Associazione di volontariato Idra
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COMUNICATO STAMPA Firenze, 28.11.’08
GUAI TAV IN PILLOLE
stralci
della requisitoria
che i Pubblici
Ministeri Gianni Tei e Giulio Monferini
hanno pronunciato al
processo in corso presso il Tribunale di Firenze
a carico dei
costruttori della TAV fra Firenze e Bologna
Tredicesima puntata:
“Qui si riesce nella
sintesi, nella summa: male, tempi infiniti.
Quindi con tutti i
danni e basta”.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero dott.
Gianni Tei
[Stralcio n. 13]
“SOTTOSTIMANDO, MINIMIZZANDO, ANDANDO A DRITTO DI
BRUTTO, CI SAREMMO ASPETTATI ALMENO CHE L’OPERA SAREBBE FINITA PRIMA E CHE IL
TUTTO, ALLA FINE, SAREBBE DOVUTO COSTAR MENO. SE PRESTO E BENE NON STANNO
INSIEME, CI SI ASPETTA CHE POSSANO INVECE COMBINARSI ALMENO PRESTO E MALE.
OPPURE, CATTIVA QUALITÀ, MA COSTI MINORI. NO,
QUI SI RIESCE NELLA SINTESI, NELLA SUMMA: MALE, TEMPI INFINITI. QUINDI CON
TUTTI I DANNI E BASTA. OPERA NON FINITA, PREZZI RADDOPPIATI, CATTIVA QUALITÀ, COSTI
ENORMI”.
Ma non basta provare gli eventi e la condotta.
La Procura
deve provare ancora di più, deve provare il dolo. La consapevolezza e la
volontà degli imputati di cagionare i danni
provocati. Deve provare la prevedibilità e la previsione dei danni e la
esigibilità di una condotta diversa da quella tenuta.
Ora non saremmo qui se i
danni realizzati fossero stati assolutamente imprevedibili e non fosse
esigibile dagli imputati un comportamento diverso da quello in concreto tenuto.
Sennonché non solo si
poteva e si doveva esigere che gli imputati tenessero una condotta alternativa,
ma i danni non solo erano prevedibili, ma molti sono stati addirittura
previsti, accettati e quindi volontariamente determinati.
È dall’analisi diacronica degli eventi che emerge
palese la prova del dolo da parte degli imputati.
I PRODROMI DEI DANNI
Numerosi gravi indizi
suggerivano, già prima dell'approvazione dell'opera e dell'apertura dei
cantieri, gli scenari dei quali siamo adesso, nostro malgrado, tardivissimi
testimoni.
Già nel luglio 1992 nell’elaborato allegato alla
delibera 315/92 della Giunta Regionale, gli uffici di quell’Ente da pg. 29 a
pg. 32 descrivono quelli che sono risultate le lacune evidenziate nel corso
delle indagini e causa dei danni accertati.
Similmente il Servizio Geologico della Presidenza del
Consiglio dei Ministri del ‘92.
Di quest’ultima citiamo
alcune parti dal testo della relazione:
"Dati frammentari,
scarsamente confrontabili", "soggettiva
la sintesi dei dati e la conseguente valutazione ai fini della stabilità dei
versanti". Uno studio ricco di "discrepanze", "lacune o non corrispondenze dei
dati" nella cartografia. Mancanza di
"riferimenti toponomastici e tettonici" nel profilo geologico della tratta, "suggerimenti
geologico-tecnici generici e vaghi".
Trascurate "le qualità geo-meccaniche dei terreni" nonostante esse siano "cause che
predispongono alla instabilità degli stessi". Sottostimate "le modifiche geo-ambientali apportate
dall'intervento sul territorio"; "non
individuate le evoluzioni geodinamiche esogene e endogene". "Notevole frammentarietà delle
informazioni territoriali cartografate"
e "diversità delle scale di rappresentazione". Non tenuto "in debita considerazione quanto disposto dal
D.P.C.M. 27.12.1988 specie per quanto concerne le informazioni di carattere
geognostico e geotecnico". Assente
"la considerazione dei geotopi e dei beni culturali a carattere
geologico meritevoli di protezione".
