da “la
Repubblica”, 7 novembre 2005, pagg. 14-15
Caduto l'ultimo
diaframma di roccia: la parte degli scavi è finita
Sotto le
gallerie tra Bologna e Firenze per la prima volta in jeep
Nei tunnel
dove il treno correrà a trecento all'ora
dal nostro inviato PAOLO RUMIZ
Operai nella galleria della linea ad Alta velocità
PASSO DELLA RATICOSA - Tonfi,
gocciolio, una manica a vento che ansima nel buio, pompa aria oltre un sipario
di plastica dove la galleria si restringe, diventa un budello percorribile solo
a piedi. In fondo, illuminati da spot, uomini in
tuta arancione puntellano una frana nella pancia della montagna. Sembrano
archeologi attorno a una mummia egizia: si muovono in
punta dei piedi nella polvere, ficcano con cautela spilloni nella pietra
marcia. Formano un ventaglio di aste a raggiera; un'istrice quasi, per compattare il fronte prima che arrivi
la mantide d'acciaio. La bestia a tre braccia detta
"Jumbo", pronta alla trapanata finale.
Cinquecento metri sotto il passo della Raticosa,
tra Firenze e Bologna, si allarga l'ultimo diaframma, il punto più stretto
della direttissima che nel 2008 sparerà treni in due ore e tre quarti tra Roma
e Milano. Settantotto chilometri, di cui 73 in galleria, su
un fronte di scavo di 140 metri quadrati, vasto come un appartamento. Li
abbiamo percorsi per la prima volta al completo, su mezzi fuoristrada. Dieci ore di viaggio al buio, con appena sei finestre
sull'Appennino, sei lampi di luce su foreste, abbazie, torrenti e vecchie
stazioni di posta. Un capolavoro italiano.
Vai in immersione sotto Sesto Fiorentino tra due pareti a
piombo di 40 metri, una lunghissima navata che compie un curvone
da autodromo e sbatte contro l'imbocco della galleria vera. Il confine è una
soglia sacra, segnato dalla statua di Santa Barbara, patrona dei minatori,
sigillata in una cripta sotto vetro. Poi vai tra pozzanghere, caterpillar e
tappeti mobili che portano pietrisco, sotto una manica a vento che tuona, pompa
aria fino a 70 metri al secondo. Nello stomaco della
balena, i figli di un'Italia minore. Abruzzo, Carnia,
Calabria, Gargano, Valtellina. Paesi di nome Pagliarelle,
Lauria, Capistrello.
C'è la meglio gioventù qua sotto. Umberto Cardu dirige i lavori sul fronte Sud. Ha 33 anni, ma altri
sono più giovani di lui. La gerarchia non nasce dall'età, i
galloni te li conquisti ogni giorno sul campo. Cardu
ha costruito l'imbocco di Sesto Fiorentino, un centro di 60 mila abitanti,
sotto un dedalo di strade, reti idriche, perfino tombe etrusche. Ha affrontato
mille riunioni con gente in allarme, risolto rogne da sovraffollamento,
traffico, scompensi nelle falde d'acqua. "La ricerca del consenso - spiega
- deve essere cercata prima, altrimenti il cantiere si ferma e il costo sarebbe
insopportabile, con una macchina così colossale".
Sotto il Giogo della Scarperia, la prima
montagna, quella che separa Firenze dalla conca del Mugello. Diciotto chilometri scavati in una successione
di lastre verticali di roccia fratturata e fradicia d'acqua. Uno scavo in stato di allerta, con la volta inchiavardata
da costole di ferro. Un giorno è esplosa una cascata, un getto da 400
litri al secondo a tredici atmosfere. Impossibile
tamponare, si stava riempiendo tutto fino all'ingresso Sud. "Oggi ci
ridiamo su - racconta Cardu - ma è stata una bolgia.
Abbiamo lavorato da palombari. Pompato fuori tutto da una
galleria laterale. E in tre giorni s'è risolta
l'emergenza".
C'è poco in Europa che regga al
confronto. Il tunnel della Manica era come bucare il burro. La galleria in
costruzione nel Gottardo passa sotto tremila metri di granito, ma le Alpi non
crollano, sono ferme da centinaia di milioni di anni.
