra uno dei seguenti motivi:

a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;

b) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento, o per l'intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell'opera o di sue parti e sempre che non alterino l'impostazione progettuale;

c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d'opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale;

d) nei casi previsti dall'articolo 1664, comma 2, del codice civile;

e) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione all'Osservatorio e al progettista.

2. I titolari di incarichi di progettazione sono responsabili per i danni subiti dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della progettazione di cui al comma 1, lettera e). Nel caso di appalti avente ad oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori, l'appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d'opera a causa di carenze del progetto esecutivo.

3. Non sono considerati varianti ai sensi del comma 1 gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti entro un importo non superiore al 10 per cento per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5 per cento per tutti gli altri lavori delle categorie di lavoro dell'appalto e che non comportino un aumento dell'importo del contratto stipulato per la realizzazione dell'opera. Sono inoltre ammesse, nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, le varianti, in aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua funzionalità, sempre che non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L'importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5 per cento dell'importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera.

4. Ove le varianti di cui al comma 1, lettera e), eccedano il quinto dell'importo originario del contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto e indice una nuova gara alla quale è invitato l'aggiudicatario iniziale.

5. La risoluzione del contratto, ai sensi del presente articolo, dà luogo al pagamento dei lavori eseguiti, dei materiali utili e del 10 per cento dei lavori non eseguiti, fino a quattro quinti dell'importo del contratto.

6. Ai fini del presente articolo si considerano errore o omissione di progettazione l'inadeguata valutazione dello stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali”.

Nel ribadire il divieto delle varianti in corso d’opera la legislazione fa salvi cinque casi, di cui quattro connessi ad eventi imprevedibili, quali ad esempio la modifica della legislazione e la sorpresa geologica.

Quindi cosa si desume? Si desume la conferma di ciò che questa Procura ha sempre sostenuto. Non stiamo celebrando un processo per un delitto colposo, per un difetto di “previsione”, ma l’opposto, ovvero un processo per dolo, perché, una volta conseguita la consapevolezza degli effetti del progetto esecutivo redatto non ci si è attivati - anche e proprio con varianti in corso d’opera - per elidere gli effetti devastanti di ciò che si andava a fare.

Quindi, seguendo il ragionamento del dr. Celico, e condiviso il concetto che la idrogeologia non sia una scienza esatta, non è accettabile che da questa affermazione se ne possa trarre come corollario il fatto che tutto è permesso e che qualsiasi conseguenza negativa debba essere gioco forza accettata e subita.

[...]

Ripetiamo: la legge considera errore o omissione anche l’inadeguata valutazione dello stato di fatto. E allora può essere una esimente sostenere che la idrogeologia non è una scienza esatta? Riteniamo di no se ci ricordiamo tutte le fasi che ci hanno portato ai danni per cui oggi si è celebrato questo processo.

Ricordiamoci che siamo partiti da una relazione Broili, citata dal dr. Celico come esempio di ottimo lavoro previsionale, che attesta che per ben 21 chilometri di tracciato CAVET non ha nessuna informazione riguardati pozzi e sorgenti. Ribadiamo. CAVET non sapeva nulla, per inefficienza propria, di cosa avrebbe incontrato per 21 chilometri, ma questo ha poco a che fare con la questione che l’idrogeologia non è una scienza esatta.

 

Se la geologia poi non è una scienza esatta, non deve allora operare il principio di precauzione?

La domanda è già stata già posta in sede dibattimentale al dr. Bollettinari che ha dato una certa risposta che continuiamo a non ritenere convincente.

È da provare che un geologo si arrischi a validare un progetto per la costruzione di una casa privata se non è tranquillo su quello che potrà accadere, così com’è da provare se quello stesso geologo ci mette la firma o meno se non è più che sicuro o se non ha preso tutte le precauzioni del caso. Forse dobbiamo concludere che nel realizzare opere pubbliche si possa essere più “sportivi”, si possa osare di più?

E poniamo nuovamente una domanda già posta. Non si dovrebbe operare sempre e comunque per il meglio nel massimo rispetto delle generazioni future, specialmente quando in gioco ci sono beni vitali e preziosi come l’acqua?

Il dr. Celico si è invece già risposto confermando la bontà del metodo sopra enunciato “della successiva approssimazione” e chiama a testimone l’intera comunità scientifica mondiale. Conclude infatti il Dr. Celico che dai lavori di scavo in galleria la Comunità scientifica ha tratto un grado di conoscenza scientifica che non era preesistente e dovuta proprio grazie all’esperienza effettuata nelle gallerie dell’Alta velocità ferroviaria (pg. 67). Citando il teste Mirri il prof. Celico ci rappresenta che tale esperienza ha permesso anche di organizzare numerosi “convegni ai quali hanno partecipato geologi di tutto il mondo, inclusi quelli della Cina, Giappone, USA e UE che ne hanno rimarcato l’interesse scientifico con molte domande e vivaci discussioni” (Pg. 71). La cosa non pare provi troppo a favore degli imputati. È come dire che oggi, grazie alle lavorazioni che hanno comportato l’utilizzo dell’amianto, gli scienziati e i medici hanno potuto organizzare molti convegni e ora sanno molto di più sul mesotelioma polmonare.

 

Quindi non dubito affatto della circostanza che si siano tenuti convegni sugli scavi dell’Alta Velocità nel Mugello, ma non diventano accettabili per questo motivo i riferimenti all’asserita legittimità - perché di questo stiamo parlando - di una metodologia per successive approssimazioni quali quelle concretamente poste in essere nel caso del Mugello.

E questo è il “principio di precauzione”. E non si pensi che il principio di precauzione sia una invenzione della Procura. Visto che stiamo trattando della realizzazione di una delle opere più imponenti di Italia realizzata da un consorzio formato da colossi dell’imprenditoria nazionale, ci si sarebbe aspettati che fossero questi stessi soggetti ad esigere da loro stessi un comportamento adeguato per poter competere anche sui mercati esteri, primi fra tutti quelli europei, ma così non è stato. Forse proprio perché non si è in grado di competere in mercati maturi quali quelli europei magari si ripiega su quello interno e su qualche altro mercato più arretrato.

Diciamo questo perché sembra davvero difficile ipotizzare che possa essere esportato in Europa un progetto come quello della tratta Firenze-Bologna che non viene appaltato in regime in concorrenza ed all’esito di una gara europea, che alla fine costerà il doppio se non di più del preventivato e che prevede lo smaltimento delle rocce da terra e da scavo in base ad una legge ad hoc per la quale la Repubblica Italiana è stata condannata proprio in sede europea.

E qui, tornando al tema che stiamo trattando, si deve evidenziare come il principio di precauzione, e insieme quello dell’azione preventiva, sono i principi che devono guidare, in modo prioritario, le scelte ambientali in Europa. E non è un auspicio, è norma di legge. Lo impone l’art. 174, par. 2, del Trattato della Comunità Europea: La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.

Testuale. E scusatemi se è poco. Cioè, non è la requisitoria del Pubblico Ministero: è un articolo del trattato della Comunità Europea.

Ecco dunque perché non pare esportabile un progetto che non rispetta proprio il principio di precauzione e che viola uno dei principi contenuti nel Trattato della Comunità Europea, e perché non convincono le teorie del prof. Celico e del dr. Bollettinari.

Il principio di precauzione è diritto positivo vigente. Ma c’è di più. Oggi, il principio di precauzione è diritto positivo vigente anche secondo l’ordinamento italiano. L’art. 3 ter del Decreto legislativo ambientale n. 152/2006, per come di recente modificato dal Decreto legislativo correttivo n. 4 del 16.1.08, testualmente recita: “La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell’articolo 174, comma II, del Trattato delle Unioni Europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”.

Finalmente in modo espresso anche nella legislazione italiana: ma solo come “repetita iuvant”, in quanto il principio era già vigente essendo, come detto, già contenuto del trattato della Comunità europea. Era principio giuridico consolidato, necessario corollario di uno stato di diritto che costituzionalmente tutela il paesaggio.

Più banalmente sembrerebbe anche solo un principio di buon senso, ma tant’è.

 

È sempre principio giuridico consolidato, in sede penale però, invece, il principio per cui, nel dubbio che si possa realizzare un evento, ci si debba astenere dal tenere la condotta che lo può cagionare. Comportarsi diversamente significa accettare che l’evento si realizzi e quindi doverne sopportare le debite conseguenze.

E allora credo che proprio sì, debba rispondere in sede penale chi non rispetti quella legge espressamente che ti dice che quando ti rendi conto che la cosa che stai facendo non corrisponde a ciò che hai progettato ti devi fermare, prenderne atto, e comportarti di conseguenza, approntando proprio quelle varianti necessarie in corso d’opera che ti permettano di agire come dovuto.

 

Chiudendo il cerchio faccio un esempio [...]. Una società farmaceutica vince l’appalto di un ministero della sanità e deve vaccinare 1000 bambini con un vaccino da lei prodotto. Non fa test antivaccinazione, si informa a malapena sulle allergie dei bambini, non informa i genitori dei rischi, e non acquisisce sottoscrizioni di un consenso informato. Comincia in corso d’opera, monitora qualche bambino qua e là, gli misura la febbre, e dopo 20 vaccinazioni ne muoiono 3. Alla prima famiglia un dottore le dice che è colpa di una malattia tropicale, della siccità. A un’altra le dice che forse il bambino non è morto, ma che tra cinque anni si riprenderà [...], fa mettere a verbale una dichiarazione [...] partecipa alle spese per il funerale [...].  Alla terza famiglia le dice che no, il fatto era imprevisto, e che la medicina non è una scienza esatta, che è vero. Quindi si continua con le vaccinazioni, si va avanti, dopo 1000 ne muoiono altri 47, per cui su 1000 bambini ne muoiono 50. Grazie a questa vaccinazione la Comunità scientifica internazionale fa vivaci e gremiti convegni [...],  sa tutto su questa malattia e sugli effetti collaterali del vaccino.

E io come Pubblico Ministero non dovrei fare un processo a questa società farmaceutica? [...]  No, io procedo per omicidio volontario e chiederei la condanna di questi soggetti.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 22]

 

 

“SECONDO IL PROF. CELICO, MEGLIO TUTTA L’ACQUA IN PUNTO CHE IN TRENTACINQUE PUNTI DIVERSI QUANTE SONO LE SORGENTI IMPATTATE [...].

ORBENE, IN ATTESA CHE IL MUGELLO DIVENTI LA NUOVA SILICON VALLEY ITALIANA GRAZIE A QUESTA GRANDE DISPONIBILITÀ D’ACQUA DOVUTA A CAVET, IO CI VEDO UNO SVANTAGGIO.

A ME VIENE IN MANIERA SUPERFICIALE DA PENSARE CHE SE C’È UN PUNTO D’ACQUA TUTTO LÌ, IN UN  POSTO SOLO, E IO FACCIO 500 METRI, SE VOGLIO BERE DEVO TORNARE INDIETRO. HO FATTO UN CHILOMETRO E SONO AL PUNTO DI PARTENZA. SE HO 35 PUNTI D’ACQUA AD UN CHILOMETRO L’UNO DALL’ALTRO, CIÒ MI PERMETTE DI SPOSTARMI PER 35 CHILOMETRI SENZA PORTARMI DIETRO NEMMENO UNA BORRACCIA: SARÀ MEGLIO CHE AVERE TUTTA L’ACQUA IN UN PUNTO SOLO”.

 

 

8) ... COMUNQUE C’È L’ASSICURAZIONE DI BOLOGNA.

 

 

Alla peggio, come già anticipato, ci penserà comunque “l’assicurazione di Bologna”, come l’ha denominata il dr. Bechelli, responsabile TAV.

E l’assicurazione c’è davvero.

Forse non è di Bologna, forse è di Milano, l’Ausonia. Ma c’è.

C’è, ma funziona in modo un po’ anomalo.

Compare e scompare, e ha un rapporto strano con la siccità. A volte arriva prima, a volte dopo la siccità.

Con D. I. arriva dopo la siccità.

Teste D. I. - Allora, dopo la prima lettera per primo è venuto il professor Rodolfi che è dell’OAL, Osservatorio Ambientale Locale, poi sono venuti due tecnici dell’ARPAT, poi è venuto personale dell’Italferr però non ricordo il nome, un geologo che si presentò della Fiat Engineering… se ricordo bene il nome è Bollettinari o qualcosa di simile…questo geologo Bollettinari della situazione diceva che probabilmente era una questione meteorologica perché in quell’anno era nevicato poco, c’era poca pioggia, e quindi probabilmente imputava il disseccamento della sorgente a un problema meteorologico.

E a domanda difesa:

Teste D. I. - Io di questo riferimento alla situazione meteorologica lo ricordo perfettamente anche perché l’anno successivo ho riscritto nuovamente dicendo ‘L’anno scorso la situazione meteorologica poteva anche essere così, nel 2001 adesso è piovuto…’”.

Non risultano risposte, se non il fatto che di lì a poco il sig. D. I. riceverà una telefonata dall’assicurazione Ausonia di Milano.

Teste D. I. - … non sono sicuro. Comunque, diciamo, c’è stato tutto questo controllo da parte del geologo Agnelli. Nel 2003 io sono stato contattato da un ufficio tecnico di una compagnia di assicurazione, l’Ausonia, in Milano mi sembra, per conto del CAVET, in cui mi si diceva che rispetto al danno che avevo subito la cosa faceva parte dell’accordo dell’addendum che era stato fatto tra la Regione Toscana e CAVET o chi per lui e che ci sarebbe stato un intervento di realizzazione di un acquedotto tra il comune di Vaglia e il comune di San Piero e che a quel punto ci sarebbe stato un intervento anche per la mia abitazione e che comunque CAVET garantiva fino al momento dell’allacciamento all’acquedotto la fornitura con le autobotti, che sarebbe continuato il servizio. Quindi io, a quel punto, un’assicurazione mi contatta rispetto a quello, ritengo che da parte del CAVET a quel punto ci sia stato il riconoscimento.

 

A volte l’assicurazione arriva però prima della siccità come nel caso di F. M. che rifiuta l’offerta e l’assicurazione per comporre bonariamente la questione e, dopo il rifiuto, gli arriva la lettera della CAVET che gli dice della siccità.

 

Dal punto di vista dei danneggiati non pare che l’assicurazione di CAVET sia una assicurazione su cui fare molto affidamento.

Comunque resta il principio più volte espresso. In uno stato di diritto, in casi come questi, la tutela dei cittadini è anche ex-­ante, non solo ex-post. La tutela dei cittadini non è delegabile alle assicurazioni di CAVET.

 

 

9) ... COMUNQUE GLI INTERVENTI CAVET SONO MIGLIORATIVI DELLA SITUAZIONE PREESISTENTE.

 

 

È la parte smaccatamente “aziendale” della CT di Celico ed è a pg. 541. Egli indica gli svantaggi e vantaggi del nuovo equilibrio idrogeologico.

Nel nuovo equilibrio idrogeologico si hanno i seguenti svantaggi:

-        l’abbassamento della quota di disponibilità della risorsa idrica;

-        il prosciugamento, in magra, di alcuni tratti di corsi d’acqua;

-        il prosciugamento di alcuni pozzi e sorgenti.

Niente da dire, siamo d’accordo su tutta la linea. Vuol dire che i fatti non se li è inventati il Pubblico Ministero. Vuol dire che i fatti contestati dalla Procura sono oggettivi e riscontrati.

