Cronaca di un disastro erariale più che ventennale convintamente partecipato, ostinatamente tuttora perseguito.
Analisi costi-malefici della “grande opera” TAV nella città patrimonio dell’Unesco e sotto le montagne dell’Appennino
Appuntamento informativo pubblico
Caffè Letterario Le Murate, Firenze, 15 maggio 2019
sullo stato dell’arte a Firenze
La cronologia della vicenda, dal ’94 a oggi
Dal primo ‘Master Plan’ in era Morales, con la stazione Alta Velocità prevista a Campo di Marte, è stato un continuo succedersi di fantasie progettuali. Abbandonata la soluzione a est, si opta per la centralità di S. Maria Novella, salvo declinarla come ‘allungata’, prima verso un’improbabile stazione Belfiore (a firma Zevi), poi ancora più a ovest, agli ex Macelli (progetto Foster). Risultato, 20 anni dopo l’approvazione di due tunnel contro-falda da Campo di Marte a Castello, non un centimetro di sotto-attraversamento è stato realizzato, ma una sola grande buca, scavata per un quarto, di cui non si sa bene che fare. Nel frattempo sono fioccate critiche e ripensamenti, da Palazzo Vecchio e dalle stesse Ferrovie. In perenne discussione anche l’ipotetico collegamento da assicurare col centro: prima un people mover, poi la tramvia proveniente dall’aeroporto, poi di nuovo il people mover, parrebbe. In ogni caso, fiorisce l’industria dei progetti, con costi, contenziosi e impatti al rialzo.
La cantierizzazione del sotto-attraversamento TAV in Tribunale
Dopo il copioso disastro ambientale ed erariale provocato dai cantieri Alta Velocità in Mugello e a Monte Morello, che ha visto la Corte dei Conti condannare (ma prescrivendoli) politici di rango della Regione Toscana come Vannino Chiti e Claudio Martini (per aver approvato progetti rivelatisi perniciosi “agendo con censurabile superficialità, insolita pervicacia ed in violazione ad elementari norme di diligenza”), la ‘grande opera’ nella capitale della cultura non ha voluto deludere le attese: già agli esordi spuntano – è la provvida denuncia della Direzione Distrettuale Antimafia – conci da costruzione fuori norma, una costosissima fresa taroccata, e nuovi regali al Mugello sotto forma di traffico di rifiuti con sospetta presenza della camorra campana.
Le sofferenze a catena delle imprese costruttrici
La TAV a Firenze non porta bene: sia perché la magistratura sta con gli occhi molto aperti, sia per l’effetto combinato dei sequestri giudiziari, delle retromarce e incertezze di Palazzo, e di chissà quali e quanti altri fattori inconoscibili. Di fatto, si registrano tracolli a catena delle imprese affidatarie dei lavori: persino la condizione privilegiata di controllore-controllato non è sufficiente a impedire al ‘contraente generale’ il dissesto. Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone ha commentato la vicenda TAV a Firenze come “paradigmatica del peggio possibile in Italia”.
Beni culturali a rischio
Siamo nella città d’arte patrimonio dell’Unesco, culla del Rinascimento, eppure a volte sembra di essere nel Texas di un paio di secoli fa. Palazzo Pitti segnala numerosi beni architettonici a rischio impatto, fra cui la trecentesca Porta San Gallo, l’Arco dei Lorena, l’edificio porticato in piazza della Libertà. Secondo gli stessi proponenti, è la Fortezza da Basso, il capolavoro di Antonio da Sangallo, il manufatto col più elevato indice di rischio di impatto, fra i 170 edifici indicati inizialmente dal progetto definitivo, cresciuti poi a 354 dopo una più attenta ricognizione dell’Osservatorio Ambientale presieduto da Pietro Rubellini. Inutilmente, già nel 1995, il soprintendente Domenico Valentino scriveva: “Chi studierà il tracciato non dovrà usare il pennarello né dovranno essere tenuti presenti interessi politici locali o nazionali: il bene della collettività deve prevalere su tutto”. E aggiungeva: ”I progetti vengano concordati con le amministrazioni locali che non dovranno agire con finalità politiche bensì dovranno essere solo i portavoce della volontà popolare e del bene comune”. Ma quanti fiorentini sanno oggi ad esempio che intorno alla Fortezza verranno istallati per 690 giorni ben quattro cantieri per lo scavo di pozzi di ‘compensation grouting’, uno dei quali dentro il giardino della ‘Vasca dei cigni’, dai quali si inietterà cemento sotto i bastioni interessati dai due tunnel, quando ancora la stragrande parte del corridoio di ronda sotterraneo cinquecentesco risulta tuttora impraticabile per infiltrazioni o crolli? Ancora Domenico Valentino: “Non deve essere sottovalutato il danno che potrebbero subire i grandi monumenti o le singole abitazioni del centro storico sotto i quali il tunnel dovrebbe passare. (…) Un domani a cosa serviranno i pentimenti quando complessi monumentali dovranno essere puntellati o pesantemente restaurati? Quanto ci sarà costata l’Alta Velocità? E quali giustificazioni potremmo addurre ai nostri figli? Non dobbiamo permettere la creazione di un’altra cattedrale nel deserto che si andrà ad aggiungere al Centro siderurgico di Taranto ed al Porto di Gioia Tauro”.
