“Lottare per la difesa del patrimonio ereditato!”: così scrive Diana Hall nella lettera inviata oggi da Idra al sindaco
Pubblicato anche sulle colonne del giornale italiano di Sydney “La Fiamma” l’appello della studiosa australiana Diana Hall sotto il titolo “La turista che ama Firenze: ‘Salvate il centro storico’”: “Una grande bellezza è stata tramandata attraverso i secoli di Firenze e la protezione e il mantenimento di questa, intatta e rispettata, è una grande responsabilità dei fiorentini, delle agenzie governative e del mondo. Il fallimento sarebbe il tradimento della fiducia”.
Assidua frequentatrice della nostra città, appassionata ed esperta di storia medievale e rinascimentale fiorentina, che ama indagare attraverso la lente peculiare delle sculture di figure femminili, la Hall ha avuto la ventura di abitare, alla vigilia dello scoppio dell’epidemia da Covid, proprio la collina di Belvedere, vicino alla chiesa oggi spettacolarmente restaurata di San Giorgio alla Costa. “Ero incantata, non solo dalla bellezza del luogo ma anche da quel silenzio. Eravamo a qualcosa come 400 metri dal Ponte Vecchio e non c’era suono di passi. Il capelvenere scendeva giù lungo i muri di pietra e sulle vecchie arcate che sovrastavano la strada. In tutto il tempo che sono stata lì, non è mai cambiato niente. La mattina si sentivano i rumori delle moto dei vicini diretti al lavoro. Li sentivo tornare la sera. La maggior parte dei giorni passati lì ho visto due donne passare davanti alla mia finestra una o due volte, che chiacchieravano mentre portavano a spasso i loro canini. Chi progetta di rovinare quest’ambiente, ha mai visitato via del Canneto?”.
Di qui si snoda il resto del racconto e delle considerazioni che Diana Hall porge alla squadra di governo di Palazzo Vecchio affinché possano essere apprezzati i valori che le amanti e gli amanti di ‘fuori porta’ della Città del Fiore sanno forse cogliere e difendere meglio di chi la abita quotidianamente. “Per quella che è la mia esperienza, questa è quasi l’unica parte del centro di Firenze non ancora travolta dal presente. Silenziosa. Magica. Ripida da salire, certo. Ma mi fa sentire un nodo inestricabile nell’animo. I fiorentini dovrebbero lottare per la difesa del patrimonio che la loro città ha ereditato. Qualcuno lo sta facendo. Ma dovrebbero farlo tutti”. Perché “un patrimonio non è una semplice eredità. E’ qualcosa che è stato consegnato dalle generazioni precedenti, per tradizione, per diritto di nascita, ma che implica anche la responsabilità di valorizzarlo e preservarlo. Un patrimonio non è la stessa cosa di un’eredità. Un patrimonio non è un oggetto o un contenitore di denaro con cui chi lo riceve può fare ciò che vuole”.
Nel trasmettere alla giunta fiorentina la ventiquattresima lettera – da fine maggio – di sollecito all’attenzione sul caso della destinazione urbanistica – turistico-ricettiva all’86% – dell’area Unesco a ridosso del giardino mediceo di Boboli, i due ex conventi di San Giorgio e dello Spirito Santo e di San Girolamo e San Francesco, Idra non nasconde la propria gratitudine alla studiosa di Sydney. Da lei è partito infatti un impulso che sta moltiplicando le attestazioni di sostegno da oltreoceano al Manifesto Boboli-Belvedere, oggi disponibile anche in lingua inglese. “A lei dovremmo essere tutti grati – scrive a Dario Nardella l’associazione ecologista – di avere acceso questa attenzione nel suo continente. Non è la prima volta del resto che donne e uomini di cultura non fiorentini mostrano per la nostra città, proprio in nome e in difesa dei valori della cultura fiorita qui nei secoli, quella sensibilità che a noi ‘moderni’ e ‘modernizzatori’, magari distratti, spesso difetta”.
Seguirà l’intervento di Richard HALL, Ingegnere Consulente, Sydney, Australia.