A ciò si aggiunge l’ulteriore conferma data dal CT Bollettinari che, a tutto concedere alla difesa, indica la differenza tra la tesi dell’accusa e quella della difesa dei quantitativi d’acqua dispersi – solo a livello di sorgenti – in misura del 20%. In verità la differenza è del 7% per i CC.TT dell’accusa, ma poco rileva.

Comunque questi sono gli ordini di grandezza della diversa valutazione degli impatti tra difesa ed accusa. Una differenza che non mai va oltre il 20%.

È sui vantaggi che proprio non vi è la possibilità di addivenire a conclusioni condivise.

Vantaggi sarebbero quelli derivanti:

-        dalla trasformazione di acque superficiali in sotterranee;

-        dal notevole incremento delle disponibilità idriche;

-        dalla concentrazione delle disponibilità idriche;

-        dalla possibilità di utilizzare l’acquifero come “serbatoio stagionale”;

-        dalla necessità di sostituire:

·        alcuni piccoli acquedotti privati;

·        alcuni piccoli acquedotti pubblici.

Io non li capisco. Non ci vedo nessun vantaggio in tutte queste cose qua.

Sui fiumi che diventano carsici e spariscono i pesci non ce lo vedo, sono limitato. Non si riesce veramente a vedere nessun vantaggio nel trasformare un’acqua superficiale (fiume, torrente?) in acqua sotterranea. Basti ricordare la scomparsa della fauna ittica, il perdere la possibilità di godere della vista e dell’utilizzo (economico e non) del fiume, per ritenere difficile condividere questo assunto del dr. Celico.

Pare azzardata anche la tesi del notevole incremento delle disponibilità idriche. Ora, se è certamente vero come dice la difesa CAVET, che CAVET non ha distrutto l’acqua, pare però anche che, secondo il famoso principio che nulla si distrugge, debba valere anche l’opposto, ovvero che nulla si crea o, perlomeno, che se qualcuno crea questo non sia CAVET.

Anche la tesi dell’ipotesi migliorativa come conseguenza della concentrazione dell’acqua sembra del tutto opinabile.

Secondo il prof. Celico, meglio tutta l’acqua in punto che in trentacinque punti diversi quante sono le sorgenti impattate. [...] Celico a pag. 234 riporta l’iperbole per cui la disponibilità idrica attuale, ancorché a quota più bassa, è costituita da “quantitativi idrici che possono far decollare l’economia locale”. Affermazione, quest’ultima, scritta addirittura in neretto, quindi seria, profondamente sentita e creduta.

Orbene, in attesa che il Mugello diventi la nuova Silicon Valley italiana grazie a questa grande disponibilità d’acqua dovuta a CAVET, io ci vedo uno svantaggio.

A me viene in maniera superficiale da pensare che se c’è un punto d’acqua tutto lì, in un  posto solo, e io faccio 500 metri, se voglio bere devo tornare indietro. Ho fatto un chilometro e sono al punto di partenza. Se ho 35 punti d’acqua ad un chilometro l’uno dall’altro, ciò mi permette di spostarmi per 35 chilometri senza portarmi dietro nemmeno una borraccia: sarà meglio che avere tutta l’acqua in un punto solo. Non lo so se va bene per gli animali, [...] per chi ha le attività economiche, per gli agriturismi, non lo so: Celico ci dice che decollerà il Mugello. Non sappiamo quale dei due territori oggetto degli esempi si possa ritenere migliore, più ricco, e quale dei due abbia più possibilità di decollare economicamente.

 

E visto che si parla di economia, parliamo di soldi, che è l’unica cosa che tutti sembrano capire di questi tempi. Il dr. Celico tra gli svantaggi indica il prosciugamento di alcuni pozzi e sorgenti.

Tra i vantaggi la necessità di sostituire:

·        alcuni piccoli acquedotti privati;

·        alcuni piccoli acquedotti pubblici.

A parte il fatto che, nel corso del dibattimento, pare di aver raccolto testimonianze di gente arrabbiata perché gli hanno seccato il pozzo, la sorgente, l’acquedotto, controlliamo se risulti che qualcuno fosse andato dal prof. Celico a rappresentare la necessità di sostituirgli piccoli acquedotti pubblici o privati e per vedere se davvero c’era gente contenta, che meno male che ora era arrivata l’Alta Velocità, così ora tutti avevano avuto l’acquedotto nuovo.

Ma questa cosa non risulta. Risultano, come detto, le testimonianze di gente arrabbiata e che tra le varie recriminazioni avanzava una precisa rivendicazione: chi ci pagherà la bolletta dell’acqua?

Il problema dei costi ce lo ricordano L. N., A. B. e C. D., B. F. ed anche M. S., al quale quelli dell’acquedotto gli hanno fatto pagare l’aria invece che l’acqua.

Della non necessità di tale asserita “miglioria” basta leggersi A. Z. e B. V. che, paradossalmente, l’avevano già l’acquedotto e si erano addirittura voluti staccare ripristinando un pozzo autorizzato dal Genio, pozzo che gli è stato seccato e ora vanno ad autobotti.

 

Ma leggiamoci alcuni passi.

 

A L. N. seccano due pozzi a Cerreto Maggio. Due pozzi inutilmente monitorati visti i risultati finali.

Pubblico Ministero - Perché oggi lei è attaccato all'acquedotto?

Teste L. N. - Sì, oggi sì.

Pubblico Ministero - Acquedotto di chi?

Teste L. N. - Del Comune.

Pubblico Ministero: Del Comune. Paga una bolletta?

Teste L. N. - No.

Pubblico Ministero -  Chi paga?

Teste L. N. - Per ora nessuno. Però mi è stato detto che a giugno verranno a mettere i contatori  bisognerà pagare la bolletta dell'acqua. Non mi sembra giusto.

 

Pubblico Ministero - Pagate la bolletta?

Teste A. B. - Certo, e cara! Prima non si pagava niente e ora…

 

C. D. ha poi un ristorante che si permetteva di mettere in tavola le caraffe con l’acqua di sorgente.

Teste C. D. - Ma, io in tutta onestà non c’ho capito molto, abbiamo protestato, però… anzi, alcuni che lavorano al CAVET proprio alcuni giorni fa mi hanno detto ‘Ma come mai pagate le bollette dell’acqua quando le deve pagare il CAVET?’, le paghiamo addirittura, a me arriva regolarmente una bolletta dell’acqua… anzi le dirò che pago 400 euro di acqua ogni tre mesi (avendo l’attività chiaramente ne consumo), contro 100.000 lire che pagavo all’epoca all’anno.

 

Arriviamo poi al sig. M. S.. Improvvida domanda della difesa.

Avvocato Difesa - ... Senta, lei è agganciato all'acquedotto ora?

Teste M. S. - Sono agganciato all'acquedotto, addirittura se la va a vedere ora lì, alla società dell'acqua, gli ho mandato una lettera, che io sono sempre senz'acqua. E il contatore gira anche con l'aria. Ora l'è bene, se lei non lo sa glielo dico io.

Avvocato Difesa - Sì...

Teste M. S. - Mi è arrivato uno sproposito d'acqua da pagare che io non ho consumato. E allora gli ho fatto...

Avvocato Difesa - Che il contatore gira con l'aria?

Teste M. S. - Gira anche con l'aria.

Avvocato Difesa - Ho capito.

Teste M. S. - E io non lo sapevo e loro non lo dicono ai cittadini. Siccome m'è arrivato uno sproposito... io pagavo una bischerata d'acqua che consumavo normalmente, una sciocchezza, mi è arrivato un monte di quattrini da pagare, mi sono... ho fatto ricorso. Ho fatto ricorso e loro m'hanno ringraziato. Dice: 'guardi, s'è sbagliato, dipende da noi... non deve pagare nulla’. E tutto è finito lì.

Avvocato Difesa - Va bene, via.

Giudice - Speriamo che non trasferiscano quel tecnico.

Teste M. S. - Ecco.

Avvocato Difesa - Nessun'altra domanda. Grazie.

Questo il sig. M. S., che ha pagato l’aria invece che l’acqua, grazie all’acquedotto nuovo.

 

È sempre la difesa ad introdurre la storia dell’acquedotto ed a scatenare le ire dei testi. [...] Al sig. V. V.. gli seccano una sorgente ultracentenaria e lo costringono ad attaccarsi all’acquedotto di Imola. E non è per niente contento. [...] La L. T. è quella invece che ha il marito che da quando beve l‘acqua dell’acquedotto gli brucia lo stomaco. Altri, che pure avevano l’acqua ed ora non ce l’hanno più, magari vorrebbero essere anche attaccati all’acquedotto, ma l’acquedotto non glielo fanno.  Casi come quello del sig. V. A., che vive in una casa isolata ed il costo dell’allaccio è troppo alto per una utenza sola, per cui resta senza. [...]

 

Quindi CAVET provvede e mitiga. A spese del danneggiato però.

E perché dovrebbero essere contenti?

Qual è il vantaggio per loro? Quello di pagare una bolletta che non avevano mai pagato per bere acqua di condotta invece che acqua di sorgente?

 

Strisciante è passata però un’altra versione di questo fatto.

Ora ci sono gli acquedotti, prima invece i mugellesi prendevano l’acqua senza pagarla. Non si è capito bene se si volesse dire che la rubavano.

Ma chi l’ha detto che la rubavano?

La rubava chi ce l’aveva dall’800? Chi con la legge Galli avrebbe maturato un vero e proprio diritto quesito? Chi aveva fatto tutto in regola con la sua brava concessioncina del Genio Civile?

La rubava il sig. D. I., al quale portano via l’acqua nel 2000, va a serbatoio ed autobotti e nel 2005 ancora aspetta di essere attaccato all’acquedotto?

Siamo ostinati. Non ci vediamo alcun vantaggio in tutto questo. Non è che è sia proprio CAVET che ha “rubato”, questa volta “rubato” tra virgolette, l’acqua ai mugellesi?

Poi CAVET è accusata anche per aver rubato l’acqua, e questa volta rubato senza virgolette, ma di quest’altro capo di imputazione come detto, parleremo poi.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 23]

 

 

“SE SI È TITOLARI DI UNA POSIZIONE SOGGETTIVA FAVOREVOLE, FINO A QUANDO NON ARRIVA UN PROVVEDIMENTO ABLATORIO QUEL SOGGETTO PUÒ STARE A CASA TRANQUILLO, NELLA CERTEZZA CONFERITAGLI DAL PRINCIPIO DI LEGALITÀ CHE NULLA DI PREGIUDIZIEVOLE GLI PUÒ CAPITARE. [...] I CITTADINI VANNO INFORMATI NEI SENSI DI LEGGE SE HANNO POSIZIONI SOGGETTIVE INCOMPATIBILI CON L’OPERA. SE NON FOSSE COSÌ, DOVREMMO DIRE CHE I CITTADINI CHE SAPEVANO AVREBBERO DOVUTO OPPORSI TIRANDO SU LE BARRICATE E PROVOCARE TUMULTI DI PIAZZA? [...] MA QUESTA SAREBBE LA LEGGE DELLA GIUNGLA, LA LEGGE DEL PIÙ FORTE, CHE IN EFFETTI PARE SIA STATA QUELLA APPLICATA NEL CASO CONCRETO DA CAVET, IL CHE, PERÒ, È E RESTA INACCETTABILE”.

 

 

10) TUTTI SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.

 

 

Tutti sapevano TUTTO.

E’ uno dei leitmotiv della CT del prof Celico.

E senza dubbio questo è vero.

O più precisamente, è vero in parte, ma in parte è falso.

E se anche fosse vero, vuol dire qualcosa? Vediamo.

Nessuno ha mai detto o pensato che CAVET abbia eseguito la tratta Firenze-Bologna in modo clandestino, anche se poi vedremo che in effetti, alcune condotte clandestine, le ha pure tenute, tipo quando manda degli operai di notte, con una Panda con i fari bassi, a battere un pozzo nel terreno della chiesa di Paterno per svuotare la galleria, di nascosto a B. D..

Vediamo la parte non vera.

 

CITTADINANZA

La parte sicuramente non vera è quella relativa alle informazione alla cittadinanza.

Ad esempio, citando il teste Rubellini, la difesa, per il tramite di Celico, afferma che i cittadini sono stati avvisati mediante assemblee pubbliche e, quindi, che i cittadini sapevano.

Ma che discorso è?

Se valesse questo principio, fossi la difesa, avrebbe potuto osare di più e dire: ma la gente non legge i giornali? come fanno a dire di non sapere che si sarebbe costruita la tratta Firenze-Bologna?

Ma che c’entra questo?

Uno stato di diritto funziona diversamente.

Se si è titolari di una posizione soggettiva favorevole, fino a quando non arriva un provvedimento ablatorio quel soggetto può stare a casa tranquillo, nella certezza conferitagli dal principio di legalità che nulla di pregiudizievole gli può capitare.

Il fatto che uno possa leggere che si realizzerà la terza corsia dell’A1 non vuol dire che ciò autorizzi la Società Autostrade a fargli trovare una mattina le ruspe nel suo giardino senza che sia stata attivata la regolare procedura d’esproprio, e che questi si debba tenere tale sopruso. Se succede, li può denunciare tutti, anche se tutte le mattine avesse comprato 10 quotidiani e si fosse fatto una rassegna stampa e avesse saputo tutto quello che c’era da sapere sull’A1. I cittadini vanno informati nei sensi di legge se hanno posizioni soggettive incompatibili con l’opera.

Se non fosse così, dovremmo dire che i cittadini che sapevano avrebbero dovuto opporsi tirando su le barricate e provocare tumulti di piazza?

Non capisco dove porti questo ragionamento. Siccome io te lo dico in un convegno pubblico, stai zitto! Ma forse siamo al Bechelli, che nessuno oggi si sacrifica, non lo so...  Ma questa sarebbe la legge della giungla, la legge del più forte, che in effetti pare sia stata quella applicata nel caso concreto da CAVET, il che, però, è e resta inaccettabile.

Quindi i cittadini NON SAPEVANO cosa sarebbe successo loro, non hanno mai saputo quello che avrebbero dovuto sapere, e soprattutto non lo hanno mai saputo nei modi di legge, che è l’unico modo cha assume rilevanza in sede penale.

I cittadini danneggiati sono stati dunque messi di fronte al fatto compiuto.

Conferma di ciò si ha nel centinaio di testi escussi che si sono trovati senz’acqua e non c’è un foglio, un documento, un atto pubblico ed ufficiale pervenuto ad un privato che provi il contrario, ovvero che fossero preventivamente ed ufficialmente informati della revoca delle concessioni all’utilizzo dell’acqua di cui erano titolari o, quantomeno, che avrebbero subito la perdita dell’acqua.

 

Ma a sconfessare la tesi della difesa c’è anche il fatto che chi, stando attento alle cose, leggendo i giornali, ha provato ad informarsi da solo e si è attivato, non è che abbia avuto miglior fortuna. Basti pensare al sig. D. F. del consorzio dell’acquedotto Cogemo.

Pubblico Ministero - Alcuni chiarimenti. La prima cosa che ha detto, se ho capito bene, è che voi già dal ’92 avevate fatto osservazione del progetto?

Teste D. F. - Sì, ’94… insomma, ora la data in questo momento… mi sembra ’94, sì, insomma nel periodo del cosiddetto (incompr.) ambientale, quando era possibile farlo.

