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COMUNICATO STAMPA Firenze, 21.11.’08
GUAI TAV IN PILLOLE
stralci
della requisitoria
che i Pubblici Ministeri
Gianni Tei e Giulio Monferini
hanno pronunciato al
processo in corso presso il Tribunale di Firenze
a carico dei
costruttori della TAV fra Firenze e Bologna
Dodicesima puntata:
“Nel nostro Paese i beni pubblici alla fine sono
di chi se li prende”.
TRIBUNALE
DI FIRENZE
SEZIONE
MONOCRATICA
DOTT.
ALESSANDRO NENCINI Giudice
Procedimento
penale n. 535/04 R.G.
Udienza del
3 aprile 2008
Requisitoria del Pubblico Ministero
dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 12]
“DI CHI È L’ACQUA? DI TUTTI? DI NESSUNO?
[...] GLI IMPUTATI
[...] DEVONO AVER
PENSATO CHE L’ACQUA FOSSE LORO. E SE NON LORO, ALLORA CHE L’ACQUA NON FOSSE DI
NESSUNO, SECONDO IL PRINCIPIO ABBASTANZA IN USO NEL NOSTRO PAESE PER IL QUALE I
BENI PUBBLICI NON SONO CONSIDERATI BENI DI TUTTI, MA DI NESSUNO PER L’APPUNTO,
E QUINDI ALLA FINE SONO DI CHI SE LI PRENDE”.
Tra i pareri allegati alla Conferenza di servizi [...] ve n’è uno,
non considerato, quasi periferico, un
parere di aspetto dimesso per la sua apparente modestia e laconicità. È il
parere allegato alla deliberazione della Giunta Regionale della Regione Toscana
n. 03884 del 24/07/1995 [...] avente
per oggetto “Approvazione del progetto esecutivo del
quadruplicamento ferroviario veloce Milano-Napoli tratta Firenze-Bologna, e dei connessi schemi di accordo quadro, programma,
direttore e accordo procedimentale”.
Dopo vari “considerato” si dà atto “che l'istruttoria degli
elaborati sopracitati è stata effettuata dai competenti uffici regionali che hanno
predisposto i pareri di seguito elencati e che vengono allegati alla presente
Deliberazione”.
Tra questi si trova il “…parere concernente le autorizzazioni…di uso delle
acque e linee elettriche inferiori a 150 KW (R.D. 1775/1933) (Allegato C -
composto da sub allegati A e B)”. [...] Notare come la deliberazione sia stata
predisposta dal Dirigente Responsabile dal Servizio Infrastrutture, arch.
Gianni Biagi, che poi ritroveremo come membro dell’Osservatorio Ambientale per
conto della Regione Toscana e poi come assessore all’Urbanistica del Comune di
Firenze, dove risulta tuttora in carica.
E che diceva il parere
concernente le autorizzazioni “di uso delle acque e linee elettriche inferiori a
150 KW (R.D. 1775/1933)”?
Riportiamo per intero la
parte sulle acque, tanto è corto il parere: “Nella documentazione presentata non
risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche
superficiali e sotterranee che potranno essere attivate al momento della
realizzazione delle opere e pertanto va indicata nella Conferenza dei Servizi
che sono escluse autorizzazioni all’uso dell’acqua”.
Chiuso qua.
Nelle migliaia di carte di
questo processo questo è l’unico foglio che rinvia ad una specifica
competenza pubblica in materia di acque superficiali e sotterranee e vi si
legge la oggi paradossale affermazione che nella documentazione presentata dal
soggetto proponente l’opera “non
risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche
superficiali e sotterranee”!
Ora si obietterà: ma che
c’entra? È chiaro che qui si intende la richiesta per usare l’acqua per i
cantieri.
Intanto, c’entra, perché
CAVET non si è disturbata neppure per chiedere quelle, di autorizzazioni, tanto
è vero che in questo processo si procede anche per il furto di acqua da parte
di CAVET.
E poi, chi l’ha detto che CAVET non avrebbe dovuto munirsi dell’autorizzazione ex R.D.
775/33 e L. n. 75/95? Non foss’altro per chiedere la revoca di quelle in atto e
già concesse ai privati ed incompatibili con la realizzazione dell’opera. Quei
privati che non usavano già da tempo immemore punti d’acqua storici (ricordiamo
che nel corso del processo abbiamo trovato fonti di cui vi è traccia che
fossero utilizzate sin dal 1200, sin dal ‘500, oppure sorgenti con lapidi dell’800
oltre a tutte quelle altre ricordate da sempre a memoria d’uomo), quando in
tempi più recenti hanno voluto battere nuovi pozzi o attingere dai fiumi e
dalle sorgenti hanno presentato la loro bella domandina ed hanno avuto la loro
concessione, quella che, [...] se finalizzata a usi domestici, con la
legge del ’94 sarebbe divenuto addirittura un diritto quesito.
CAVET ha richiesto le revoca delle concessioni dei privati concesse? No.
