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n. 5 pagine di testo + n. 3 pagine di allegato

RACCOMANDATA A.R.

 

Lettera aperta

 Firenze, 19.6.’03

 

Al Ministro dell'Economia e delle Finanze

Il Presidente, dott. Giulio TREMONTI

Via XX Settembre 97

00100 ROMA

 

p.c. Al Commissario per gli Affari economici

della Commissione Europea

dott. Pedro SOLBES MIRA

Rue de la Loi, 200

1049 BRUXELLES - BELGIO

 

Oggetto: Sue dichiarazioni pubbliche a proposito di grandi infrastrutture. Nostre considerazioni.

 

 

Signor Ministro,

 

da cittadini e contribuenti della Repubblica, desideriamo proporre una severa critica alle indicazioni da Lei suggerite per "rianimare" la crescita economica nazionale, e in particolare all'incoraggiamento dell'intrapresa di grandi opere pubbliche quali, primariamente, la linea ferroviaria ad Alta Velocità Lione-Torino e il Ponte sullo Stretto di Messina.

Ci riferiamo alle dichiarazioni a Lei attribuite dal TG2 delle 20.30 di martedì 10 giugno scorso. Secondo la medesima testata, Ella avrebbe anche aggiunto che le risorse occorrenti a realizzare tali imprese verrebbero reperite tramite specifico intervento della Banca europea degli investimenti, e che comunque il relativo onere non graverebbe sul debito pubblico.

Non ci è chiaro, per la verità, come si possa innescare un ciclo economico virtuoso tramite massicci investimenti in opere di assai dubbia utilità e dalle altrettanto critiche prospettive di ritorno economico, come quelle da Lei propugnate. Quale che sia la natura o la provenienza delle risorse finanziarie reperite per realizzare tali infrastrutture.

Per quanto riguarda i progetti di Alta Velocità nazionali ci risulta che, statisticamente, nell’Italia delle "cento città" l’80% degli spostamenti viaggi in ferrovia (e in automobile) avvenga su distanze non superiori ai 100 chilometri. Dove l’Alta Velocità non serve. Urgerebbero semmai, a nostro avviso:

La prospettata linea A.V. Lione-Torino non sembra davvero fare eccezione alla regola generale di infrastruttura ridondante (ci risulta che la linea esistente sia utilizzata soltanto al 38% della sua reale potenzialità), costosissima e devastante per l'ambiente. Per un approfondimento dei contenuti tecnici che sostengono questa nostra affermazione, ci permettiamo di allegare alla presente il testo di una petizione alla Commissione Europea Trasporti recentemente presentata da un ampio ventaglio di associazioni e comitati della provincia torinese e della bassa Val di Susa.

D'altronde i dati oggettivi sulla realizzazione dei progetti di A.V. già in corso d'opera nel nostro Paese, che il Governo del quale Ella fa parte sta convintamente implementando dopo aver raccolto entusiasticamente il testimone dalle precedenti Amministrazioni, ci paiono comprovare - piuttosto - che il modello di sviluppo dell'economia da Lei auspicato stia generando invece un deciso impoverimento del nostro Paese e quindi - di riflesso - del consesso europeo, in tre direzioni.