"Estrema genericità sia nella previsione degli impatti che nelle
proposte di misure di mitigazione, per quanto riguarda sia la fase di cantiere
che quella di esercizio dell'opera".
Dopo quel parere, nessun
nuovo parere è stato richiesto al Servizio geologico della Presidenza del
Consiglio dei Ministri sul progetto esecutivo poi approvato nella Conferenza
dei servizi del 28 luglio 1995. Forse proprio a causa del tenore delle censure
espresse nel 1992?
Fatto sta che nulla cambia
nel 1995.
Infatti i servizi tecnici
della Regione Toscana (Ufficio del Genio Civile, Servizio Difesa del Suolo,
Nucleo di valutazione dei siti di cava di prestito), nei loro pareri espressi
pochi giorni prima della chiusura della Conferenza di servizi sulla scorta
degli elaborati tecnici del progetto esecutivo per la tratta AV
Bologna-Firenze, evidenziano enormi carenze progettuali sotto l'aspetto
idrogeologico, geomorfologico e idraulico, o segnalano che "gran parte delle
difficoltà nell'esame del materiale prodotto derivano dal fatto che lo stesso
nasce in assenza di una preventiva valutazione di impatto ambientale.
Valutazione che avrebbe permesso di evidenziare problematiche di larga scala
preliminarmente alla redazione del progetto esecutivo in modo da poterne tener
conto nella scelta delle specifiche soluzioni tecniche".
Ancora il 23.1.1995 vengono
ribadite analoghe riserve allo studio di impatto ambientale (S.I.A.) dal
Dipartimento Ambiente Regione Toscana a firma del geologo Micheli (pg.
1154/10), che, dopo aver premesso che in “ … un settore come quello Appenninico dove
sussiste una generale carenza di risorse idriche anche falde di modeste
dimensioni e capacità possono acquisire grande importanza locale", evidenzia come gli elaborati cartografici
contengano informazioni per soli due chilometri, e manchino indicazioni
puntuali sugli interventi di mitigazione, tanto più necessari visto che il
sicuro effetto drenante causato dalle gallerie “rischia di avere
ripercussioni negative sull’ecosistema, di superficie per la riduzione della
portata di base di corsi d’acqua anche in zone lontane dal tracciato
ferroviario”. Elementi
tutti che fanno sì che lo stesso Dipartimento esprimesse parere negativo “per evidenti carenze per
quanto riguarda l’approfondimento delle indagini, il mancato riconoscimento di
importanti acquiferi, la mancanza di interventi di mitigazione”.
Riportiamo per esteso le
“Conclusioni”:
“Sulla
base delle considerazioni sopra svolte si ritiene di esprimere parere negativo
sullo studio di impatto ambientale per evidenti carenze per quanto riguarda
1’approfondimento delle indagini, il mancato riconoscimento di importanti
acquiferi, la mancanza di interventi di mitigazione. In particolare si motiva
il parere negativo nel modo seguente: 1) mancanza di valutazione di ordine
sismico in funzione soprattutto ella stabilità delle pendici naturali o
artificiali; 2) assenza dì indagini geomorfologiche (forme carsiche, frane,
deformazioni gravitative profonde ecc.); 3) non riconoscimento dell’importanza
dell’acquifero carsico della formazione di Monte Morello; 4) mancanza di
valutazione di ordine idraulico soprattutto per i siti di cantiere e di
discarica in zone di naturale espansione delle acque; 5) non valutazione dell’
"effetto drenante” delle gallerie in acquiferi o in zona dì intensa
fratturazione e probabile circolazione idrica; 6) non valutazione delle
ripercussioni dell’effetto drenante delle gallerie in funzione degli ecosistemi
superficiali; 7} ristrettezza delle indagini geologiche ed idrogeologiche
limitate ad una fascia dì solo due chilometri intorno al tracciato ferroviario
che non consentono adeguate ricostruzioni stratigrafiche e strutturali; 8) non
indicazione degli interventi di mitigazione”.