Pubblico Ministero - Perfetto, se ci spiega proprio la procedura ci fa piacere. Quindi voi siete stati messi a conoscenza ufficialmente dell’esistenza di un progetto?

Teste D. F. - No, siamo venuti a conoscenza dell’esistenza del progetto dalle forme di pubblicità correnti, cioè l’abbiamo seguito dai giornali e saputo anche da alcuni comitati che si erano formati spontaneamente nella zona di Cercina; questo perché, appunto, la vicinanza con Cercina ci ha permesso di conoscere…

Il sig. D. F. ha letto i giornali, si è informato nei comitati spontanei di Cercina, ha chiesto e ottenuto un sopralluogo dal Piscitelli [...] e com’è finita?

È finita male lo stesso.

Quando è andata via l’acqua alle 135 famiglie servite dal consorzio, Vellani gli ha detto che la colpa era della siccità e che comunque il cantiere stava per chiudere per l’estate e che non potevano intervenire.

Ed infatti non sono intervenuti, né allora, né mai, e il sig. D. F., dopo sette anni, è qui parte civile ad incrociare le dita sull’esito del processo.

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 24]

 

 

“LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE IN EFFETTI SAPEVANO, MA NON PERCHÉ QUALCUNO AVESSE SPIEGATO LORO QUALCOSA, MA SOLO PERCHÉ SI ERANO STUDIATE LE CARTE”.

 

 

10) TUTTI SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.

 

 

LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE

 

Ancora peggio se si va a vedere la situazione per le associazioni ambientaliste.

Le associazioni ambientaliste in effetti sapevano, ma non perché qualcuno avesse spiegato loro qualcosa, ma solo perché si erano studiate le carte. Il bello è però che le associazioni ambientaliste, per il loro sapere, e per come già detto, sono finite con il fare la figura delle Cassandre. Non solo non sono state ascoltate dalle amministrazioni competenti, ma è stato anche negato che sarebbe accaduto quanto da loro previsto, ogni volta minimizzando e sminuendo i possibili impatti dell’opera. In altre parole, e con le parole di Annigoni di Italia Nostra, le associazioni ambientaliste nel loro operare a tutela dell’ambiente si sono scontrate con un muro di gomma in ogni sede nazionale, tanto da doversi ridurre a tentare la carta dei ricorso alla Corte di Giustizia Europea.

Teste Annigoni Benedetto - Ma noi, i nostri interlocutori erano le istituzioni. Noi non abbiamo mai avuto rapporti con la CAVET, o con i diretti esecutori dell'opera. E devo dire che, per quanto mi risulta, questi rapporti anche con le istituzioni non sono stati particolarmente facili. Cioè, quello che io posso testimoniare per averlo vissuto, è una certa reticenza, il famoso muro di gomma, insomma, ecco.

Teste Annigoni Benedetto - Noi abbiamo fatto ricorsi alla Magistratura, almeno due ricorsi, due esposti. E come Italia Nostra e Idra abbiamo fatto anche un ricorso alla Corte Europea.

Pubblico Ministero - Alla Corte Europea. Ecco, si ricorda quale fosse il nocciolo delle vostre argomentazioni?

Teste Annigoni Benedetto - Ma sì, mi ricordo che il nocciolo delle nostre argomentazioni, per il primo esposto era la mancanza di qualunque garanzia per quanto riguardava la sistemazione dei rifiuti, diciamo di scavo e la loro tossicità, o meno. Nel secondo esposto noi abbiamo fatto praticamente un collage di atti pubblici, dal quale risultava una serie di responsabilità oggettive da parte delle istituzioni, nell'aver avallato e voluto questo intervenire pesante sul territorio, secondo quelle modalità con cui poi è stato realizzato. Alla Corte Europea siamo ricorsi, non trovando nessun modo di far valere le nostre ragioni in sede nazionale.

E ciò nonostante che le associazioni ambientaliste avessero previsto e tecnicamente motivato molti degli eventi poi di fatto verificatisi.

Teste Annigoni Benedetto - Ma, per esempio, voglio dire, proprio sulla base delle indicazioni fornite dai membri di Italia Nostra competenti in materia, noi sostenevamo, abbiamo sempre sostenuto che scavando a quella quota con quei criteri di scavo e quel tipo di terreno, cioè con quelle determinate caratteristiche geologiche, si sarebbe verificato quello che poi si è verificato. Cioè, mi risulta anche il monitoraggio è avvenuto sulla... una distanza di 300 metri alla linea di scavo. E noi avevamo previsto che questi danni si sarebbero verificati su una ben più ampia distanza, coinvolgendo il territorio ben più ampio, dato il carattere geologico di quella zona, così come ci era stato illustrato dai nostri membri competenti in materia, come appunto Malesani, o lo stesso presidente.

Pubblico Ministero - Quindi, se... per sintesi - mi corregga però se sbaglio, perché... si può rilevare, allora, sin dall'origine una discrepanza tra gli effetti dell'opera che voi avevate previsto e segnalato e tra quelli che vi venivano prospettati?

Teste Annigoni Benedetto - Certo. Non a noi. Veniva prospettato un impatto ambientale assolutamente inferiore e marginale. Addirittura il discorso delle acque già alla conferenza dei servizi che dette il via poi all'accordo dei vari Comuni del Mugello che fino ad allora s'erano opposti, il problema delle esposti, il problema delle acque era marginale, era considerata una cosa marginale. Mentre per noi rappresentava il pericolo maggiore.

 

Quindi le associazioni ambientaliste sapevano tutto.

E allora? Non è forse una prova a carico, non aggrava forse la posizione degli imputati non aver voluto tenere conto di quello che queste sostenevano?

 

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 25]

 

 

“È DA DIRE COME GENERALMENTE I COMUNI ABBIANO IN PARTE SUBÌTO L’OPERA, IN PARTE L’ABBIANO APPROVATA PER SENSO DI RESPONSABILITÀ [...]. UN PO’ SONO STATI MESSI NEL MEZZO”.

 

 

10) TUTTI SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.

 

 

LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

 

Quindi tutti sapevano tutto cosa? Per i cittadini non vale. Per le associazioni ambientaliste, men che meno. Abbiamo già detto: ruolo di cassandre, preveggenti. Dicono ciò che accadrà ma nessuno le crede. Fanno i loro ricorsi anche fino alla Corte di Giustizia Europea, li perdono. Tutti quindi sapevano. E anche se lo sapevano? Non vale neanche per le associazioni ambientaliste.

Arriviamo quindi alle amministrazioni pubbliche. Qui è diverso, anche perché hanno un ruolo di controllo. Però bisogna fare dei distinguo, perché non tutte le pubbliche amministrazioni partecipano all’iter formativo in condizione paritetica.

Si parte dalla conferenza di servizi. [...] Ognuno ha la sua competenza, Ministro dell’Ambiente per il VIA, il Ministero dei Beni Culturali per le zone assoggettate a tutela, il Ministro della Difesa non lo so, però c’è anche il Ministro della Difesa, la Giunta Regionale a fini urbanistici, la Provincia di Firenze per il vincolo idrogeologico, la Comunità Montana per il taglio dei boschi. I Comuni per i pareri sul progetto a fini urbanistici. Quindi non è che si arrivi proprio tutti con le stesse carte in mano. E infatti l’intervento di ispezione delle varie pubbliche amministrazioni è diverso.

Allora andiamo a vedere cosa può voler dire qui “tutti sapevano tutto”.

 

 

COMUNITÀ MONTANA

 

Prendiamo la Comunità Montana: il presidente della Comunità Montana è in conferenza di servizi per il taglio dei boschi. Insomma due di denari quando briscola è bastoni. In pratica poteri di scarsissima rilevanza.

Basta leggere la testimonianza del Presidente delle Comunità del Mugello che a domanda della difesa ribadisce la ragione della sua presenza in Conferenza dei servizi.

Teste Notaro Giuseppe - Per quanto di competenza, le ripeto, cioè io per gli espianti degli oliveti. .... Cioè, io non potevo farmi carico se a Casa d’Erci sarebbe successo o meno, questo dovevano essere altri a valutarlo, io siccome, appunto, rappresentavo un’istituzione per le mie competenze ho espresso il mio parere per la mia competenza.

Più chiaro di così. Lui aveva potere solo sugli oliveti. Ma non si fida. E infatti la Comunità Montana istituisce l’OAL che di fatto si è dimostrato uno dei pochi punti di riferimento validi per i cittadini e che si è fatto carico in modo volontaristico di oneri che certo non sarebbero dovuti gravare necessariamente proprio sulla Comunità Montana.

Pubblico Ministero - Ecco, mi scusi, che bisogno c’era dell’OAL se esisteva già un Osservatorio Ambientale nazionale?

Teste Notaro Giuseppe - L’Osservatorio Ambientale Locale nasce proprio dalla esigenza che anche in sede di Conferenza dei Servizi noi avevamo avvertito di svolgere quell’azione di tutela, e quindi anche una visione autonoma propria degli enti locali, rispetto alle problematiche chiaramente molto difficili e molto complesse che avremmo dovuto affrontare, stante anche la difficoltà degli enti locali ad avere dei supporti tecnici adeguati all’interno delle stesse amministrazioni; per cui c’è stato un lavoro molto stretto naturalmente tra i funzionari delle amministrazioni locali ma che ha trovato un punto anche di riferimento più ampio e tecnicamente molto più qualificato nell’Osservatorio Ambientale Locale che era composto da tutti esperti qualificati, era un organo tecnico a servizio appunto degli enti locali.

Pubblico Ministero - Senta, per la sua presenza proprio in Conferenza dei servizi e per la sua esperienza successiva, c’è una corrispondenza tra i disagi attesi e quelli concretamente subiti sul territorio dalle vostre amministrazioni?

Teste Notaro Giuseppe - No, credo di no, nel senso che era chiaro che avremmo avuto tantissime difficoltà, io credo che quando noi abbiamo firmato in sede di Conferenza dei servizi abbiamo fatto un atto di responsabilità partendo però anche da un atto di fiducia in chi avendo competenze molto più di noi… sinceramente il Comune ce le aveva per delle autorizzazioni di tipo amministrativo, urbanistico eccetera, la Comunità Montana se n’è parlato prima, però, fortemente perplessi e anche in difficoltà rispetto a quelle che potevano essere problemi legati appunto alla tutela del territorio, noi abbiamo pensato che fosse necessario in qualche modo non opporsi a un’opera che aveva una dimensione e caratteristiche così importanti di carattere nazionale ed europeo però nello stesso tempo svolgere un’azione di presidio, di tutela del territorio; in questo senso il discorso dell’OAL. C’è una differenza tra quello che noi percepivamo allora e quello che è successo dopo perché, dicevo prima, io non ho avuto modo di leggere naturalmente tutti gli atti in tre giorni, quindi in questo senso non ho avuto modo di avere la piena consapevolezza delle tante pagine… mi ricordo che in sede di Conferenza dei servizi all’Hotel Jolly se non sbaglio, c’erano almeno tre quattro stanze piene di incartamenti, di progetti, di cartografie, quindi non credo che nessuno di noi abbia avuto possibilità di leggere, di guardare, di studiarsi queste cose, però è chiaro che l’elemento che in qualche modo era rassicuramene per certi aspetti che quegli interventi e quei problemi di carattere idrogeologico a erano comunque tutti interventi in qualche modo reversibili, mitigabili in condizione in qualche modo di trovare una risposta; faccio una battuta perché, voglio dire, è stato anche uno dei progettisti, ora è ministro, il ministro Lunardi mi pare più volte anche su quest’opera ha sempre detto che tecnicamente tutto è risolvibile, ecco, mi pare che la realtà è stata tutt’altra, che non era possibile tecnicamente risolvere i problemi che purtroppo poi si sono manifestati, per cui i danni che secondo me oggi ci sono e sono anche danni irreversibili.

Questo è quello che sapeva un organo quale la Comunità Montana.

Sapeva che c’era la volontà politica a livello governativo e regionale di realizzare un‘opera pubblica di rilevanza nazionale che, o con il parere favorevole o con il parere contrario della Comunità Montana sul taglio degli alberi, si sarebbe fatta comunque.

E sapeva quello che veniva detto da chi avrebbe dovuto avere le competenze in materia, tipo l’ing. Lunardi, che gli interventi sul territorio erano comunque tutti interventi in qualche modo reversibili, mitigabili, che hanno sempre detto che tecnicamente tutto era risolvibile.

Parole testuali di Notaro stranamente non citate dal prof. Celico nel suo commento a questa testimonianza a pg. 434 della sua CT.

E si capisce allora perché la Comunità Montana si costituisca parte civile.

Avvocato Difesa - Nella prospettiva non mi è chiarissima la sua valutazione di questo punto: lei ha detto ‘le cose poi sono andate diversamente’, ma da punto di vista delle sue competenze, del governo del territorio e nell’ambito del territorio per quelle che sono le prerogative dell’ente da lei rappresentato, che cosa è accaduto di diverso, cioè che lei non poteva mettere in conto nel momento in cui ha dato, sia pure soggettivamente con quella carenza di conoscenza ma con l’elaborazione dell’ente alle spalle e con quei riferimenti di studio e di approfondimento da parte degli enti che hanno quelle competenze superiori che abbiamo appena individuato, ecco, che cosa c’è stato di diverso per quanto riguarda il territorio e le sue prerogative in quel territorio? perché so che c’è stato un cittadino che non ha più avuto l’acqua nel suo pozzo, so che vi è stata una sorgente che si è seccata, questo mi è noto.

Teste Notaro Giuseppe - Per quanto riguarda le competenze più strettamente amministrative molte delle osservazioni in qualche modo ho cercato di chiarirle con le domande di parte civile, nel senso che siccome molti di questi interventi poi attenevano al demanio forestale anch’io ho avuto modo di constatare una serie di carenze, di interventi, di sopravvenienze, eccetera, eccetera.

Avvocato Difesa - Ci vuole dire quali?

Teste Notaro Giuseppe - Casa d’Erci e demanio, Frassineta e demanio, Osteto e demanio, Moscheta e demanio.

Avvocato Difesa - Sì, e dunque?

Teste Notaro Giuseppe - Son tutte interferenze idrogeologiche che le ho citato, sono tutti casi specifici.

Avvocato Difesa - Che incidono, sotto il profilo del danno, lei dice, nelle prerogative della Comunità Montana, questo quindi è il suo pensiero.

Teste Notaro Giuseppe - È territorio della Comunità Montana, cioè gestito dalla Comunità Montana, territorio regionale gestito dalla Comunità Montana.

Risposta e posizioni che più lineari non si può.

Ed in sintesi si può dire che la Comunità Montana sia per l’OAL sia per il progetto TRIMM è stata una delle poche istituzioni efficaci di controllo del territorio.

Giusto per la cronaca, la nuova Legge obiettivo per le opere pubbliche esclude che alle nuove Conferenze dei servizi partecipino soggetti come la Comunità Montana.

 

 

COMUNI

 

Comuni: simile anche se con dei distinguo. Cioè, a macchia di leopardo, la posizione dei Comuni.

Nei Comuni ci si trova un po’ di tutto.

Si va da Dugheri, sindaco di San Piero, che va in Conferenza dei servizi, io non lo so, con l’attenzione che si va a comprare un litro di latte, forse a un litro di latte stai un po’ più attento perché guardi la scadenza.