Il contributo di Diana HALL
Alla Città di Firenze e alla comunità fiorentina attraverso l’associazione Idra
Vi scrivo perché sono del tutto contraria al progetto di distruggere la bellezza di via di San Giorgio alla Costa e dell’area del Forte di Belvedere di Firenze per installarvi un trenino turistico. Sono contraria alla spoliazione del passato ottenuta ridestinando edifici conventuali al piacere unicamente di turisti ricchi. E chi altri potrebbe stare lì? Basti dire che il progetto è fallace: l’idea di un trenino turistico è un insulto ai fiorentini che per secoli hanno risalito a piedi la collina. Per un certo verso è un insulto anche ai turisti, considerati troppo pigri per camminare o non abbastanza interessati. E quand’anche così fosse, perché mettere un trenino a disposizione di chi non rivela un interesse? La novità del trenino è forse solo qualcos’altro da aggiungere all’itinerario di “cosa fare” a Firenze?
Del resto, non è che la sommità del Belvedere non sia raggiungibile senza un trenino. Per chi ha limitazioni fisiche e vuole raggiungere la zona, c’è un parcheggio taxi accanto al Ponte Vecchio, lato Oltrarno. Forse l’idea del trenino è venuta perché i turisti potrebbero gradire di mangiarsi un gelato durante il percorso! Ma, mentre ridono e chiacchierano, quanto vedrebbero dei luoghi da cui passano, per non dire… quanto ne capirebbero? Ci sono viaggiatori che vengono dall’altra parte del mondo – tipi determinati anche se con disabilità fisiche – ma con sufficiente iniziativa da trovare il modo di arrivare anche in luoghi scomodi. Questo trenino e questi nuovi tipi di alberghi sono per gente facoltosa: ma non è con un trenino che raggiungerebbero mai le loro camere. Arriverebbero con un autista privato o in taxi. Mentre i turisti di una sola giornata prenderebbero il trenino per riempire un’ora o due di intervallo noioso tra pranzo e cena. I visitatori che amano Firenze per ciò che è, invece, non lo userebbero. Chi vogliamo soddisfare?
Sono quasi 20 anni che vengo in visita a Firenze una o due volte all’anno. Ma non importa se sono a casa qui in Australia o in Italia: con la mente sono sempre a Firenze. Per me, e per quelli che la amano, Firenze è uno scrigno perfetto e ciascun pezzo, fino al più piccolo, racchiude una storia. Se il Rinascimento è iniziato lì a fine Duecento e ha continuato, per due secoli, ad aggiungere sempre maggiore bellezza strada facendo (per sua grandissima fortuna, con poche eccezioni), il Barocco le è passato accanto ed è andato a finire a Roma. Firenze è rimasta così una città rinascimentale di grandioso profilo. Ha avuto delle perdite – alcune pianificate, una guerra e un’alluvione – ma la maggior parte è rimasta in piedi e, anche se delle opere d’arte sono state rimosse dalla loro iniziale collocazione e sono state esposte nelle gallerie, chi – come me – vuole farlo può vederle e immaginarsele dove erano un tempo.
In anni lontani i fiorentini hanno creato la Firenze che per secoli ha attirato visitatori. Sono in molti ad essere colpiti dalla Sindrome di Stendhal. E quando scrivo che vivo sempre a Firenze, è vero. Quando non sono fisicamente lì, sono intenta a fare ricerche con l’obiettivo di mettere assieme un’antologia di sculture di figure femminili. Non è un libro di storia dell’arte o una raccolta di immagini. In realtà ho un elenco di sculture di donne tratte dalla storia, dalla Bibbia, dalla mitologia o da coperchi di sarcofagi, e ho passato anni e anni a cercarle, per trovare storie nascoste e scriverle. Non mi interessa celebrare un artista o descrivere uno stile, c’è già molto materiale di questo tipo studiato dagli esperti. Io guardo il soggetto di una scultura come fosse una persona, e ciò che scopro può essere sorprendente: un cammino attraverso la Firenze di altri tempi. Le mie maestre di storia sono le mie “donne scolpite”. Conoscete la storia della Beata Villana o sapete dov’è il suo sarcofago? Io lo so. Lei mi ha guidata dalla morte di Giotto, attraverso l’alluvione del 1333, il fallimento delle banche dei Bardi e dei Peruzzi, le piogge, i terremoti e la carestia degli anni 1346-47, quando le popolazioni della città e della campagna morivano di fame e si creavano così le condizioni perfette per la devastante peste del 1348, e attraverso molte altre cose ancora. La conosco, anche se è morta nel 1361.