Ruolo e responsabilità delle istituzioni locali e delle autorità centrali
Comune, Regione e Ministeri hanno fatto diligentemente il possibile per risparmiare ai cittadini la stessa conoscenza del progetto e dei suoi impatti. Le scelte adottate, cancellate, variantate e riformulate sono state confezionate in stanze impermeabili al dibattito pubblico. E’ tuttora è impossibile conoscere le caratteristiche – men che meno i dettagli – delle ultime ‘soluzioni’ via via ipotizzate, mai pervenute peraltro all’Osservatorio Ambientale, che da 15 mesi è scaduto e non è stato rinnovato. Si è arrivati a disapplicare le stesse previsioni di legge approvando la scintillante stazione Foster senza una presentazione pubblica, senza una raccolta di osservazioni da parte dei cittadini e delle competenze tecniche e scientifiche indipendenti, senza una valutazione di impatto ambientale! Quattro anni e mezzo prima, non si era badato a spese, invece, nella pubblicità – fin dentro il Salone dei Cinquecento – alla stazione ‘squalo’ ideata dal gruppo Zevi. Bocciata poi in conferenza di servizi perché erano stati ignorati i vincoli posti dal Ministero dei Beni culturali.
Il disinvolto balletto delle cifre dei costi e dell’avanzamento dell’opera
Qui regnano indisturbate le veline e le fake news distribuite da Palazzo Vecchio e dalla Regione Toscana, ritrasmesse fedelmente dagli altoparlanti della ‘grande stampa’. Forse fa comodo pensarlo, e magari può aiutare a spostare in una certa direzione l’analisi costi-benefici attualmente in corso (mai effettuata prima, come da regola aurea delle ‘grandi opere’ nel nostro Paese), e così si pretende che i lavori del sotto-attraversamento siano addirittura al 50%. E invece, correttamente, l’ARPAT segnala che tre quarti della stazione restano da scavare. Poi vanno aggiunti gli oltre 13 km delle due gallerie. Senza contare l’armamento finale, e i dispositivi di controllo e mitigazione degli impatti idraulici a monte e a valle delle due dighe sotterranee ortogonali alle linee di flusso della falda, che risultano ancora persino da studiare. Al netto delle ‘controindicazioni’ che potranno manifestarsi in superficie: il calcolo delle ‘perdite di volume’ sarebbe infatti, a detta di esperti indipendenti, poco cautelativo, più ottimistico di quello che la letteratura scientifica suggerisce in materia, tenuto conto anche del fatto che – probabilmente per risparmiare sui costi d’impresa – si è modificato rispetto alle previsioni iniziali il piano di scavo: un tunnel alla volta, con una sola fresa anziché due, accrescendo così i rischi di cedimenti che questa metodica comporterebbe. Infine, sono forse da considerare le possibili ‘sorprese’ archeologiche. Ci vuole dunque una bella dose di coraggio per affermare che siamo a metà dell’opera…!