Dugheri non si ricorda più o meno nulla, non si ricorda neanche un nome dei presenti alla Conferenza dei servizi.

Ora non so quante volte possa capitare al sindaco di S. Piero di partecipare a conferenze di servizi con una schiera di ministri che approvano un’opera epocale che passa proprio da S. Piero. Fatto sta, non si ricorda nulla di serio. Nemmeno il nome di un partecipante fosse solo perché simpatico o antipatico. Non si ricorda nulla e nulla sa nemmeno di quello che succede dopo.

Ed infatti lascia la patata bollente alla Ballini, il Sindaco che lo seguirà.

Poi passiamo a Rubellini.

Da funzionario regionale che si è occupato del problema Alta Velocità per la prima volta nel 1995, perché lavorava presso il Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Toscana, incaricato del parere da portare in Conferenza dei servizi, poi se n’è occupato per due mandati successivi nelle giunte comunali del Comune di Sesto Fiorentino come assessore, prima all’Ambiente e Lavori Pubblici e poi, nel secondo mandato, all’Urbanistica e Ambiente.

E non è proprio lo stesso Rubellini.

Il primo, funzionario regionale, concorre a redigere un parere puntuale, dettagliato, con rilievi motivati e richieste specifiche di adeguamento del progetti.

Il secondo, politico-assessore, entra nell’andazzo generale e diventa vago e generico.

Richiesto di dire quali provvedimenti avesse adottato il Comune nei confronti dei cittadini per gli impatti idrogeologici nel territorio di Sesto si limita a dire di aver indetto un’assemblea per dire “occhio, forse Fontemezzina può essere impattata”. Tutto qui. Richiesto puntualmente di dire quali provvedimenti di rilievo giuridico avesse adottato il Comune, tipo ordinanze, dopo alcune titubanze, risponde:

Teste Rubellini Pietro - ... Non so, ora mi ricordo furono fatte delle ordinanze di traffico per la gestione del traffico, delle ordinanze…

Un po’ poco. Un po’ poco, ma non caso isolato e comportamento spiegabile secondo le scienze giuridico-economiche e proprio secondo quella “teoria della cattura” di cui abbiamo anticipato l’enunciazione ma che tratteremo quando parleremo della Regione e del Ministero.

Qui parlando delle Amministrazioni comunali è interessante però vedere come alcuni soggetti, nel loro piccolo, mutino completamente atteggiamento dal momento in cui da terzi esterni diventano, seppur con ruoli marginali, “cogestori” della realizzazione dell’opera.

Rassegniamo al ricordo di questo processo tale Marta Billo.

Marta Billo è un consigliere di opposizione nel Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino e presenta un esposto in Procura contro l’Alta velocità, e presenta una interrogazione in Consiglio comunale proprio all’Assessore Rubellini per l’impatto di Fonte Mezzina. È per questo infatti che viene citata come testimone in questo dibattimento. E cosa si scopre nel corso dell’audizione della Billo? Si scopre che la stessa Billo è poi diventata a sua volta Assessore nel Comune di Sesto. Assessore all’Ambiente e Lavoro. E come Assessore fa qualcosa? Sarebbe lecito aspettarsi di sì, visto come si era agitata. E invece, no. Come diventa assessore non fa nulla. Non si interessa nemmeno più.

Pubblico Ministero - Quindi lei di Fonte Mezzina non si è interessata.

Teste Billo Marta - No, ci è stato detto che... Credo di aver fatto delle interrogazioni all'allora assessore Rubellini, che ha risposto, sì, che  Fonte Mezzina è stata intercettata. E quindi l'acqua non c'è più.

Pubblico Ministero - Bene. Quindi è esatto dire che quando era all'opposizione faceva esposti e interrogazioni, ora che è assessore non sa niente, non se ne interessa più.

Teste Billo Marta - È un po' cattivo, secondo me.

Pubblico Ministero - No, è una domanda.

Teste Billo Marta - No, è che i lavori sono praticamente finiti. Cioè, quello che era da fare è fatto. Cioè che a questo punto che cosa... boh, non saprei cosa fare. A questo punto, per ritrovare...

Pubblico Ministero - Bene, grazie. Nessun'altra domanda.

In generale però è da dire come generalmente i Comuni abbiano in parte subìto l’opera, perché è chiaro che come fai tu a contrastare un’opera nazionale? Lo puoi fare fino ad un certo punto. (...) Annigoni addirittura parla di commissariamento, dice: “C’era una posizione bloccata del comune di Firenze, essendo sotto elezioni c’era una posizione decisamente a favore da parte del presidente della Regione Vannino Chiti e del ministro Berlinguer. Ricorderò che Vannino Chiti addirittura minacciò di commissariare i comuni del Mugello che non avessero sottoscritto la conferenza dei servizi”.

Un po’ sono stati messi nel mezzo perché a loro è stata prospettata una realtà diversa da quella che si è poi realizzata, e alla fine - alla resa dei conti - hanno capito che tanto o con loro o senza di loro si faceva, e quindi hanno contrattato le opere compensative, valutando come “il meno peggio” il richiedere ed ottenere opere compensative a servizio del territorio del loro Comune.

In ogni caso tutti dicono che hanno fatto riferimento alla Regione e vediamo: sono stati un po’ “truffati”. La parola “un po’ truffati” sembra grezza: se la diciamo in termini tecnici si chiama “asimmetria informativa”. È un altro dei concetti studiatissimi, non c’è nulla di nuovo.

Il concetto viene usato e studiato in economia, per spiegare i differenti comportamenti dei soggetti nello stesso processo economico.

Tecnicamente l'asimmetria informativa è la condizione in cui un'informazione rilevante non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte del processo economico, dunque una parte degli agenti interessati ha maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione.

Ciò ovviamente presuppone interesse diversi tra le parti perché, se tutte le parti della contrattazione economica avessero obiettivi e interessi comuni, ogni parte fornirebbe alle altre ogni informazione significativa, elidendo pertanto il concetto stesso di asimmetria informativa in quanto tutti verrebbero a disporre, allo stesso momento, delle stesse informazioni, ovvero ci sarebbe un patrimonio comune di conoscenze.

La presenza di asimmetrie informative si spiega dunque solo quando le parti hanno interessi diversi e non solo non collimanti, ma addirittura divergenti e contrapposti.

Per esemplificare, solo il concetto della asimmetrie informative spiega il perché in mercati concorrenziali possano sopravvivere più soggetti economici con offerte diverse. Se tutti i consumatori disponessero di tutte le informazioni per valutare l’offerta migliore tra quelle proposte dai vari operatori economici di un settore, si avrebbe l’automatica espulsione dal mercato di chi propone le offerte inferiori, salvo per questi ultimi, adeguarsi alla migliore.

In altre parole se ciascuno di noi disponesse di tutte le informazioni utili per assicurare la propria autovettura, non ci sarebbero così tante compagnie assicurative con così tante offerte diverse.

Le asimmetrie informative spiegano ad esempio anche perché risparmiatori preferiscono ricorrere ai servizi di investimento offerti dalle banche benché siano costosi. Rispetto ai risparmiatori, le banche possiedono (o si ritiene che possiedano) informazioni migliori su un maggior numero di possibili investimenti. La minore conoscenza da parte del risparmiatore lo induce quindi a ricorrere a un operatore specializzato nella raccolta e nell'elaborazione delle informazioni circa i possibili modi di investire il denaro.

Il risultato delle asimmetrie informative è di garantire un vantaggio informativo a chi dispone di più conoscenze [...]. Come detto, se le parti avessero interessi comuni, tutte le informazioni rilevanti verrebbero immediatamente scambiate e ogni asimmetria informativa cesserebbe di esistere con parità delle posizioni contrattuali.

Quando una delle parti contrattuali possiede maggiori o migliori informazioni sulla disponibilità a pagare dell'avversario, questa asimmetria si riflette sulla capacità di influenzare a proprio favore il “prezzo”. Potere informativo è quindi sinonimo di potere contrattuale ed economico.

Venendo al nostro caso, e visto cos’è accaduto, appare evidente come alle amministrazioni comunali, TAV, CAVET, Ministero e Regione non abbiano fornito tutte le informazioni circa a cosa sarebbero andati incontro i territori comunali attraversati dall’alta velocità con riferimento al problema idrogeologico.

All’esito pertanto i Comuni hanno finito col “pagare” un “prezzo” maggiore di quello che si aspettavano o di quello che sarebbero stati disposti a “pagare”, e ciò proprio a causa di un “svantaggio informativo”, visto che gli altri soggetti della “contrattazione” (TAV, CAVET, Ministero e Regione) hanno deciso  di sfruttare a loro vantaggio le asimmetrie informative per “chiudere” la conferenza dei servizi al minor “costo” possibile.

Ecco perché, dunque, i Comuni sono stati “un po’ truffati”. Non è stato detto loro tutto quanto avrebbero avuto diritto di sapere [...]. Non è tanto vero che “tutti sapevano tutto”. Gli Enti locali sapevano cosa gli raccontavano, ovvero che i danni sarebbero stati pochi e temporanei in quanto mitigabili e ripristinabili.

Ed in ogni caso che senso ha dire “tutti sapevano tutto”, se poi la mia competenza è solo quella sul taglio degli alberi o se mi si fa chiaramente capire che, o con il parere favorevole o contrario del Comune di cui sono sindaco, l’opera si fa lo stesso?

In ogni caso hanno gli enti locali hanno fatto conto e riferimento sul ruolo di controllo e di garanzia che doveva essere proprio della Regione e del Ministero dell’Ambiente.

Lo dice Notaro.

Teste Notaro Giuseppe - ... e giustamente altri forse hanno anche un peso maggiore, nel senso che altri, come la Regione Toscana, non c’è dubbio che per quanto mi riguarda ha avuto un’influenza importante perché se la Regione Toscana mi dice che in qualche modo è importante, non soltanto realizzare quest’opera, ma abbiamo trovato il modo per gestire in maniera adeguata questa situazione, io credo che ho un elemento di rassicurazione che mi aiuta anche a decidere.

Ancora nel 2000 ci fa sempre affidamento la Ballini, quando richiede alla Regione un ruolo più attivo, più politico in sede di osservatorio ambientale.

E mal glien’è incolto perché, purtroppo, bisogna dire che queste aspettative sono state di fatto tradite.

 

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TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE MONOCRATICA

 

DOTT. ALESSANDRO NENCINI        Giudice

 

Procedimento penale n. 535/04 R.G.

 

Udienza del 10 aprile 2008

 

 

Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei

[Stralcio n. 26]

 

 

“QUESTO PROCESSO HA FATTO EMERGERE CHE MINISTERO E REGIONE POTEVANO E DOVEVANO SAPERE PRIMA QUELLO CHE SAREBBE SUCCESSO E POI CIÒ CHE È ACCADUTO DAVVERO.

HA FATTO EMERGERE CHE MINISTERO E REGIONE AVREBBERO DOVUTO ANCHE VOLER SAPERE CIÒ CHE STAVA ACCADENDO E PREVENIRLO, E CIÒ CONTROLLANDO L’OPERATO DI CAVET, PER EVITARE I DANNI, TUTELARE I CITTADINI ED IL PAESAGGIO.

[...]

RITENIAMO QUINDI CHE MINISTERO E REGIONE NON ABBIANO SVOLTO QUESTA LORO FUNZIONE DI TUTELA, E SI RICORDI CHE LA FUNZIONE È PROPRIO L’ESPRESSIONE DA PARTE DELLA P.A. NON SOLO DI UN POTERE, MA ANCHE, E FORSE SOPRATTUTTO, UN DOVERE.

PER QUESTO RIMETTIAMO AL GIUDICE DI VALUTARE SE RIMETTERE CON SENTENZA GLI ATTI ALLA CORTE DEI CONTI AI SENSI DELL’ART. 129 III COMMA C.P.P. CON RIFERIMENTO ALL’OPERATO DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA REGIONE TOSCANA QUALORA SI RAVVISI COME QUESTA PROCURA RAVVISI UN CASO IN CUI SI È CAGIONATO UN DANNO ERARIALE”.

 

 

10) TUTTI SAPEVANO TUTTO. OVVERO IL RUOLO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.

 

 

LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

 

REGIONE E MINISTERO

 

 

E vediamole, le condotte della Regione e del Ministero. E torniamo al “tutti sapevano tutto”, che in questo caso pare affermazione un po’ meno avventata.

Senza dubbio la Regione e il Ministero hanno avuto un ruolo primario non solo per le competenze, ma anche perché veri punti di riferimento degli Enti Locali, e di fatto veri organi decisionali sull’approvazione della tratta A.V. Firenze-Bologna.

Regione e Ministero che all’esito del dibattimento non hanno certo dato prova di grande coerenza in questo processo visto che si sono costituiti parte civile. Non hanno indicato un testimone. Il Ministero ha portato due consulenti per la valutazione del danno subito che non hanno certo lasciato il segno, e la Regione non ha portato neppure quello. Per quali voci specifiche di danno e soprattutto per quale ammontare si siano costituiti, non è proprio chiarissimo.

Piacerebbe ritenere che Regione e Ministero abbiano valutato l’opera della Procura di così alta qualità da non aver nulla da aggiungere, ma sarebbe vana presunzione e vanità, atteso che riteniamo che qualunque sia stato l’esito del lavoro di questo ufficio, lo stesso sia comunque sempre perfettibile o integrabile dalle parti civili a tutela dei loro interessi. Ipotesi comunque smentita dall’attivismo mostrato invece da altre parti civili private che pure a volte agivano a tutela di un solo pozzo o poco più, invece che, ad esempio, 57 chilometri di fiumi come spetta alle pubbliche amministrazioni.

Regione e Ministero, che in corso d’opera non hanno dato prova di aver esercitato poteri significativi per prevenire, o raddrizzare poi, una situazione che si era messa al peggio sin dall’inizio, ed evitare ciò che si è verificato.

Mancavano forse le competenze tecniche necessarie a Regione e Ministero?

No davvero.

Abbiamo visto come puntuali fossero le relazioni predisposte dagli uffici regionali redatte dal gruppo di lavoro messo su dalla Sargentini e le relazioni del geologo Micheli.

Abbiamo visto come anche il Servizio Geologico della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel ’92 avesse già sottolineato come gli studi predisposti dai futuri esecutori dell’opera disponessero di “dati frammentari, scarsamente confrontabili", fossero infarciti di "discrepanze", "lacune o non corrispondenze dei dati" nella cartografia e con mancanza di "riferimenti toponomastici e tettonici" nel profilo geologico della tratta.

Quindi no, non era incompetenza tecnica.

Ed è per questo che diciamo che in questo caso pare meno avventata l’affermazione “tutti sapevano tutto”. Se non tutto, Regione e Ministero avevano gli strumenti per sapere molto.

 

 

E ALLORA PERCHÈ QUESTO È POTUTO ACCADERE?

 

Per evitare di lasciarsi andare a considerazioni empiriche o soggettive, per valutare il comportamento delle pubbliche amministrazioni non si può che rifarsi agli esperti che dedicano continuamente la loro opera a questi temi, studiandoli. Ovvero a chi ha elaborato ed espresso il concetto della “teoria della cattura”, ovvero la “capture theory”, e abbia valutato le sue implicazioni.