Diremmo che c’è tutto
quello che ci doveva essere. Era il 23.1.1995. Bastava leggere ed aver voglia
di capire.
Ma non c’è solo questo
parere della Regione.
È addirittura dagli stessi atti nella disponibilità e
commissionati dai proponenti che emergono le stesse lacune. Si fa riferimento alla "Relazione geologica e idrogeologica per la
istruttoria della Variante del Progetto esecutivo (tratto Toscano:
Mugello-Vaglia-Careggi)", datata 30 giugno 1995 e redatta dal Dipartimento
di Scienze Geologiche dell'Università di Bologna sulla base di una convenzione
con la TPL - AV (società legata alla TAV Spa). Nella relazione appaiono
esplicitate gravi e puntuali perplessità circa i rischi di natura idrogeologica
connessi con la costruzione dell'opera, e circa l’attendibilità della
documentazione fornita per lo studio richiesto. Appare evidente il quadro di
preoccupazione che l'analisi del Dipartimento di Scienze Geologiche
dell'Università di Bologna aveva tempestivamente fornito ai proponenti
dell'opera anche se con riferimento all’originario tracciato che non prevedeva
la variante Castello, ma identico sino a Vaglia.
E questo per dire che già
stato dell’arte al momento della approvazione del progetto, era palese non solo
la astratta prevedibilità, ma addirittura la previsione in concreto di ciò che
poteva succedere e che, di fatto, è successo.
Ed a questo punto è del tutto conseguente ed esigibile pretendere che
gli imputati prendessero atto di tali documenti ed emergenze e si attivassero
di conseguenza [...].
Da notare che nessuno degli
imputati - e non ce l’aspettavamo di certo - ha detto “siamo una impresa di
incompetenti per cui non sappiamo fare il nostro lavoro”. No. Abbiamo sentito
anzi tutti rivendicare la loro estrema professionalità.
E allora cosa dobbiamo
pensare? Perché un funzionario regionale che avrà avuto uno stipendio di
1.500 euro in Regione è stato in grado di vedere ciò che altri mirabili e
chiarissimi professionisti privati, luminari della consulenza e top manager non
hanno visto?
Ci limitiamo a constatare:
1.
che si poteva e si doveva
prevedere quanto accaduto;
2.
una volta che comunque lo
avevano previsto altri, ne avrebbero dovuto necessariamente tener conto. Non
fosse altro per attivare conseguentemente e doverosamente le procedure in base
alle quali realizzare le opere ancorché dannose, ma solo previo puntuale
rilascio da parte della amministrazioni preposte delle necessarie
autorizzazioni e solo una volta che queste avessero verificato, nei modi di
legge, la sussistenza di un superiore interesse pubblico alla realizzazione
della tratta Firenze-Bologna pur con quei determinati effetti negativi.
Niente di tutto ciò invece
è accaduto.
Ma non è finita.
Ancor peggio se ci
ricordiamo cosa è successo in corso d’opera e di cui abbiamo già trattato.
Nel corso della cantierizzazione,
è stato istituito dalla Comunità Montana del Mugello-Alto Mugello-Val di
Sievee, con delibera n. 175 del 28.06.1996, l’Osservatorio Ambeintale Locale
(OAL) sui lavori dell’Alta velocità, dotato di un Comitato tecnico-scientifico
presieduto dal geologo prof. Giuliano Rodolfi. L'OAL ha ammonito a più
riprese circa i rischi che si sarebbero corsi in ambito idrogeologico con le
procedure di attuazione delle cantierizzazioni e degli scavi. Ma non risulta
che l'azione delle autorità di controllo (sindaci, Osservatorio Ambientale,
ARPAT, ecc.) sia stata sufficientemente efficace da evitare i danni ambientali
preconizzati.