  1. A monte dell'intervento, per gli investimenti massicci, solo pubblici, attivati per realizzarlo. Una stima dell’Istituto QUA.S.CO. di Bologna, pubblicata sulla rivista specializzata "Costruire" e ripresa dal quotidiano "la Repubblica" nel '98, valutava in circa 140.000 miliardi di vecchie lire i costi per l’opera completa Torino-Venezia e Milano-Napoli. E in effetti la spesa sembra essere fuori controllo, sottoposta com'è ad aumenti continui e di entità esponenziale. Citiamo solo il caso della tratta TAV Bologna-Firenze, che nel '91 prevedeva un costo di 2.150 mld di lire, pari a 1.110 mln di euro attuali, per l'opera completa (con una quota pubblica del 40%). Questo è l'importo per il quale TAV Spa firmò la convenzione nell'ottobre del '91 con la FIAT, che ha a sua volta sub-affidato la costruzione della linea al consorzio CAVET. Ebbene, nell'aprile 2003 dal sito internet della TAV è possibile rilevare l'incremento della spesa alla cifra di 4.700 milioni €, interamente pubblici (9.100 mld di lire). In questa cifra non sono compresi i nodi di Bologna e Firenze, i cui ultimi aggiornamenti di previsione di spesa si attestano rispettivamente a 1.033 e 1.136 mln di euro.
  2. Durante l'esercizio della linea, per i deficit attesi un giorno che l’opera andasse a regime. L’esperienza di Giappone e Francia dimostra infatti che linee di questo genere sono fonte di pesanti debiti per i gestori. Il sistema ferroviario nazionale giapponese è annegato, per via dell’Alta Velocità, in un mare di debiti, pari a 10 volte il volume di affari annuo. Dopo di che la rete A.V. è stata frammentata in 7 distinte società privatizzate, mentre del progetto è stata sospesa ogni idea di ampliamento. In Francia i debiti della SNCF (con solo 1/3 del sistema A.V. all'epoca realizzato) sono arrivati a 5 volte il volume di affari annuo (fonte: la rivista delle ferrovie francesi Le Rail, n. 60, dicembre 1996). E da noi c'è da temere che le cose andrebbero molto peggio, perché i volumi di traffico sui quali fare gli ammortamenti sono sensibilmente inferiori a quelli dei Paesi menzionati.
  3. A valle dell'intervento di costruzione dell'infrastruttura, a carico del bilancio, poiché siamo a conoscenza del fatto che parte della spesa per la realizzazione delle linee dell'Alta Velocità sarebbe stata differita nel tempo. Nell'architettura contrattuale della TAV, il 60% di finanziamento privato ci risulta che sia costituito da prestiti richiesti dalla TAV alle banche, da restituire a partire dalla teorica attivazione del servizio (dal 2005 in poi). Mentre gli interessi intercalari, cioè il costo del denaro fino all’utilizzo delle linee, verrebbero pagati immediatamente attraverso le Finanziarie in corso. Quindi dal 2005, quando in teoria dovrebbe attivarsi il servizio, TAV Spa dovrà restituire il capitale e gli interessi di questo 60% (tra l’altro totalmente garantito dallo Stato), necessario a realizzare le nuove linee. A partire da quell’anno la rata annuale di capitale e interessi che TAV Spa, e quindi lo Stato italiano, dovrà restituire alle banche, è stimata in circa 5.500-6.000 mld l’anno, e la durata del vincolo è stimata in 20 anni. Questa cifra, oggi, non risulta a noi che figuri nel bilancio dello Stato italiano. Quindi in sostanza TAV starebbe ipotecando, attraverso questa architettura finanziaria, 20 Finanziarie a partire dall'attivazione del servizio A.V., per una quota complessiva della dimensione descritta. Peraltro, il fatto che la quota cosiddetta privata fosse costituita, per la quasi totalità, da prestiti concessi a TAV da istituti di credito, ci è sempre parsa un ambiguo espediente lessicale. Una cosa ben diversa, riteniamo, da ciò che comunemente si intende per partecipazione privata: vale a dire l'investimento da parte di aziende private di propri capitali di rischio, nella convinzione di veder remunerato il proprio capitale dalla successiva redditività dell'opera realizzata.

Il differimento del debito appena menzionato, per quanto ci risulta, ha pure consentito a suo tempo di contabilizzare nel bilancio dello Stato per l’anno 1998 uno scarto dello 0,15% in meno rispetto al valore limite del 3% (rapporto tra deficit pubblico e PIL), e ciò ha permesso all’Italia di rispettare questo parametro di Maastricht e di "entrare in Europa". Un espediente attraverso il quale si sono potuti vantare di fronte all'Unione Europea dati non aderenti alla realtà dei fatti, proprio perché i conti dell'Alta Velocità a tutt’oggi non ci risulta che figurino nella contabilità nazionale. TAV SpA infatti si considerava, e si faceva considerare, società a maggioranza privata. Questo ha consentito in passato a TAV di evitare, inoltre, l’indizione di gare di appalto internazionali, affidando i lavori a trattativa privata, senza nessuna gara competitiva che consentisse di verificare sul mercato i prezzi definiti nei contratti affidati ai consorzi per la realizzazione della nuova linea.

Ci risulta che la realtà sia ben diversa. Vale a dire che in questa operazione la partecipazione privata di rischio non vi sia mai stata, e che pure la maggioranza privata in TAV SpA sia stata una presenza fantasmatica. Le aziende private, dopo conferimenti iniziali simbolici ben lontani dalla quota pattuita, si sono totalmente defilate, anche formalmente: è dato certo che dal 1998 le F.S. SpA (il cui unico azionista è lo Stato) hanno riacquisito il 100% di proprietà della TAV SpA, lasciando gli oneri di tutta l’impresa nelle mani dello Stato, cioè a carico dei contribuenti.

