Pietro MIRABELLI

delegato sindacale FILLEA CGIL

Cantiere Alta Velocità CAVET CBT2, Il Carlone, VAGLIA (FIRENZE)

Vaglia (Firenze), 29 marzo 2001

 

LETTERA APERTA DI UN MINATORE TAV

AL CAPO DELLO STATO

ME NE VADO.

NEI CANTIERI TAV LA DEMOCRAZIA SEMBRA SOSPESA.

PRESIDENTE, NON LE SEMBRA NECESSARIO INTERVENIRE?

"Pietro il minatore", delegato sindacale CGIL,

scrive al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

  

Gentile signor Presidente,

 

sono Pietro Mirabelli.

Le ho stretto la mano quando, un mese fa, è venuto a "festeggiare" nella galleria di Vaglia dell'Alta Velocità ferroviaria l'abbattimento di un diaframma (ma quella galleria è ancora lontana dall'essere finita: la festa era un po' prematura…). L'ho chiamata con rispetto, Le ho stretto la mano e Le ho sussurrato: "Ci salvi Lei, Presidente!". Ricorda? Mi ha guardato, ha avuto un moto di sorpresa forse: ero proprio io, quel rappresentante sindacale delegato alla sicurezza che Le aveva scritto poche ore prima per chiedere di poterLe parlare in occasione della sua visita. Avrei voluto raccontarLe i problemi che assillano ancora oggi la vita, e umiliano la dignità, di centinaia e centinaia di lavoratori aggiogati al ciclo continuo e a condizioni ambientali abbrutenti, qui nella civilissima Toscana, nelle viscere dell'Appennino, in mezzo all'acqua e al fumo, a mille chilometri da casa. Ma la Prefettura di Firenze mi informò che quel giorno Lei avrebbe avuto troppo poco tempo. E che tuttavia avrei potuto scriverLe, certo che Ella mi avrebbe letto.

Ecco dunque ciò che un delegato sindacale eletto dai minatori della TAV Le chiede con un ultimo (creda: ultimo) lumicino di speranza. Dopo che tutte le altre strade si sono mostrate sbarrate. E' un appello con le valigie in mano, signor Presidente. E' un appello a intervenire. A chi le scrive è rimasta solo la scelta di lasciare il proprio lavoro, la propria rappresentanza, le proprie speranze. Il proprio stesso Paese.

Ricorderà l'altro appello, quello delle nostre mogli, delle nostre sorelle e delle nostre madri, inviato anche a Lei la primavera dell'anno scorso. "Non possiamo ulteriormente permettere la separazione delle famiglie in un contesto disumano di lavoro: ciclo continuo di lavoro senza interruzione e rispetto del giorno di riposo …. L'ultimo dramma che si è consumato a causa di queste situazioni: la morte di un nostro figlio di appena 22 anni, schiacciato in galleria…. Vogliamo … la cessazione di un contratto capestro che tratta i nostri uomini del Sud "nemmeno come animali o macchine" per i quali si ha cura e rispetto; di un contratto che minaccia il licenziamento se non accettato con norme anticostituzionali: Costituzione italiana che garantisce la dignità, il rispetto e l'eguaglianza di tutti. Il riposo perché venga rispettata la condizione … di ciascuno …e non essere emarginati e disumanizzati, ridotti a vivere in baracche come animali per i quali esiste solo lavoro, mensa e sonno anche se nelle ore più assurde e disparate".

Le cose, Presidente, da allora non sono cambiate. Tante lotte, tanti sacrifici: nessun risultato. Anzi. Adesso anche mangiare, qui da noi, è diventata un'operazione 'ad Alta Velocità': da 60 siamo passati a 45 minuti di tempo per la pausa pranzo!

Mi permetta allora di porLe alcune domande, signor Presidente, a Lei che rappresenta al massimo livello la nostra Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Perché all'Alta Velocità gli operai impegnati nei lavori più faticosi e stressanti hanno gli orari settimanali di cantiere più lunghi?

Perché solo noi lavoratori della TAV dobbiamo sopportare - benché svolgiamo attività notoriamente usuranti - orari settimanali di lavoro anche di 48 ore (come dire: straordinario legalizzato!), senza contare il tempo per arrivare giù in fondo in galleria, e quello poi per tornare su in superficie?

