Associazione di volontariato Idra
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Firenze,
28.8.’06
Al Direttore
All’inviato
Paolo Rumiz
la Repubblica
Gentile
Direttore,
gentile dottor
Rumiz,
un sentito
grazie al suo giornale per la puntata del 7 agosto del viaggio appenninico di
Paolo Rumiz “Tra acque e memorie perdute”. Pochi ma efficacissimi tratti per
descrivere dal vivo la débâcle
ambientale, e non solo, del Mugello colpito e affondato dai lavori per la TAV
tra Firenze e Bologna. L’inviato non ha mancato di chiamare coraggiosamente in
causa anche talune inconfessabili responsabilità politiche della vicenda.
La sensibilità
con la quale ha descritto il fallimento ambientale non deve farci dimenticare
le implicazioni finanziarie generate da una politica di spreco globale dì cui
la TAV sembra il paradigma perfetto. Si tratta di un secondo fallimento di
carattere economico di cui anche il ministro Di Pietro sembra essersi accorto,
quando dopo l’incidente di Siracusa ha dichiarato: “Si tratta di intervenire
sul codice degli appalti. I fatti dimostrano quanto la gestione dei general
contractor sia quanto mai opaca e poco trasparente. Dimostra che la smania di
fare i lavori e fare profitti è prima di tutto rischiosa per la salute e al sicurezza dei lavoratori.”
Noi che teniamo
sotto osservazione i lavori da anni, abbiamo imparato a tenere sempre più
d’occhio i riflessi erariali della cultura delle “grandi opere” e abbiamo preso
quindi buona nota anche di alcuni puntuali interventi al riguardo sul Venerdì
di Repubblica. Sulle casse dello stato gravano costi enormi con risultati
miseri. Crediamo che si renderebbe un servizio ai cittadini e all'interesse
pubblico se ora si cominciasse a disvelare l’architettura finanziaria che sta
dietro questo modello. A partire dal suo novello e imperversante deus ex
machina, il general contractor.
Se è vero
infatti – come scrive in proposito l’ingegnere bolognese Ivan Cicconi in un suo
recente saggio - che si tratta di un soggetto con tutti i poteri del
concessionario ma privo di responsabilità sulla gestione, allora si capisce
perché, col finanziamento dell’opera fino al 100%, viene a configurarsi una
situazione paradossale, che incentiva a far durare il più a lungo possibile i
lavori, a definire progetti il più possibile costosi, a non fornire garanzie
sulla stessa qualità dell’opera. Allora capiamo praticamente tutto della
disastrosa esperienza TAV in Toscana: anche – forse – il motivo per cui da un
anno e mezzo si sta demolendo e ricostruendo sotto l’autodromo del Mugello un
tratto progressivamente sempre più esteso di galleria appena finita. Ma allora
saremmo di fronte a uno Stato che sta facendo in maniera davvero un po’ troppo
disinvolta il suo mestiere.
Il portavoce
Girolamo
Dell’Olio
http://associazioni.comune.fi.it/idra/inizio.html
La “lettera al
direttore” è stata pubblicata a pag. 20 del quotidiano la Repubblica il 29 agosto 2006, sotto il titolo “Il viaggio di
Rumiz e la Tav del Mugello”
Il testo della puntata “Tra acque e memorie
perdute”
la Repubblica, 7 agosto 2006
APPENNINO
IL CUORE SEGRETO
dal nostro inviato PAOLO RUMIZ
Tra acque e memorie perdute
Ottavo giorno, dove
la Topolino attraversa il Mugello. E scopre che i torrenti sono stati
inghiottiti dai lavori per l'Alta velocità. Si scollina a Predappio, meta di
pellegrinaggio per i nostalgici del Duce. Mentre a Meldola si rievocano gli
orrori delle torture fasciste
Conca del Mugello, notte fonda e uno strano silenzio attorno al podere
Macerata, località San Giorgio di Luco. Un silenzio che tiene svegli. Contro la
finestra aperta c'è il profilo del mio compagno di viaggio che sibila regolare
nel letto. Fuori, il bosco di castagni, il fienile col trattore, la Topolino
coperta con un telo, il roseto. Ha piovuto nel pomeriggio, il Mugello ha un
profumo umido di campagna vera, fieno e letame, niente a che fare col Chianti griffato
dei ristoranti su prenotazione. Canto di grilli, stormir di fronde, ma alla
notte manca qualcosa.