E' per questi motivi e sulla scorta di questa esperienza, signor Ministro, che siamo ragionevolmente portati a nutrire seri dubbi quando si afferma che le spese necessarie alle nuove mega-infrastrutture non sarebbero a carico del contribuente.

Per quanto concerne l'altro progetto, quello del "Ponte sullo Stretto", anch'esso pare allinearsi alle caratteristiche del "modulo" già ampiamente collaudato per l'Alta Velocità.

Lo scorso anno di questi tempi, in occasione dell'annuncio da parte del Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi circa la determinazione governativa di procedere alla realizzazione del "Ponte", alla luce delle successive notizie di stampa secondo le quali doveva ancora essere elaborato il piano finanziario per quantificare i costi dell'opera e stabilire il livello di copertura dei privati, scrivemmo in data 26 giugno scorso al medesimo Presidente del Consiglio:

"…Se quanto riportato (dalla stampa, ndr) avesse un sostanziale riscontro nella realtà, dovremmo dirci estremamente perplessi, anzitutto, circa una procedura decisionale sull'intrapresa dell'opera che non includa preventivamente nel suo iter un meditato studio sui rapporti fra costi finanziari/ambientali, benefici trasportistici e capacità di reperimento delle risorse necessarie. Che tenga quindi debito conto dei flussi di traffico attuali e realisticamente ipotizzabili in futuro, delle spese di manutenzione di tale complessa struttura, che ipotizziamo considerevoli, e della quantificazione e sostenibilità dei pedaggi da parte dell'utenza. Ci auguriamo che il ministro Pietro Lunardi non si riferisse a queste eventuali lacune, quando in conferenza stampa ha affermato che "le conseguenze future alla realizzazione dell'opera non sono interamente stimabili".

Ci domandiamo anche se prima di procedere a investimenti della portata anzidetta sia stata assicurata, nel quadro di una visione organica del sistema nazionale dei trasporti, una altrettanto ponderata valutazione del rapporto comparato costi/benefici fra le alternative possibili. Auspicabilmente nella direzione di un alleggerimento del peso infrastrutturale sul territorio, nonché della valorizzazione delle risorse naturali del nostro Paese. Ci riferiamo, ad esempio, al sostanziale impulso che si sarebbe potuto dare – e che sembra urgente garantire - al cabotaggio marittimo. Ancor più desideriamo segnalarLe, gentile Presidente, i nostri fondati timori sul versante finanziario dell'impresa "Ponte sullo Stretto". Timori che evinciamo dal nostro impegno e dalla nostra conoscenza, ormai pluriennali, della vicenda "Alta Velocità Ferroviaria - TAV Spa". Come oggi per il Ponte sullo Stretto, già in passato abbiamo sentito promettere nel caso dell’Alta Velocità l'adozione del modello di project-financing a significativa partecipazione privata. Da cittadini e contribuenti, gentile Presidente, teniamo a rappresentarLe come il suddetto modello sia stato in realtà promesso ma non mantenuto, con conseguenze perniciose per il pubblico erario…".

La nostra associazione non si è mai espressa a favore dell'immobilismo economico e infrastrutturale. Anzi ha sempre ritenuto indispensabile proporre soluzioni alternative a quelle motivatamente criticate, nella fattispecie in campo infrastrutturale. Consideriamo valori irrinunciabili, tuttavia, l'ottimizzazione della spesa, la minimizzazione dell'impatto ambientale, una severa attenzione al rapporto costo/benefici, la verifica dell'utilità collettiva dell'opera, a prescindere dall'interesse particulare di chi trarrebbe lucro dalla sua realizzazione. Parametri che non riusciamo a riscontrare nella prospettiva di sviluppo-senza-aggettivi caldeggiata - se dobbiamo dar fede alle notizie diffuse dai media - da Lei e dal Governo del quale Ella fa parte, e già perseguita da tante precedenti Amministrazioni. Ma non crediamo davvero che il nostro Paese e la Comunità europea si muoveranno verso un futuro di sviluppo e di lavoro "sani" perseguendo tali indirizzi.

