“Vogliamo progetti di grande vivibilità, più che progetti di grande visibilità”, ha detto il sindaco in Consiglio comunale lunedì scorso. E ha tracciato un nuovo orizzonte per Firenze. Si tratta adesso di tradurre questo programma in scelte concrete: quella della TAV è la prima zavorra da gettare.
Nel caso del progetto di stazione sotterranea e sottoattraversamento si impone lo stesso coraggio che il sindaco ha mostrato nel trattare il tema delicatissimo della cosiddetta cittadella viola. “Il project – ha precisato Renzi – può portare marginalità al privato solo se garantisce l’interesse pubblico. Non ha senso che il pubblico si assuma il rischio di impresa. Per come la vediamo noi il project presuppone che il rischio di impresa sia assunto dal privato nella sua totalità”. Ebbene, vi sono ormai pronunciamenti chiari e consolidati della magistratura contabile e dei più alti organi di controllo degli appalti che bocciano alla radice l’istituto contrattuale della TAV, definita da qualcuno la “Caporetto del project financing”. Nel contratto di appalto, infatti, le funzioni del committente sono in capo all’amministrazione aggiudicatrice, mentre nel contratto di concessione tutte le funzioni del committente si trasferiscono in capo al concessionario. Nella TAV invece, col concessionario-committente (quale è il general contractor), e con il finanziamento dell’opera fino al 100% del costo, viene a configurarsi una situazione paradossale che spinge inevitabilmente a far durare il più a lungo possibile i lavori e a definire progetti il più possibile costosi. In Mugello si pensa di inaugurare a fine 2009 – ma senza un tunnel di sicurezza per ben 60 km! – una galleria nella quale i treni avrebbero dovuto correre già nel 2003. Non solo. Quale garanzia un concessionario, non impegnato a recuperare l’investimento dalla gestione, potrebbe dare sulla qualità dell’opera? Ovviamente nessuna. Occorre avere dunque il coraggio di denunciare una architettura finanziaria, quella del general contractor, che dilapida le casse pubbliche e promette – come in Mugello – tempi indefiniti e risultati inquietanti (ad esempio, i due km di tunnel di linea demoliti e ricostruiti perché realizzati in cemento non armato in terreni argillosi!).
Il sindaco di una città come Firenze ha non solo il diritto, a nostro avviso, ma anche il dovere di difendere il proprio territorio da interventi provatamente invasivi, che lascerebbero la città per anni, ben oltre le già lontane scadenze annunciate, alla mercé di una cantierizzazione devastante. Bologna insegna: lì i cosiddetti “imprevisti di natura geologica che sono stati riscontrati durante l’esecuzione dei lavori” (parola di RFI, che però non spiega cosa è effettivamente successo) stanno provocando già tre anni di ritardi, disagi immensi ai residenti e la desertificazione della attività economiche nell’area interessata dai cantieri.
Si tratta di avere il coraggio di abbandonare dunque un’intera filosofia e metodologia progettuale. Si tratta di fare bene per fare presto: la mancanza di rapporto con la cittadinanza, che in Mugello ha prodotto il disastro ambientale ed erariale che sappiamo, a Firenze ha causato più di dieci anni di impasse. Si tratta di abbandonare quel modello e di riaprire, ma a 360°, e con tutta la società civile, il processo di scelta per la soluzione del nodo ferroviario fiorentino, che – come giustamente fa notare il sindaco – è un tassello di un sistema, e deve mostrarsi capace di produrre effetti benefici sia sui trasporti nell’intera area metropolitana e nella regione, sia su vivibilità ed economia.
Sarebbe oltremodo stupido continuare nella politica dei fantaprogetti: occorre al contrario proprio quella capacità di coordinamento che la Regione Toscana ammette candidamente ammette di non essere in grado di assicurare. Nel progetto di sottoattraversamento non esiste un modello di esercizio, si promettono merci veloci su ferro da una parte e si negano dall’altra, manca una pianificazione d’area dei trasporti. Numerose inoltre (e non poteva essere altrimenti, viste le premesse) le magagne procedurali che hanno contrassegnato il percorso tormentato del nodo TAV fiorentino: progettazione frazionata, nessuna valutazione di impatto ambientale per il trasporto ciclopico di inerti e smarino, nessuna VIA per la mega-cantierizzazione del Mugnone, nessuna VIA per la nuova stazione, dopo la clamorosa bocciatura della prima stesura, nessuna informazione né coinvolgimento dei primi cittadini dei Comuni chiamati loro malgrado ad ospitare le montagne di terre di scavo. Per raggiungere Santa Maria Novella, persino la previsione di un tram che arriverebbe presumibilmente pieno in via Circondaria, al posto di un people mover dedicato.