Anche il presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani afferma (febbraio 2019) che saremmo in presenza di “un cantiere lasciato a metà”, e si spinge a dichiarare che “mancano solo 4-5 chilometri da scavare con la talpa”. In realtà il tracciato in sotterraneo si sviluppa per 6444 metri, e i tunnel da scavare sono due! Richiesto di correggersi, se ne è astenuto…
Quanto ai costi, si sa che l’appalto è stato aggiudicato a marzo 2007 al prezzo di 685 milioni di euro, con un ribasso del 25% che fece rumore rispetto alla base d’asta di 915 milioni. Ma, a giudicare dalle cifre fornite ai giornali dal sindaco Dario Nardella, si viaggia su una cifra di spesa già consumata – per quel poco che si è fatto – di ben 800 milioni di euro. Guai però a chiedere la fonte delle ‘informazioni’ diffuse da Palazzo Vecchio: Dario Nardella non risponde. Se si vanno poi a considerare le cifre ufficiali fornite da RFI, lo scenario cambia ancora, e radicalmente: “L’importo relativo all’appalto relativo alla Nuova Stazione, Tunnel e Scavalco è di circa 784 milioni di euro”, e – quanto alle opere ad oggi realizzate (Scavalco ferroviario Castello-Rifredi incluso) – “l’importo complessivo è pari a circa 243 milioni di euro. E’ inoltre ad oggi pendente presso il Tribunale di Roma un contenzioso giudiziale per riserve presentate dall’Appaltatore assommanti a circa 130 milioni di euro”, scrive l’Ad di RFI Maurizio Gentile rispondendo a una richiesta di Idra lo scorso gennaio.
A chi credere?
Etica politica e credibilità delle candidature nella “città del fiore”
Da qualunque lato la si guardi, la vicenda TAV a Firenze è inguardabile. Il prossimo sindaco non potrà ragionevolmente astenersi dall’assumere una posizione di netta diffida a proseguire nella dilapidazione di denaro pubblico che sta erodendo da 20 anni, oltre alle risorse erariali, la stessa credibilità istituzionale del governo di Palazzo Vecchio.
Quando il sindaco Dario Nardella dichiara, come è accaduto il 3 maggio scorso, di voler chiedere al premier Giuseppe Conte in visita a Firenze lo scorso “una presa di posizione chiara su chi dovrà rispondere dei 700 milioni già spesi, degli operai mandati a casa e delle ditte fallite”, trascura forse un dato essenziale: e cioè che in questa partita un ruolo determinante è stato giocato proprio dagli amministratori locali, dai sindaci succedutisi al governo di Firenze da quando è stato presentato e approvato il progetto di sotto-attraversamento.
Qualche esempio?
Una, diciamo, svista a Palazzo Vecchio ha provocato quattro anni e mezzo di blocco prima che si potesse arrivare alla scelta della stazione Foster. Un’altra svista ha permesso che la si approvasse senza una valutazione di impatto ambientale. Sulla base di perplessità non peregrine si è fantasticato poi per qualche tempo di sostituire la stazione faraonica con una semplice modesta fermata, mai arrivata in porto. Infine, la variegata successione di dichiarazioni contraddittorie inanellate nell’ultimo mandato: da “L’alta velocità non è figlia nostra ma di decisioni nazionali, però è un’opera strategica” (agosto 2014) a “Questo progetto di Alta Velocità [...] appare inspiegabile. E’ un grande spreco di denaro pubblico. Perché stiamo parlando di un miliardo e mezzo di euro, per risparmiare due minuti” (giugno 2016). Da “Le nuove tecnologie oggi consentono di gestire treni di Alta Velocità a tre minuti l’uno dall’altro. […] Viene meno quindi anche l’elemento strategico dell’Alta Velocità, che era quello di far passare sotto terra i treni di Alta Velocità per liberare i binari di superficie a favore del trasporto regionale” (giugno 2016) a “Non lasceremo un’opera pubblica a metà [...] Il tunnel Tav libererà i binari di superficie da usare per i treni pendolari” (marzo 2019). In questo contesto, suona davvero singolare quello che ha dichiarato Dario Nardella a una rete televisiva toscana l’8 maggio scorso: “Per fare il sindaco bisogna avere credibilità […]. I fiorentini hanno diritto ad avere un amministratore che governi la città con parole chiare”!
Le parole e gli atti di cui siamo stati fin qui testimoni paiono in realtà essere piuttosto prove lampanti di ben scarsa affidabilità. “Abbiamo fatto dei confronti con il Ministero dei Trasporti e anche con la cittadinanza e i tecnici, e siamo arrivati ad una modifica del progetto”, ha sostenuto ancora il sindaco. E ci si chiede: di quale cittadinanza stiamo parlando? Dove è possibile consultare questa ennesima ipotetica modifica del progetto?
sulle alternative praticabili
Urge avviare, senza ulteriori tentennamenti, un percorso finalmente virtuoso.