E CAVET, diretto
interessato ed autore di tali danni, non ha fatto certo complimenti nell’andare
avanti diritto alla meta costasse quel che costasse, e “meta” si fa per dire,
visto che i lavori non sono oggi neppur finiti.
Eppure sottostimando,
minimizzando, andando a dritto di brutto, ci saremmo aspettati almeno che
l’opera sarebbe finita prima e che il tutto, alla fine, sarebbe dovuto costar
meno. Se presto e bene non stanno insieme, ci si aspetta che possano invece
combinarsi almeno presto e male. Oppure, cattiva qualità, ma costi minori. No, qui si riesce nella sintesi, nella summa: male,
tempi infiniti. Quindi con tutti i danni e basta. Opera non finita, prezzi
raddoppiati, cattiva qualità, costi enormi.
Infatti le censure
all’operato degli imputati CAVET si appuntano soprattutto al momento in cui
cominciano a costruire e vengono al pettine tutte le magagne ed i nodi di una
progettazione esecutiva quantomeno da valutarsi scadente se non addirittura
preordinata a minimizzare scientemente gli effetti negativi cui si sarebbe
andati in corso nella fase di realizzazione.
E infatti come si comincia
a costruire ecco che non tornano più i conti.
Abbiamo già anticipato
dell’importante segnale di quanto avvenuto a Castelvecchio.
Abbiamo già detto che
Trezzini nel 1998 arriva a dire a CAVET, in una riunione pubblica a Firenzuola,
le seguenti testuali parole:
“Penso che abbiate
trascurato qualcosa in questo periodo. Su questo tema occorre intendersi bene.
Andavano fatte quattro cose e non sono state fatte:
1)
andava previsto l'accaduto, e la previsione è risultata errata;
2) poteva essere fatto il
monitoraggio;
3)
poteva essere fatto il rivestimento alla galleria, senza fare come se
nulla fosse avvenuto;
4) potevano esser fatti prima
gli interventi alternativi.
Dobbiamo
puntualizzare che i modelli matematici devono avere una tolleranza minima.
Verifichiamo se è il caso di intensificare i dati dei monitoraggi. I dati di
monitoraggio, devono arrivare in tempo reale e non dopo mesi. FIAT e CAVET
devono provvedere con tempestività”.
Questo, Trezzini.
Stessi concetti ribaditi
nel settembre '99, in un articolo pubblicato sulla rivista Net dell'ARPAT, laddove il responsabile Piero Biancalani scrive, a
proposito dei problemi insorti nell'ambito delle acque sotterranee: "Nel
modello utilizzato per definire la fascia d'influenza delle gallerie si sono
assunte in partenza condizioni di omogeneità ed isotropia del mezzo
assolutamente lontane dalla realtà, comportando errori di valutazione
dell'effettiva estensione della fascia d'influenza dell'escavazione. Su tali
"ipotesi" si è basata anche la definizione preventiva dei codici di
scavo e quindi delle sezioni tipo da utilizzare nei differenti tratti, nonché
la stima del drenaggio stesso, con ripercussioni sul valore reale
dell'abbassamento del livello piezometrico. Il monitoraggio idrogeologico che è
stato predisposto è in grado di segnalare situazioni critiche solo quando
queste sono in qualche modo già in atto e di concedere, perciò, tempi assai
ridotti per gli interventi di emergenza tali da renderne spesso molto limitata
l'efficacia. Inoltre, il piano di monitoraggio era stato impostato sulla
importanza socio-economica dell'acquifero, e non risulta collegato con uno
studio che si ponga degli obiettivi più generali di tutela della risorsa idrica
sotterranea, sia in fase di costruzione che in fase di esercizio" (Net,
n. 12, settembre 1999) (pg. 200232).
Ed allora vediamo che
anche in corso d’opera - nonostante fossero ormai chiari, noti, non solo
conoscibili, ma addirittura conosciuti i danni che si andranno a provocare -
non si fa niente per porvi rimedio.