Riteniamo infatti che in questo processo sia importante evitare di lasciare spazio a suggestioni, a ricostruzioni esclusivamente basate su visioni personalistiche, o su prospettazioni sociologiche o politiche in senso lato, e si debba invece essere assai rigorosi e ricondurre il tutto nell’ambito dello stretto diritto.

E il concetto anticipato, e che esplicheremo, è proprio un principio giuridico-economico attinente all’analisi economica del diritto e alla teoria della regolazione amministrativa. Questo a conferma del fatto che questo processo niente ha a che fare con questioni ideologiche, ma solo con specifiche questioni giuridiche attinenti i rapporti Stato/cittadino da un lato, i rapporti pubblico/privato dall’altro, la gestione dei servizi pubblici, ecc. ecc., secondo schemi ed istituti del diritto pubblico, economico ed amministrativo attuali e che si inseriscono in contesti generali ed attuali in atto quali quelli economici di privatizzazione, di ricerca dell’efficienza dell’operato della pubblica amministrazione, di concorrenza nel mercato globale. Diritto che studia, analizza ed infine dimostra quali strumenti adottare nella gestione dei servizi pubblici, quali rischi e quali pericoli si corra.

Secondo l’analisi economica si definisce “regulatory capture” (o “capture theory”) il fenomeno della “cattura” dei regolatori (le autorità di regolazione) da parte dei soggetti regolati, ossia la convergenza d’interessi tra gli uni e gli altri e la conseguente perdita del carattere di imparzialità del soggetto regolatore. Senza divagare, traduciamo questa astrazione, riportando il tutto al nostro caso ed a quanto ci interessa.

Questa teoria spiega il rischio che un’opera come l’Alta Velocità, così importante per il suo valore strategico, per l’impegno economico, per il ritorno politico, di fatto data in esclusiva ad un General Contractor a sua volta esponente di un forte potere economico-imprenditoriale, porti alla convergenza d’interessi tra concedente, concessionario e General Contractor, con conseguente perdita del carattere di imparzialità del soggetto pubblico che dovrebbe avere una funzione regolatrice. Rischio realizzato nel nostro caso.

Ma non ci accontentiamo di enunciare teorie astratte. Verifichiamole.

Nel nostro caso la Regione ed il Ministero hanno subito la fatale attrazione della realizzazione dell’opera, e ne diamo le prove.

 

 

OSSERVATORIO NAZIONALE AMBIENTALE

 

L’Osservatorio era quell’organismo che avrebbe dovuto presiedere alla realizzazione dell’opera e garantire la salvaguardia del territorio proprio in corso d’opera vista la complessità dell’opera. 

A sentire l’on. Chiti ed il Presidente della Regione Toscana, Martini, l’Osservatorio era strumento innovativo di livello nazionale cui rimandare la risoluzione di ogni problematica prevista o non prevista in sede di approvazione.

Forse era meglio essere più tradizionalisti visto come ha funzionato in concreto questo osservatorio di innovativa portata.

[...]

-        Organismo costituito in modo quasi parlamentare;

-        con compiti vaghi;

-        e che per il funzionamento dipendeva (e dipende...) dai finanziamenti a carico del soggetto controllato TAV.

Aggiungiamo poi come il dibattimento abbia dimostrato inoltre come l’Osservatorio:

-        avesse poteri coercitivi nei confronti di CAVET pari a “zero”;

-        non fosse funzionante quando ci fu l’impatto di Castelvecchio e per parte dell’anno ’99, proprio uno di quegli anni segnati dai maggiori impatti e dalle maggiori emergenze di venute d’acqua in galleria;

-        fosse privo, sempre fino al ’99, di una sede, di strumenti di lavoro, di un supporto tecnico.

Non un granché come “strumento innovativo” e “d’avanguardia”.

 

 

COMPOSIZIONE E FUNZIONI

 

Teste Sargentini Maria - Dunque, l'osservatorio è formato da Ministero Ambiente, Ministero dei Trasporti, Regione Toscana, Regione Emilia Romagna, Italferr e TAV. E il presidente che è sempre Ministero Ambiente.

[...]

Teste Sargentini Maria - No. L'osservatorio aveva il compito di... come dire, sovrintendere in qualche modo, al che i lavori venissero fatti nel rispetto delle prescrizioni date dalla conferenza dei servizi e aveva potere di indicare, rispetto agli elementi, in particolare per la parte ambientale, perché questo veniva anche detto, si rimandava a tutta questa fase successiva, di dare indicazioni in relazione ai dati di monitoraggio migliorati e per garantire che cosa poi? Che, rispetto al progetto approvato e alle prescrizioni date, si ottenesse il miglior risultato e quindi la maggiore mitigazione possibile, rispetto ai possibili danni... come dire, possibili interferenze, possibili problemi, eccetera. Questo era il compito dell'osservatorio.

 

 

POTERI

 

Pubblico Ministero - L’Osservatorio Ambientale è un gruppo di filosofi perché non aveva neanche un supporto tecnico, è esatto questo? Il supporto tecnico è arrivato dopo.

Teste Biagi Gianni - Certamente.

Pubblico Ministero - Allora, intanto, perché la necessità di un supporto tecnico non previsto inizialmente?

Teste Biagi Gianni - No, il supporto tecnico era previsto già negli accordi che furono stipulati, è stato avviato con qualche ritardo, non c’è dubbio, ma il supporto tecnico all’Osservatorio era già previsto negli accordi tant’è vero che vi erano anche delle somme stanziate per il suo funzionamento.

Pubblico Ministero - Da chi?

Teste Biagi Gianni - Da TAV. Sette miliardi e mezzo di lire, se non ricordo male. Però fu avviato con ritardo e il supporto tecnico era indispensabile perché i sette membri dell’Osservatorio non possono stare sul territorio e, come lei ha detto prima, il territorio era un territorio molto complesso non solo orograficamente ma anche fisicamente nel senso che era una linea molto allungata sul territorio, quindi il supporto tecnico fu attivato e come supporto tecnico fu indicato l’ARPAT che è l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente della Toscana e che era una garanzia per quanto riguarda perlomeno il rappresentante della Regione Toscana.

Pubblico Ministero - Quindi supporto tecnico e ARPAT pagato da TAV?

Teste Biagi Gianni - Certo.

Pubblico Ministero - Sì?

Teste Biagi Gianni - Sì sì sì.

Pubblico Ministero - Quindi l’Osservatorio è una costola in questi accordi… va bene, però la domanda è sempre questa, perché, appunto, non c’eravate solo voi, erano sette i soggetti, quindi ci poteva essere la Comunità Montana, quello e quell’altro, dove poi, al di là dell’Osservatorio che osserva… poteri concreti l’Osservatorio? Poteri decisori di ordinanza?

Teste Biagi Gianni - No.

Pubblico Ministero - Zero, siamo d’accordo?

Teste Biagi Gianni - Certo.

 

Pubblico Ministero - In primo luogo, che poteri concreti, reali, materiali aveva l’Osservatorio Ambientale?

Teste Trezzini Fabio - L’Osservatorio Ambientale aveva dei poteri molto limitati di fatto perché aveva… essendo peraltro un organo misto che quindi comprendeva le altre amministrazioni interessate - la Regione e il Ministero dei Trasporti - e i rappresentati di TAV e di FS, aveva il compito di tenere sotto controllo l’andamento dei lavori e degli effetti ambientali, quindi licenziando preventivamente un progetto complessivo di monitoraggio - cosa che fu fatta a suo tempo - e aveva il compito di indicare gli eventuali provvedimenti da assumere, ma non aveva il potere né di ordinarli né di adottare atti che avessero una qualche forma di urgenza.

[...]

Pubblico Ministero - È esatto dire che non avesse nessun potere autoritativo di nessun tipo?

Teste Trezzini Fabio: Direi di sì.

 

 

ORGANO INTERMITTENTE, DISORGANIZZATO, PRIVO DELLE INFORMAZIONI NECESSARIE E CON SUPPORTO TECNICO ATTIVATO IN RITARDO

 

Pubblico Ministero - Senta, lei è stato membro e presidente dell’ Osservatorio Ambientale in relazione ai lavori dell’Alta Velocità?

Teste Trezzini Fabio - Sì.

Pubblico Ministero - Da quando a quando?

Teste Trezzini Fabio - Dal ’96… poi ci fu un’interruzione intorno al ’99, nel senso un periodo di vacanza dell’Osservatorio che poi fu ricomposto ­esattamente non ricordo quando ma insomma qualche mese… ci fu qualche mese di intervallo –, e poi fino al 2001.

[...]

Teste Trezzini Fabio - Adesso dovrei rivedere le carte ma a quanto ricordo Castelvecchio non era previsto.

Pubblico Ministero - È esatto dire che fece scalpore perché nessuno se l’aspettava?

Teste Trezzini Fabio - Sì, certo, io quando avvenne Castelvecchio non ero presidente dell’Osservatorio perché non esisteva neppure l’Osservatorio in quanto era quel periodo…

Pubblico Ministero - Senta, all’inizio logisticamente come eravate messi? Avevate stanze, posti, cose, uffici?

Teste Trezzini Fabio - No.

Pubblico Ministero - E dove vi riunivate?

Teste Trezzini Fabio - Ci riunivamo in stanze del Ministero dell’Ambiente ma non avevamo né una segreteria né un archivio, insomma eravamo organizzati in maniera molto approssimativa.

Pubblico Ministero - Questo fino a quando?

Teste Trezzini Fabio - Eh, adesso esattamente non me lo ricordo ma insomma direi per tutto il primo mandato andò così, cioè per i primi tre anni, con il secondo mandato poi si comincia a strutturare un supporto tecnico da parte dell’ARPA allora, oggi APAT, che poi svolse funzioni di segreteria per noi oltre che di supporto minimo di coordinamento, e anche un supporto tecnico che prima era stato occasionale o comunque certamente non strutturato da parte delle agenzie regionali, l’ARPA Toscana e l’ARPA Emilia.

Pubblico Ministero - Quindi avete avuto un supporto tecnico solo dal ’99 in poi?

Teste Trezzini Fabio - Sì, direi di sì.

Pubblico Ministero - Senta, si ricorda per esempio che c’era una contestazione sua molto puntuale sul fatto che i dati del monitoraggio da parte di FIAT e CAVET arrivavano con un ritardo notevole?

Teste Trezzini Fabio - Certo, certo.

Pubblico Ministero - Questa situazione è mutata, è migliorata o…

Teste Trezzini Fabio - Eh, col tempo certo, col tempo è migliorata perché poi piano piano abbiamo…

Pubblico Ministero - Ma questi dati come arrivavano, arrivavano un po’ così alla spicciolata, con una cadenza regolare…

Teste Trezzini Fabio - Adesso non ricordo ovviamente i dettagli ma, insomma, certamente arrivavano i dati delle portate drenate, quindi sull’entità delle interferenze idrogeologiche che erano appunto previste dal progetto di monitoraggio, arrivavano certamente con settimane se non mesi di ritardo per cui quando il fenomeno si era giù svolto da tempo, o comunque da un tempo relativamente alto nel caso in questione, e quindi difficilmente poi potevano essere utilizzate per proporre delle correzioni.

Pubblico Ministero - Cioè, arrivando troppo tardi era quasi inutile, cioè arrivavano a cose un po’ fatte.

Teste Trezzini Fabio - Sì sì, questo sì.

 

 

RAPPORTI TRA CONTROLLATO E CONTROLLORE

 

Teste Biagi Gianni - No, il supporto tecnico era previsto già negli accordi che furono stipulati, è stato avviato con qualche ritardo, non c’è dubbio, ma il supporto tecnico all’Osservatorio era già previsto negli accordi tant’è vero che vi erano anche delle somme stanziate per il suo funzionamento.

Pubblico Ministero - Da chi?

Teste Biagi Gianni - Da TAV. Sette miliardi e mezzo, se non ricordo male.

 

Pubblico Ministero - E come veniva pagato questo supporto tecnico? Sapete qualcosa?

Teste Trezzini Fabio - Ci fu una convenzione certamente non stipulata dall’Osservatorio, una convenzione stipulata credo direttamene da TAV su indicazione del Ministero dell’Ambiente per regolare e compensare con fondi che credo la TAV fosse comunque impegnata a utilizzare per il funzionamento dell’Osservatorio nel suo complesso in base all’accordo procedimentale del ’95, e, se non ricordo male, questa convenzione fu stipulata tra la TAV e le due agenzie regionali, e anche l’ANPA, anche l’agenzia nazionale.

Pubblico Ministero - Quindi non si ricorda bene ma il dato grezzo è che soldi della TAV venivano utilizzati per la struttura tecnica dell’Osservatorio Ambientale.

Teste Trezzini Fabio - Sì sì.

 

Teste Mascherini Renzo - Guardi, fino a quando la presidenza dell’Osservatorio Nazionale Ambientale era presieduta dall’ingegner Trezzini lui che aveva l’abitudine di convocarci periodicamente, quasi mensilmente, ogni due mesi, cosa che si è interrotta poi con il cambio del governo e cambio del responsabile dell’Osservatorio perché lui poi è stato sostituito con il cambio del governo dal dottor Agricola il quale ben si è guardato poi dal coinvolgere i sindaci nella verifica costante di quello che succedeva nella costruzione della ferrovia, ma fino a quando il presidente dell’Osservatorio è stato l’ingegner Trezzini noi abbiamo avuto modo di seguire, di verificare quali erano gli impatti, di verificare quali erano le soluzioni che si potevano adottare per evitare questi impatti.

[...]

Teste Mascherini Renzo - Cioè, a noi c’era stato detto che il modello dell’impatto sulle sorgenti prevedeva una conformazione isotropa della roccia e che si sarebbe impattato le sorgenti solo a 200 metri dal tunnel, questa era l’informazione che noi avevamo, per cui furono realizzate le opere acquedottistiche per supplire l’impatto sulle sorgenti che erano a distanza 200 metri dal tunnel, quindi quando venne fuori invece che l’impatto era anche su sorgenti più lontane si cominciò a discutere che cosa sarebbe successo nel prosieguo dell’escavazione e che cosa si doveva fare per ovviare agli impatti sulle sorgenti così distanti dal tunnel.

Giudice - Un attimo, Pubblico Ministero, un chiarimento su questo aspetto. Lei ha detto più volte ‘ci fu detto’ ‘ci era stato detto’, allora, vorrei il soggetto di questo.

Teste Mascherini Renzo - Le informazioni ci venivano date all’interno dell’Osservatorio Ambientale.

Giudice - Ed erano di provenienza della Regione o di CAVET?

Teste Mascherini Renzo - Era di provenienza dell’Osservatorio Ambientale, l’Osservatorio era presieduto da un rappresentante del governo, poi c’era il rappresentante della Regione, della Provincia, dei Comuni, di CAVET, di TAV e dell’ARPAT che era consulente dell’Osservatorio e che svolgeva di fatto due parti in commedia, nel senso che l’ARPAT era un’agenzia regionale ambientale e però era anche consulente dell’Osservatorio.

 

Lette le parole di Mascherini e visto che era TAV che pagava il supporto tecnico all’osservatorio sarà per questo che ARPAT è apparsa sempre prudentissima in questo processo?

