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COMUNICATO STAMPA Firenze, 23.1.’09
GUAI TAV IN PILLOLE
stralci
della requisitoria
che i Pubblici
Ministeri Gianni Tei e Giulio Monferini
hanno pronunciato al
processo in corso presso il Tribunale di Firenze
a carico dei
costruttori della TAV fra Firenze e Bologna
Ventunesima puntata:
“Non pare esportabile un
progetto che viola
uno dei principi
contenuti nel Trattato della Comunità Europea”
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
10 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 21]
“È DA PROVARE CHE UN GEOLOGO SI
ARRISCHI A VALIDARE UN PROGETTO PER LA COSTRUZIONE DI UNA CASA PRIVATA SE NON È
TRANQUILLO SU QUELLO CHE POTRÀ ACCADERE. [...] FORSE DOBBIAMO CONCLUDERE CHE NEL REALIZZARE OPERE
PUBBLICHE SI POSSA ESSERE PIÙ “SPORTIVI”, SI POSSA OSARE DI PIÙ?”.
7) ... SALVO L’IMPREVEDIBILE, PERCHÈ LA GEOLOGIA NON
È UNA SCIENZA ESATTA (E IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE?).
Quindi, secondo
CAVET, tutto previsto e comunque mitigato.
Salvo l’imprevisto però, è ovvio.
Gli impatti imprevisti
ammessi da CAVET (v. test. Bollettinari) sono:
-
gli impatti sui fiumi (le
previsioni, abbiamo visto quanto poi azzeccate, citavano comunque solo il Carza
e Carlone);
-
la
sorgente Castelvecchio;
-
Casa
d’Erci, che si è seccata in due ore invece che in un anno e mezzo;
-
la
sorgente La Rocca.
Impatti imprevedibili fino
ad un certo punto, diciamo noi … perché, abbiamo già detto, c’è chi li aveva previsti,
e rimandiamo a Rubellini. Già il gruppo di lavoro della Regione nel ’95, di cui
faceva parte Rubellini, aveva avvisato che doveva essere approfondito il tema
degli impatti sui corsi d’acqua. [...] Ma CAVET, per bocca di Celico, ci dice “Che volete da noi. Non
sapete che l‘idrogeologia non è una scienza esatta? Che vi è la chiara
impossibilità di effettuare previsioni certe?” (Cap. 2.1.2 della CT di Celico).
Ora, se il dr. Celico si
fosse fermato qui, si sarebbe potuto anche sorvolare, visto che l’assunto difensivo
certo non sconvolge chi di mestiere fa i processi e in mille occasioni si è
trovato a valutare fatti non rapportabili a scienze esatte, come la
psichiatria, la grafologia, la ricostruzione dinamica di incidenti stradali, la
medicina, la psicologia, ecc. ecc. E non avremmo certo perso tempo a spiegare
l’ovvio, ovvero che gli imputati non sono stati certamente chiamati in giudizio
per non essersi dotati di una sfera di cristallo dell’ultimo tipo.
Ma il dr. Celico si spinge
oltre.
Si spinge fino a sostenere la
bontà del metodo usato da CAVET nello scavo delle gallerie per, come dice lui,
successive approssimazioni, che, dice, “non è un’invenzione di comodo”, ma “...un’accorta ed oculata metodologia di indagine” (pg. 57).
Vediamo perché siano
giuridicamente inaccettabili gli assunti del dr. Celico.
Il dr. Celico introduce il concetto di sorpresa
geologica citando l’art. 1664, II comma, del Codice civile richiamato a suo
tempo dall’art. 25 della legge n. 109/94, oggi sostituito dall’art. 132 del
D.lgs. 163/2006. La cosa è interessante, fa un bell’assist Celico, la sorpresa
geologica nella disciplina di settore delle opere pubbliche è citata tra le
cause che legittimano le “varianti in corso d’opera”.
“Art. 132. Varianti in
corso d’opera (artt.
19, comma 1-ter, e 25, legge n. 109/1994).
1. Le varianti in corso
d'opera possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei
lavori, esclusivamente qualora ricorra uno dei seguenti motivi:
a) per esigenze derivanti da
sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;
b) per cause impreviste e
imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento, o per l'intervenuta
possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al
momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo,
significativi miglioramenti nella qualità dell'opera o di sue parti e sempre
che non alterino l'impostazione progettuale;
c) per la presenza di
eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene
verificatisi in corso d'opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili
nella fase progettuale;
d) nei casi previsti
dall'articolo 1664, comma 2, del codice civile;
e) per il manifestarsi di errori
o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la
realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il
responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione
all'Osservatorio e al progettista.
2. I
titolari di incarichi di progettazione sono responsabili per i danni subiti
dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della
progettazione di cui al comma 1, lettera e). Nel caso di appalti avente ad
oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori, l'appaltatore
risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre
varianti in corso d'opera a causa di carenze del progetto esecutivo.