Perché sono stati firmati per noi lavoratori delle gallerie - senza di noi, contro di noi - accordi con un orario più lungo di 10 ore a settimana degli altri turnisti nei settori industriali?

Perché gli altri operai a ciclo continuo, nelle fabbriche, hanno le pause per la mensa comprese nelle otto ore di lavoro, e noi no?

Perché noi minatori e lavoratori dei cantieri TAV, manodopera qualificata, necessarissima e persino 'in via d'estinzione', dobbiamo essere costretti a un pendolarismo massacrante, per costruire a centinaia di chilometri di distanza dalle nostre case opere lontane in tutti i sensi dalle nostre regioni abbandonate al degrado e alla miseria?

Perché, oltre alla sofferenza della distanza, dobbiamo subire anche la violenza di essere strappati dalle nostre famiglie per settimane, in nome di un contratto perverso?

Perché non abbiamo diritto neppure al riposo domenicale?

Perché da noi è possibile una turnazione con 6 notti consecutive, che non ci risulta esistere in nessun'altra realtà lavorativa in Italia?

Perché nei cantieri sono ammessi comportamenti che altrove sono puniti, e chi vigila sulla sicurezza si fa di tutto per smontarlo?

Perché si permette alle squadre in cui lavoriamo di operare a ranghi ridotti, o dimezzate?

Perché dobbiamo essere costretti a farci il male con le nostre mani chiedendo anche nuovo lavoro straordinario oltre le 48 ore? E ottenendolo, certo, anche con una certa facilità! Ma è la stessa la Direzione Provinciale del Lavoro di Firenze, in un documento recente, del 7 febbraio 2001, ad ammettere che "per quanto riguarda l'orario di lavoro ed i riposi settimanali sono state riscontrate e contestate violazioni alle norme per centinaia di lavoratori" (Le alleghiamo il documento).

Perché anche le più elementari garanzie sindacali appaiono sospese nel nostro caso?

E' duro, Presidente, lavorare a turni avvicendati con la vita che ti si scombussola e si rivolta ogni settimana: una volta a quell'ora lavori, un'altra mangi e un'altra volta alla stessa ora del giorno dormi, e l'orario non ti lascia spazi per tornare a casa che una volta al mese. E quando protesti vengono in cantiere a dirti: gli orari non si toccano, sono immodificabili, avete firmato una lettera di assunzione dove c'era scritto tutto, e poi i vostri orari sono un modello per il futuro che vogliamo esportare negli altri cantieri.

Perfino la nostra vita quotidiana fuori dai cantieri è segnata da un profondo disagio. Si dorme in baracche di lamiera, senza diritto alla privacy, con bagno e doccia e camera da condividere, a contatto diretto giorno e notte coi rumori che già in galleria ci rovinano il sistema nervoso. Senza automobile al campo base non sai che fare. Nessun intervento serio di integrazione con le comunità locali è stato realizzato. Al contrario, i conflitti non mancano fra lavoratori e residenti, fra figli dei lavoratori e figli dei residenti: perché qui quest'opera porta molti danni certi ma vantaggi scarsi. Un'opera il cui costo per lo Stato fra Firenze e Bologna è lievitato da 2.100 a 6.100 miliardi. Finora.

La prima conseguenza di questo far west dei diritti è un drammatico abbassamento dei livelli di sicurezza. Tre morti sulla tratta Firenze-Bologna e una quantità industriale di infortuni subìti nei cantieri e sulle strade - che sono diventate teatro di giganteschi movimenti di terra e di inerti da costruzione - testimoniano il degrado del rispetto delle norme di prevenzione. Le squadre che funzionano a ranghi ridotti rappresentano un altro contributo all'abbassamento dei livelli di sicurezza.

Ma la fragilità idrogeologica del territorio che attraversiamo scavando, e la cattiva qualità dei progetti - la confermano i dissesti documentati dalle cronache, e le relazioni tecniche degli organi di controllo dello Stato e degli Enti Locali -, espongono i lavoratori a supplementi di rischio tutt'altro che desiderabili, di fronte ai quali l'eventuale rapidità del "pronto soccorso" rappresenta un palliativo davvero poco consolante. Dagli atti di fonte istituzionale forniti dalle associazioni dei cittadini risulta che persino il Servizio geologico della Presidenza del Consiglio dei Ministri espresse a suo tempo un parere totalmente negativo sul progetto di tracciato: dopo, nessun nuovo parere gli è stato più richiesto!