Al mattino, Federico e Annamaria, padroni del posto, danno un volto alla mia
inquietudine. Il Mugello ha perso i suoi torrenti. I greti sono asciutti. Gli
abeti disidratati. I fiumi desaparecidos. I pozzi a secco. Una catastrofe,
consumatasi in pochi anni, da quando la "talpa" dell'alta velocità
ferroviaria ha bucato la pancia dell'Appennino risucchiandone le acque
profonde, gli immensi laghi sotterranei, le falde e le risorgive. Mi portano a
vedere: il pozzo è vuoto, il marroneto a secco, il torrente ridotto a un
rigagnolo, il terreno accanto addirittura sprofondato di qualche metro.
Sulla mappa trovi acque dai nomi favolosi. Ma prova a evocarle: non ti
risponderanno. Fonte al Ciliegio! Assente. Fonte della Canina! Assente. Fonte
Frassineta! Assente. Fonte di Fosso Lupaio! Assente. Torrente Bagnone! Assente.
Fiume Rovigo! Assente. Qui ogni casa aveva la sua sorgente. Ma poiché ogni
sorgente aveva il suo santo protettore, ora senz'acqua anche i santi se ne sono
andati. Dei in esilio. Persino la Madonna dei Tre Fiumi, sulla strada per
Marradi, ha perso il senso del nome. S'affaccia su un territorio senza voce.
***
Angelo Paoli faceva l'idraulico. Ora che è in pensione va a caccia di acque
perdute. Le annota con precisione notarile. Torrente Veccione, sotto la badia
di Santa Maria di Moscheta, scomparso. Torrente Carpine, scomparso. Torrente
Erci, ricco di gamberi, scomparso. Torrente Rampolli, dalle acque classificate
a salmonidi, scomparso. Torrente Bosso, dai sette leggendari mulini, scomparso
pure lui. Mi mostra un serpente boa di plastica nera che traversa i boschi del
Poggio Rotto. È il tubo con cui fino a ieri la Tav ha pompato acqua per tenere
in vita i torrenti. Oggi è lì, contorto e abbandonato. Nessuno pompa più
niente.
Vengono le università, arrivano i soloni con i politici e i cortei di auto, si
fanno conferenze e consulti milionari sull'acqua che non c'è, ma nessuno fa
l'unica cosa necessaria: una valutazione d'impatto ambientale. La fregatura è
che non hai un nemico con cui prendertela. La Toscana è di sinistra, il Mugello
pure. La Tav neanche parlarne, tutta di sinistra anche lei, nata sotto il
governo Amato. Incontro Piera Ballabio, combattente anti-Tav da prima linea.
Racconta: "Me li ricordo bene i sindaci contrari. Li chiusero in stanze
separate al ministero e uno a uno li costrinsero a firmare".
***
"E vaaaaa la vita vaaa, la bicicletta l'è una gran comodità", Franco
canta a squarciagola, capote spalancata verso i picchi del Falterona, anche la
Topo va, terza-seconda-terza, s'arrampica sull'ex Statale 67, cerca di nuovo il
crinale tra epici paracarri d'anteguerra. "Fuoco di Vesta che fuor dal
tempio irrompi, con ali e fiamme la giovinezza va...". Non so cosa ci ha
preso di andare a Predappio a dare un salutino al Duce. C'è che la macchinina è
nata nel '36, anno della conquista d'Etiopia e apogeo del consenso al regime. E
c'è che vogliamo, anche, capire come diavolo l'estetica del granito abbia
prodotto un'utilitaria così "coquette", tutta musetto e culo.
Sensuale e femminile.
Ex Statale 9 Ter, il sole a picco, il sasso fischia, il nome squilla, sul passo
dei Tre Faggi Franco si scatena: "Duce Duce chi non saprà morir? Il
giuramento chi mai rinnegherà?". Non è fascista, canterebbe
l'Internazionale arrivando in Piazza Rossa. L'Italia cialtrona scompare col
segnale del cellulare. Finito tutto: Michele Cocuzza, Cristina Parodi, l'Isola
dei famosi. A noi basta un pediluvio nel Rabbi, limpido tra prati verticali
disseminati di cavalli e mucche bianchissime. Al Touring devono essere matti,
la carta al 200 mila non svela gli incantesimi di questa valle. Neanche un
segno di nota per Premilcuore, splendida, con le case a picco sul fiume.