Ricordiamo al riguardo dei
danni alle sorgenti che approvvigionavano le frazioni di Luco di Mugello e di
Grezzano, nel Comune di Borgo S. Lorenzo, che gli imputati, nonostante l'OAL
avesse previsto ed ammonito degli eventi, non si sono affatto preoccupati di
prevenire.
Ecco cosa risulta aver scritto il prof. Giuliano Rodolfi il 18.1.'00 (pg.
200251) a un nutrito elenco di destinatari (fra cui il sindaco di Borgo San
Lorenzo, il presidente della Comunità Montana del Mugello, il rappresentante
della Regione Toscana nell'Osservatorio Ambientale Nazionale, i sindaci di
Vaglia, San Piero a Sieve, Scarperia e Firenzuola, e per conoscenza il CONSIAG
e l'ARPAT):
"I lavori per la
realizzazione della tratta appenninica della Ferrovia AV stanno sempre più pesantemente
interessando le risorse idriche (superficiali e profonde) del bacino della
Sieve (territori dei Comuni di Vaglia, San Piero a Sieve, Scarperia, Borgo San
Lorenzo), e dell'adiacente bacino del Santerno (Comune di Firenzuola). Del
progressivo aggravarsi della situazione sono testimoni le segnalazioni che
provengono a questo Osservatorio sia dalle suddette Amministrazioni Comunali
che da singoli cittadini.
Oltre a episodi di una
certa gravità, come il recente sprofondamento verificatosi in località Il
Grillo, conseguente al drenaggio di acque sotterranee intercettate nel corso
dello scavo della galleria di Firenzuola, si lamentano casi di diminuzione di
portata o, addirittura, di sparizione più o meno improvvisa di sorgenti
prossime agli scavi. In alcuni casi si segnalano sensibili alterazioni, sempre
in senso negativo, nelle portate dei corsi d'acqua superficiali.
È certo che i tratti di
galleria finora scavati hanno intercettato acquiferi produttivi liberando
volumi d'acqua molto superiori alle previsioni di progetto, dimostrando la
relativa attendibilità delle indagini idrogeologiche ante operam. D'altro
canto, risulta particolarmente difficile, in carenza di dati, stabilire
relazioni di causa-effetto fra le acque drenate e i fenomeni riscontrati; si
può solo, al momento, parlare di "rischio generico" per le acque,
senza nessuna possibilità di quantificare il fenomeno. Anche la ricerca di
eventuali approvvigionamenti alternativi è tutt'altro che basata su di un piano
organico d'indagini.
Nell'ineluttabile
prospettiva di un avanzamento dei lavori, che comporterà maggiori volumi di
acque intercettate, l'adozione di criteri realmente scientifici non può essere
ulteriormente procrastinata. Considerato che, in ogni caso, le opere progettate
incideranno negativamente sulla qualità e sulla quantità delle risorse idriche
disponibili sia per usi civili che industriali o agricoli, è indispensabile la
messa a punto di un oculato sistema di gestione.
Il primo passo, che avrebbe
dovuto essere compiuto, con il dovuto rigore, all'indomani dell'approvazione
dell'opera è, e rimane, un attento quanto assiduo monitoraggio delle acque
sotterranee e superficiali. E' anche vero che i dati raccolti in due o tre anni
di osservazione non sarebbero stati statisticamente significativi, ma avrebbero
comunque, e non poco, aiutato a capire la dinamica degli acquiferi e a porre in
relazione la loro variabilità con quella degli afflussi meteorici.