Cifre e circostanze concrete vorrei poterle porgere a Lei di persona, Presidente, in un incontro che continuo a sperare di poter ottenere. Tuttavia sappia, Presidente, che questi dati stanno anche nelle carte ufficiali del Ministero del Lavoro, nei resoconti dell'Azienda Sanitaria, negli atti del Ministero dell'Ambiente e della Regione Toscana. Quello che sembra ancora mancare, invece, è la capacità di trarne le conseguenze, di promuovere un'effettiva inversione di tendenza.

Quelli come me, Presidente, la prima scelta che hanno dovuto fare è stata quella di andare via di casa: prima si 'sceglie' di fare l'emigrante, poi si decide di fare il minatore in galleria.

Ma il lavoro in galleria in queste condizioni sta facendo pagare un prezzo troppo alto a una generazione di lavoratori del Sud (sempre lo stesso Sud, che qui è anche Veneto, Gran Sasso, Garfagnana, Valtellina). Una generazione che avrebbe sperato ben altri trattamenti da questo nostro celebrato ingresso in Europa. Una generazione che si aspettava civiltà e certezza del diritto, e che invece raccoglie poco pane amaro e disperante. Per dei lavoratori emiliani e toscani, si sarebbero potuti fare accordi del genere? E' giusto far soffrire, a chi già deve sopportare l'emigrazione, tutte queste disparità aggiuntive?

Lei dirà: e il sindacato? Il sindacato, signor Presidente, sta a guardare. Questo contratto capestro lo ha firmato, e quando si accetta la resa, non si guarda più tanto per il sottile, forse. C'è una parte debole, c'è una parte forte. La nostra, è chiaro qual è: c'è solo da sopportare!

E dire che poteva essere l'occasione nella quale duemila lavoratori che vengono da tutta Italia incontravano il forte sindacato toscano ed emiliano, quello in prima fila da sempre. Noi avremmo potuto portare l'irruenza che ci deriva dall'essere concentrati: duemila operai in dieci cantieri, in gran parte operai specializzati che fanno un lavoro duro, che vengono in gruppi dagli stessi paesi, che hanno maturato esperienze sindacali un po' dappertutto. Loro, il sindacato, avrebbero potuto metterci il meglio di sé stessi: l'autonomia dall'impresa, le conquiste maturate in anni di contrattazione nei settori industriali, la correttezza e l'onestà necessarie, la voglia e la volontà di rappresentare i lavoratori. Ma se non sono riusciti a creare una esperienza significativa per duemila immigrati, in queste condizioni, incontrandoci ogni giorno, come faranno a rappresentare quelli che nemmeno conoscono, che parlano lingue diverse, che sono sparsi in mille posti di lavoro, che non hanno dietro le nostre esperienze? E se non riescono a rappresentare gli immigrati come faranno a contare nel mondo del lavoro che cambia? Era proprio necessario esibire un'altra volta, un'altra sconfitta con i lavoratori meridionali?

Noi, Presidente, abbiamo fatto tutto il possibile, probabilmente anche qualcosa di più, per sollevare davanti all'opinione pubblica nazionale il nostro caso. Le istituzioni delle nostre terre di origine si sono mobilitate al nostro fianco: Comuni, Province, Comunità Montane, Regione. L'inferno del ciclo continuo ha occupato le prime pagine dei giornali del Sud. Abbiamo chiesto e ottenuto incontri ai massimi livelli istituzionali anche qui in Toscana. Abbiamo portato e documentato le nostre ragioni. Un ordine del giorno in nostro sostegno è stato approvato perfino dalla Camera dei Deputati.

Ma a cosa è servito tutto questo?