E l’on. Chiti difende questo meccanismo dicendo che non ravvede conflitti di interesse e che era giusto addebitare i costi a TAV piuttosto che sul contribuente. Su eventuali “conflitti di interesse” non pare opportuno avventurarsi, ma forse l’onorevole dimentica però che TAV significa Ministero del Tesoro quindi è la stessa cosa. Il contribuente paga lo stesso e resta sempre fermo che il controllato sovvenziona il controllore. In ogni caso, poi, caso di conflitto di interessi o meno, è chiaro che se chi è controllato paga il controllore è forte la tentazione del primo di tenere al guinzaglio il secondo ed infatti basta leggersi la telefonata del 16.5.02 del ore 17.16 tra Guagnozzi e Bechelli per vedere come il primo sobilli il secondo a tenere a bada l’ARPAT visto che TAV la paga.

GUAGNOZZI - Te la posso dare un’idea?

BECHELLI - Eh!

GUAGNOZZI - Quella cazzo di convenzione che avete con gli uffici regionali per dargli il supporto economico all’implementazione degli uffici ... dategli una scadenza... cominciate a vedere che succede, no?

BECHELLI  - Sì, ma no. Questo non c’è mica la possibilità di farla una cosa...

[...]

GUAGNOZZI - Ma sai Gianni c’è anche un’altra storia. Voi gli avete finanziato tutto, pure il potenziamento degli uffici. Cominciate a dirgli che quello è il mestiere che devono fare loro.

BECHELLI - E lo so bene. Figurati!

GUAGNOZZI - E adesso comincia ad essere rognosa la storia no?

[...]

GUAGNOZZI - e sai. Allora li potenziate per fare che? Per far mettere i bastoni fra le ruote?

[...]

GUAGNOZZI - Abbi pazienza. Io ti potenzio se te... con la tua attività..

[...]

GUAGNOZZI - [incomprensibile] ... a tenere il ordine quanto altro a sviluppare a fare, a sbrigare eccetera, ma se tu usi la mia disponibilità per venirmi contro... ma io ti devo togliere immediatamente la possibilità di farlo.

 

Più chiaro di così.

 

E nessuno ci vede allora quel rischio di “cattura” di cui alla teoria citata, quel rischio per cui date queste commistioni tra regolante e regolato, alla fine, un organismo concepito come l’Osservatorio, non potesse in alcun modo funzionare?

In altre parole, poteva perseguire questo organismo quell’ambiziosissimo obiettivo di essere il custode della salvaguardia ambientale della zona interessata dai lavori di Alta Velocità?

No, non poteva ed infatti non l’ha fatto, e rispondiamo con i fatti.

 

Chi vuole una chiara esemplificazione del fallimento del combinato disposto monitoraggio/Osservatorio si vada a leggere Trezzini sulla venuta di Marzano nel marzo 2000.

 

Pubblico Ministero - Bene, poi le valutazioni su cosa servisse un monitoraggio fatto dopo lei mi sa dire qualcosa; un monitoraggio a progetto approvato che funzione aveva?

Teste Trezzini Fabio - Ma, questa fu una filosofia di fondo scelta a suo tempo da chi la doveva scegliere naturalmente, cioè che si riteneva – e credo che la cosa abbia un qualche fondamento – che nella impossibilità per opere grandi di prevedere nel dettaglio effettivamente tutti gli accadimenti si ritenne di affiancare alla approvazione… anche perché la normativa italiana non prevede un monitoraggio in corso d’opera di un’opera approvata a seguito della valutazione di impatto ambientale, o perlomeno non la prevedeva allora; quindi si ritenne, essendo appunto opere complesse con una grande estensione territoriale che potevano incidere su diverse componenti ambientali, che non fidandosi sostanzialmente di quanto poteva essere simulato, modellizzato e previsto in sede progettuale di valutazione di impatto ambientale si dovesse quindi monitorare gli effettivi effetti…

Pubblico Ministero - Mi scusi, per essere chiaro, ovviamente io non chiedo a lei valutazioni che non la riguardano, che non le spettano, cioè non è questo il senso della domanda, la domanda è in questo senso: siccome lei ha visto questi piani di monitoraggio le domando come in concreto, visto che è una cosa di cui vi dovevate e vi siete occupati personalmente in relazione alla vostra funzione – cosa doveva succedere, come funzionava, cosa era previsto… l’utilità… in relazione alle situazioni singole; le faccio un esempio per tutti perché lei l’ha vissuta personalmente, la venuta di Marzano laddove c’erano le previsioni contrastanti tra Pranzini, ARPAT e CAVET, dico, non le chiedo valutazioni imbarazzanti o che spettano ad altri e nemmeno a noi, ma in concreto in quanto presidente dell’Osservatorio Ambientale cosa è successo, come avete affrontato una cosa del genere; cosa c’entrasse il monitoraggio, cosa doveva scattare, a cosa servisse e in concreto come ha funzionato. Le chiedo fatti.

Teste Trezzini Fabio - L’episodio a cui lei fa riferimento è l’episodio, appunto come lei ha ricordato, che c’era una disparità di vedute tra i vari tecnici che lavoravano attorno all’Osservatorio Ambientale, sia i tecnici di CAVET, per parte loro di TAV, e quindi il professor Pranzini che era consulente… non so se di TAV o di Italferr, e i tecnici dell’ARPAT che avevano fatto delle valutazioni su quella che poteva essere la progressiva di sicurezza fino alla quale scavare prima di incorrere in un rischio concreto di drenaggio di ingente vena d’acqua. Naturalmente queste valutazioni si basavano su tutti gli studi che erano stati nel frattempo e che erano stati anche approfonditi su nostra richiesta in corso d’opera, proprio su quello che effettivamente poteva dar luogo attraverso lo scavo. Quando ci fu quella venuta piuttosto rilevante ci trovavamo leggermente al di qua, cioè entro la progressiva che era stata poi concordata dai tecnici dell’ARPAT con i tecnici… (suona il telefono) …appunto dal confronto di situazioni divergenti arrivarono i tecnici a concordare una progressiva che doveva essere di relativa sicurezza; questa venuta avvenne, se non ricordo male leggermente prima e io in quell’occasione venni a saperlo telefonicamente o attraverso un fax, ma insomma per le vie brevi ma in maniera molto improvvisa e anche tempestiva peraltro, e non avendo la possibilità ovviamente di convocare l’Osservatorio Ambientale mandai una lettera a TAV e CAVET dicendo che a mio giudizio fermare immediatamente lo scavo proprio perché si era verificata questa venuta d’acqua. Non mi risulta che questa mia richiesta fu esaudita ma i lavori di scavo si interruppero di lì a qualche giorno ancora, o comunque passò del tempo ancora. Quindi lei mi chiede a che cosa serviva il monitoraggio, eh, insomma, in teoria doveva servire a tenere sotto controllo l’evolversi dei fenomeni e intervenire ogni volta che questo fosse stato possibile per correggere il tiro.

Pubblico Ministero - Quindi funzionò in questo caso?

Teste Trezzini Fabio - Ma, in questo caso si dovrebbe concludere di no, nel senso che da una parte la venuta ci fu e sarebbe stato comunque difficile evitarlo perché dopo lunghe discussioni fu fissata una progressiva che in realtà alla luce dei fatti, con il senno di poi, non aveva le caratteristiche di sicurezza che si pensava dovesse avere, da un lato, dall’altro la mia richiesta di interrompere i lavori di scavo per limitare comunque al minimo i danni non fu soddisfatta.

Pubblico Ministero - Proprio anche perché lei non aveva nessun potere.

Teste Trezzini Fabio - Sì, sì, certo, non avevo nessun potere.

Pubblico Ministero - Tant’è vero che poi subentrò il sindaco…

Teste Trezzini Fabio - Certo.

Pubblico Ministero - … ci fu un’ordinanza, no?

Teste Trezzini Fabio - Sì.

Pubblico Ministero - Quindi quando ci fu bisogno poi di adottare in qualche modo un provvedimento concreto di una qualche efficacia si ritornò ai principi generali delle ordinanze sindacali, se non capisco male.

Teste Trezzini Fabio - Sì sì.

 

La cosa buffa è che anche nell’accertata inefficienza più che totale dell’Osservatorio, CAVET ha avuto comunque modo di lamentarsi dell’operato di questo.

Basta leggersi le intercettazioni come quella di Piscitelli con Polazzo in data 1.7.02 alle ore 12.13 (pg. 410242):

PISCITELLI - Però questo cazzo di Osservatorio Ambientale... Dio santo, deve lavorare per il lavoro e no solo per il Ministero dell’Ambiente... è un disastro così... eh Fabio.. sta lavorando solo per il Ministero dell’Ambiente.

FABIO - Secondo me è peggio di prima...

PISCITELLI - … e certo che è peggio di prima. Lavora per il Ministero dell’Ambiente -... e se tu leggi i compiti istituzionali ... è praticamente la salvaguardia del lavoro... nell’ambito di alcune regole. Questi del lavoro non se ne fottono proprio. Non è possibile andare avanti con l’Osservatorio Ambientale che secondo me non sta facendo il suo compito istituzionale.

FABIO - Sono d’accordo. Ma è impossibile dirglielo.

E su questo concordiamo con Piscitelli e Polazzo. L’Osservatorio non ha svolto il suo compito istituzionale, ma nel senso opposto di quello indicato da Polazzo e Piscitelli.

 

L’Osservatorio non ha tutelato l’ambiente ed i cittadini. Ma non aveva gli strumenti per farlo. E quando ci ha provato, CAVET ha messo giù tutto il suo peso economico per far sì che l’Osservatorio non fosse troppo rigido.

Lo testimonia esplicitamente Trezzini.

Teste Trezzini Fabio - No, no, ma certo, io ho cercato di essere equilibrato nella mia funzione ma certamente i cittadini mi hanno accusato… sì, di fare poco, di non fare insomma quello che avrei dovuto e certamente la controparte CAVET in qualche fase può aver ritenuto invece che badassi troppo alle questioni ambientali e non all’economia dell’intervento, ma, insomma, sempre in termini… come dicevo prima…

Pubblico Ministero - Vabbè, su questo… se no sarebbe un altro processo. Senta, conosce Fabio Polazzo?

Teste Trezzini Fabio - Sì, certo.

Pubblico Ministero - Lui è membro dell’Osservatorio Ambientale TAV?

Teste Trezzini Fabio - Non so se lo sia attualmente, lo è stato quando io ero presidente per un periodo, all’inizio fu l’ingegnere Salemme, poi fu sostituito dall’ingegner Polazzo.

Pubblico Ministero - E non le arrivò nessuna sollecitazione da lui sul fatto… o che lui fosse portatore di segnalazioni di parte di CAVET che insomma l’ Osservatorio Ambientale doveva rompere un po’ meno e fare andare avanti i lavori?

Teste Trezzini Fabio - Sì sì, questo… in termini molto trasparenti e espliciti, nel senso che durante le riunioni… ovviamente CAVET partecipava alle riunioni solo se invitata a fornire spiegazioni o a dare informazioni sugli elaborati e quant’altro ovviamente, non partecipava ai lavori dell’Osservatorio; all’interno dei lavori dell’Osservatorio non c’è dubbio che la posizione di TAV, chiunque fosse il rappresentante, ma anche di Italferr, era di sollecitare soluzioni che consentissero di andare avanti rapidamente; su questo non ci sono dubbi.

E la conclusione oggettiva che si trae dai fatti, alla fine è una sola, ovvero che l’Osservatorio Ambientale fosse poco più che un paravento, un contentino dato per tacitare le associazioni ambientaliste perché, anche qualora avesse voluto esplicare il suo ruolo fino in fondo, non ne avrebbe avuta la possibilità non avendo i poteri necessari per conseguire tale scopo e comunque perché soggetto a pressioni economiche e non, sia da parte di TAV che lo finanziava che di CAVET che protestava.

Pubblico Ministero - Senta, ma ora... siccome siamo tutti abbastanza grandi, ma non avete ottenuto proprio nulla? Nel senso, siccome siete anche un bacino di voti, non so di che cosa, ma da questi colloqui, discussioni, non vi è stata fatta nessuna concessione, non siete stati tranquillizzati in alcun modo...

Teste Annigoni Benedetto - Abbiamo avuto molte volte delle promesse che però non sono state mantenute. Per esempio, una delle cose che erano oggetto di una nostra obiezione, era il controllo su questi lavori fatto dal laboratorio nazionale, no?

Pubblico Ministero - Dall'Osservatorio?

Teste Annigoni Benedetto - Dall'Osservatorio Nazionale. Dove era presente la CAVET.

Pubblico Ministero - Ecco, ce lo può dire, appunto, perché siccome è proprio... era una delle cose a cui mentalmente rimandavo, ecco, l'Osservatorio Ambientale quindi nasce, o perlomeno viene rappresentato e comunque lei, mi sta dicendo, che comunque a voi è stato prospettato, come un organismo di controllo sulla qualità dei lavori, se capisco bene.

Teste Annigoni Benedetto - Era l'organismo che doveva garantire in corso d'opera che non venissero fatte certe devastazioni.

Pubblico Ministero - Ecco...

Teste Annigoni Benedetto - O quanto meno doveva servire a minimizzarle, una volta che si erano verificate.

Pubblico Ministero - Ecco, su questo voi avete chiesto di avere un membro, vi è stato dato, non vi è stato dato... siete stati in grado di parlare, o comunque interloquire al di là dell'esito finale...

Teste Annigoni Benedetto - No, quello che noi abbiamo chiesto, oltre alla trasparenza, cioè continuamente al fatto di essere tenuti informati, noi abbiamo chiesto che... Abbiamo sottolineato questa situazione di incompatibilità dell'Osservatorio nazionale dove era presente il controllore e il controllato. Abbiamo chiesto a più riprese - e ci era stato anche promesso, ma poi non è avvenuto - un rafforzamento dell'ARPAT e un rafforzamento dell'osservatorio a livello locale. E questo non è avvenuto.

Pubblico Ministero - Ho capito. Quindi diciamo, abbiamo una scala di prospettazioni che vi sono state fatte: Osservatorio Ambientale come organismo centrale che doveva controllare tutta l'opera. Rafforzamento dell'ARPAT sull'organo...

Teste Annigoni Benedetto - A livello locale.

Pubblico Ministero - A livello locale. In più un rafforzamento dell'Osservatorio ambientale locale.

Teste Annigoni Benedetto - Sì.

Pubblico Ministero - Lei questi non li ha riscontrati, non ha visto una evoluzione...

Teste Annigoni Benedetto - No, non ho visto. So che ci sono state fatte delle promesse, ma poi questo non ha avuto conseguenze pratiche.

In concreto dunque, l’Osservatorio, poco più che un espediente per poter comunque sostenere di essere stati molto attenti all’aspetto ambientale tanto da aver addirittura costituito una struttura apposita.

Peccato che poi poco o nulla è stato fatto affinché l’Osservatorio potesse davvero funzionare adeguatamente.

Intanto, con la creazione dell’Osservatorio, quanto meno si otteneva che della questione ambientale, nel peggiore dei casi, se ne risarebbe parlato poi chissà quando, come stiamo infatti facendo noi nel 2008, ben 13 anni dopo, a cose, carriere ministeriali e danni, ormai fatti.

La controprova è che la creazione dell’Osservatorio avrebbe dovuto rafforzare l’opera di controllo delle Regione e del Ministero, mica abolirla.

Ma non risulta che Regione e Ministero abbiano a loro volta autonomamente ed efficacemente controllato l’operato di CAVET.