3. Non
sono considerati varianti ai sensi del comma 1 gli interventi disposti dal
direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti
entro un importo non superiore al 10 per cento per i lavori di recupero,
ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5 per cento per tutti gli altri
lavori delle categorie di lavoro dell'appalto e che non comportino un aumento
dell'importo del contratto stipulato per la realizzazione dell'opera. Sono
inoltre ammesse, nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, le varianti, in
aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua
funzionalità, sempre che non comportino modifiche sostanziali e siano motivate
da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al
momento della stipula del contratto. L'importo in aumento relativo a tali
varianti non può superare il 5 per cento dell'importo originario del contratto
e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera.
4. Ove le
varianti di cui al comma 1, lettera e), eccedano il quinto dell'importo
originario del contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione
del contratto e indice una nuova gara alla quale è invitato l'aggiudicatario
iniziale.
5. La
risoluzione del contratto, ai sensi del presente articolo, dà luogo al
pagamento dei lavori eseguiti, dei materiali utili e del 10 per cento dei
lavori non eseguiti, fino a quattro quinti dell'importo del contratto.
6. Ai fini del presente articolo si
considerano errore o omissione di progettazione l'inadeguata valutazione dello
stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica
vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali
ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle
norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali”.
Nel ribadire il divieto
delle varianti in corso d’opera la legislazione fa salvi cinque casi, di cui
quattro connessi ad eventi imprevedibili, quali ad esempio la modifica della
legislazione e la sorpresa geologica.
Quindi cosa
si desume? Si desume la conferma di ciò
che questa Procura ha sempre sostenuto. Non stiamo celebrando un processo per
un delitto colposo, per un difetto di “previsione”, ma l’opposto, ovvero un
processo per dolo, perché, una volta conseguita la consapevolezza degli effetti
del progetto esecutivo redatto non ci si è attivati - anche e proprio con
varianti in corso d’opera - per elidere gli effetti devastanti di ciò che si
andava a fare.
Quindi, seguendo il
ragionamento del dr. Celico, e condiviso il concetto che la idrogeologia non
sia una scienza esatta, non è accettabile che da questa affermazione se ne
possa trarre come corollario il fatto che tutto è permesso e che qualsiasi
conseguenza negativa debba essere gioco forza accettata e subita.
[...]
Ripetiamo: la legge considera errore o omissione
anche l’inadeguata valutazione dello stato di fatto. E allora può essere una esimente sostenere che la
idrogeologia non è una scienza esatta? Riteniamo di no se ci ricordiamo tutte
le fasi che ci hanno portato ai danni per cui oggi si è celebrato questo
processo.
Ricordiamoci che siamo
partiti da una relazione Broili, citata dal dr. Celico come esempio di
ottimo lavoro previsionale, che attesta che per ben 21 chilometri di tracciato
CAVET non ha nessuna informazione riguardati pozzi e sorgenti. Ribadiamo. CAVET
non sapeva nulla, per inefficienza propria, di cosa avrebbe incontrato per
21 chilometri, ma questo ha poco a che fare con la questione che
l’idrogeologia non è una scienza esatta.
Se la geologia poi non è una scienza esatta, non deve
allora operare il principio di precauzione?
La domanda è già stata già posta in sede dibattimentale al dr.
Bollettinari che ha dato una certa risposta che continuiamo a non ritenere convincente.
È da provare che un geologo si arrischi
a validare un progetto per la costruzione di una casa privata se non è
tranquillo su quello che potrà accadere, così com’è da provare se quello
stesso geologo ci mette la firma o meno se non è più che sicuro o se non ha
preso tutte le precauzioni del caso. Forse
dobbiamo concludere che nel realizzare opere pubbliche si possa essere più
“sportivi”, si possa osare di più?
E poniamo
nuovamente una domanda già posta. Non si
dovrebbe operare sempre e comunque per il meglio nel massimo rispetto delle
generazioni future, specialmente quando in gioco ci sono beni vitali e preziosi
come l’acqua?
Il dr. Celico si è invece già risposto confermando la
bontà del metodo sopra enunciato “della successiva approssimazione” e chiama a
testimone l’intera comunità scientifica mondiale. Conclude infatti il Dr.
Celico che dai lavori di scavo in
galleria la Comunità scientifica ha tratto un grado di conoscenza scientifica
che non era preesistente e dovuta proprio grazie all’esperienza effettuata
nelle gallerie dell’Alta velocità ferroviaria (pg. 67). Citando il teste
Mirri il prof. Celico ci rappresenta che tale esperienza ha permesso anche di
organizzare numerosi “convegni ai
quali hanno partecipato geologi di tutto il mondo, inclusi quelli della Cina,
Giappone, USA e UE che ne hanno rimarcato l’interesse scientifico con molte
domande e vivaci discussioni” (Pg. 71). La cosa non pare provi troppo a favore
degli imputati. È come dire che oggi, grazie alle lavorazioni che hanno
comportato l’utilizzo dell’amianto, gli scienziati e i medici hanno potuto
organizzare molti convegni e ora sanno molto di più sul mesotelioma polmonare.
Quindi non dubito affatto della circostanza che si siano tenuti convegni
sugli scavi dell’Alta Velocità nel Mugello, ma non diventano accettabili per questo
motivo i riferimenti all’asserita legittimità - perché di questo stiamo
parlando - di una metodologia per successive approssimazioni quali quelle
concretamente poste in essere nel caso del Mugello.