Qui in Toscana, nella nostra lotta per il rispetto dei diritti una mano ce l'ha data Idra, un'associazione di volontari che si battono per la difesa dell'ambiente e della salute, e per il buon governo della spesa pubblica: sono stati loro, molte volte, il nostro sindacato. Un grande aiuto morale ci è arrivato dall'arcivescovo di Firenze, il cardinale Silvano Piovanelli: ha salutato come "donne della Pasqua" le nostre consorti che si erano appellate a lui perché intervenisse a difendere la nostra dignità. L'arcivescovo di Firenze ha posto il nostro caso al centro della sua omelia di Pasqua, ad aprile dell'anno scorso. Noi, lo abbiamo invitato a una messa in cantiere subito prima delle ultime ferie natalizie. Una messa alla quale hanno voluto partecipare anche le nostre donne, insieme a una folta rappresentanza di amministratori locali calabresi. Ma l'accoglienza del CAVET, il consorzio costruttore dell'Alta Velocità ferroviaria fra Firenze e Bologna, è stata gelida: gli ospiti non hanno potuto neppure pranzare insieme a noi dopo la cerimonia religiosa, e sono stati rispediti via senza complimenti. Una reazione che fa a pugni, oltre che col senso di umanità e di buona educazione che sarebbe stato lecito attendersi, anche con quella cerimonia pomposa, costosissima e spettacolare con la quale - in un cantiere tirato a lucido, irreale e patinato - si è deciso di far credere ai media che la Sua venuta, signor Presidente, un mese fa, volesse dire il "varo" di una galleria storica, che in realtà non è costruita nemmeno a metà! In quel cantiere, in quella occasione, signor Presidente, Le ho stretto la mano e le ho sussurrato quelle parole.

Le chiedo di intervenire, Presidente, prima che sia troppo tardi. Intorno a quelli che come me hanno dovuto esporsi in prima persona per tutelare quotidianamente i diritti di tutti, si è fatto e si sta continuando a fare terra bruciata. Molti avrebbero molte cose da dire, ma non ci sono le condizioni per poter parlare. Non è una novità, questa, Presidente. Ma forse è una novità che questo accada nella civile Toscana e nell'ambito di un'opera definita 'europea'.

All'unico funzionario della Federazione Edili che ha sostenuto in modo convinto e produttivo le nostre lotte sono state sottratte tutte le prerogative: alla fine ha dovuto chiedere il trasferimento, via dai cantieri TAV.

Le chiedo di intervenire, signor Presidente, perché i diritti elementari e inalienabili dei lavoratori siano rispettati anche qui sottoterra e nei villaggi che - come si dice con una bella parola - "ci ospitano". Perché siano rispettati i diritti conquistati dopo decenni di lotte proprio nella Sua Toscana, fissati sulla carta costituzionale, e oggi di nuovo incerti, anzi nei fatti cancellati fra noi "dannati della terra" dei cantieri TAV.

Come ho detto, Le scrivo, Presidente, con un piede dentro e uno fuori da quel cantiere di Vaglia, in provincia di Firenze, in cui lavoro da due anni e che anche Lei ha visitato in un giorno molto, molto particolare. Non credo che potrò resistere a lungo nel clima di ostilità che si è costruito intorno a questa lotta giusta e condivisa. Temo proprio di dover gettare la spugna. Di dovermene andare.

Oso aspettarmi da Lei, Presidente, una risposta a questo ultimo grido di speranza, che Le indirizzo prima di essere costretto a cercare lavoro e dignità all'estero. Dove spero di trovare quel rispetto, quella civiltà, che la nostra Repubblica non sta dimostrando di saper garantire né a chi ha voce per protestare né ai mille protagonisti muti della costruzione di questa opera "pubblica" insieme alla quale si stanno distruggendo in realtà le loro vite, la loro dignità, le loro speranze. Ma in fondo anche i diritti di tutti.

Tutte le volte che ripasserò dalla Toscana, signor Presidente, mi farà male al cuore pensare che cosa c'è dietro l'immagine di questa regione, fino a ieri così positiva e progressiva, per tutti noi nel nostro povero Sud! Cosa c'è dietro questa mitica "terra delle libertà e dei diritti"!

Se non interverrà Lei, chi si potrà dire che la sta vincendo questa battaglia, signor Presidente? Lo Stato o la Prepotenza? Il Diritto o la Sopraffazione?

 

Con grande speranza e rispetto,

il minatore TAV

Pietro Mirabelli

 

back