A rischio attività che ‘resistono’ in questo lembo di centro storico ancora vitale: l’allarme di M. Cristina François
“A volte le scelte potrebbero essere opportunamente guidate dai risultati degli studi svolti da chi fa ricerca: eviterebbe conseguenze indesiderabili soprattutto là dove sono in gioco valori particolari e identitari, come quelli storici, artistici e architettonici che connotano Firenze e, con una particolare densità, l’Oltrarno a ridosso di Pitti, Boboli e Belvedere”. Così Idra al sindaco Dario Nardella nella 16esima lettera che propone alla giunta di Palazzo Vecchio “nuovi contributi informativi” sulla Variante Ex Caserma Vittorio Veneto in Costa San Giorgio.
La segnalazione odierna ha per oggetto il “lungo lavoro storico-archivistico sulla Costa San Giorgio” effettuato da Maria Cristina François e documentato in ben 11 numeri della rivista “Cultura Commestibile” (367, 368, 369, 370, 371, 372, 377, 378, 379, 380, 401), fino al 5 maggio scorso. Fonti da cui sono state estratte significative citazioni a sostegno delle osservazioni alla variante semplificata “Ex Caserma Vittorio Veneto” depositate da Idra presso la Direzione Urbanistica lo scorso settembre 2020.
Le tappe dell’impegno di studio della ricercatrice fiorentina “sono state percorse attraverso vari contesti, quali l’archeologico, l’idrogeologico, l’architettonico e artistico, il religioso, l’antropologico e socio-economico”. Ed è a quest’ultimo che è dedicato il contributo che la François ha inviato – per la maratona oratoria del 28 maggio scorso - a commento del Manifesto Boboli-Belvedere.
“Il grande albergo che dovrebbe snodarsi al di sopra del complesso di S. Felicita fino al Vicolo della Cava sarà verosimilmente, come accade, comprensivo di tutte quelle strutture e attrezzature che rispondono alle esigenze del turista in questi ambienti di lusso: cioè, stand commerciali interni dove gli ospiti troveranno ciò che si prevede essi ricerchino”. E dunque “per dare vita a nuovi centri commerciali interni, verrebbero penalizzati quelli esterni che pulsano nella vita cittadina del quartiere e respirano nel quotidiano da tanti anni, se non da secoli, portatori – alcuni di essi - del carico di storia insostituibile degli stessi locali da loro occupati”.
In altre parole, “la verosimile chiusura dei clienti dentro questa grande surface alberghiera riservata non favorirebbe alcuna vera interazione con la città. La città, dal canto suo, non avrebbe da guadagnarci nulla o quasi da questi visitatori d’élite se essi non interagiranno attivamente anche col settore commerciale diffuso nel quartiere le cui attività da decenni, se non da secoli, sono svolte nella medesima bottega o in edifici carichi di una storia sempre più distante dal turismo attuale compreso quello di élite”. Un corollario sociale ed economico suscettibile di assestare un ulteriore colpo all’identità dell’Oltrarno. E la François non lesina al lettore la descrizione di esempi concreti di attività che ‘resistono’ in questo lembo di centro storico ancora vitale: “un valore aggiunto per la contestualizzazione storica, le ultime, che non devono morire”.
Seguiranno gli interventi di Giancarlo DONATI CORI, già allievo ufficiale di complemento della Scuola di Sanità Militare, Marco GEDDES DA FILICAJA, medico epidemiologo, e Giovanna LORI, insegnante.
Il contributo di Maria Cristina FRANÇOIS
Premetto che la mia riflessione di oggi nasce da un mio lungo lavoro storico-archivistico sulla Costa San Giorgio le cui tappe sono state illustrate in 11 articoli che ho pubblicato sulla rivista on line “Cultura Commestibile” dell’editore Maschietto (http://www.culturacommestibile.com/: numeri 367, 368, 369, 370, 371, 372, 377, 378, 379, 380, 401).
Queste tappe sono state percorse attraverso vari contesti, quali l’archeologico, l’idrogeologico, l’architettonico e artistico, il religioso, l’antropologico e socio-economico.
Riprendendo ora qui brevemente l’aspetto socio-economico, vorrei fare la riflessione che segue: il grande albergo che dovrebbe snodarsi al di sopra del complesso di S. Felicita fino al Vicolo della Cava sarà verosimilmente, come accade, comprensivo di tutte quelle strutture e attrezzature che rispondono alle esigenze del turista in questi ambienti di lusso: cioè, stand commerciali interni dove gli ospiti troveranno ciò che si prevede essi ricerchino.
Di primo acchito questo universo, in realtà molto chiuso nella sua autarchia, potrebbe sembrare per Firenze un’occasione di plurime offerte di lavoro in quel contesto, ma se si riflette e si analizza più a fondo vedremo che, per dare vita a nuovi centri commerciali interni, verrebbero penalizzati quelli esterni che pulsano nella vita cittadina del quartiere e respirano nel quotidiano da tanti anni, se non da secoli, portatori – alcuni di essi - del carico di storia insostituibile degli stessi locali da loro occupati.
Inoltre, la verosimile chiusura dei clienti dentro questa grande surface alberghiera riservata non favorirebbe alcuna vera interazione con la città. La città, dal canto suo, non avrebbe da guadagnarci nulla o quasi da questi visitatori d’élite se essi non interagiranno attivamente anche col settore commerciale diffuso nel quartiere le cui attività da decenni, se non da secoli, sono svolte nella medesima bottega o in edifici carichi di una storia sempre più distante dal turismo attuale compreso quello di élite.
Faccio alcuni esempi.
Di fronte alla chiesa di S. Felicita in via Guicciardini, dove ancor oggi si vendono ricordini turistici, c’era per i visiteurs du grand tour un negozio denominato SOUVENIRS, a piano terra del palazzo Nerli dove, fra l’altro, abitò qualche tempo Fedor Dostoevskij.
In via Toscanella, al tempo dei Lorena, aveva aperto uno dei suoi laboratori il legnaiolo di Corte Francesco Spighi; in questo stesso ambiente, oggi, i restauratori Martelli ne ricordano la continuità.
In piazza Pitti si vendono ancor oggi dal 1856, i lavorati in pergamena e carta a mano.
In piazza San Felice, quella che fu la Spezieria granducale Lorenese è oggi Farmacia in servizio e conserva nel retrobottega l’annessa sala anatomica settecentesca. In via Romana, si continua nello stesso locale, la vendita della produzione artigianale di oggetti in ferro battuto, lampadari in “stile fiorentino” e arredi. E così seguitando si potrebbe raccontare di botteghe che hanno un valore aggiunto per la contestualizzazione storica, le ultime, che non devono morire.
Maria Cristina FRANÇOIS
laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne, docente in pensione di Lingua Francese
già docente a contratto presso l’Università di Firenze e l’European University Institute