Qualche ente Pubblico,
Ministero, Regione, Provincia le ha revocate d’ufficio? No.
Ricordiamoci
che per due chilometri CAVET ha detto: avremo impatti forse per due chilometri
da una parte e da quell’altra del tracciato. Tutte le fonti d’acqua che erano
là allora tu me le togli? Ed allora si comincia a capire cosa sarebbe successo.
Si sarebbe cominciato a capire quale
sarebbe stato il rischio a cui si sarebbe andati incontro. Forse qualcuno non
si voleva prendere la responsabilità. Forse la valutazione tra interesse
pubblico dell’opera e diritti dei cittadini, forse, sarebbe emersa in quella
sede. Forse non erano sbagliati i rilievi delle associazioni ambientaliste.
Forse il parere del Micheli e dalla Sargentini aveva un senso. Forse sarebbe
emerso qualcosa.
No.
Nessuno ha chiesto nulla, nessuno ha dato nulla. La mattina te ti svegli e non
ti trovi l’acqua. E non è reato?
[...]
Allora ecco
che viene la domanda: di chi è l’acqua?
Di tutti? Di
nessuno?
Dai fatti acclarati viene
un dubbio.
Che l’acqua sia di CAVET che ne dispone tranquillamente senza chiedere
nulla a nessuno?
Eppure deve essere quello, hanno pensato gli imputati quando hanno
seccato la sorgente di Visignano, l’acquedotto di Luco, hanno allagato le
gallerie di Osteto e di Marzano, hanno impattato la sorgente La Rocca e di
Moscheta, hanno seccato il Carza, ecc. ecc. Devono aver pensato che l’acqua
fosse loro. E se non loro, allora che l’acqua non fosse di nessuno, secondo il
principio abbastanza in uso nel nostro Paese per il quale i beni pubblici non
sono considerati beni di tutti ma di nessuno per l’appunto, e quindi alla fine
sono di chi se li prende.
Dico questo
anche perché nel corso del dibattimento ogni tanto pare essersi affacciata la
tesi che i ladri d’acqua fossero invece i privati con il pozzo autorizzato e
che loro sarebbero addirittura causa di una situazione idrogeologica già
degradata ante-lavori CAVET. Lo dice Celico a pg. 248 della sua CT. Il che
sembra davvero troppo. Prima di CAVET
nel Mugello c’era una situazione così degradata che quasi tutti i corsi d’acqua
seccati da CAVET erano perenni, classificati a salmonidi ed ospitavano le trote
ed i gamberi di fiume.
Noi ritenevamo invece, quando abbiamo esercitato
l’azione penale, e lo riteniamo ancora oggi, che l’acqua non solo non sia di
CAVET, ma nemmeno della Regione o di quelli che hanno approvato il progetto
dell’Alta Velocità in conferenza dei servizi nel 1995, ma che sia un bene
pubblico di cui qualunque soggetto, sia pubblico o privato, può disporre solo
nei modi e nei limiti di legge. Avrebbero dovuto revocare
tutte le concessioni. Non è che uno ne può disporre come se fosse cosa sua. Non
è una mela che ho in casa. È un bene
pubblico, e quindi soggetto al principio di legalità. Le leggi erano quelle
che ho riferito [...].
Ed allora se è vero che:
-
in Conferenza di servizi non si indicano le interferenze
idrogeologiche che si provocheranno se non in del modo del tutto generico,
eventuale e comunque con carattere di transitorietà legato solamente
all’andamento dei lavori tant’è che si rimanda il tutto ad fumoso monitoraggio
in corso d’opera;
-
il proponente non richiede alcuna autorizzazione per
l’uso di acque;
-
non si revocano le
autorizzazioni delle concessione in essere;
possiamo dunque dire di essere in presenza di
un’attività di CAVET autorizzata?
La domanda è retorica, e la
risposta è “no”.
Certo, comprendiamo quale avrebbe
potuto essere l’imbarazzo da parte di CAVET di chiedere di poter seccare
l’acquedotto di Castelvecchio, di Luco, la sorgente La Rocca, Moscheta, il
Carza e Carzola, e quale l’imbarazzo della Regione prima, e della Provincia
poi, a revocare le concessioni in essere e rilasciare quelle per seccare i
fiumi.
Ho capito.
Capisco l’imbarazzo, ma anch’io mi imbarazzo a volte, ma mi astengo. Non è che mi è permesso di bypassare il
principio di legalità e lo stato di diritto; se no si viene meno a tutto,
credo, proprio alle basi della convivenza civile.
Facciamo la controprova.
Visto che le indicazioni
del SIA, del Ministero dell’Ambiente, della Conferenza dei servizi, almeno a
parole, erano quella della salvaguardia diciamo per “quanto possibile”,
“compatibilmente” con la realizzazione dell’opera, siamo sicuri che il quadro
dei danni oggi realizzati fosse quello esplicitato sul tavolo della Conferenza
di servizi?
La risposta è “no”, tant’è
che non lo sostiene nessuno, neppure i CT di CAVET.