Quando venni a Firenze l’ultima volta, a fine 2019, in cima alla mia lista c’era il convento di San Giorgio alla Costa, perché avevo scoperto che una delle donne delle mie sculture era collegata a quei luoghi. I dettagli della sua storia personale sono frammentari, ma la storia di tutta la sua parentela è ampia, anche se totalmente ignorata a Firenze, per quanto ne so. Sua madre – Alessandra di Bardo de’ Bardi (1412-1465) – fu una delle pochissime donne incluse dal ‘cartolaio’ Vespasiano da Bisticci nelle sue “Vite di Uomini Illustri”. Ho scoperto che Vespasiano aveva descritto un episodio accaduto proprio lì ad Alessandra. Quando era una giovane sposa, andata in vista al convento come sua consuetudine, mentre tornava a casa fu avvicinata da un corteggiatore minaccioso. E’ uno dei racconti morali di Vespasiano, ma io ero desiderosa di percepire quell’atmosfera e di cercare l’angolo dietro il quale il corteggiatore avrebbe potuto nascondersi prima di pararsi davanti a lei.
Di solito abito vicino al Duomo, ma l’amico che mi prenota il soggiorno mi disse che nel suo palazzo c’erano dei lavori e che sarebbe stato rumoroso: mi aveva trovato un altro posto, straordinariamente bello e tranquillo. Ci incontrammo vicino al Duomo, io avevo tutti i miei bagagli ma andammo a piedi e, attraversato il Ponte Vecchio, facemmo alcuni passi voltando a sinistra. Per strada, con Alessandra in mente, notai: qui è dove abitavano i Bardi! Certo, il Palazzo Bardi era stato distrutto. Non avevo idea di dove stessimo andando, mentre camminavamo parlando. Poi cominciammo a salire su per l’erta salita di via dei Magnoli. Rimasi sbalordita quando mi resi conto che stavamo dirigendoci verso quello che era il luogo in cima alla mia lista! Conoscevo già abbastanza bene la zona da sapere che via dei Magnoli si incunea come una freccia in via San Giorgio alla Costa. Ma, proprio prima di raggiungere quell’incrocio, voltammo a sinistra in una minuscola piazzetta. Dall’angolo in fondo si diramava una stradina stretta: via del Canneto.
Ero incantata, non solo dalla bellezza del luogo ma anche da quel silenzio. Eravamo a qualcosa come 400 metri dal Ponte Vecchio e non c’era suono di passi. Il capelvenere scendeva giù lungo i muri di pietra e sulle vecchie arcate che sovrastavano la strada. In tutto il tempo che sono stata lì, non è mai cambiato niente. La mattina si sentivano i rumori delle moto dei vicini diretti al lavoro. Li sentivo tornare la sera. La maggior parte dei giorni passati lì ho visto due donne passare davanti alla mia finestra una o due volte, che chiacchieravano mentre portavano a spasso i loro canini. Chi progetta di rovinare quest’ambiente, ha mai visitato via del Canneto?
Non mi ci volle molto a disfare i bagagli e ad andare a fare una rapida visita alla cappella di San Giorgio, che era nel mezzo di un restauro. Non è la cappella conventuale come appariva agli occhi di Alessandra di Bardo de’ Bardi. Per lei c’erano Giotto e Baldovinetti. Ogni giorno, quando abitavo lì vicino, se le porte erano aperte vi entravo. Una volta o due ho incontrato un altro visitatore. Un giorno c’erano degli americani e, mentre parlavamo, ebbi il piacere di richiamare la loro attenzione verso un punto in alto, quasi nascosto dalle impalcature, dove c’è il bellissimo coro delle suore. Del convento, però, non c’era mai nessuno. Solo musica. Nessun numero di contatto telefonico. Bene – pensai – tornerò nel 2020. Ci starò di più e vedrò come trovare informazioni sulle suore del vecchio convento. E magari, se si può, vedrò di visitarlo. A farci visita, invece, è stato il Covid. E mi vengono in mente il 1348 e Villana.
