Ivan Cicconi

LE GRANDI OPERE DEL CAVALIERE

 

Koinè Nuove Edizioni, 2004

 

recensione

 

 

Il titolo e la prefazione, curata da Marco Travaglio, potrebbero far pensare ad un libro in stile giornalistico. Uno dei tanti in chiave polemica contro il governo in carica e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Invece “Le grandi opere del Cavaliere”, edito da Koinè Nuove Edizioni e in libreria a 15 euro, è un testo dal contenuto soprattutto scientifico. L’autore è infatti un manager che da molti anni dirige NuovaQuasco, una delle società di ricerca e sviluppo fra le più note e affermate nel settore delle costruzioni.

 

Ivan Cicconi, un ingegnere da sempre impegnato in questa materia, anche nel presente lavoro non tradisce il suo rigore scientifico ed il suo spirito critico a trecentosessanta gradi. Nel libro infatti vengono espresse e argomentate critiche ai provvedimenti del Governo di centro-destra, ma non si risparmiano le forze di opposizione di centro-sinistra, delle quali si denunciano le precedenti responsabilità di governo e l’incapacità di cogliere l’impatto reale dei provvedimenti attuali e le effettive condizioni finanziarie sulla base delle quali le grandi opere sono o saranno realizzate.

 

Un azzardo aggravato dal rischio di una clamorosa truffa ai danni dell’Unione Europea: è questa la tesi di fondo del libro di Cicconi. Una tesi che ha avuto una straordinaria conferma nel rapporto di Eurostat con il quale la Commissione Europea ha formalizzato lo scorso 7 giugno  a carico del nostro Paese la procedura di infrazione per deficit eccessivo.

 

Il libro ci offre una lettura attenta e documentata delle architetture contrattuali e finanziarie inaugurate col “modello TAV” nelle passate legislature e oggi consolidate e perfezionate al servizio delle cosiddette grandi opere che Silvio Berlusconi si è impegnato a realizzare in attuazione di quanto previsto dal quinto e ultimo punto del suo “contratto con gli italiani”.

 

Il modello finanziario e contrattuale sul quale si fonda l’azzardo è delineato e disvelato in modo chiaro dall’autore. Il provvedimento legislativo fondamentale, che definisce gli strumenti attuativi ed una strategia chiara e decisamente raffinata, è la cosiddetta “legge obiettivo” per le opere strategiche (la legge n. 443 del 21.12.2002), con la quale si istituisce un nuovo soggetto economico, il Contraente Generale, e si delega al governo la definizione di procedure in deroga alle norme della legge-quadro sui lavori pubblici.

 

Il Ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi aveva già chiarito, al momento di insediarsi, che il suo riferimento sarebbe stato il “modello TAV”, e cioè l’architettura contrattuale e finanziaria definita e attuata nel 1991 per la realizzazione delle tratte ferroviarie per l’Alta Velocità. La promessa non solo è stata mantenuta, ma viene espressamente richiamata nella relazione di presentazione del decreto attuativo della “legge obiettivo”, in quanto “…l’affidamento a general contractor ha consentito a FS di dimezzare i tempi di realizzazione delle tratte alta velocità avviate, con una spesa finale non dissimile”. Si tratta di affermazioni che le cronache rigorosamente smentiscono, commenta Cicconi. Sta di fatto che quello TAV è a tal punto assunto come “modello vincente” che, con il collegato infrastrutturale alla legge finanziaria per il 2002, vengono addirittura ripristinati i contratti TAV con i general contractors che, con la finanziaria 2001, il governo di centro-sinistra aveva finalmente azzerato.

 

Sia nella “legge obiettivo” che nel decreto delegato con il quale si definiscono le procedure attuative dell’affidamento a contraente generale, per giustificare l’introduzione di questo nuovo istituto contrattuale si richiamano le direttive europee. Si arriva persino a dire che questa figura è “espressamente” prevista dalla direttiva 93/37/CEE. Il richiamo alla direttiva europea per giustificare la definizione di questo soggetto economico non trova alcun riscontro: è, secondo Cicconi, semplicemente un clamoroso “falso”.

 

Nella direttiva infatti sono definiti espressamente solo due soggetti economici: l’“appaltatore” e il “concessionario”. Entrambi sono configurati come contraenti generali nel senso che si assumono la responsabilità unica del “rischio” derivante dalla esecuzione del contratto loro affidato. La differenza fra i due soggetti è data dalla definizione dei contratti di “appalto” e di “concessione”. La concessione infatti è definita dalla direttiva come “… un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto, ad eccezione del fatto che la controprestazione consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo”. La legge 109/94 (cosiddetta “legge Merloni”) aveva recepito questa definizione fissando nel limite del 50% l’importo massimo del prezzo con il quale l’amministrazione aggiudicatrice poteva accompagnare la controprestazione rappresentata dal diritto del concessionario di gestire l’opera. Un limite assolutamente coerente con la direttiva, nel cui testo il termine “controprestazione” (che consiste nel diritto a gestire l’opera) è esplicitamente associato all’avverbio “unicamente”. Il collegato alla finanziaria (legge 166/2002) ha cancellato tale limite che, a questo punto, potrebbe arrivare anche al 100% e dunque azzerare totalmente la differenza sostanziale fra la concessione e il contratto di appalto (cosa che appunto si realizza nel cosiddetto modello TAV).