Abbiamo già detto che certo non mancavano le capacità tecniche al Ministero ed alla Regione per avere un ruolo più incisivo rispetto alla prevenzione e mitigazione degli eventi. No. Ma al posto di quei soggetti che hanno dato prova della loro competenza in modo criticamente costruttivo, Ministero e Regione hanno preferito valorizzare al loro interno i soggetti che hanno invece esercitato le loro competenze in modo acritico di accettazione del fatto compiuto.

 

 

REGIONE

 

Nonostante la Regione disponesse delle relazioni Micheli e Sargentini, per ben presentarsi alla Conferenza dei servizi, preferisce adottare la delibera di Giunta Regionale n. 3884 del 24.8.95 (pg. 200331) con la quale approva la tratta Firenze-Bologna, collaziona l’espressione di tutti i pareri di competenza tra cui quello del RD. 1775/33 e dà qualche blanda prescrizione su strade, su generiche opere di mitigazione, attivazione Osservatorio ambientale, verifiche idrauliche interessanti il bacino dei torrenti Carza e Carzola e fiume Sieve.

Dirigente responsabile firmatario della deliberazione, arch. Biagi, ora assessore del Comune di Firenze. Allora Presidente della Regione Toscana, l’oggi on. Vannino Chiti. Ancor più laconica la deliberazione della giunta Regionale n. 859 del 27.7.98 (pg. 700052) con cui si approva la Variante Castello. Dirigente responsabile firmatario della deliberazione, arch. Biagi. Presidente della regione Toscana, on. Vannino Chiti.

 

Ed eccoci allora ad un altro aspetto per verificare la tesi della “teoria della cattura”.

 

Non opporsi, o quanto meno non porsi criticamente, nei confronti dell’Alta Velocità non porta male.

I due presidenti delle Regioni che l’hanno approvata ed uno dei progettisti sono assurti a cariche ministeriali.

Due funzionari, degli enti locali che si sono occupati dell’istruttoria amministrativa, sono diventati assessori comunali. Ed entrambi sono ora chiamati, a vario titolo, a seguire i lavori per il sottoattraversamento dell’AV di Firenze. Rubellini è addirittura presidente di un altro Osservatorio Ambientale che dovrà verificare gli effetti dello scavo per il sottoattraversamento della città di Firenze sugli immobili.

Eppure critiche vi erano state sull’operato di questi soggetti.

Il Sindaco di San Piero a Sieve, Alessia Ballini, nel corso dell'incontro con i Sindaci e la Comunità Montana della VI Commissione consiliare della Regione Toscana "Territorio e Ambiente", il 29 giugno 2000 chiede alla Regione stessa di sostituire l’arch. Biagi da membro dell’Osservatorio.

La dichiarazione trascritta della Ballini: premessa "(…) una sostanziale ingovernabilità degli eventi” e rappresentato l’ulteriore fatto che, parole della Ballini, “ora non siamo più nel 1995 quando si è chiusa una fase, siamo nel 2000, non si può tornare indietro ma di fatto l'assenza di questa seria valutazione di impatto ambientale costituisce qualcosa di importante”, tra le due richieste che avanza alla Regione ricorda come “la Regione Toscana ha, all'interno di un organismo … più volte citato stamani, cioè dell'Osservatorio Ambientale Nazionale, un rappresentante, un ruolo che negli ultimi anni ha svolto l'ingegner Biagi che sembra di aver capito non abbia, avendo assunto altri impegni, la possibilità di seguire questo ruolo, questa funzione nei prossimi anni. Io solleciterei la Regione a definire al più presto possibile, se di sostituzione si deve parlare, la sostituzione perché siamo tra l'altro in una fase delicata nella quale c'è un bisogno impellente della presenza della Regione in questo organismo ed io, questa è una opinione personale, inviterei la Regione anche a valutare l'opportunità di una presenza, di una partecipazione più politica a questo organismo che non è un organismo che abbia semplicemente una funzione tecnica o che prenda decisioni semplicemente da un punto di vista tecnico e neutrale, ma di fatto credo che invece se la Regione ci partecipasse con una presenza più politica, questo potrebbe essere uno dei passi verso un maggior coinvolgimento della Regione nei problemi di cui si sta parlando stamani e che mi sembra appunto la Regione abbia imboccato questa strada".

La Ballini è un politico e sa parlare. Chiede un ruolo più politico della Regione Toscana all’interno dell’Osservatorio Ambientale Nazionale, ma non manca di chiedere la sostituzione di Biagi, sempre se, parole della Ballini, “... se di sostituzione si deve parlare”.

Resta aperto il quesito sul perché la Regione Toscana, visto che oggi è qui rappresentata parte civile, abbia preferito scegliere certi soggetti quali membri dell’OAN piuttosto che altri tecnici competenti come Micheli, che sembravano aver capito meglio di altri a cosa si sarebbe andati incontro.

Allora per verificare se è vero che non porsi criticamente nei confronti di un certo modo di progettare ed eseguire l’A.V. abbia portato davvero bene a quei soggetti che hanno tenuto questo comportamento, proviamo anche a fare la prova al contrario.

Verifichiamo se magari hanno fatto carriera anche quei tecnici che invece si sono posti criticamente nei confronti delle soluzioni [...] proposte ed applicate per realizzare la Firenze-Bologna e che, con il senno di poi, sono risultati essere i tecnici che meglio di tutti hanno inquadrato la vicenda, che meglio di tutti hanno dimostrato di aver previsto gli impatti, il tipo di problematiche che un’opera di tal genere avrebbe comportato, che meglio di altri avevano indicato le lacune degli elaborati progettuali redatti dagli esecutori dell’opera, che meglio di altri avevano fornito tutte le indicazioni utili per meglio salvaguardare l’interesse pubblico, dell’ambiente e dei cittadini.

 

Proviamo a vedere che fine ha fatto Micheli.

Pubblico Ministero - Senta, che livello era lei al momento in cui fece...

Teste Micheli Luigi - All'epoca ero al settimo livello, credo. Ora sono cambiati i livelli, ora si chiamano D, cose...

Pubblico Ministero - Ma ha fatto una carriera fulminante lei alla Regione, o...

Teste Micheli Luigi - Sono più o meno rimasto allo stesso livello, con un riconoscimento... Ora c'ho una posizione organizzativa in più.

Pubblico Ministero -Dopo dieci anni.

Teste Micheli Luigi - Sì, sì.

Insomma Micheli, dopo 10 anni, non ha fatto carriera. Anzi a suo tempo è stato anche ripreso dai suoi superiori per quel parere critico (ma col senno di poi azzeccatissimo) ed accusato di essere contro l’Alta Velocità e ciò nonostante il Micheli avesse già espresso un parere favorevole, secondo onestà intellettuale, per il nodo fiorentino.

[...]

Lo abbiamo visto. L’assessore Biagi è architetto e Micheli un geologo, che ha scritto nel gennaio 1995 quel che poi è accaduto. Si fosse ascoltato Micheli forse non ci sarebbe stata la necessità di questo processo. Ed invece la Regione Toscana non ha dato seguito al parere di Micheli, ma ha piuttosto approvato la delibera di Giunta Regionale n. 3884 del 24.8.95 predisposta dall’allora dirigente della Regione, arch. Biagi.

 

 

MINISTERO

 

E il Ministero?

Il ministero parte subito male con il parere portato ed approvato in Conferenza dei servizi.

Ci riportiamo alle domande del giudice ed alle risposte date dall’arch. Costanza Pera, allora Direttore generale per la Valutazione dell’Impatto Ambientale del Ministero dell’Ambiente.

Giudice - Domande? Senta, scusi, un paio di passaggi che non ho ben compreso, lei ha fatto riferimento, all’inizio della sua deposizione, a una difficoltà derivante dal rapporto fra i tempi a voi concessi e le dimensioni dell’opera nel rendere un parere. E mi pare che lei abbia collegato questo discorso dicendo: visto che vi era difficoltà ci siamo preoccupati di immaginare un sistema di monitoraggio in corso d’opera che era assolutamente nuovo rispetto ai precedenti. Allora, la domanda è questa: c’era un problema di tempi o era un problema di fattibilità? Cioè a dire, era difficile o impossibile dare un parere ponderato, istruito, quindi fondato per una questione di tempi o perché le dimensioni dell’opera e la natura dell’opera non lo consentivano?

Teste Pera - Entrambi. Cioè, c’era una incongruenza tra l’oggetto e lo strumento di…

Giudice - Per un verso il parere era impossibile da dare, per un verso erano stretti i tempi.

Teste Pera - Non stretti, era uno strumento amministrativo che non si prestava, che non aveva nessuna coerenza con l’oggetto.

Giudice - Perfetto, voi ne immaginate un altro.

Teste Pera - Sì.

Giudice - Che è quello dell’osservatorio in corso d’opera.

Teste Pera - Mm.

Ma il Ministero, dopo l’espressione di quel parere, dove non ha certo dato il meglio di sé, si comporta anche peggio nel prosieguo. Sparisce. Delega tutto all’inefficace Osservatorio, dove pure è rappresentato mantenendo la Presidenza di detto organismo, rinunciando al contempo ad esercitare le sue precipue funzioni a tutela dell’ambiente e che pure gli attribuivano anche un potere di sospensione dei lavori, ai sensi dell’art. 6 della L.n. 349/1986, oggi abrogato. “6. Qualora, nell'esecuzione delle opere di cui al comma 3, il Ministro dell'ambiente ravvisi comportamenti contrastanti con il parere sulla compatibilità ambientale espresso ai sensi del comma 4, o comunque tali da compromettere fondamentali esigenze di equilibrio ecologico e ambientale, ordina la sospensione dei lavori e rimette la questione al Consiglio dei ministri.”

Vediamo sempre il teste Pera.

Giudice - Allora, questo monitoraggio era pensato fin dall’inizio all’interno di un procedimento che prevedeva anche poteri di intervento del Ministero oppure no? Mi spiego meglio, si fa un monitoraggio per vedere che cosa succede in corso d’opera e poi quando succede si sta a vedere quello che è successo oppure il monitoraggio è finalizzato a un intervento in relazione a ciò che succede? Ha capito cosa voglio dire? Cioè, io posso monitorare per avere una cognizione o posso monitorare come fase endoprocedimentale di un procedimento che immagino efficace, di intervento. Lei prima ha detto: nel momento in cui si verificava un problema noi auspicavamo che fosse risolto questo problema. Certo, lo auspichiamo tutti, ma se il problema non veniva risolto che succedeva? Il Ministero che faceva?

Teste Pera - Dunque…

Giudice - Quando monitorava e si accorgeva che era nato un problema, rilevante, che cosa poteva fare? Quali strumenti erano previsti in questo monitoraggio? Coattivi intendo, nei confronti dell’esecutore dell’opera, che fossero ad esempio riottoso a prendere provvedimenti. Non so se sia mai avvenuto, ma è un’ipotesi. Non so se ho reso il concetto.

A questa domanda la teste non solo non risponde, ma dice anche una cosa non vera ovvero che:

Teste Pera - Penso… spero di aver capito. L’osservatorio era anche la sede per mettere seduti allo stesso tavolo i rappresentanti delle istituzioni con competenze ambientali, nel senso che la competenza operativa su una serie di aspetti ambientali legati alla costruzione dell’opera non era del Ministero ma era delle Regioni. Allora, così come nel 1990 è stata creata la conferenza dei servizi per mettere seduti intorno a uno stesso tavolo le amministrazioni che fino a quel momento si scrivevano delle lettere e prendere, seduti allo stesso tavolo, una decisione dopo essersi parlati e confrontati e avere esaminato insieme delle carte e dei progetti, nello stesso modo l’osservatorio doveva essere la sede nella quale i rappresentanti del Ministero dell’ambiente e delle regioni insieme alla TAV che era la concedente di chi realizzava l’opera, esaminassero la situazione e le cose da fare. Allora, i margini… la lettura dell’accordo procedimentale dice che a fronte di determinate situazioni l’osservatorio aveva da… cioè, c’erano delle risposte da dare. Io leggo quello che c’è scritto qui, nello stesso tempo la presenza delle Regioni e la presenza di TAV, diciamo, doveva complessivamente costituire un sistema di responsabilità che, poniamo che sotto la montagna ci fosse stata una gigantesca… adesso, non so, inventiamoci una cosa…

... scordandosi per l’appunto i poteri del Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 6 della L. n. 349/1986.

Il giudice, giustamente non si accontenta e prova a chiarire...

Giudice - No, abbia pazienza, non c’è nulla da inventarsi perché qui è successo. È successo un problema in una galleria e è intervenuta un’ordinanza sindacale, quindi non c’è niente da inventarsi, è già tutto previsto. Il problema è questo: io vorrei capire questo, se un’opera di queste dimensioni, di rilievo nazionale, che quindi che interessa la collettività, perché io sento qui da tre anni che quest’opera interessava la collettività. Era stato deciso che si facesse e su questo il processo non entra perché non gli interessa, il Ministero prende atto che non è in grado di formulare un parere approfondito, perché per un verso non è possibile in relazione all’opera e per un verso le procedure, i tempi non ci sono, questo mi è parso di capire. Allora pone in essere un organismo di monitoraggio e il tutto poi è rimesso alla discrezionalità amministrativa del sindaco di un paese di montagna dell’Appennino tosco-emiliano. Mi pare di capire questo poi alla fine. Cioè, il Ministero non si garantisce, nei confronti di un’opera di livello nazionale e nel momento in cui venissero fuori dei problemi certificati da un organismo di monitoraggi, un intervento? Io vorrei capire questo. Cioè, se nasce un problema che riguarda più comunità territoriali, un problema di un certo rilievo, non lo so quale, qui abbiamo discusso e abbiamo sentito che il problema riguarda una galleria, quindi è potuto intervenire il sindaco di quella zona, ma mettiamo che fosse successo un problema di carattere più generale, allora io vorrei capire questo. Se vi è un’opera di carattere nazionale, il Ministero non ha immaginato, nell’arco di questo procedimento di monitoraggio degli strumenti di intervento? Non si tratta solo di conoscere. Eh, conoscere è importante ma poi bisognerà anche che qualcuno faccia qualcosa. E se questo qualcuno che deve fare qualcosa per avventura non la volesse fare che succede?

Teste Pera - No, scusi, però qui c’è un problema che forse non ho chiarito sufficientemente bene. Due cose, primo, noi non è che non potevamo dare un parere, noi il parere l’abbiamo dato dicendo che era un parere, allo stato delle conoscenze, positivo con tutta una serie di prescrizioni che riguardavano tra l’altro il fatto che si organizzassero i cantieri, che si mitigassero tutta una serie di impatti eccetera e che per quanto riguardava le gallerie si procedesse ad accompagnare i lavori con questo monitoraggio, con certe tecniche e con certi metodi. Questo per precisione. Secondo, la competenza, io non voglio fare la burocrate che scarica sugli altri, ma siamo…

Giudice - No, sono qui per capirla, nessuno (inc.).

... ma quella resta ferma. Non risponde e scarica sulle Regioni....

Teste Pera - Siamo nel 1996, quando si iniziano i lavori, quando comunque si firma l’accordo procedimentale è il 95, chi ha la pazienza di leggere le premesse vedrà che l’accordo procedimentale viene a valle di un accordo tra le due Regioni, ciascuna Regione con i Ministeri e con la TAV, perché siamo in un’epoca in cui le Regioni rivendicavano a gran voce la propria competenza in materia ambientale e avevano al Ministero magari anche un po’… no, dice: e questi cosa vogliono? Ok? E quindi l’intervento in caso di una situazione ambientalmente estremamente critica, prima del Ministero doveva farla la Regione.