Ma ancora, tornando al dibattito sulla reale utilità del "Ponte", non possiamo non richiamare il resoconto che di questa vicenda ha svolto la trasmissione televisiva di Rai Tre "Report" nella sua edizione del 24 settembre scorso. A fare chiarezza sul senso globale dell’opera contribuì lapidario l'intervento di Marco Ponti, economista del Politecnico di Milano, secondo il quale vi sarebbe stata una fiera polemica al Ministero se scrivere l'"analisi costi benefici" oppure no. "La decisione è stata no, di non scriverla", dichiarò Marco Ponti. "Perché si temeva che i risultati non fossero buoni. E com'era ovvio dati i dati di traffico, non era difficile aspettarsi con quei dati di traffico, l'analisi costi benefici è venuta molto negativa, non negativa. Viene sinistramente ad assomigliare alla vicenda dell'alta velocità, cioè privati che mettono soldi ma non investono, cioè non rischiano questi soldi. Questi soldi sono di fatto garantiti dallo Stato, e allora sono buoni tutti. Se lo Stato alla fine garantisce, chiunque mette i soldi, tanto il ritorno è garantito. E' come un prestito, è come Bot e Cct".

Sempre sul versante del reperimento delle risorse finanziarie per il "Ponte", nella medesima trasmissione rimanemmo colpiti dalle dichiarazioni del presidente onorario della Stretto di Messina S.p.A. Antonino Calarco, il quale affermò che "la sottoscrizione dell'intero costo del ponte sarà assolta dagli emigrati siciliani e calabresi sparsi per il mondo".

Ma evidentemente il presidente Calarco, che ci auguriamo avesse all'epoca già approntato un piano di rimborso dei prestiti capace di garantire agli emigrati una adeguata redditività al loro investimento, non poteva supporre che Ella, signor Ministro, si sarebbe mosso per coinvolgere nell'operazione la BEI.

Resterebbe comunque una qualche discrepanza, non ancora chiarita a tutt'oggi per quanto ne sappiamo, fra il punto di vista della Stretto di Messina S.p.A., secondo la quale l'opera è "estremamente utile, ma anche capace di autofinanziarsi", come evidenziato dal video prodotto dalla stessa S.p.A. e mostrato a "Report", e quello dell'economista del Politecnico di Milano appena citato.

Ci stupiamo e ci allarmiamo, signor Ministro, nel leggere sul Sole 24 Ore del 13 giugno scorso i tratti essenziali della riedizione del new deal roosveltiano da Lei immaginata. Concludiamo che essa sortirebbe in pratica nulla di meno di un miracolo, bypassando i vincoli del Patto di Stabilità europeo sui conti pubblici, per "andare sul mercato e coinvolgere alla grande i capitali privati", come si esprime ottimisticamente il commentatore, attraverso la leva della BEI. In merito giova infatti tenere bene a mente, oltre all'infausta esperienza italiana appena narrata, la circostanza che i capitali di rischio provenienti da project-financing con aziende private per la realizzazione di opere come quelle da Lei proposte sono sempre stati di assai problematico reperimento anche a livello europeo. Esemplare l’operazione che in Francia portò a finanziare con capitali di una miriade di piccoli risparmiatori (e non di grandi investitori) la realizzazione del tunnel sotto la Manica. Le azioni acquistate a 100 FF l’una, nel giro di un paio d’anni valevano meno di 10 FF.

E' forse questo il genere di new deal al quale Ella intendeva riferirsi?

Parallelamente, non può che meravigliarci il consenso che la Sua ipotesi sembra trovare nelle sedi comunitarie - che qui ci leggono per doverosa conoscenza - pur preposte alla salvaguardia dell'integrità finanziaria degli stati membri. Ma dobbiamo ammettere che l'attenta considerazione degli avvenimenti ci suggerisce purtroppo da tempo il timore che questa nuova Europa che avanza si caratterizzi, come già avviene tradizionalmente nel nostro Paese, per la rappresentanza politica garantita agli interessi delle lobbies delle grandi opere più che per la tutela del bene e dell'interesse comune.

Da parte nostra, per quanto ci sarà possibile, denunceremo sempre con la massima determinazione gli sprechi di risorse, pubbliche e private, nazionali o sovranazionali, necessarie a implementare le scelte e le politiche appena descritte. Specie in una Italia dove il degrado del territorio, al quale numerose scelte infrastrutturali non sono certo estranee, e perfino quello del clima, stanno facendo lievitare i prezzi di tanti prodotti alimentari di prima necessità in misura esponenziale. E dove per tanti giovani sempre più soggetti a forme di lavoro temporanee, precarie e aleatorie, diventa sempre più difficile pianificare un futuro.

Attendiamo con vivo interesse un Suo cortese riscontro alle osservazioni qui proposte.

Con ossequi,

il vicepresidente

Pier Luigi Tossani

  

In allegato: Petizione di Associazioni e Comitati alla Commissione Europea Trasporti sui problemi connessi alla proposta di un nuovo collegamento ad alta velocità-capacità ferroviaria tra Torino e Lione.

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