***
A mezzogiorno Predappio sonnecchia, deserta. Quello mussoliniano è un Appennino
rettificato, romanizzato, deprivato della sua magia. Viali infuocati a novanta
gradi, la piana centuriata che invade la collina. Nella cripta del Duce solo
due giovanotti tatuati con due gnocche dall'ombelico in mostra. Com'è strano il
rispetto della Destra. Intanto nel registro le firme crescono al ritmo di cento
pagine al mese. Leggo: "Da Mestre con onore". "In questo momento
avremmo bisogno di te". "Brigata nera Stefano Rizzardi,
Bologna". Ma la più straordinaria è la federazione dell'Msi di Verona, che
si data "LXXXIV, anno 84° dell'era fascista". Vorremmo aggiungere:
"Berlusconi mai più", ma lasciamo perdere.
Toh, al bar in paese sento discorsi di sinistra. Sinistra tosta. "Peccato
- dicono - che non abbiano fatto presidente della Repubblica D'Alema. Così ce
lo toglievamo dai coglioni". Chiedo: "Ma Fini non l'avete più visto
da queste parti?". E loro: "No, dopo Fiuggi niente. Oggi è più facile
che venga Veltroni. O Napolitano. Abbiamo appena buttato a mare l'uomo che
ride, e già ci fanno discorsi di riconciliazione... Ah, nulla ci sarà
risparmiato... Saluto al Duce, camerata triestino!". Ridono i compagni, e
la pianura è un risucchio, una vampa africana che sale da Forlimpopoli.
Emilia-Romagna basta, ci siamo dentro da troppi giorni. In serata vogliamo
entrare nelle Marche, attraverso le colline del Montefeltro.
***
A Meldola, paese di rosse logge e bianchi selciati poco oltre Predappio, stanno
giusto rievocando la vita e la morte del partigiano Antonio Carini, massacrato
dai fascisti sul ponte lì vicino nel marzo del '44. C'è una cosa solenne in
teatro, col sindaco Loris Venturi e l'attrice Roberta Biagiarelli, una brava
assai, che ha appena prodotto "Resistenti", uno monologo
documentatissimo sui partigiani del Piacentino, la stessa terra di Carini.
Racconti terribili, raccolti dagli ultimi testimoni vivi. Da imporre per
decreto alle sinistre smemorate di oggi.
Figlio di un barcaiolo del Po, Carini emigra in Argentina a vent'anni, ad
aiutare i campesinos. Poi va alla guerra di Spagna, dove lo feriscono tre
volte. Nel '43 diventa commissario politico nelle brigate della zona di
Bologna, poi passa a Forlì dove lo catturano. Infieriscono su di lui per una
settimana con ferri roventi, dentro la Rocca delle Caminate, villa mussoliniana
trasformata in prigione. Chi ne uscì vivo ricorda: le sue urla si sentivano nei
corridoi, c'era odore di carne bruciata, il corpo sanguinolento e vivo era
mostrato agli altri prigionieri, per convincerli a parlare.
Alla fine lo pugnalarono sul ponte di Meldola e lo buttarono giù, perché tutto
il paese vedesse. E poiché non era ancora morto, lo finirono a colpi di pietra
sul greto. Dopo la guerra, la storia del nuovo eroe dei due mondi entrò nella
leggenda del Forlivese. "Finire nelle mani dei fascisti era peggio che
esser presi dai "tudòsc"" conferma il piacentino Giuseppe
Scapuzzi, 80 anni, nome di battaglia Franz. "I "tudòsc" erano
cattivi quando c'era da esser cattivi, ma non si perdevano in vendette
personali. I fascisti invece ti torturavano anche per invidia, questioni di
soldi o di donne".
Sotto il ponte dell'orrore sul fiume Bidente nuotano felici i bambini. Dovrebbe
essere tutto finito: invece ce ne andiamo con in bocca il sapore di qualcosa di
non digerito, qualcosa che può succedere ancora. Hanno pagato gli assassini di
Carini? Mah. Romagna addio, l'Italia di Mezzo comincia.
(7 agosto 2006)