Comunque, per me lo spirito di Alessandra era ancora lì. Ne potevo seguire i passi. Potevo fissare il consunto scalino di pietra di ingresso alla cappella. Nei musei che visitavo, potevo vedere le opere d’arte che lei aveva visto.
Per quella che è la mia esperienza, questa è quasi l’unica parte del centro di Firenze non ancora travolta dal presente. Silenziosa. Magica. Ripida da salire, certo. Ma mi fa sentire un nodo inestricabile nell’animo. I fiorentini dovrebbero lottare per la difesa del patrimonio che la loro città ha ereditato. Qualcuno lo sta facendo. Ma dovrebbero farlo tutti. Questa idea di un trenino e della distruzione del passato per il piacere di chi viene da altri mondi è sbagliata: un tale progetto non dovrebbe neppure esistere. Ai fiorentini è stato trasmesso un tesoro di cui prendersi cura, e invece loro hanno lasciato che diventasse una merce! Tanto tempo fa i fiorentini capivano che la bellezza era destinata ai loro occhi. Cito un brano del 1494, riportato dal successivo storico Ferdinando Leopoldo del Migliore.
A lato vedesi in una Nicchia una Santa Maria Maddalena di legno alta: forse piu’ di vivo di tutto rilievo, Opera del nostro celebre Donatello, talmente ben fatta, in mostrarsi in quel Corpo estenuato dalla penitenza, scoperto ogni muscolo, che sembra, per usare le proprie parole del Vasari, una perfetta notomia benissimo intesa per tutto. Se ne invaghi Carlo VIII e ne profferiva gran prezzo; onde, chi ne fece ricordo, disse, che piuttosto la gli si farebbe donate, stimandosi di tal valore, che il danaro non v’arrivasse, fe egli non fosse partito di Firenze, poco, o nulla, amico della Repubblica, o ver che in Consiglio, dove tutte le cose appartenenti al Comune si disscorrevano, non forse prevaluta l’openione di chi diceva, non doversi spogliar la Citta’ delle cose rare, per farsene spettatori di meraviglia i Popoli in altri paese, con scapito notabile di quelle gran lode dovuta a Firenze, Madre seconda d’ingegni cosi ottimamente raffinati, sotto ogni faculta’ a discipline.
Se questo trenino e la spoliazione dei conventi e di altre strutture in via San Giorgio alla Costa dovessero andare avanti, allora sarebbe assurdo sostenere che sono i turisti a rovinare la città perché gettano i sacchetti dei panini per terra. Almeno questi si possono raccogliere! La maggioranza dei visitatori comunque non lo fa, o non si vedrebbero più neppure le pietre del selciato! Il fatto è che i fiorentini e l’amministrazione comunale tratterebbero il loro patrimonio molto peggio. Un patrimonio non è una semplice eredità. E’ qualcosa che è stato consegnato dalle generazioni precedenti, per tradizione, per diritto di nascita, ma che implica anche la responsabilità di valorizzarlo e preservarlo. Un patrimonio non è la stessa cosa di un’eredità. Un patrimonio non è un oggetto o un contenitore di denaro con cui chi lo riceve può fare ciò che vuole.
La notte scorsa ho sognato Firenze. Quando mi sono svegliata, mi sembrava un sogno strano, niente di particolare, solo un po’ strano. Penso di aver fatto quel sogno perché sapevo che oggi avrei scritto questa lettera. Nel sogno ero in Piazza Santa Croce, e una mano invisibile stava gettando molliche di pane ai piccioni. I piccioni arrivavano sempre più numerosi, finché si è formato un mare di ali che sbattevano. Ora capisco il mio sogno. Chi dava da mangiare ai piccioni erano i fiorentini, e gli uccelli insaziabili erano i turisti di passaggio, appagati soltanto da una sbrigativa gratificazione. Attenzione!!! Quando i buoni bocconi saranno finiti, i piccioni andranno da qualche altra parte ma la mano che ha gettato loro il cibo resterà vuota.
I fiorentini hanno la responsabilità di garantire che Firenze esista per le generazioni future, rispettata e non danneggiata dalle loro stesse mani.
Diana HALL
ricercatrice indipendente australiana di storia medievale e rinascimentale di Firenze