Purtroppo, siamo nelle
condizioni di usare, nella quantificazione dei parametri idrologici, gli
aggettivi o gli avverbi al posto dei numeri, o a rifarsi alle testimonianze di
qualche vecchio idraulico di qualsiasi comune o del solito anziano mezzadro. In
queste condizioni, se è già difficile stimare un danno presunto alle risorse
finora disponibili, figuriamoci quanto lo sia quantificare eventuali forme
alternative di approvvigionamento. Certo, in situazioni d'emergenza, come
quella che stiamo vivendo, qualunque dato, anche se riferito ad un solo anno di
osservazioni, avrebbe fatto comodo; ma quale livello di attendibilità
attribuirgli? L'esecutore (o il progettista, o il tutore) dei lavori AV ha
eseguito il monitoraggio di sorgenti, piezometri o pozzi significativi con
mezzi adeguati e con frequenza accettabile? A questo proposito, quale deduzione
sulla dinamica di una falda idrica o di una sorgente può essere azzardata sulla
base di verifiche solo trimestrali, come quelle che risultano essere state
effettuate, o anche mensili, qualora si tratti di punti particolarmente
significativi?
Per sommi capi, una nuova
indagine, sia pure tardiva, dovrebbe almeno prevedere:
-
la verifica della funzionalità dei piezometri e dei
pozzi esistenti,
-
la posa in opera di nuovi piezometri sia nei tratti
più problematici, che in quelli ancora non esplorati;
-
l'allestimento delle sorgenti più significative mediante stramazzi tarati
o, comunque, di qualsiasi apparato che consenta rapide misure di portata (per
"sorgenti significative" non si devono intendere solo quelle che
alimentano le utenze più numerose o importanti, ma anche quelle minori, che
possono fornire più utili informazioni sulla circolazione sotterranea);
-
l'adozione di una frequenza almeno quindicinale nelle verifiche;
-
la tempestiva comunicazione dei dati alle Amministrazioni competenti per
territorio e agli Organi preposti alla tutela ambientale".
Questo il chiaro quadro a
tre anni dall’inizio dei lavori, ma non si cambia.
Per capire il clima si rimanda al Consiglio Comunale aperto del 22.2.00 a
Luco di Mugello nel corso del quale quasi si accetta un destino annunciato:
dopo le sorgenti seccate a Castelvecchio e a Marzano, il tunnel TAV si avvicina
pericolosamente a quelle di Case d'Erci, di cui come detto il geologo
presidente dell'Osservatorio Ambientale Locale del Mugello, prof. Giuliano
Rodolfi, e il responsabile ambiente del CONSIAG, Filippo Landini, annunciano
che sono da considerare ormai "condannate".
A chi chiedeva di cercare
altre possibili fonti pulite di approvvigionamento, il rappresentante del
CONSIAG replicava che purtroppo c'era poco da fare in quella direzione: fino ad
almeno 2 o 3 km sia destra sia sinistra del tunnel l'impatto sulla falda può
rendere non più disponibile l'acqua attualmente esistente: inutile cercare lì
altre sorgenti, che potrebbero anch'esse sparire.
E CAVET? Che fa? Niente.
Non si ferma.
Nella sua comunicazione
alla VI Commissione consiliare della Regione Toscana "Territorio e
Ambiente", avvenuta il 20.7.'00 (ALLEGATO 29), l'assessore all'Ambiente
della Regione Toscana Tommaso Franci riferisce alcuni particolari importanti a
proposito dell'intercettazione nel marzo 2000 delle sorgenti di Casa d'Erci,
destinate all'alimentazione dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco
e Grezzano.
"Il 14 marzo
l'Osservatorio prescriveva (con nota indirizzata a TAV, Italferr, FIAT e CAVET)
i monitoraggi da svolgere, accogliendo anche le specifiche proposte dell'ARPAT.
In particolare confermava la progressiva 54+100 quale limite massimo di scavo
in attesa di ulteriori elementi conoscitivi. A conclusione della stessa nota
veniva infine comunicato: "Nella giornata odierna è giunta comunicazione,
da parte del Supporto Tecnico, in merito al riscontro di una venuta d'acqua
stimabile in circa 9 l/sec., al fronte della galleria in argomento. Tale accadimento,
in relazione all'ormai prossimo raggiungimento della progressiva di probabile
inizio drenaggio, fa ritenere che la sospensione dei lavori di scavo debba
essere immediata, che debbano essere avviati e conclusi nel più breve tempo
possibile gli approfondimenti di cui sopra e che in merito alla prosecuzione
l'Osservatorio esaminerà gli esiti delle attività richieste, non appena
disponibili".