Non dimentichiamo poi che il sottosuolo è un bene limitato e strategico per ogni città: lo è a maggior ragione per Firenze, un centro urbano già assai costruito. Il sottosuolo dunque non può essere accordato per qualsiasi uso, soprattutto quando risulta possibile risparmiarlo e preservarlo per le future generazioni. In questo senso, con o senza stazione Foster, ogni sottoattraversamento TAV intaccherebbe questo bene. Anche se realizzati sotto l’attuale sedime ferroviario (un rischio che FS si accollerebbe, peraltro?), del resto, i due tunnel TAV interferirebbero con un’area più ampia del fascio di binari di superficie e, a seconda della profondità dello scavo, produrrebbero conseguenze più o meno significative sullo scorrimento della falda, generalmente perpendicolare ai tunnel stessi. Impatti importanti sulla falda si avrebbero comunque – per le pendenze che sarebbe necessario rispettare – agli imbocchi di campo di Marte e di Castello, là dove – senza contare la stazione sotterranea – sono progettate lunghissime paratie impermeabili, dalla superficie fino al di sotto del piano del ferro: per circa 875 metri fra il Ponte del Pino e il raccordo con la linea in superficie a Campo Marte e per circa 500 metri all’imbocco Nord. Le cospicue “sorprese geologiche” registrate a Bologna suggeriscono inoltre l’opportunità di mettere in conto margini di incertezza che, sommati alle difficoltà già preventivate nella realizzazione del progetto, contribuiscono a rendere difficilmente accettabile una cantierizzazione di oltre 12 km di tunnel in piena città. Anche perché sarebbe assai onerosa la mole di cautele di lungo periodo che sarebbe indispensabile attivare perché la città non risenta dei possibili effetti collaterali degli scavi, suscettibili di manifestarsi magari dopo anni: avvallamenti del suolo, cedimenti differenziali a carico del patrimonio edilizio, lesioni a manufatti storici.
Si sono persi 10 anni dietro un cattivo progetto: si vorrebbe forse adesso, per un paradossale sussulto di fretta (pessima consigliera, in Mugello, come gli atti del processo penale ai costruttori della tratta appenninica TAV asseverano), tentare improbabili scorciatoie dopo le pessime prove della stazione Foster?
Occorre il coraggio della verità: il sindaco tenga fede ai suoi sani princìpi. Il precedente di Bologna, sotto gli occhi di tutti, insegna. Salute, sicurezza, qualità della vita sono valori che – come l’ASL e l’ARPAT hanno lasciato chiaramente intendere – non verrebbero certo esaltati da questo modello di progettazione e di cantierizzazione della città.
Non occorre aspettare il responso di un Osservatorio Ambientale che arriva con 10 anni di ritardo a scoprire i difetti di un sottoattraversamento denunciato come temerario già nelle osservazioni del ‘98. La città non può continuare a logorarsi in un‘attesa che è durata fin troppo: urge una gara di idee internazionale perché siano individuate in maniera trasparente proposte di soluzione che prendano le mosse da una seria analisi della domanda di trasporto, e da una verifica rigorosa dell’efficacia trasportistica delle ricette proposte, all’interno di un tetto ragionevole di spesa che tenga conto delle priorità e dell’equilibrio necessari in una fase così critica al buon governo delle risorse pubbliche (perché è di questo, e non d’altro, che si tratta!).
“Apriremo un mese di dibattito vero”, ha detto il sindaco in Consiglio lunedì scorso, “che vogliamo anche aprire alla città, con le modalità di una partecipazione vera: chi ha qualcosa da dire, ce lo dica, chi ha qualcosa da criticare, ci critichi. Mi interessa sentire qualche critica motivata, fondata, capace di farci cambiare idea, se necessario”. Ebbene, il sindaco lo sa: Idra gli ha scritto più volte, gli ha inviato documentazione tecnica di ogni genere, può mettere a disposizione esperti indipendenti di valore, fiorentini e non: occorre uscire alla svelta dalla gabbia in cui le passate Amministrazioni hanno tentato di rinchiuderci con scelte improvvide ma solo apparentemente irreversibili. Non servono pastrocchi, la fretta porterebbe solo nuovi ritardi: la nuova idea di città deve liberarsi della zavorra di un passato programmato all’insegna di slogan sterili e di idee di futuro poco responsabili.