Qui è altra musica: avanzi in una massa inquieta, franosa, una montagna giovane
che ti spiazza ogni trenta metri. Il paragone giurassico non basta
più, la visione diventa anatomica. Arranchi come Pinocchio nella trachea
di una balena che rumina, sfiata, rutta, nuota nel mare. Il vero viaggio al
centro della Terra è qui, nella spina dorsale della Penisola.
Pulsare di pompe, colpi lugubri. In fondo,
un soppalco che avanza, come una chiglia di nave rovesciata. Occupa tutta la volta, sfiata vapore col ritmo di uno
stantuffo. E' la macchina che rifinisce la galleria, sputa cemento ad aria
compressa e lo liscia alla perfezione. Qui è caduto l'ultimo sipario di roccia,
pochi giorni fa, con soli due millimetri di scarto tra i due fronti di scavo.
L'onore dell'ultimo, storico colpo di piccone se lo sono conquistato gli
anziani. Quelli sul lato Nord, guidati dal
"capo-imbocco" Giuseppe Avigliano, il mago
degli esplosivi, un lucano che non dorme mai. "Qui passi la dogana pontificia" scherzano i tecnici.
"Oltre hai già le truppe dell'altro cantiere".
Ora la talpa procede in un calcare stabile; è il tratto della
massima velocità di scavo, oltre sette metri al
giorno. "Guardi com'è bella" dice della sua creatura Angelo Papaleo, da Lauria, Calabria. Ha
60 anni, e in pensione non ci vuole andare. "Questi anziani sono il
patrimonio dell'impresa - spiega Cardu - passano ai
giovani il gusto del lavoro fatto bene". Maestri come
Ettore Ghilotti, valtellinese,
detto "il Signore dei diaframmi". O Giovanni
Mirabelli, sindacalista guascone, con l'elmetto di tre quarti, provincia di
Crotone, targa "Kr", il mitico
"fattore Kappa". Tifa per il tunnel
della Val di Susa, contestato dai piemontesi, che s'ha assolutamente da fare, "perché altrimenti il
futuro è grigio".
Il primo tunnel finisce con un'imboccatura a becco di flauto,
un'enorme ancia di cemento che si apre sui prati del Mugello. Il paragone è
azzeccato, la galleria è davvero uno strumento musicale, un oboe segnato da
aperture, cannule, finestre, zigrinature e by-pass, capace di sfiatare note e timbri di ogni tipo. Cornetta, fagotto, trombone.
La linea diventa una palla di fucile, taglia all'aperto l'onda
lunga delle colline, supera - su tre livelli diversi - la Statale, il ponte sul
Sieve e la ferrovia faentina col trenino fiammante
detto "Minuetto" che morde il pendio verso il crinale appenninico.
Fai appena in tempo a vedere che il Mugello s'è rifatto il lifting con i soldi
dell'Alta Velocità: prati come campi di golf, strade, torrenti a regime, piste
ciclabili. Subito si torna a quota periscopio, la talpa buca la collina sotto
l'autodromo, svela un lavoro eseguito al cardiopalmo per non interferire col
calendario-gare, tra una vittoria di Valentino Rossi e
un collaudo di Schumacher.
Galleria di valico, detta Firenzuola: un nome dolce che inganna. Dentro, la scenografia è da Spielberg. Argille con gas e acqua in pressione. Miasmi,
puzza di zolfo, umidità, luci gialle e verdi, concrezioni rosse di ferro e
manganese. Un'andatura claustrofobica, in
assetto antideflagrante, con le macchine a componenti
elettriche sigillate per evitare esplosioni. È qui, sotto la Linea Gotica, che
si sono esplorate le ultime frontiere della sicurezza.
Una scommessa vinta: a perforazione ultimata, il tunnel Firenze-Bologna
è il meno sinistrato del mondo. Tre morti su 78 chilometri,
nessuno per motivi legati allo scavo. Dieci anni fa la mortalità era
tripla.
