Lettera aperta
al Presidente della Giunta regionale della Toscana
e al Direttore generale della USL Toscana Centro
Gentile Presidente, gentile Direttore,
in questi giorni di emergenza ospedaliera in Lombardia, e che si teme possa riproporsi anche altrove in Italia se il contagio da Coronavirus dovesse diffondersi con quella stessa invasività, più di un concittadino ha voluto confidarci una considerazione, della quale – se permettete – vorremmo qui farci portavoce, sottovoce, presso di Voi.
L’autrice di una brillante tesi di laurea sulla storia dell’ex Sanatorio Guido Banti ci scrive: “Una riflessione mi sorge spontanea: un ospedale come il Banti, in ottime condizioni, in situazioni come queste sarebbe stato molto utile”. Un ex coordinatore dei Servizi farmaceutici dell’ASL di Firenze, che ha seguito con attenzione negli anni le sorti del nosocomio che campeggia dalla collina dell’Uccellatoio sulla città di Firenze, già fiore all’occhiello della sanità regionale (e non solo) per il prestigio terapeutico conquistato nella lotta alla tubercolosi, oltre che di indubitabile valore architettonico, ambientale e paesaggistico, aggiunge: “Se il Banti fosse stato ancora in condizioni decenti, in un paio di settimane sarebbe potuto diventare un ottimo ospedale di quarantena o (come si diceva una volta), un Ospedale di Riserva. Oggi sarebbe molto utile. Meditate gente.”
Del resto, non è forse un caso se proprio all’iniziativa di un’infermiera professionale, di una direttrice della Scuola infermieri professionali di Careggi, di un cuoco che negli ospiti del Banti ha lasciato di sé un indelebile ricordo e di un ex amministratore del Comune di Vaglia, non è forse un caso se è a costoro che si deve la straordinaria mobilitazione che dalla metà degli anni Novanta ha permesso di raccogliere migliaia di firme sotto una petizione popolare indirizzata all’allora ministra Rosy Bindi per il ripristino dell’uso pubblico e sanitario del Banti. Ma dalla sua dismissione nel 1989 quel monumento alla salute, “l’ospedale dell’aria bona” nella tradizione orale fiorentina, è stato abbandonato e nei fatti consegnato a un progressivo devastante vandalismo.
Desideriamo condividere quindi con Voi questa riflessione, dopo che sono andate deserte più aste pubbliche per alienarlo, l’ultima a luglio dell’anno scorso. Vi proponiamo questa riflessione, tornando a suggerirvi di non trascurare le tante altre funzioni pubbliche che quel luogo potrebbe assolvere, mentre il degrado costringe oggi la stessa Azienda sanitaria proprietaria dell’immobile a intervenire con urgenza per bonificare tutta l’area dall’amianto disseminato nell’ambiente circostante, anche oltre il perimetro del suo vasto parco, dai tetti e dalle caldaie, sbriciolato dal tempo, dalle intemperie e dal vandalismo.
Ora che una drammatica priorità nazionale impone un riequilibrio radicale e urgente nella destinazione delle risorse a beneficio finalmente del sistema sanitario, tartassato dai tagli a dispetto della qualità delle sue donne e dei suoi uomini, che oggi tutti osserviamo ammirati e riconoscenti, forse potrà essere opportuno riconsiderare la scelta di disfarsi di questo presidio della salute. A maggior ragione se si considera ciò di cui molte voci autorevoli – finalmente ascoltate – ci avvertono nel dibattito pubblico legato all’emergenza in corso: dopo il coronavirus, epidemie simili, e altrettanto inattese, potranno riverificarsi. Se non vogliamo farci sorprendere ancora una volta dall’emergenza, converrà forse essersi attrezzati per tempo!
Per Idra
Girolamo Dell’Olio
Repertorio fotografico: il Banti al tempo della prima lettera-appello a Rosy Bindi, settembre 1996