Si legge negli atti. Non solo Italia Nostra e Idra: il Comune di Firenze tiene fuori dalla partita anche la Soprintendenza.
Sono passati sei mesi (!) da quando la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio ha segnalato al proprietario del monumento protoindustriale in riva d’Arno, il Comune di Firenze, “la necessità dell’elaborazione di un vero e proprio progetto di restauro, ancorché parziale”. Palazzo Vecchio scriveva di un “tavolo tecnico costituito dai rappresentanti dei Comuni di Firenze e Bagno a Ripoli, di un comitato civico costituitosi sulla questione e da esponenti della cultura territoriale e scientifica d’ambito”, e chiedeva alla Soprintendenza di individuare un proprio rappresentante per “garantire il contatto auspicato”. Orbene, nonostante che a Palazzo Vecchio il funzionario di Palazzo Pitti sia stato indicato, con nome e cognome, non risulta che abbiano passato l’Arno – leggiamo dopo aver richiesto l’accesso agli atti – le comunicazioni richieste già il 10 aprile “in merito al calendario e alla forma degli incontri prefigurati e in relazione ad eventuali ulteriori iniziative attinenti ad aspetti di conservazione e valorizzazione, o comunque intersecanti le competenze istituzionali” della Soprintendenza. Stesso discorso per “i documenti e i materiali contenenti gli esiti fino a questo momento prodotti dal percorso intrapreso”: se esistono, a Pitti non sono arrivati!
Cresce dunque la diffidenza nei confronti dell’operato della giunta Nardella su questo bene. Italia Nostra e Idra sono andate forse a perder tempo, lo scorso 8 settembre, quando l’assessore al Patrimonio ha invitato entrambi i presidenti a un colloquio che inaugurasse finalmente un nuovo corso, effettivamente partecipativo? Parrebbe di sì, atteso che mai è arrivato un riscontro a ciò che in quella circostanza hanno spiegato le Associazioni che da anni si battono per il recupero pubblico di quel bene comune, scontrandosi prima con la negligenza dell’Amministrazione comunale, poi con l’opacità del preteso “tavolo tecnico” dal quale, come la Soprintendenza, risultano clamorosamente escluse. Se infatti un “comitato civico” si è costituito in questi anni attorno alla figura dell’artista ‘resistente’ Piero Gensini, che di quel monumento è da 28 anni l’assiduo e prezioso custode, di quel “comitato” fanno parte di diritto – insieme alla tanta cittadinanza attiva mobilitatasi grazie agli stimoli offerti dall’atelier dello scultore – proprio quegli “esponenti della cultura territoriale e scientifica d’ambito” che Palazzo Vecchio vanta di reclutare ma tiene ostentatamente fuori dalla porta della partecipazione.
Fortuna, per coloro che dalla città culla del Rinascimento continuano a praticare il mal governo del territorio e dei suoi ‘beni comuni’ storici e architettonici, che la carta stampata fiorentina continui a ignorare la vicenda, o a relegarla – nel migliore dei casi – alle pagine provinciali. Mentre Prato insegna, in un’efficace alleanza fra cittadinanza, associazionismo ed Ente locale, come e dove è opportuno agire per la valorizzazione della propria storia. In questo caso, coltivando la memoria di quella vocazione riemersa anche qualche decennio fa con le fulloniche venute alla luce sotto piazza della Signoria. Quel dna tessile della città del giglio che ha permesso, coi proventi dell’industria medievale giovatasi delle Gualchiere, la costruzione di tanto nostro patrimonio in pietra e in marmo.
Ma persino al gemellaggio fra le Gualchiere di Remole e quella di Coiano, promosso due settimane fa presso il Museo della Tessitura di Prato, il Comune di Firenze non ha trovato il tempo di partecipare! Dov’è la pretesa “rinascita di Firenze”?