La ciurma diventa internazionale. Ecco Setahel
Larbé, marocchino di Agadir, che cerca i gas residui con un rilevatore. O Julian Brolli,
albanese, che comanda una squadra impermeabilizzazione. Intanto l'acqua ha cambiato direzione nel canale di scolo, ora scende verso
la Romagna. L'aria, invece, sale con forza. Si viaggia controvento, segno che
c'è una finestra, in fondo. Nei pressi dell'uscita, la galleria raddoppia di
diametro, passa i 23 metri, diventa una delle più
larghe del mondo. È il camerone centrale, lo spiazzo
di manovra dove la linea doppia diventa quadrupla. In fondo, la luce.
"È sempre bello quando si esce" respira il
capocantiere Enzo Biroli, alla guida della sua Land Rover. "Faccio questo mestiere da anni e ancora mi fa
effetto". È un varco di trecento metri appena, nebbioso, incastrato tra
frane e creste arcigne, ma è quanto basta a cancellare il buio. L'ingegner
Francesco Poma, direttore di questa parte dei lavori,
aspetta sul piazzale sotto una scarpata. Ha trent'anni,
pare Rivera quando lo chiamavano "Abatino".
All'inizio degli scavi era ancora all'università. Cita Dante, ci avverte che
questo è "il bel paese che il Santerno bagna,
che parla tosco in terra di Romagna".
Ancora un tunnel, poi il diaframma più
critico: il torrente Diaterna, una gola franosa
incastrata fra tre passi: Giogo, Futa e Raticosa. Il viadotto va avanti con movimenti di velluto su martinetti
idraulici, verso la galleria successiva che sbuca poco oltre, sotto una
montagna che smotta, scende a valle con tutta la sua foresta. Il terreno è disseminato di sensori ottici e inclinometri,
il monitoraggio è millimetrico. Un posto senza luce, d'inverno la
temperatura va anche a meno venti. Un terreno per duri, come
Marco Venturini, da Moggio Udinese. "Uno
- dice l'ingegnere - che potrebbe fare una galleria da solo, perché sa fare tutti
i mestieri". È lui il Caronte che ci traghetta
oltre questo dedalo di acque e malebolge.
Scende la sera, foschia, silenzio nei
boschi, lontano luccica San Pellegrino, quattro
case e una chiesa romanica sullo stradone. Scendiamo per una strada bianca sul
fiume, risaliamo oltre il ponte che non c'è. Hanno rifatto le fondamenta della
montagna, con enormi pilastri piantati fino a venti metri di profondità. Poi di nuovo in galleria verso Bologna, in formazioni instabili,
umide, piene di microrganismi, bitumi, oli minerali. Avanti
fino all'ultimo punto critico, la faglia del Monte Bìbele,
dove la montagna continuava a richiudersi dopo lo scavo, venti centimetri l'ora.
Un effetto-tenaglia visibile a occhio nudo.
Finalmente, la montagna si rilassa, la stratificazione diventa
orizzontale. Calcari, sabbie cementate, sedimenti. La talpa è uscita dal femore
dell'Appennino ed entra nei fondali dell'antico mare padano, quelli che l'Agip bucò nel dopoguerra, in cerca
di idrocarburi. Fuori è notte, ma non lo sai, perché si lavora 24 ore su
ventiquattro. Dentro è la vera devolution: nessuno bara, ogni uomo si assume la sua responsabilità,
ogni cantiere ha la sua autonomia di mezzi, magazzini, impianti, uffici, mense,
infermerie, dormitori. Non c'è un unico monarca qua sotto.
Il viaggio è finito, l'auto riemerge
in un piazzale illuminato accanto alla Statale 65. Odore
padano di camion e letame, ultime colline lunghe, Bologna Centrale a meno di
dieci chilometri. "Vengono da tutto il mondo a
vederci - dice il direttore generale dei lavori, Pietro Marcheselli,
ditta Cavet - qui sono nati nuovi criteri di
scavi, di sicurezza e di tutela ambientale. Nulla dopo quest'esperienza
sarà come prima. Abbiamo fatto scuola, ma l'Italia non lo sa. Se quest'opera l'avessero fatta gli inglesi,
si sarebbero fatti pubblicità per anni".