Sulla base dei sopralluoghi
effettuati dall'ARPAT il 14 marzo i lavori di scavo avevano raggiunto la
progressiva 54+112 (si tenga presente che con l'avanzamento verso Bologna la
progressiva è decrescente). I lavori risultano essere proseguiti per ulteriori
1-2 giorni fino al raggiungimento della progressiva 54+102. In tale periodo si
è incrementata la venuta di acqua al fronte della galleria fino a raggiungere
16 l/sec.
Quasi
contemporaneamente ha iniziato a manifestarsi un decremento consistente delle
portate delle sorgenti Casa d'Erci 1 e Casa d'Erci 2 destinate all'alimentazione
dell'acquedotto che serve i centri abitati di Luco e Grezzano, tanto che, in
data 26.3.2000, è stata attivata l'integrazione degli approvvigionamenti
mediante autocisterne".
Come volevasi dimostrare.
Ma non si farà nulla
neanche per altre importanti sorgenti, come La Rocca che serve il capoluogo di
Scarperia.
Nonostante ciò non ci si
ferma. Si va avanti.
Lo stesso per il cantiere
di San Giorgio, dove si verifica una serie di sprofondamenti di terreni
agricoli, l'ultimo dei quali di ben 7 metri a 70 metri di distanza dal fronte
di scavo.
La domanda è sempre quella. Perché non fermarsi già
dall'estate del 1998 quando era evidente il fallimento del progetto in corso
d’esecuzione dopo che si erano registrate conseguenze analoghe della cantierizzazione
TAV a Castelvecchio, nel Comune di Firenzuola?
Ed allora
come si fa a sostenere l’imprevedibilità dell’accaduto?
Ciò che è accaduto era non solo prevedibile, ma in
concreto previsto [...]. Ed allora se era prevedibile e previsto ciò che è
accaduto, perché non sarebbe esigibile che si fosse operato diversamente?
Dunque prevedibile, previsto e comunque accettato ed infine, dunque, voluto.
Comunque sicuramente accettato da quando si sono manifestati gli eventi di
Castelvecchio e dal quel momento chiaramente voluto.
L’assunto è confermato dal Documento del 2.8.'00
prodotto dall'Osservatorio Ambientale Nazionale. Vi si leggono espressioni come
"le sorgenti Badia di Moscheta
e Felciaione sono destinate ad essere prosciugate dal drenaggio della galleria
Firenzuola e della Finestra Osteto (…) La sorgente Badia di Moscheta ha un
notevole interesse dal punto di vista turistico-ambientale; infatti si tratta
di una captazione fatta dai monaci di Moscheta e si trova nel cortile della
Badia, meta di numerosi turisti. La sorgente potrebbe essere impattata a
partire dall'agosto 2001 (…) La Galleria Firenzuola dalla finestra Rovigo verso
sud drena attualmente circa 200 l/s".
Ormai la fine è nota.
Impattata anche Moscheta.
Ed allora come concludere?
a) CAVET doveva e poteva conoscere i danni ambientali che avrebbe
provocato con la sua condotta ed in parte già li conosceva, ma non se ne cura.
b) In ogni caso ne è chiaramente edotta appena iniziano le opere di scavo
e si provocano i primi impatti asseritamente non previsti.
c) Volontariamente e consapevolmente CAVET prosegue nell’attuazione del
suo programma conoscendone perfettamente gli effetti.
d) Alla proteste dei
danneggiati, degli enti locali, degli ambientalisti, si sottrae negando i
fatti, le proprie responsabilità o garantendo che tutto sarebbe tornato come
prima.
Il punto a)
prova il dolo eventuale.
I punti b) e
c) sono sufficienti a dimostrare il dolo diretto degli eventi provocati.
Il punto d) prova la consapevolezza e la malafede per
sottrarsi alle conseguenze dei danni provocati.