Giudice - Ho capito. Io la ringrazio di essere venuta, abbiamo esaurito.

Peccato non sia esattamente così. Peccato che il Ministero sarebbe potuto e dovuto intervenire. Non c’è altro da aggiungere.

 

 

OMESSO CONTROLLO

 

In conclusione non resta purtroppo che prendere atto della circostanza che Ministero e Regione hanno di fatto abdicato alle loro funzioni e prerogative pubbliche, delegandole ad un privato. Ed il privato se non è regimato e controllato agisce da quello che è, per fare ciò che deve fare, ma secondo le sue regole, non quelle pubbliche. Eppure è proprio questo il rischio che si corre quando la P.A. abdica alla sue proprie funzioni e prerogative delegandole ad un privato. Il rischio che lo stato di diritto si degradi. Ed è quello che è successo nel nostro caso.

La cosa si rende palese basti che si legga l’interrogatorio di Guagnozzi.

L’ing. Guagnozzi racconta la storia dell’AV dalla sua parte.

Imputato Guagnozzi - “… Io purtroppo le ricordo tutte, perché le ho vissute tutte io queste vicende. È stato uno dei primi impianti pilota sperimentali di quel tipo lì che sono stati fatti e poi è stato dato in carico a qualcun altro, è stato fatto, ho sentito (inc.) che ce l'ha raccontato l'altra volta (inc.), io poi non le ho più vissute queste cose. Però sostanzialmente la filosofia è che se si sapeva a priori questa vicenda, ci si poneva rimedio immediatamente prima. La verifica si faceva durante i lavori, se la necessità avveniva o non avveniva. Quindi si facevano interventi mirati per la necessità. Ovviamente in questo quadro così articolato non si poteva non tener conto delle necessità quotidiane delle quali TAV si era fatto carico di evitarne gli effetti, quindi quello di andare ad approvvigionare il Tizio, il Caio, mi manca l'acqua qui, mi manca la storia lì, e di quella lei si è presa carico e ha girato a noi. Noi abbiamo dato disposizione ai cantieri di andare immediatamente a sopperire alle richieste. Poi dopo si vedeva l'attribuzione, i fatti, eccetera. Poi fintanto che a un certo momento la vicenda è stata abbastanza contenuta, i cantieri andavano in via libera, poi decidevano porto l'autobotte, tiro giù un tubo di plastica e li collego, metto, voglio dire, un serbatoio lì, ogni tanto... Poi abbiamo sentito che si facevano ricaricare anche i pozzi che nel frattempo dicevano essere impattati e poi invece li usavano come cisterne, quindi non (inc.) non poteva essere bucata, altrimenti alla fine era una cisterna inutile. Questo è un po' il quadro operativo nel quale ci siamo mossi. Ovviamente poi è accaduto che strada facendo sono state contestate al CAVET o a TAV in modo improprio, proprio, con una miriade di cose che alla fin fine si sono accavallate senza una certa titolarità o un'attribuzione, tutta una serie di fatti e fenomeni che oggi stiamo discutendo. A mio avviso erano tutti abbastanza chiari, perché questa galleria drenante... Non si può pensare che si fa un buco nella montagna con la galleria drenante e poi si dica che non era preventivato. Io mi ricordo tantissime riunioni fatte poi successivamente, come direttore tecnico, sul territorio, dove partecipava (inc.), l'amministrazione delegato di TAV ogni tre mesi, con le comunità montane, con le amministrazioni, si andava a Scarperia, si andava a San (inc.), riunioni collegiali, tutti quanti, tutti parlavano dei propri problemi, questo per loro non era un problema. Altrimenti che lo dicevano, l'amministratore delegato di TAV, che era colui che avveniva lì apposto per la titolarità, per rispondere come persona diretta, poi dava operativamente a noi l'onere di andare a sistemare le situazioni, ovvero di sopperire. Poi se era preventivato, se era nel nostro contratto si faceva, altrimenti mandava avanti una perizia di variante per una nuova attività, loro approvavano, non approvavano, ci imponevano, non imponevano, in quel momento poi scattavano altre vicende contrattuali, perché l'imposizione magari non corrispondeva alla nostra richiesta, allora diventava... Insomma fa parte di quel coacervo delle riserve che tutto sommato contrattualmente parte sono lì, parte... Questa è la gestione contrattuale corrente. Questa credo che sia...”.

E dal suo punto di vista lo si può anche capire. Non condividere, non giustificare, ma capire. Infatti non si può certo pensare di parlare di quali debbano essere i corretti rapporti stato/cittadino in uno stato di diritto con un ingegnere che crede di essere investito di tutti i poteri speciali per adempiere alla missione conferitagli di fare un buco di 70 e passa chilometri dentro una montagna per farci passare un treno.

Ma si può pensare di chiedere a quell’ingegnere delle sorgenti di Fonte Mezzina o Alicelle o andargli a parlare dei pozzi di quelli che stanno a Paterno? Cosa ci si aspetta che ti risponda? Al massimo, se è in giornata buona e non ha altri pensieri per lui più gravi in testa, potrà dire che manderà un’autobotte, giusto per fare un piacere.

Questo può rispondere.

Ma uno stato di diritto è tale se pretende da tutti il rispetto delle regole anche per una sola sorgente sia che si chiami Fonte Mezzina o Alicelle.

E questa è la base delle censure all’operato del Ministero e della Regione.

Le censure sono quelle di aver lasciato i cittadini che subivano gli impatti da soli a ragionare con gli ingegneri delle loro sorgente, dei loro pozzi.

Sono quelle di non aver voluto ascoltare chi chiedeva approfondimenti, chi raccomandava cautele, di non aver ascoltato i propri tecnici più accorti, di aver omesso di controllare, di non aver preso atto in corso d’opera che si stava realizzando un qualcosa con effetti diversi e più gravi di quelli che sin dall’inizio si era voluto minimizzare.

Sono quelle di aver opposto un muro di gomma alle censure motivate delle associazioni ambientaliste.

Teste Annigoni Benedetto - No, questo veniva fuori dalle previsioni del progetto.

Pubblico Ministero - Dal progetto.

Teste Annigoni Benedetto - Cioè, il progetto prevedeva un impatto nell'ambito di 300 metri. In realtà siamo arrivati a 4 chilometri assicurati.

Pubblico Ministero - Ecco, quindi alle vostre segnalazioni puntuali, per esempio, su questo punto, avete avuto risposte? Nel senso, siete stati interpellati, o avete preso atto, o avete... siete stati in grado di verificare che sia mutato qualcosa a seguito di queste vostre iniziative o era rimasto tutto uguale...

Teste Annigoni Benedetto - Assolutamente no. L'unica cosa che abbiamo potuto ottenere, grazie all'interessamento del sindaco di Borgo San Lorenzo, allora Antonio Margheri, è stato l'accesso alla galleria quando si verificò il massimo impatto. Cioè, quando uscirono centinaia di litri il secondo. Lì pote...

Pubblico Ministero - Sta facendo... scusi, sta facendo riferimento a Marzano?

Teste Annigoni Benedetto - Sì. Sì. Lì avemmo l'occasione col sindaco di Borgo San Lorenzo e altre associazioni ambientaliste di accedere direttamente alla galleria e di vedere quello che stava succedendo. Questa è stata l'unica esperienza diretta avuta. Per il resto, il fatto stesso che noi abbiamo auto a che fare soprattutto con la stampa, con i comitati locali, con la Magistratura, è la prova evidente che l'interlocutore istituzionale non ha dato risposte.

Pubblico Ministero - Quindi lei mi dice che, nonostante queste segnalazioni... allora, non generiche, ormai non più di preoccupazioni sull'opera, come si diceva, quel dibattito iniziale, ma diciamo fondato su carte, su documenti, su fogli. Quindi su questioni puntuali e precise, quindi al di là... anche in questo caso non avete avuto risposte.

Teste Annigoni Benedetto - Non abbiamo avuto risposte.

Pubblico Ministero - Ecco, però... Allora mi faccia capire, così almeno... Ma il tipo di risposte che avevate prima con queste segnalazioni, tanto formali, o informali, perché credo che risposte scritte con carta e penna forse siano poche. Magari in questi incontri che diceva invece col sindaco, a Casa d'Erci... qualcosa ci s'era scambiati. Il tipo di atteggiamento, il tipo di risposte, più che d'atteggiamento, risposte che avete avuto, era nel senso: 'no, le vostre preoccupazioni sono campate in aria', oppure, 'no, non è vero nulla', oppure: 'vedremo, faremo...' Cioè, com'era...

Teste Annigoni Benedetto - Ma direi che fondamentalmente sono state ignorate. Cioè, noi via via che le cose avanzavano, avanzavamo anche delle proposte concrete. Per esempio, avendo di dimostrato l'evidenza che la valutazione d'impatto ambientale all'origine era carente, e visto che si verificava ciò che noi avevamo ampiamente denunciato, cioè vale a dire un impatto estremamente grave sulle risorse idrogeologiche, abbiamo chiesto che venisse fermato i lavori. Abbiamo chiesto che venisse fatto un nuovo... una nuova valutazione di impatto ambientale anche avvalendosi di tecnici di validità e di portata europea. Abbiamo chiesto che certe tecniche di scavo fossero abbandonate. Cioè, è chiaro che se si fanno delle gallerie drenanti progettate come drenanti, cioè, è molto difficile nel momento in cui si ha una fuoriuscita d'acqua bloccarla, no? quindi chiedevamo che cambiassero le tecniche di scavo. Chiedevamo che le gallerie venissero impermeabilizzate. Cioè, avanzavamo di volta in volta una serie di richieste. Alle quali non è stato dato risposte.

Avvocato Difesa - Questa marginalità della previsione lei da che cosa l'ha ricavata nel rapporto con le istituzioni?

Teste Annigoni Benedetto - Ma perché alla conferenza dei servizi, quando furono distribuiti ai Comuni che andavano a firmare una parte almeno della documentazione relativa al progetto e noi abbiamo avuto occasione, almeno in parte di accedere a queste carte, si vedeva come la valutazione per quanto riguardava l'impatto sulle risorse idriche, non fosse sufficientemente approfondita, soprattutto dato la natura del territorio che doveva essere...

Ed in questo senso, con riferimento a Ministero e Regione è meno temeraria l’affermazione del prof. Celico del “tutti sapevano tutto”.

 

 

TRASMISSIONE ATTI CORTE DEI CONTI

 

Ed allora che fare, oggi?

Cosa rispondere al Sindaco Mascherini che già nel 2000 si poneva la seguente questione non solo per Moscheta e Casa d’Erci che ricadono nel suo territorio, ma per tutta la parte di Mugello interessata ai lavori dell’A.V.?

Mascherini - Quindi il problema di chi paga questo danno ambientale credo che si ponga anche in riferimento alla legge nazionale di tutela delle risorse idriche. Questo è un problema che penso se la Regione lo vuole affrontare, non lo può affrontare solo per Casa d'Erci ma lo dovrebbe affrontare su tutta la tratta perché cosi si è verificato su tutta la tratta.

Noi possiamo solo rispondere che questo processo ha fatto emergere che Ministero e Regione potevano e dovevano sapere prima quello che sarebbe successo e poi ciò che è accaduto davvero.

Ha fatto emergere che Ministero e Regione avrebbero dovuto anche voler sapere ciò che stava accadendo e prevenirlo, e ciò controllando l’operato di CAVET, per evitare i danni, tutelare i cittadini ed il paesaggio.

Sotto questo ultimo aspetto, quello della doverosità della tutela del paesaggio da parte dello Stato e della Regione, si rimanda alla più recente sentenza della Corte Costituzionale 367/2007 che ha ribadito come il paesaggio sia un valore non solo “primario”, ma anche “assoluto”, “se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l'ambiente”.

Interessante notare come la sentenza della Corte sia conseguente ad un ricorso proprio della Regione Toscana che, tra l’altro, si lamentava come l’attuale normativa statale vigente le precluda la possibilità di «individuare con il piano paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista paesaggistico». La Corte ha invece ribadito che “l'oggetto tutelato non è il concetto astratto delle “bellezze naturali”, ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico” ovvero “lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale”.

 

Leggiamo un estratto significativo della sentenza:

“Come si è venuto progressivamente chiarendo già prima della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo. Ed è per questo che l'art. 9 della Costituzione ha sancito il principio fondamentale della “tutela del paesaggio” senza alcun'altra specificazione. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale.

Si tratta peraltro di un valore “primario”, come ha già da tempo precisato questa Corte (sentenza n. 151 del 1986; ma vedi anche sentenze n. 182 e n. 183 del 2006), ed anche “assoluto”, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l'ambiente (sentenza n. 641 del 1987).

L'oggetto tutelato non è il concetto astratto delle “bellezze naturali”, ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico.

Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni.

La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni.

Si tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti. E in proposito la legislazione statale ha fatto ricorso, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, proprio a forme di coordinamento e di intesa in questa materia, ed ha affidato alle Regioni il compito di redigere i piani paesaggistici, ovvero i piani territoriali aventi valenza di tutela ambientale, con l'osservanza delle norme di tutela paesaggistica poste dallo Stato. In particolare, l'art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, novellato dall'art. 13 del d.lgs. n. 157 del 2006, ha previsto la possibilità, per le Regioni, di stipulare intese con il Ministero per i beni culturali ed ambientali e con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per «l'elaborazione congiunta dei piani paesaggistici», precisando che il contenuto del piano elaborato congiuntamente forma oggetto di apposito accordo preliminare e che lo stesso è poi «approvato con provvedimento regionale».

In buona sostanza, la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle Regioni.

In questo stato di cose, la Regione Toscana non può certo lamentarsi di non poter statuire d'intesa l'individuazione dei beni da tutelare ed il regime di tutela, in quanto incidenti su competenze regionali. Come sopra si è chiarito, le competenze regionali non concernono le specifiche modalità della tutela dei beni paesaggistici (rimessa alla competenza esclusiva dello Stato), ma la concreta individuazione e la collocazione di questi ultimi nei piani territoriali o paesaggistici.

Quanto alla reintroduzione nel Codice dei beni culturali e del paesaggio della tipologia dei beni paesaggistici previsti dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, si deve inoltre sottolineare che detta legge ha dato attuazione al disposto del citato articolo 9 della Costituzione, poiché la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali.

Alla luce di quanto detto cade anche l'altra censura della Regione Toscana, secondo la quale non le dovrebbe essere preclusa la possibilità di «individuare con il piano paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista paesaggistico»”.

 

Purtroppo abbiamo visto in questo processo come non siano stati rispettati tali principi.

Per tutto quanto detto riteniamo quindi che Ministero e Regione non abbiano svolto questa loro funzione di tutela, e si ricordi che la funzione è proprio l’espressione da parte della P.A. non solo di un potere, ma anche, e forse soprattutto, un dovere.

Per questo rimettiamo al giudice di valutare se rimettere con sentenza gli atti alla Corte dei Conti ai sensi dell’art. 129 III comma c.p.p. con riferimento all’operato del Ministero dell’Ambiente e della Regione Toscana qualora si ravvisi come questa Procura ravvisi un caso in cui si è cagionato un danno erariale.

 

 

 

 

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