- Il primo requisito da rivendicare è la qualità del progetto. Quello attuale, imposto alla città senza alcuna comparazione e senza una dignitosa informazione, è stato giudicato da numerosi esperti indipendenti incompleto, debole e discutibile in partenza, anche a prescindere dalla scelta del tracciato. In 20 anni, poi, sono stati fatti passi da gigante nelle procedure di progettazione e nell’evoluzione del settore delle costruzioni.
- Per raggiungere una qualità progettuale all’altezza del nome della città di Firenze è indispensabile la partecipazione della società civile con la formula del dibattito pubblico. Occorre avere il coraggio di ripartire dal punto zero, e operare una vera, rapida ed efficace rivisitazione attraverso una comparazione trasparente di costi, benefici e strategie trasportistiche che tengano conto delle componenti in gioco.
- Occorre, poi, garantire modalità di attuazione che prevedano un’architettura finanziaria pulita degli appalti: la figura del cosiddetto ‘contraente generale’, con la commistione di controllori e controllati, va abbandonata a favore di una gestione dell’opera in mani pubbliche, che curi il buon governo della spesa e prevenga la lievitazione dei costi.
- Serve a questo scopo garantire autonomia ed efficacia ai controlli (ARPAT, ASL, Comuni, Regione), stanziando le risorse e il personale indispensabile a svolgere con serietà questa delicata funzione. E non ha certo senso un Osservatorio Ambientale debole – come si è dovuto constatare – nelle competenze storico-artistiche e geotecniche in una città come Firenze, e che non contempla un rapporto informativo organico con la popolazione.
- Il sicuro risparmio di una quantità ingente di risorse che una gestione oculata e partecipata dell’intervento è in grado di liberare potrà essere destinato – con beneficio della collettività – alla manutenzione delle infrastrutture esistenti (stradali e ferroviarie), alla sicurezza del loro esercizio, alla ricucitura e alla tutela del territorio e del suo assetto idrogeologico, resi fragili e vulnerabili da decenni di cementificazione e impermeabilizzazione senza scrupoli. Una proposta fattiva in questa direzione è stata avviata nella ultime settimane da Idra: un progetto di ‘grande piccola opera’ da realizzare nell’area urbana e collinare della vallata del torrente Terzolle, fra l’Arno e Monte Morello, col concorso delle tante intelligenze sociali, culturali ed economiche, delle istituzioni locali resesi disponibili a collaborare e dei cittadini tutti. Il prossimo appuntamento di questo ‘cantiere di adozione’, che punta a tenere insieme ambiente, paesaggio, cultura, lavoro, agricoltura, difesa idrogeologica, restauro, tutela e godimento dei beni storici e architettonici, è venerdì 17 maggio, alle 17, all’SMS di Serpiolle.
sulle gallerie TAV verso Bologna
Nel dibattito nazionale sulla TAV Torino-Lione ci si esercita in sagge riflessioni sulla scarsa sicurezza del tunnel del Frejus, costruito con una sola canna nel lontano 1871. Ma perché nessuna testata giornalistica dedica una sana inchiesta alla galleria, nuovissima, della TAV sotto l’Appennino fra Firenze e Bologna, con le Frecce e gli Italo che si incrociano – anche qui sotto terra – in un solo tubo (e non è opera del 1871, ma del 2009!)? Perché non si dà contezza delle caratteristiche delle cosiddette vie di fuga, con lunghezze e pendenze a dir poco ardite, distanti – 7 su 14 – persino oltre i 4 km previsti dal decreto sulla sicurezza della gallerie ferroviarie? Con marciapiedi in galleria, anche quelli, da fare invidia al Frejus? Perché nessuna testata domanda al prefetto di Firenze se e cosa hanno risposto le Ferrovie ai preoccupati esposti di Idra trasmessi loro dal prefetto a inizio autunno? Quanto alla recente esercitazione di simulazione di emergenza ferroviaria, ad aprile, nella galleria Firenzuola, ciò che è stato possibile intuire dai pochi dati di cui disponiamo è che le condizioni fissate per l’esercitazione ne abbiano in qualche modo agevolato il successo. Registriamo una serie di circostanze (inclusa la finestra scelta per l’evacuazione, San Giorgio, presso l’autodromo del Mugello, agevolmente raggiungibile dall’esterno) fin troppo ottimistiche rispetto agli scenari ipotizzabili in caso di evento (per esempio invernale) dalle parti di Castelvecchio o di Osteto, in ben altro ambiente appenninico e con ben altro sviluppo delle ‘vie di fuga’.