 

Occorre infatti rilevare che nel contratto di appalto le funzioni del committente sono in capo all’amministrazione aggiudicatrice, mentre nel contratto di concessione tutte le funzioni del committente si trasferiscono in capo al concessionario. Col concessionario-committente (quale è il contraente generale), e con il finanziamento dell’opera fino al 100% del costo, viene a configurarsi una situazione paradossale che spinge inevitabilmente a far durare il più a lungo possibile i lavori e a definire progetti il più possibile costosi. Non solo. Quale garanzia un concessionario, non impegnato a recuperare l’investimento dalla gestione, potrebbe dare sulla qualità dell’opera? Ovviamente nessuna. La legge 431/2001 definisce infatti il contraente generale come “…distinto dal concessionario di opere pubbliche per l’esclusione dalla gestione dell’opera eseguita”. Si tratta dunque di un soggetto con tutti i poteri del concessionario, ma senza alcuna responsabilità sulla gestione. Una sorta di concessionario con il “mero” compito di realizzare l’opera. E’ del tutto evidente la situazione sfavorevole in cui viene a trovarsi una amministrazione aggiudicatrice nei rapporti con un contraente generale in queste condizioni; senza pensare alla situazione ancora più sfavorevole e devastante nel caso che il contraente generale venga scelto dal concessionario a sua volta affidatario della concessione con un contributo pubblico fino al 100% del costo (esattamente la situazione in cui operano la TAV Spa per l’Alta Velocità e Stretto di Messina Spa per il ponte sullo Stretto).

 

Proprio le nuove definizioni del “contraente generale” e della “concessione” consentono di costruire una architettura contrattuale e finanziaria governata e gestita da soggetti privati con investimenti totalmente ed interamente pubblici. Condizioni, dunque, esattamente opposte a quelle che il governo aveva affermato di voler perseguire: non vengono stimolati investimenti privati; non si garantiscono costi e qualità delle opere; non si garantiscono tempi brevi e certi di realizzazione. A supportare questa architettura sono proprio le SPA pubbliche, con il rischio di una enorme ipoteca sui bilanci dello Stato per i prossimi decenni.

 

Il modello TAV si fonda sui due pilastri richiamati: i general contractors, che sono appunto affidatari di una concessione di progettazione e costruzione delle opere (pagati al 100% da TAV Spa) senza alcuna responsabilità sulla gestione (rischio zero); il project-financing garantito dalla TAV Spa, con prestiti accesi sul mercato finanziario ma totalmente garantiti dal socio pubblico di riferimento e di fatto dallo Stato con il Ministro dell’Economia. I debiti contratti da TAV Spa oggi sono nascosti, non figurano nel bilancio dello Stato (è proprio questo quello che oggi l’Europa ci contesta) e non incidono nel calcolo dei parametri del patto di stabilità, ma è facile calcolare quello che succederà al momento che i cantieri saranno finiti e TAV Spa dovrà restituire il capitale prestato dalle banche. Quale sarà infatti l’equilibrio fra la quota annua da restituire alle banche creditrici e gli utili derivanti dalla gestione annuale del servizio? Un equilibrio assolutamente impossibile se, come stime attendibili ci dicono, la quota annua da restituire sarà intorno ai 3 miliardi di euro, mentre gli utili potranno arrivare al massimo sui 300 milioni di euro. Per circa venti anni dunque dovremo sostenere una manovra finanziaria annua di circa 2,7 miliardi.

 

La stessa scommessa si sta giocando con il ponte sullo Stretto di Messina e con altre opere cosiddette strategiche; c’è solo da augurarsi che l’EUROSTAT intervenga con più decisione e tempestività, perché quello che c’è di strategico, nel modello TAV tanto caro al Ministro Lunardi, è – come denuncia e illustra con estrema chiarezza Cicconi in questo libro - solo una truffa ai danni dell’Europa.

 

 

Firenze, 11.6.’05

 

 

Prima presentazione nazionale del libro

“Le grandi opere del Cavaliere” di Ivan Cicconi

(Koinè Nuove Edizioni, 2004)

presso la Libreria Martelli, a Firenze

il 19 gennaio 2005

 

(foto di Christian Gilles Vivi)

 

 

 

 

 

 

 

back