E questo è il “principio di precauzione”. E non si
pensi che il principio di precauzione sia una invenzione della Procura. Visto
che stiamo trattando della realizzazione di una delle opere più imponenti di
Italia realizzata da un consorzio formato da colossi dell’imprenditoria
nazionale, ci si sarebbe aspettati che fossero questi stessi soggetti ad
esigere da loro stessi un comportamento adeguato per poter competere anche sui
mercati esteri, primi fra tutti quelli europei, ma così non è stato. Forse proprio
perché non si è in grado di competere in mercati maturi quali quelli europei
magari si ripiega su quello interno e su qualche altro mercato più arretrato.
Diciamo questo perché sembra davvero difficile
ipotizzare che possa essere esportato in Europa un progetto come quello della
tratta Firenze-Bologna che non viene appaltato in regime in concorrenza ed
all’esito di una gara europea, che alla fine costerà il doppio se non di più
del preventivato e che prevede lo smaltimento delle rocce da terra e da scavo
in base ad una legge ad hoc per la quale la Repubblica Italiana è stata
condannata proprio in sede europea.
E qui, tornando al tema che stiamo trattando, si deve
evidenziare come il principio di precauzione, e insieme quello dell’azione
preventiva, sono i principi che devono guidare, in modo prioritario, le scelte
ambientali in Europa. E non è un auspicio, è norma di legge. Lo impone l’art.
174, par. 2, del Trattato della Comunità Europea: “La politica
della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela,
tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della
Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione
preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei
danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.
Testuale. E scusatemi
se è poco. Cioè, non è la requisitoria del Pubblico Ministero: è un articolo
del trattato della Comunità Europea.
Ecco dunque perché non pare esportabile
un progetto che non rispetta proprio il principio di precauzione e che viola
uno dei principi contenuti nel Trattato della Comunità Europea, e perché
non convincono le teorie del prof. Celico e del dr. Bollettinari.
Il principio di precauzione
è diritto positivo vigente. Ma c’è di più. Oggi, il principio di precauzione
è diritto positivo vigente anche secondo l’ordinamento italiano. L’art. 3
ter del Decreto legislativo ambientale n. 152/2006, per come di recente
modificato dal Decreto legislativo correttivo n. 4 del 16.1.08, testualmente
recita: “La
tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale
deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone
fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia
informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente,
nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell’articolo 174, comma II,
del Trattato delle Unioni Europee, regolano la politica della comunità in
materia ambientale”.
Finalmente in modo espresso
anche nella legislazione italiana: ma solo come “repetita iuvant”, in quanto il
principio era già vigente essendo, come detto, già contenuto del trattato della
Comunità europea. Era principio giuridico consolidato, necessario corollario di
uno stato di diritto che costituzionalmente tutela il paesaggio.
Più banalmente sembrerebbe
anche solo un principio di buon senso, ma tant’è.
È sempre principio giuridico consolidato, in sede
penale però, invece, il principio per cui, nel dubbio che si possa realizzare
un evento, ci si debba astenere dal tenere la condotta che lo può cagionare.
Comportarsi diversamente significa accettare che l’evento si realizzi e quindi
doverne sopportare le debite conseguenze.
E
allora credo che proprio sì, debba rispondere in sede penale chi non rispetti
quella legge espressamente che ti dice che quando ti rendi conto che la cosa che
stai facendo non corrisponde a ciò che hai progettato ti devi fermare,
prenderne atto, e comportarti di conseguenza, approntando proprio quelle
varianti necessarie in corso d’opera che ti permettano di agire come dovuto.
Chiudendo il cerchio faccio un
esempio [...].
Una società farmaceutica vince l’appalto di un ministero della sanità e deve
vaccinare 1000 bambini con un vaccino da lei prodotto. Non fa test
antivaccinazione, si informa a malapena sulle allergie dei bambini, non informa
i genitori dei rischi, e non acquisisce sottoscrizioni di un consenso
informato. Comincia in corso d’opera, monitora qualche bambino qua e là, gli
misura la febbre, e dopo 20 vaccinazioni ne muoiono 3. Alla prima famiglia un
dottore le dice che è colpa di una malattia tropicale, della siccità. A
un’altra le dice che forse il bambino non è morto, ma che tra cinque anni si
riprenderà [...],
fa mettere a verbale una dichiarazione [...] partecipa alle spese per il funerale [...]. Alla terza famiglia le dice che no, il fatto
era imprevisto, e che la medicina non è una scienza esatta, che è vero. Quindi
si continua con le vaccinazioni, si va avanti, dopo 1000 ne muoiono altri 47,
per cui su 1000 bambini ne muoiono 50. Grazie a questa vaccinazione la Comunità
scientifica internazionale fa vivaci e gremiti convegni [...], sa tutto su questa malattia e sugli effetti
collaterali del vaccino.
E io come Pubblico Ministero non
dovrei fare un processo a questa società farmaceutica? [...] No, io procedo per omicidio volontario e chiederei
la condanna di questi soggetti.